8 Febbraio

La crisi dell'Occidente? È un conflitto filosofico

Lo scontro eterno tra Kultur e Zivilisation ora è negli Stati Uniti. Daniela Coli fa un viaggio tra filosofia e psicologia, la contemporaneità dell'America e dell'Europa è figlia di una battaglia che viene da lontano ed è ancora in corso. E l'Italia qui ha qualcosa da dire.

di Daniela Coli

La crisi culturale e politica dell'Occidente americano è soltanto il risultato dell'idea di progresso, della fine del sacro. L'Europa sta sul serio, come l'America, precipitando in un universo orwelliano dominato dalla tecnologia? 

In realtà, la credenza che le conquiste scientifiche e tecniche avrebbero comportato anche l'elevazione morale e politica degli esseri umani è un mito settecentesco, ripreso nell'Ottocento dall'idealismo hegeliano e dal positivismo di Comte. Un mito continuamente messo in discussione. Già Flaubert nel 1856, in Madame Bovary, col farmacista Homais caricaturizza la mediocrità positivista e la fiducia illimitata nel progresso. Il farmacista di Madame Bovary diventerà il simbolo della pochezza intellettuale, una cultura da mediconzoli di provincia, come ricorderà Gennaro Sasso in un libro importante del 1984, intitolato Tramonto di un mito. L'idea di "progresso" tra Ottocento e Novecento. Una grande scossa la darà Nietzsche, che sbeffeggerà Kant e Hegel, ricordando che il pastore protestante è il nonno della filosofia tedesca, e basta l'espressione "seminario di Tübingen" per capire che la filosofia tedesca è solo una teologia scaltrita. La filosofia di Hegel è il più grande tentativo di secolarizzazione e rilancio del cristianesimo, di attribuire ai filosofi il compito di indicare i valori, come un tempo i pastori facevano dal pulpito. Invece per Nietzsche, che aveva compreso come Gutenberg aveva cambiato il mondo, sarà la stampa a fornire all'uomo medio la sua razione di valori quotidiani. D'altronde, anche per Hegel se Gutenberg non avesse stampato la Bibbia in tedesco, non ci sarebbe mai stato Lutero. Il dramma per Nietzsche è che non si trova più un uomo di cultura in grado di fare una conversazione decente su Beethoven e Shakespeare: il critico prende il sopravvento nel teatro e nei concerti, e la stampa nella società, mentre filosofi si rifugiano nell'uomo astratto, nell'educazione astratta, nel...


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