30 Dicembre
Il talento, la forza, l'umiltà. Pelé
La morte del più grande calciatore di tutti i tempi. Non è il football, non è la tecnica, non sono gli schemi di gioco, ma una cosa che supera tutto questo e lo rende unico: l'umiltà e la gentilezza. Il ricordo di Gigi Riva: "I più grandi furono Pelé e Maradona, noi veniamo dopo". Il flashback sul campione che faceva sognare quattro amici al bar
Pelé è morto, la sua biografia è leggenda. Chi era l'uomo che ha incantato il mondo giocando a calcio? Ieri sera quando è arrivata la notizia ho seguito l'istinto, ho chiamato un grande campione, Gigi Riva. Erano passate le 20:17 quando il telefono ha squillato e lui, il bomber, ha risposto. Abbiamo parlato non di calcio, non di tecnica, non di schemi di gioco, ma di una cosa che supera tutto questo, precede il talento e lo rende unico: l'umiltà e la gentilezza. L'esempio di Pelé è anche quello di Riva. Leggiamo cosa dice Rombo di Tuono su O Rey.
Un campione ineguagliabile ma anche un uomo umile, disponibile, gentile. Gigi Riva ricorda così la figura di Pelé, leggenda del calcio morto a 82 anni. "Cosa si può dire? Un grande dispiacere - dice Riva - prima o poi dobbiamo passare tutti da quella strada, lui era un grande giocatore di calcio". Un mito passato anche per Cagliari, e Rombo di Tuono lo ricorda bene: "Mi ricordo quando venne il Santos a giocare in Sardegna, era il 1972. Lui era disponibile, sapeva quello che doveva essere il suo ruolo. Avevamo lo spogliatoio pieno e lui venne a salutare tutti. Era corretto, gentile".
È questo aspetto caratteriale ad aver colpito di più l'ex bomber del Cagliari e della Nazionale: "Io ammiravo la sua semplicità - ricorda - era il più grande giocatore del mondo in quel periodo, era disponibile come se fosse uno qualsiasi, non si è mai atteggiato. Bisogna nascere così. Di sicuro avrei voluto avere la sua umiltà".
Gentile con tutti, i colleghi calciatori e i tifosi: "Era uno che se gli dicevi 'fai un autografo' o che c'è un bimbo che lo voleva salutare lui andava". E...
Pelé è morto, la sua biografia è leggenda. Chi era l'uomo che ha incantato il mondo giocando a calcio? Ieri sera quando è arrivata la notizia ho seguito l'istinto, ho chiamato un grande campione, Gigi Riva. Erano passate le 20:17 quando il telefono ha squillato e lui, il bomber, ha risposto. Abbiamo parlato non di calcio, non di tecnica, non di schemi di gioco, ma di una cosa che supera tutto questo, precede il talento e lo rende unico: l'umiltà e la gentilezza. L'esempio di Pelé è anche quello di Riva. Leggiamo cosa dice Rombo di Tuono su O Rey.
Un campione ineguagliabile ma anche un uomo umile, disponibile, gentile. Gigi Riva ricorda così la figura di Pelé, leggenda del calcio morto a 82 anni. "Cosa si può dire? Un grande dispiacere - dice Riva - prima o poi dobbiamo passare tutti da quella strada, lui era un grande giocatore di calcio". Un mito passato anche per Cagliari, e Rombo di Tuono lo ricorda bene: "Mi ricordo quando venne il Santos a giocare in Sardegna, era il 1972. Lui era disponibile, sapeva quello che doveva essere il suo ruolo. Avevamo lo spogliatoio pieno e lui venne a salutare tutti. Era corretto, gentile".
È questo aspetto caratteriale ad aver colpito di più l'ex bomber del Cagliari e della Nazionale: "Io ammiravo la sua semplicità - ricorda - era il più grande giocatore del mondo in quel periodo, era disponibile come se fosse uno qualsiasi, non si è mai atteggiato. Bisogna nascere così. Di sicuro avrei voluto avere la sua umiltà".
Gentile con tutti, i colleghi calciatori e i tifosi: "Era uno che se gli dicevi 'fai un autografo' o che c'è un bimbo che lo voleva salutare lui andava". E come giocatore? Lì c'è poco da dire, il più grande o comunque tra i grandi del football: "Non c'è una classifica di questi fenomeni che vengono dati al calcio, Cruijff, Pelé, tutta gente che è stata benedetta dal calcio". Oltre, ovviamente, a Maradona: "Anche con Diego ho avuto un grande rapporto. Meno male che lui e Pelé non sono stati nella stessa squadra, altrimenti non ci sarebbe stata mai partita. I campioni sono due, Pelé e Maradona, i grandi sono loro, noi veniamo dopo, tutti dietro". E Gigi Riva? "Io no - ride - semmai lo devono dire gli altri".
***
Questo è Pelé nella memoria di Gigi Riva. Poi c'è quello che segnava i gol e ti faceva sognare, il ricordo personale di ognuno di noi, chi l'ha vissuto e chi lo ripescato nelle immagini della storia. Lascio a Marco Patricelli il racconto del più grande in flashback.
di Marco Patricelli
Eravamo quattro amici che non avevano l’età per stare al bar e pensare di cambiare il mondo. Il nostro mondo, il I ottobre 1977, era per un’ora e mezza dentro la tv, ancora in bianco e nero e con le manopole VHF-UHF, sintonizzata su Tele Capodistria. L’emittente italofona jugoslava, infatti, trasmetteva dal Giant Stadium di New York la partita di calcio Cosmos-Santos. Era la partita di addio di Pelé. Pochi, tra gli amici di allora che si accontentavano di giocare in strada con due mattoni come porte e le scarpe e i vestiti di tutti i giorni, conoscevano il suo nome completo, Edson Arantes do Nascimento, o il suo titolo strameritato, O Rey.
Tutti sapevamo che era il più grande, per la sua storia mirabolante e i suoi record inarrivati. Davanti allo schermo guardavamo una partita che non era una partita, ma una passerella all’americana, sicuramente coloratissima ma non per noi che potevamo solo immaginarlo. Anzi, una vera e propria americanata, un po’ come il basket declinato dagli Harlem Globetrotter più ispirati dai giochi di prestigio che dalla pallacanestro “vera”. Da un lato il Santos, il calcio brasiliano tutto estro e invenzione, dall’altro quella specie di mostro di Frankenstein tirato su a iniezioni di dollari per trapiantare il fenomeno europeo nel corpo refrattario degli Stati Uniti. Pelé aveva il bianconero tatuato sulla pelle e il biancoverde nel portafogli. Si divise in due: un tempo nella squadra cui aveva dato le sue stagioni più sfolgoranti, praticamente tutte, l’altro in quella che a fine carriera l’aveva imbottito di danaro per far vedere come un poeta sapeva mettere in versi l’ispirazione e la tecnica. Segnò nella prima frazione a stelle e strisce spedendo in rete un calcio di punizione sciabolato a fil di palo di fronte a una barriera approssimativa e a un portiere intorpidito.
Eravamo quattro amici che si entusiasmarono per l’ennesima prodezza di O Rey, senza stare troppo a guardare per il sottile. Ce lo ricordavamo tutti, ancora bambini, quando lo vedemmo arrampicarsi in cielo, piombando a terra Tarcisio Burgnich, e a far fuori l’Italia nella finale del Mondiale messicano. Ma l’eco del 4-3 nella semifinale con la Germania era più forte di quella sconfitta dolorosa, comunque preventivabile se non scontata. Pelé, sempre lui, quando mise nel sacco Albertosi e l’Italia, non rimediò neanche una parolaccia che noi bambini neppure potevamo pensare, ma ascoltare sì: troppo grande, troppo immenso, per avercela con un calciatore di quella grana sopraffina, imparagonabile a chiunque prima e dopo, nonostante tutti abbiano provato a farlo. Chi ha visto giocare Pelé sorride delle analogie, delle comparazioni, delle valutazioni a distanza. Non è solo una questione di numeri, schiaccianti e indiscutibili, ma proprio di caratura. E anche di carattere, di modo di porsi, di capacità di legare il prima, il durante e il dopo. Nessuno ricorda di lui le intemperanze, la ruvidità, il protagonismo, gli eccessi, perché al contrario gli era naturale essere normale nelle cose più straordinarie, di prendere il calcio per un gioco, di sorridere e non fare il divo pur potendoselo permettere, di non prendersela con gli arbitri o con avversari che entravano martello sulle sue caviglie.
Lo chiamavano anche “la perla nera”. Oggi sarebbe improponibile, perché gli insurrezionalisti in servizio permanente effettivo lancerebbero anatemi, ma a lui andava benissimo così, perché poi era la verità. Giovanni Trapattoni ne ricavò l’effimero contraltare di “Perla bianca” perché lo marcò una volta senza scorrettezze, ma da persona onesta quale si è sempre dimostrato confessò che Pelé l’avevano mandato in campo una mezz’oretta solo per motivi d’incasso, era reduce da un infortunio e non gli sembrava il caso di sottoporlo a ruvidezze. Finita la carriera stratosferica di calciatore Pelé si tufferà nel business su se stesso, arriverà persino a fare il ministro in Brasile, dribblando elegantemente anche le accuse di un mancato impegno civile. Era un calciatore e un uomo di sport, non un politico, non chiedeva altro e non voleva altro.
Eravamo quattro amici davanti alla tv ad aspettare nel secondo tempo che Pelé firmasse la doppietta con la maglia del Santos, e per noi era scontato, in quella gara un po’ finta un po’ costruita a tavolino per fare spettacolo. La casacca del Cosmos l’aveva consegnata al padre Dondinho durante la cerimonia dell’intervallo, così simile al Superbowl e così estranea a noi europei. Ma sull’erba sintetica, anch’essa a noi così estranea, il pallone accarezzato ogni volta da O Rey non finì più in rete. Poi fu solo celebrazione per il più grande, il campione, il fuoriclasse fuori dagli schemi. Allora come oggi.
Eravamo quattro amici anche agli inizi dei mitizzati Anni Ottanta, che non furono così formidabili come qualcuno amava credere e far credere. Eravamo al cinema, anche se avevamo l’età per il bar, ma neanche stavolta avevamo l’intenzione di cambiare il mondo. Magari conoscerlo un po’ meglio e persino godercelo un po’, questo sì, nell’età esaltante dell’adolescenza. John Houston nel 1981 aveva girato il film “Fuga per la vittoria”, ambientato nella seconda mondiale, e in un’immaginaria multinazionale di prigionieri di guerra impersonati da vecchie glorie del calcio aveva piazzato in porta un ridicolo Sylvester Stallone. In attacco però c’era lui, O Rey. Sempre sul trono della palla a scacchi. La sua rovesciata che, si dice, azzeccò con mirabile gesto atletico al primo tentativo davanti alla cinepresa, sul grande schermo e a colori, era destinata a diventare un’icona. Come il colpo di testa tra le nuvole di Mexico ’70.
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di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.