26 Marzo
Due anime e quattro punti. Un viaggio a bordo del Pnrr
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è composto da due parti: le riforme e l'esecuzione concreta dei progetti grazie all'utilizzo dei finanziamenti. La prima parte era facile, la seconda è complessa. Bisogna colmare le lacune d'organico nei Comuni, l'inflazione e la crisi energetica rendono necessaria una revisione con la Commissione Ue, la nostra amministrazione ha problemi antichi mai risolti. Un'impresa che ha bisogno del contributo di tutti (e di un po' di ottimismo)
di Fabio Cintioli
Il richiamo alla “stanga” di degasperiana memoria del Capo dello Stato, che ha seguito il report della Corte dei Conti sui ritardi del PNRR, non fa una grinza: attuare il Piano è insieme priorità di politica economica e sfida storica per la Repubblica. La chiamata dell’intero Stato-comunità in questo impegno ha allora un valore quasi “costituente”. Portare ad esecuzione il PNRR (potremmo evitare di dire … “mettere a terra”?, non mi sembra adeguato alla nobiltà del compito) è obiettivo che coinvolge Governo centrale, Regioni ed autonomie, Autorità indipendenti e Giudici, maggioranza e opposizione. È il caso allora di sforzarci di capire quali siano le cause dei ritardi e i rischi prossimi, perché la questione è lungi dall’esser risolta e continueremo a parlarne a lungo.
Articoliamo il ragionamento in quattro punti:
1. la diversità dei primi obiettivi del Piano rispetto a quelli successivi, che vengono a regime;
2. alcuni problemi che nascono dalla prima impostazione organizzativa risalente alla scorsa legislatura;
3. le sopravvenienze;
4. la crisi congenita della nostra amministrazione.
Partiamo dal primo punto.
Il PNRR è composto da due anime: l’introduzione di riforme (della giustizia, dell’amministrazione, degli appalti pubblici etc.) e l’esecuzione concreta di progetti che implicano altrettanti investimenti (opere pubbliche, infrastrutture, nuovi servizi ai cittadini, conversione digitale e green, etc.). È agevole intuire che approvare in Parlamento una riforma significa… solo… fare una legge. Riformare, certo, non è operazione così semplice. Però l’esperienza italiana dimostra che, in fondo, persuadere i parlamentari ad approvar leggi di riforma non è stata operazione così improba, magari è servita la questione di fiducia per superare i dubbi dei più refrattari, ma alla fine ci si è riusciti. In Francia, ad esempio, sembra decisamente più complicato (si veda al capitolo età pensionabile).
La qualità delle riforme varate alla fine della scorsa...
di Fabio Cintioli
Il richiamo alla “stanga” di degasperiana memoria del Capo dello Stato, che ha seguito il report della Corte dei Conti sui ritardi del PNRR, non fa una grinza: attuare il Piano è insieme priorità di politica economica e sfida storica per la Repubblica. La chiamata dell’intero Stato-comunità in questo impegno ha allora un valore quasi “costituente”. Portare ad esecuzione il PNRR (potremmo evitare di dire … “mettere a terra”?, non mi sembra adeguato alla nobiltà del compito) è obiettivo che coinvolge Governo centrale, Regioni ed autonomie, Autorità indipendenti e Giudici, maggioranza e opposizione. È il caso allora di sforzarci di capire quali siano le cause dei ritardi e i rischi prossimi, perché la questione è lungi dall’esser risolta e continueremo a parlarne a lungo.
Articoliamo il ragionamento in quattro punti:
1. la diversità dei primi obiettivi del Piano rispetto a quelli successivi, che vengono a regime;
2. alcuni problemi che nascono dalla prima impostazione organizzativa risalente alla scorsa legislatura;
3. le sopravvenienze;
4. la crisi congenita della nostra amministrazione.
Partiamo dal primo punto.
Il PNRR è composto da due anime: l’introduzione di riforme (della giustizia, dell’amministrazione, degli appalti pubblici etc.) e l’esecuzione concreta di progetti che implicano altrettanti investimenti (opere pubbliche, infrastrutture, nuovi servizi ai cittadini, conversione digitale e green, etc.). È agevole intuire che approvare in Parlamento una riforma significa… solo… fare una legge. Riformare, certo, non è operazione così semplice. Però l’esperienza italiana dimostra che, in fondo, persuadere i parlamentari ad approvar leggi di riforma non è stata operazione così improba, magari è servita la questione di fiducia per superare i dubbi dei più refrattari, ma alla fine ci si è riusciti. In Francia, ad esempio, sembra decisamente più complicato (si veda al capitolo età pensionabile).
La qualità delle riforme varate alla fine della scorsa legislatura ha ricevuto un vaglio positivo dalla Commissione ed è evidente che la loro efficacia sostanziale potrà esser giudicata solo nel prossimo futuro.
Bene, adempiuto l’obbligo riformatore, proprio adesso (direi dal 2023) viene il difficile: avviare e attuare gli interventi e utilizzare tempestivamente le risorse. Oltretutto, i primissimi progetti, benché attratti nominalmente nel PNRR, erano già pronti, ma ora vengono in gioco quelli davvero nuovi. C’è da sperare che proprio le riforme e lo spirito dello Stato-comunità possano aiutare, ma anche il più ottimista non può fare a meno di notare che i nodi critici che affliggono la nostra burocrazia (e di cui dirò) non sembrano affatto svaniti e non si percepisce ancora una così manifesta unità d’intenti nel Paese a sostegno dell’azione italiana di esecuzione del Piano.
Veniamo così al secondo punto.
Avendo l’Italia (unico tra gli Stati membri dell’UE) chiesto per intero le risorse finanziarie del Dispositivo europeo e quindi avendo circa 200 miliardi di euro da spendere giusto in qualche anno, l’entità dello sforzo amministrativo è così voluminoso che è sostanzialmente impossibile portarlo a compimento con le sole risorse amministrative. Per attuare il PNRR era ed è indispensabile coinvolgere tutte le capacità del Paese e, specie a livello locale, utilizzare professionalità ed esperienze di privati e imprese anche “dentro” l’amministrazione, con formule nuove e col coraggio necessario. Alleggerire le innumerevoli norme che, coltivando un sospetto dietro l’altro, complicano sino a paralizzare la ricerca di risorse esterne da parte dei Comuni, avrebbe forse aiutato. Certo, mi direte che nel frattempo l’UE sfodera nuove norme sulla “prevenzione della corruzione”, ma quello è un altro capitolo.
Resta il fatto che le riforme dell’amministrazione varate nel 2021 hanno puntato su un differente obiettivo: colmare le lacune d’organico (sovente reali) di Comuni e Regioni con nuovi concorsi per assunzioni temporanee (che hanno sempre il sapore di un incerto precariato, votato, prima o poi, all’assunzione finale). Ma i concorsi, a quanto pare, sono andati perlopiù deserti e il problema è rimasto irrisolto. Poi, va detto: serve davvero per attuare il PNRR gonfiare di nuovi dipendenti i nostri enti locali e aumentare la spesa corrente se poi i mali della nostra amministrazione non sono curati e se l’inefficienza ne resta purtroppo un tratto costante? Così oggi il territorio – che è chiamato ad un ruolo tutt’altro che irrilevante nel PNRR – si vede in difficoltà. Spetterà al Governo esercitare i poteri sostitutivi, che pure ci sono, ma l’impegno rischia di svelarsi troppo vasto per il Governo centrale e per le sue forze (leggi anche: effetti della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 sull’indebolimento delle strutture centrali).
Il terzo punto è forse il più semplice da narrare.
L’abbondanza monetaria da Covid, la crisi energetica e la guerra in Ucraina hanno provocato una spirale inflattiva che ha spesso sconvolto la pianificazione economica dei progetti. Già solo per questo in molte parti il Piano va ripensato, ossia prorogato (perché occorre più tempo), redistribuito (perché diminuendo il valore reale delle risorse non potranno che ridursi i Target), e se del caso variato negli obiettivi (perché potrebbero esserci nuove emergenze da fronteggiare). La recente Comunicazione della Commissione al Parlamento UE e al Consiglio del 21 febbraio scorso (Recovery and Resilience Facility: Two years on A unique instrument at the heart of the EU’s green and digital transformation) si fa carico di stilare un percorso per negoziare le necessarie modifiche del Piano. Questo fa ben sperare, anche se l’approccio, quasi matematico (con percentuali e coefficienti volti a calcolare il “modificabile”) lascia intendere che il vaglio finirà per essere, anche lì, più burocratico che politico. Ma qui, nessuno potrà negarlo, è proprio di politica che si tratta.
Il quarto punto, quello più vecchio, quello di sempre.
La nostra amministrazione incontra enormi difficoltà nel progettare ed eseguire investimenti. Fiumi di parole già spese sull’argomento. Non si può tacciare di pessimismo chi dicesse che, avendo la nostra burocrazia sistematicamente accumulato ritardi nell’arco di decenni nell’utilizzo dei fondi UE sino a subirne la revoca, è impensabile che, di fronte ad un impegno così enorme, si riesca a fare tutto con tempestività.
Voglio solo ricordare i tre problemi di fondo che indeboliscono l’amministrazione italiana: l’attacco alla discrezionalità amministrativa, imprigionata in regole anticorruzione, controlli e modelli culturali che hanno generato l’ormai da tutti denominata “paura della firma”; l’eccesso di regole e codificazioni che hanno fatto dell’amministrare un fatto solo giuridico anziché politico; la regola della separazione tra i poteri di mero indirizzo, che spettano alla politica, e la concreta gestione, che spetta a dirigenti e funzionari, una regola che ci portiamo dal tempo delle leggi dei primi anni ’90, poi confermate dalle riforme Bassanini, e sulla quale è ormai urgente intervenire con una nuova legislazione di sistema.
Che dire, un po' di ottimismo non guasterebbe e forse il Governo potrebbe ancora battere un colpo affinando i modelli organizzativi stilati alla fine della scorsa legislatura (e su questo va ricordato l’assestamento proposto da ultimo dal ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto), ma è giusto esser consapevoli che questi problemi sono radicati nella nostra cultura e nel nostro assetto istituzionale e non sarà possibile risolverli con un tratto di penna. Il compito era difficile per il Governo Draghi e rimane difficile – forse di più – per il Governo Meloni. Ciò rende preziosa la chiamata alla coesione del Presidente della Repubblica: lo Stato-comunità batta un colpo, anche in vista degli adeguamenti del PNRR che dovremo negoziare in sede europea.
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.