26 Novembre
Guerra e pace? Il potere raccontato da 'The Diplomat'
Il conflitto in Ucraina è una matrioska, dentro c'è il disordine che non trova ancora un nuovo ordine, è l'essenza della crisi. La via maestra della storia, quella dei libri, e una serie tv fenomenale che illumina la realtà dello scontro tra potenze, il gioco dei talenti e le leggi della geopolitica
Come funziona la politica? Quali sono i segreti delle relazioni internazionali? Che cosa è il potere? Come iniziano e finiscono le guerre? Sono domande pressanti, in Europa il conflitto in Ucraina dopo mille giorni di battaglia è entrato in una nuova fase, Joe Biden ha dato il via libera all’uso dei missili a lungo raggio americani contro la Russia, Vladimir Putin ha firmato l’altro ieri un provvedimento che cambia la dottrina della bomba atomica di Mosca. Siamo dentro una guerra che può diventare un conflitto nucleare? Nessuno può rispondere con certezza, ma il rischio non è mai stato così alto e le buone ragioni per evitarlo potete trovarle nelle pagine di «Nuclear War: A Scenario», un libro di Annie Jacobsen che esplora cosa accade quando si apre la guerra senza limiti. Tutto inizia e finisce con la politica, di cui la guerra è una continuazione con altri mezzi (Clausewitz).
La politica, le sue virtù, i suoi pregi, i suoi errori e orrori, è una trama di detto e non detto, di geografia e economia, storia e filosofia, psicologia e tecnologia, massa e potere. Possiamo leggere Niccolò Machiavelli e Antonio Gramsci per imparare qualcosa sull’antico e nuovo Principe; frequentare le pagine di William Shakespeare e perderci, estasiati e guardinghi ,nell’ossessione letale di Macbeth; scoprire vita e morte nella trincea del Novecento con Winston Churchill e Louis Ferdinand Celine; sentire l’ombra gelida della Guerra Fredda nelle memorie di Henry Kissinger e le storie di spie di John Le Carrè; esplorare la teoria dei giochi di John von Neumann per scoprire che in un conflitto nucleare non vince nessuno (e se non fosse così?); prendere la scacchiera e viaggiare nel tempo fino al 1972, sbarcare in Islanda, a Reykjavík, mentre il maestro Boris Spasskij incontra il genio di Bobby Fischer nella «sfida...
Come funziona la politica? Quali sono i segreti delle relazioni internazionali? Che cosa è il potere? Come iniziano e finiscono le guerre? Sono domande pressanti, in Europa il conflitto in Ucraina dopo mille giorni di battaglia è entrato in una nuova fase, Joe Biden ha dato il via libera all’uso dei missili a lungo raggio americani contro la Russia, Vladimir Putin ha firmato l’altro ieri un provvedimento che cambia la dottrina della bomba atomica di Mosca. Siamo dentro una guerra che può diventare un conflitto nucleare? Nessuno può rispondere con certezza, ma il rischio non è mai stato così alto e le buone ragioni per evitarlo potete trovarle nelle pagine di «Nuclear War: A Scenario», un libro di Annie Jacobsen che esplora cosa accade quando si apre la guerra senza limiti. Tutto inizia e finisce con la politica, di cui la guerra è una continuazione con altri mezzi (Clausewitz).
La politica, le sue virtù, i suoi pregi, i suoi errori e orrori, è una trama di detto e non detto, di geografia e economia, storia e filosofia, psicologia e tecnologia, massa e potere. Possiamo leggere Niccolò Machiavelli e Antonio Gramsci per imparare qualcosa sull’antico e nuovo Principe; frequentare le pagine di William Shakespeare e perderci, estasiati e guardinghi ,nell’ossessione letale di Macbeth; scoprire vita e morte nella trincea del Novecento con Winston Churchill e Louis Ferdinand Celine; sentire l’ombra gelida della Guerra Fredda nelle memorie di Henry Kissinger e le storie di spie di John Le Carrè; esplorare la teoria dei giochi di John von Neumann per scoprire che in un conflitto nucleare non vince nessuno (e se non fosse così?); prendere la scacchiera e viaggiare nel tempo fino al 1972, sbarcare in Islanda, a Reykjavík, mentre il maestro Boris Spasskij incontra il genio di Bobby Fischer nella «sfida del secolo», ecco Kissinger che chiama Fischer che non voleva più giocare la partita: «Questo è il peggior giocatore di scacchi del mondo, che parla con il più grande giocatore di scacchi del mondo». Bobby, l’America vuole che tu vinca contro la Russia.
C’è altro? Se volete gustare il dramma e la commedia, cogliere dall’albero da frutto della fiction, il tragico e il comico, stupirvi nello scoprire come funziona lo scontro tra grandi potenze nei giorni nostri, allora posate per qualche giorno i libri, accendete lo schermo, andate su Netflix, premete il tasto play e fate un tuffo nel mondo di The Diplomat. Non smetterete più di abitarci.
The Diplomat racconta la storia di una coppia d’assi che naviga tra la crisi matrimoniale e la crisi geopolitica, Kate e Hal Wyler sono marito e moglie, amanti sull’orlo dell’essere e non essere, quasi ex, separati e inscindibili, coniugi instabili, ambasciatori in zona pericolo, aggrappati con gli artigli a un bruciante amore.
Produzione americana, scenario inglese, metropoli e campagna, cottage e grattacielo, palazzo e bunker, birra al pub e snack di missili, The Diplomat è il gioiello delle serie Netflix. La produttrice si chiama Debora Cahn, qui è nel suo stato di grazia. I dialoghi sono piacere epidermico, Kate e Hal (interpretati da Keri Russell e Rufus Sewell) sono un classico da Wimbledon, scambio da fondo campo con discesa a rete e «demi-volée» di controbalzo, gioco, partita, incontro. La scrittura controllata e felice al servizio della grande sorella, la televisione. Siamo alla seconda stagione dell’incontro e sei puntate sono così poche che resterete in tribuna a sorseggiare il the in attesa che ne arrivi una terza.
Lei, Kate Wyler, ha un istinto d’aquila per l’arte del negoziato, gli abiti in ricercato disordine, il non-fashion che affascina con un colpo d’iride che schiude i petali di piante carnivore, il sorriso che anticipa il game over a flipper. Ciak, si gira, mentre ti innamori della sua ciocca di capelli che le sfiora il collo, rischi di dimenticare la parte importante della faccenda, quella creatura è l’America, il guardiano della libertà che mostra la bocca dei cannoni sullo yacht da corsa. Kate scompone e ricompone scenari, parla con il nemico, stringe alleanze, le disfa come un letto d’insonnia, coltiva fonti, sempre dentro e sul filo di lama della legge. Sbagli un aggettivo, c’è chi muore. Azzecchi una stretta di mano, hai salvato un esercito.
Lui, Hal Wyler, è un uomo di mondo che sa farsi e disfarsi in doppio e triplo, non è James Bond, non ne conosce la letteraria rudezza ma, come la creatura di Ian Fleming, non gli sfugge di avere qualche carta da lasciarsi scappare sul tavolo da poker della seduzione. Lo osservi nel «riposo» da ex ambasciatore (se quello che fai è quello che sei, non sei mai un ex di qualcosa), mentre legge il giornale a colazione, in una residenza della campagna inglese, cogli il ronzio della sua mente avventurosa e il gioco di coppia decolla. Hal punta al casinò della politica (la vita), mischia il mazzo, distribuisce assi e fregature, bluffa e si dice servito. Dove c’è un sovrano, lui trama, dove c’è un regno, lui ne fa due, dove abita il potere, lui s’accampa.
La seconda stagione di The Diplomat è un fuoco che divampa, la trama alimenta il desiderio, strappa dalle labbra preghiere: o signore delle televisioni, Giove delle Antenne, sacro protettore dello streaming, fa che non finisca mai. Fiction? Sì, ma con la storia vera in emersione rapida della vendita dei sottomarini della Francia all’Australia, saltata poi in favore degli Stati Uniti, che provocò una crisi tra Emmanuel Macron e Joe Biden. Il vero, la storia, la cronaca, sono «l’altra macchina» del racconto, lo splendore del «funziona così», si chiama esperienza, quella di Eli Attie, ex speechwriter di Al Gore nella campagna presidenziale del 2000. Fu Attie a scrivere il discorso di Gore che concedeva la vittoria George W. Bush per una manciata di voti. Ventiquattro anni fa, una vita, oggi Attie è la manina d’oro del 'political drama' americano.
La giostra di personaggi è un orologio d’oro e smalto che scandisce il tempo sulla torre merlata, una pagina in fieri che fa spuntare la sagoma delle statue del Ponte Carlo a Praga, una sera buia, raggelante, con lo scambio di prigionieri, spie che spiano spie, un vortice di situazioni che si ribaltano. Siamo prigionieri di un meccanismo del racconto figlio delle officine della Corona del Teatro di Shakespeare, la «cosa» magica e precisa del linguaggio che prevede e provvede a tempi, battute, parole, le ruote dentate della sceneggiatura che s’incastrano, stritolano, gemendo, ridendo, vivendo e... ops, morendo. Il segreto è sexy, la geopolitica è un’isola del tesoro, The Diplomat è una lezione di racconto televisivo.
Se il mondo è in pericolo, bisogna salvare il mondo. Buoni e cattivi si mescolano, ma il Bene e il Male esistono, sono in eterna lotta, nella penombra. Qui compare un’altra figura che spicca via come una testa mozzata dalla ghigliottina, è la vicepresidente degli Stati Uniti, Grace Penn, interpretata da Allison Janney che piazza sullo scaffale il suo talento di attrice cresciuta con il latte di Broadway e la carne di «West Wing», una meraviglia.
Allison sfodera tutta la sua arte - e il carattere ad alto voltaggio di Grace Penn - che si svela potente, trascinante, in un faccia a faccia con Kate, dove l’ambasciatrice americana a Londra viene fatta a pezzi per la sua inadeguatezza nel presentarsi al blocco di partenza (forse) della politica (Hal, il marito, la mette in corsa per la vicepresidenza, proprio quello, il posto di Grace Penn). Eccola, Allison-Grace prendere la spada della retorica e impietosamente smontare la bambolina: l’acconciatura è un disastro; gli orecchini, neanche a parlarne; il reggiseno, santo cielo; Kate, nessuno si ricorderà un solo tuo discorso, ma il vestito, i capelli, il trucco, gli occhi e le labbra... sì, quelli possono essere indimenticabili.
Chi è Grace Penn? La donna più potente del mondo, il vero Commander in Chief della Casa Bianca, la dama che usa ogni mezzo per inseguire il suo obiettivo, che è sempre il bene, anche nel male inesplorato. Grace è il manuale segreto e aperto delle tattiche di combattimento politico non convenzionali, tutto è consentito in nome dell’equilibrio fragile della pace. Eccola, la scena da sballo geopolitico: due donne nel momento della verità, una mappa del mondo, una base di sommergili nucleari in Scozia da proteggere (dal nemico di Mosca, dal sogno dell’indipendenza dei discendenti di William Wallace, «Bravehart», dagli inglesi unfit per difendersi da soli), si spalanca davanti ai nostri occhi il passaggio dell’Atlantico da sorvegliare, la flotta silenziosa della Russia pronta a spegnere la torcia della Statua della Libertà. Che folgorazione, vicepresidente Grace. Eccola qui, la guerra muta che non vedi, la storia sommersa, la lotta per il potere che viaggia nello scafo dei sommergibili, un’orchestra di siluri e missili, sonar e radar, incidenti e manine invisibili.
Grace Penn sa che ogni mezzo vale la missione, anche affondare una nave dei nostri (gli alleati inglesi), anche per eccesso, anche se qualcosa è andato storto nel lancio dei missili e nell’impatto sullo scafo. «Anche» è il buon motivo per confondere le acque, per tenere il nemico al largo (e la Scozia nel Regno, Unito) e fare cose che si pagano sempre con le vite degli altri. Grace Penn lo sa. E ora, in un frammento epico, anche Kate lo sa e riconosce il talento diabolico della vicepresidente. «Lo abbiamo fatto noi», la realtà che fa crollare tutto lo scenario di Kate. «Noi», non i russi. «Noi», non gli iraniani. «Noi», non il primo ministro inglese Nicol Trowbridge (altro attore magnifico, Rory Kinnear). «Noi», Kate. E Grace, il nostro doppio.
Mentre sei disperso nelle terre incognite del grande gioco, tra Ken Follett («la guerra permette alla gente di essere veramente se stessa») e Tennessee Williams («ma che cosa vuole una gatta in bilico su un tetto che scotta?»), la storia scappa verso il non-epilogo, una fine-senza-fine che culmina con il botto, l’esplosione di una supernova, un colpaccio di scena che è una pugnalata alle spalle dello spettatore, giusto per lasciarti così, senza parole, con il desiderio interrotto su sofà di vedere come prosegue l’intrigo. Raccontano che la produttrice di The Diplomat, Debora Cahn (c’è la sua penna anche nelle ultime due stagioni di «Homeland», altro pezzo di bravura) abbia coperto il finale-non-finale fino al ciak, senza farlo leggere a nessuno, presentando un copione con le righe in incognito e poi... voilà, dal cilindro è uscito un coniglio nero, l’Oscar della perfidia. Debora, come hai potuto?
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operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.