12 Maggio
Armi, intelligence, Inghilterra
L'impero è tornato? No, ma la "potenza in recessione" quando scattano le crisi internazionali e militari ripesca dalla storia il proprio ruolo. La guerra in Ucraina e il sogno di Boris Johnson per il Regno Unito (forse). Un'indagine sulla Global Britain e le ambizioni dell'Anglosfera
di Lorenzo Castellani
Ci sono due luoghi nel mondo che hanno inventato ciò che oggi si chiama intelligence e che ieri si chiamava spionaggio: Venezia e l’impero britannico. La prima si è inabissata nel suo declino economico e politico, senza riuscire a trasmettere la sua arte allo Stato italiano. Il secondo è crollato dopo la Seconda guerra mondiale, ma senza sparire mai del tutto. Il vecchio impero si è trasformato: da articolazione sovranazionale con centro a Londra in una strana forma di Stato nazionale, governato dall’egemone Inghilterra attraverso un federalismo asimmetrico. Quando la crisi internazionale e militare si aggrava però, questa “potenza in recessione” sembra riuscire a trovare ancora sé stessa nei gangli più profondi della propria società e intelligenza.
Con la guerra in Ucraina, l’Inghilterra è tornata. Dopo anni di purgatorio e incertezze per la Brexit, il Regno Unito - insieme di nazioni diverse guidate da Londra - ritorna alla testa del mondo occidentale, disegna con gli americani una nuova funzione dell’Anglosfera. Il progetto è oramai chiarissimo: una politica estera più aggressiva; accordi di libero di scambio ad ampio raggio; lo sviluppo di un interventismo militare che ha sempre fatto parte del codice genetico degli inglesi. Se la situazione della politica interna resta complessa - la leadership di Johnson è sempre traballante, l’economia rallenta, la Scozia e l’Irlanda del Nord vorrebbero l’indipendenza - la situazione internazionale ha al momento cementato l’establishment britannico che tanto si era diviso sulla Brexit. Mercato e armi, sono le due bisettrici dal cui incrocio origina il mito inglese, quello che ha fatto grande il vecchio impero e da cui ancora promanano le promesse di sovranità, potenza e prosperità. La Global Britain, che Johnson programma fin dal 2016, è un programma di indipendenza, di svincolo dall’Europa continentale, di rapporti più stretti con gli...
di Lorenzo Castellani
Ci sono due luoghi nel mondo che hanno inventato ciò che oggi si chiama intelligence e che ieri si chiamava spionaggio: Venezia e l’impero britannico. La prima si è inabissata nel suo declino economico e politico, senza riuscire a trasmettere la sua arte allo Stato italiano. Il secondo è crollato dopo la Seconda guerra mondiale, ma senza sparire mai del tutto. Il vecchio impero si è trasformato: da articolazione sovranazionale con centro a Londra in una strana forma di Stato nazionale, governato dall’egemone Inghilterra attraverso un federalismo asimmetrico. Quando la crisi internazionale e militare si aggrava però, questa “potenza in recessione” sembra riuscire a trovare ancora sé stessa nei gangli più profondi della propria società e intelligenza.
Con la guerra in Ucraina, l’Inghilterra è tornata. Dopo anni di purgatorio e incertezze per la Brexit, il Regno Unito - insieme di nazioni diverse guidate da Londra - ritorna alla testa del mondo occidentale, disegna con gli americani una nuova funzione dell’Anglosfera. Il progetto è oramai chiarissimo: una politica estera più aggressiva; accordi di libero di scambio ad ampio raggio; lo sviluppo di un interventismo militare che ha sempre fatto parte del codice genetico degli inglesi. Se la situazione della politica interna resta complessa - la leadership di Johnson è sempre traballante, l’economia rallenta, la Scozia e l’Irlanda del Nord vorrebbero l’indipendenza - la situazione internazionale ha al momento cementato l’establishment britannico che tanto si era diviso sulla Brexit. Mercato e armi, sono le due bisettrici dal cui incrocio origina il mito inglese, quello che ha fatto grande il vecchio impero e da cui ancora promanano le promesse di sovranità, potenza e prosperità. La Global Britain, che Johnson programma fin dal 2016, è un programma di indipendenza, di svincolo dall’Europa continentale, di rapporti più stretti con gli Stati Uniti e di dispiegamento dei rapporti commerciali globali.
Il discusso Primo ministro, mai completamente compreso dai media europei ed europeisti, ha una visione che trova appoggi nell’intelligence e nelle due grandi università del paese, Oxford e Cambridge. L’Inghilterra è ancora il cervello dell’Anglosfera. Accordo commerciale con l’India da realizzare entro il 2022, fortificazione del Commonwealth politico, relazioni privilegiate con i paesi sulla frontiera ucraina, investimenti in difesa e ricostruzione sono lì a testimoniare il nuovo corso che s’innesta sul vecchio. Fonti dell’intelligence rilevano il contributo militare fondamentale del Regno Unito sul campo ucraino. Gli inglesi, e non gli americani, hanno addestrato l’esercito di Zelensky; sono gli ufficiali di sua maestà a suggerire le strategie ai generali ucraini, come quella di minare il mare davanti Odessa; l’esercito britannico, inoltre, sarebbe presente con le sue squadre speciali e i suoi reparti di élite direttamente in Ucraina, soprattutto nel lato occidentale del paese; infine Johnson ha appena firmato un patto di assistenza militare con Svezia e Finlandia in funzione anti-russa.
Le tecnologie americane intercettano, gli inglesi suggeriscono le mosse, così può sintetizzarsi la nuova guerra per procura in Ucraina. Non si può capire il Regno Unito senza carpire la centralità della difesa nel suo sistema di governo. Un grande storico del King’s College di Londra, David Edgerton, ha ricostruito le vicende del Regno Unito nel corso del ventesimo secolo e mostrato quanto il settore militare abbia avuto influenza nello sviluppo del paese. L’isola britannica è un warfare state, uno stato profondamente militare in cui un mescolamento di apparati, complesso militare-industriale e scienza al servizio della guerra hanno assorbito ingenti risorse, sia finanziarie che soprattutto umane. Ancora oggi il Regno Unito è il paese che spende di più in Europa sul piano militare, è una potenza nucleare ed è il secondo contributore della NATO dopo gli Stati Uniti.
La cultura dell’eccellenza continua ad essere preponderante in un paese che è ancora gerarchico e per molti aspetti classista. Un altro grande storico marxista inglese, Perry Anderson, ha parlato di patriziato imperiale, il residuo oligarchico mai sopito dell’impero. Così è organizzato l’esercito britannico, in reparti speciali e di élite che spesso coltivano forme di affiliazione para-massonica, i cui componenti si sentono più legati al corpo, al battaglione che all’esercito tout court; allo stesso modo funzionano le università, un filtro funzionale capace di selezionare, assorbire, unire le élite intellettuali e politiche; sulla discrezione, la segretezza, l’opacità è organizzata la City di Londra. Persino una politica attraversata di continuo da scandali e demagogia è ancora dominata dai figli di Oxford e Cambridge, incentrata sui club e sulle relazioni osmotiche con il grande capitalismo.
Il tutto viene ad incrociarsi con una spiccata propensione commerciale, tipica dell’isola e delle potenze di mare, che porta il Regno Unito a coltivare relazioni economiche su vastissima scala. Legami spesso pericolosi - come quelli con gli oligarchi russi, con i sauditi o con i cinesi - che ora sono in fase di correzione. Johnson, per seguire la sua nuova linea atlantica, è andato giù duro con i russi sulle sanzioni e ha fermato la penetrazione economico-finanziaria cinese. Tuttavia, pur restringendo il pianeta, la sostanza non cambia: la Global Britain è un progetto finanziario, economico, diplomatico e militare. Un’isola aperta agli scambi con quasi tutto il mondo, ma al tempo stesso armata e pronta a guerreggiare. Lo si vede molto bene nel documento governativo Global Britain in a competitive age, dove si dispone un aumento della spesa militare, si mette il concetto di sicurezza nazionale (difensiva e offensiva) al centro dell’azione governativa e si investe denaro pubblico sulla ricerca scientifica e tecnologica. Il documento punta, inoltre, al rilancio del Commonwealth (2 miliardi e mezzo di persone), al rafforzamento della presenza britannica in area indo-pacifica e fa ampio ricorso al concetto di deterrenza oltre che a quello di difesa. Si vis pacem, para bellum.
Chi aveva visto nella Brexit una mesta via per uscire di scena dal mondo che conta è costretto a ravvedersi: la linea Johnson sulla guerra oggi è diventata paradossalmente il punto di riferimento per i progressisti e i moderati di mezzo mondo. Il Regno Unito ha ripreso saldamente il secondo posto dell’alleanza atlantica, tanto che di recente Johnson si è vantato di essere la punta più avanzata dell’Europa nel sostenere l’Ucraina, si è proposto come ricostruttore di quel paese quando si arriverà alla pace, ha venduto una immensa quantità di armi e ha persino rimesso in discussione l’accordo sulla Brexit per quanto concerne la barriere nord-irlandese. Armi e mercato, ancora una volta. Gli inglesi sono dei negoziatori sfiancanti. Su queste colonne lo abbiamo scritto molte volte, quel che chiamiamo Brexit non sarà altro che una continua negoziazione destinata a durare anni. E oggi possono farlo con il massimo supporto della Casa Bianca.
È tutto oro quel che luccica? Naturalmente no. I problemi di gestione dell’unione sono gravi e prima o poi richiederanno una soluzione istituzionale, con la concessione di maggiore autonomia a Scozia e Irlanda del Nord; l’economia - anche per le scelte relative alla guerra - frena e potrà finire in una scivolosa stagflazione, ricordo dei tremendi anni Settanta che portarono al collasso del keynesismo e al trionfo della Thatcher; la tendenza di Johnson a mettersi nei guai sul piano personale e la debolezza della leadership laburista (il partito non vince una elezione generale dal 2007) possono portare all’instabilità politica, complice la crescita dei partiti indipendentisti; la nuova politica economica portata ad un maggiore interventismo pubblico, soprattutto in ossequio alla transizione ecologica e alle infrastrutture, può condurre ad una crescita della tassazione e alla depressione delle attività economiche medio-piccole. Ad ogni modo, per ora, il Regno Unito è tornato al centro della scena, spinto dai suoi istinti profondi e dalle sue strutture centenarie oltre che dal carisma istrionico del suo Primo Ministro. La Brexit sembrava dover mettere Londra alla berlina, in una posizione marginale, irrilevante per l’Europa continentale e per gli Stati Uniti. La crisi ucraina ci consegna una fotografia molto diverso. E ciò forse perché la vecchia Inghilterra non ha dimenticato ciò che ha determinato ad inventare: mercato, armi e intelligence. E sa ancora usare molto bene questi formidabili strumenti di potere.
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- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.