9 Aprile
Missione (im)possibile. Cambiare le teste nell'università
I filosofi non scrivevano articoli o libri standard da spedire in pdf al Miur, ma grandi opere, tra un viaggio e l'altro, in mezzo alla vita concreta. Un'esplorazione di Daniela Coli nell'accademia fuori dalla realtà.
di Daniela Coli
Perché accademici, intellettuali, giornalisti à la page non riescono a capire come sia potuto accadere che gli elettori italiani abbiano votato per partiti "incompetenti" come il M5S e la Lega di Salvini? E perché il Pd, l'evoluzione del Pci e della sinistra, che aveva addirittura l'egemonia culturale, il soft power, ha perso?
L'università è la fonte principale della conoscenza, indispensabile per la ricchezza delle nazioni. Francesco Grillo sul Corriere ha osservato che anche Oxford e le grandi università americane, alle quali certo non somigliano le nostre università, sono in crisi, perché non riescono a comprendere come gli Stati Uniti stiano tentando di dissolvere un ordine globale da loro stessi inventato. Ancora più surreale la situazione della nostra università, spezzata dal Miur in una federazione di piccoli poteri con la creazione di ben 367 settori scientifici disciplinari, con procedure burocratiche gestite da un'agenzia come l'Anvur per la valutazione e la selezione di ricercatori e docenti.
L'università è la fonte principale della conoscenza, indispensabile per la ricchezza delle nazioni.
Nonostante la grande produzione di articoli e libri, negli studi politici italiani sono assenti da decenni riflessioni e sintesi teoriche sulla politica, il potere, la società. Lo sosteneva nel 1989 Leonardo Morlino in un rapporto scritto per la Fondazione Agnelli, intitolato Teoria e macropolitica, dedicato allo stato della ricerca politologica in Italia. Se diamo una sguardo alla Filosofia politica, ci rendiamo conto che gran parte dei temi sono importati dal Regno Unito e soprattutto dagli Stati Uniti: da una parte lo studio delle teorie liberali e democratiche, fino all'utilitarismo e al repubblicanesimo, dall'altro la ricerca sulle diverse posizioni multiculturali, le riflessioni su potere e biopolitica, gli studi di genere e le analisi sul pensiero postcoloniale. Paradossalmente, anche negli altri settori, mentre abbondano ricerche sulla democrazia, sui partiti, sul populismo, mancano categorie...
di Daniela Coli
Perché accademici, intellettuali, giornalisti à la page non riescono a capire come sia potuto accadere che gli elettori italiani abbiano votato per partiti "incompetenti" come il M5S e la Lega di Salvini? E perché il Pd, l'evoluzione del Pci e della sinistra, che aveva addirittura l'egemonia culturale, il soft power, ha perso?
L'università è la fonte principale della conoscenza, indispensabile per la ricchezza delle nazioni. Francesco Grillo sul Corriere ha osservato che anche Oxford e le grandi università americane, alle quali certo non somigliano le nostre università, sono in crisi, perché non riescono a comprendere come gli Stati Uniti stiano tentando di dissolvere un ordine globale da loro stessi inventato. Ancora più surreale la situazione della nostra università, spezzata dal Miur in una federazione di piccoli poteri con la creazione di ben 367 settori scientifici disciplinari, con procedure burocratiche gestite da un'agenzia come l'Anvur per la valutazione e la selezione di ricercatori e docenti.
L'università è la fonte principale della conoscenza, indispensabile per la ricchezza delle nazioni.
Nonostante la grande produzione di articoli e libri, negli studi politici italiani sono assenti da decenni riflessioni e sintesi teoriche sulla politica, il potere, la società. Lo sosteneva nel 1989 Leonardo Morlino in un rapporto scritto per la Fondazione Agnelli, intitolato Teoria e macropolitica, dedicato allo stato della ricerca politologica in Italia. Se diamo una sguardo alla Filosofia politica, ci rendiamo conto che gran parte dei temi sono importati dal Regno Unito e soprattutto dagli Stati Uniti: da una parte lo studio delle teorie liberali e democratiche, fino all'utilitarismo e al repubblicanesimo, dall'altro la ricerca sulle diverse posizioni multiculturali, le riflessioni su potere e biopolitica, gli studi di genere e le analisi sul pensiero postcoloniale. Paradossalmente, anche negli altri settori, mentre abbondano ricerche sulla democrazia, sui partiti, sul populismo, mancano categorie essenziali per capire la realtà contemporanea, come quella di "impero". Lo stesso può dirsi per gli studi storici, in particolare per gli americanisti. Eppure gli Stati Uniti sono l'esperimento di impero più importante degli ultimi settant'anni. Un impero militare, politico, economico, finanziario, tecnologico, culturale, ideologico, che dopo la caduta della Russia sovietica, con la globalizzazione sembrava avviata verso una costruzione simile a quella realizzata dall'impero impero britannico dal XVIII al XIX secolo, anche se l'impero britannico non ebbe mai la tentazione di diventare una monarchia universale.
Nei primi anni Duemila non c'era accademico americano che non leggesse Empire di Toni Negri e Michael Hardt. Definito "la prima grande sintesi teorica del nuovo millennio", Empire definiva la globalizzazione come la sovranità imperiale postmoderna, sparivano i Leviathan, gli stati nazionali, rimanevano il Fondo Monetario Internazionale, le grandi banche e le organizzazioni sovranazionali: un'impresa titanica che ha finito, per una specie di eterogenesi dei fini, per minacciare l'America, che adesso ha deciso di combatterla. Non è un caso che nessuno dei nostri americanisti abbia previsto la vittoria di Trump, una vittoria che girando per gli States si poteva invece immaginare.
Negli studi politici italiani sono assenti da decenni riflessioni e sintesi teoriche sulla politica, il potere, la società.
Negli studi letterari, filosofici, politici, storici ormai da decenni si fa storia della storiografia. Si ricostruisce il passato in funzione del presente e questo esercizio si risolve in un interminabile circolo vizioso. Pensiamo soltanto alle celebrazioni del Risorgimento del 2011, sotto il patronato del presidente Napolitano: più o meno sempre la stessa storia. Ha conservato le principali icone intellettuali e politiche – dai letterati, cominciando da Dante, la cui intera opera intendeva restituire un Sacro Romano Imperatore ai comuni italiani, al Manzoni, dai politici Cavour e Mazzini, al generale Garibaldi, fino al musicista Giuseppe Verdi. Come ha osservato Silvana Patriarca sull'American Historical Review, ogni analisi italiana sul Risorgimento si basa sempre su testi e autori italiani e non si considera mai il sostegno internazionale ricevuto dagli italiani come dai greci. La storiografia del Risorgimento raramente affronta la comparazione con l’unificazione nazionale della Grecia: la storia dell’Italia è sempre comparata con quella delle nazioni dell’Europa nord-occidentale, quasi mai con quella dei paesi del Mediterraneo. Da qui anche tutta una serie di stereotipi negativi sugli italiani, considerati caratterizzati da «vizi», quali l’ozio, la passività, la corruzione, soprattutto nel Meridione. Raramente, però, gli Stati sono costruiti sulle virtù dei popoli, poiché la geopolitica, la diplomazia, e gli eserciti giocano sempre il ruolo principale. In ogni caso, da mito fascista, il Risorgimento è diventato nelle celebrazioni del 150° anniversario, un mito del Pd, erede del Pci, un partito politico a lungo critico nei confronti del Risorgimento, considerato «una rivoluzione mancata».
Raramente gli Stati sono costruiti sulle virtù dei popoli, poiché la geopolitica, la diplomazia, e gli eserciti giocano sempre il ruolo principale.
Dal 1861 a oggi sono cambiate istituzioni, sistemi politici, tradizioni – basta pensare alla bandiera, le cerimonie, le feste nazionali – e questo making and remaking del mito fondante della nazione, può essere utile a capire perché Peter Burke ha definito il concetto di invenzione della tradizione di Hobsbawm «a splendid subversive phrase, but it hides serious ambiguities» : una splendida frase sovversiva, che nasconde serie ambiguità. Il Risorgimento viene continuamente reinterpretato, talvolta negativamente (si pensi al duro giudizio di Antonio Gramsci), revisionato con nuovi lavori storiografici, recuperato, attribuendogli nuovi valori come nelle celebrazioni del 2011, nonostante l’Italia da regno sia diventata una repubblica, abbia cambiato tradizioni, perché si crede che la celebrazione della fondazione della nazione possa produrre coesione sociale per il presente. E anche questo è un wishful thinking, che fa capire la distanza delle élite intellettuali italiane dal Paese reale.
In Italia al trasformismo politico si accompagna quello accademico, per cui da marxisti in tutte le salse, dopo gli anni Novanta, ci si è riciclati tutti liberali e si è continuato a produrre articoli e libri per dimostrare come il liberalismo fosse l'unica teoria politica valida, come prima si faceva col marxismo.
In Italia al trasformismo politico si accompagna quello accademico.
Ancora più allarmante il fatto che l'Italia sia rimasta ancorata al paradigma della Western Civilisation elaborato dagli Western Studies durante la Guerra Fredda negli Stati Uniti, dove, come ha ricordato Niall Ferguson, vi erano perfino corsi col titolo "From Plato to Nato". In Italia, come in Gran Bretagna, in Europa continentale e in Giappone, le tappe della Western Civilisation erano i Classici antichi (la prima manifestazione della civiltà occidentale), poi, saltando la Dark Age del Medioevo, il Rinascimento, la Riforma, la Rivoluzione Scientifica, quella francese, quella americana, la rivoluzione industriale, e quella del suffragio universale. Non si sa quanti libri siano stati scritti sulle grandi Rivoluzioni della modernizzazione e della democratizzazione seguita alla vittoria degli Stati Uniti sul totalitarismo nazista e fascista.
Nel Regno Unito, dove dopo la guerra del Vietnam iniziò l'immigrazione dell'ex-impero, questa visione della civiltà occidentale che iniziava con i palazzi di Firenze, scomparve. Da noi invece, dove il Rinascimento si vende in tutte le salse, è rimasta. In Inghilterra fu molto importante la Cambridge School, e in particolare Quentin Skinner, che compì una vera e propria rivoluzione metodologica. La metodologia di Skinner era caratterizzata dall'opposizione all'essenzialismo o alla metafisica, dalla negazione di ogni momento trascendente, da una concezione della politica particolarmente, se non esclusivamente, pratica e concreta e da uno storicismo relativizzante. Fu accusato di rappresentare il suicidio della filosofia politica, perché negava i Classici, in quanto per Skinner non rappresentano affatto la coscienza delle loro epoche perché ne sfidano i luoghi comuni e non si sa mai se ciò che affermano sia vero o no. Skinner separa la storia dalla teoria e dalla filosofia. Il contrario di quanto siamo abituati a fare noi, influenzati dall'idealismo hegeliano.
Nel Regno Unito la visione della civiltà occidentale che iniziava con i palazzi di Firenze, scomparve. Da noi invece, dove il Rinascimento si vende in tutte le salse, è rimasta.
Il metodo di Skinner ebbe grande fortuna in Giappone, dove la dottrina della democratizzazione e della modernizzazione era la stessa divulgata in Italia con tutte le stesse tappe, dal Rinascimento alle grandi rivoluzioni. Nell'immaginario giapponese si arrivò a pensare che l'Europa avesse una sola storia che si sviluppava insieme alla modernità. I pensatori chiave erano Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Locke, Kant, Hegel, Marx, interpretati con Max Weber, Carl Schmitt, Karl Mannheim, Leo Strauss, Sheldon Wolin, Hannah Arendt e la Frankfurter Schüle. Poi i giovani giapponesi nati negli anni Sessanta, che avevano goduto della crescita eccezionale del Giappone, e andavano a studiare nel Regno Unito e negli Stati Uniti, negli anni '80 fecero la rivoluzione con Skinner. Il metodo di Skinner sembrava sincronizzato con la tendenza decostruzionista postmoderna dello studio storico che insisteva sulla specificità e negava anche il canone della storia letteraria. Ne risultò una raffinata storiografia del pensiero europeo. Si scavò nel pensiero europeo, senza necessariamente connetterlo alla modernità o alla modernizzazione giapponese. Questa nuova metodologia stimolò l'attenzione per i problemi educativi e pratici contemporanei. Il mondo intellettuale che i giovani studiosi giapponesi stavano studiando era molto raffinato e interessante, ma completamente diverso dal mondo in cui vivevano. Perciò questa metodologia fornì nuovi orientamenti politici e nuove prospettive alla politica giapponese.
Si scavò nel pensiero europeo, senza necessariamente connetterlo alla modernità o alla modernizzazione giapponese.
La ricerca si è orientata sull'analisi comparativa dei vari sistemi avanzati. Si è aperta alla geopolitica, alla tecnologia, all'impatto che la tecnologia ha nei settori produttivi, come nelle varie forme della democrazia. Fornendo nuovo conoscenze alla politica e alla società. Continua lo studio del pensiero politico europeo, ma usando il metodo comparativo, oltre alla contestualizzazione, senza però connettere tale studio alle esigenze della vita politica giapponese. L'opposto di quello che facciamo noi, dove a ogni cambio di quadro politico, si revisiona ogni autore italiano per inserirlo nel nuovo scenario. In Giappone non esiste, quindi, come nel Regno Unito, quella caratteristica della nostra produzione accademica per cui tutti scoprono all'improvviso il liberalismo e si dedicano a scrivere libri e articoli per rileggere in chiave liberale tutta la storia, come prima era stata letta in chiave marxista.
Da noi il problema è cambiare le teste e non è semplice, perché le università italiane sono amministrazioni pubbliche, usate come parcheggio dei giovani, e difficilmente gli attuali docenti possono cambiare l'università o immaginare nuove soluzioni. L'università è un'azienda pubblica, gestita con sistemi clientelari, usata per sistemare amici, figli e parenti. I vari settori scientifici disciplinari sono davvero una federazione di piccoli poteri nei quali il Miur ha frammentato l'università italiana. Aggregare docenti, competenze, dottorati industriali attorno a problemi complessi ai quali dare risposte non sarà facile col materiale umano attuale. L'università dovrebbe preparare al lavoro, a viaggiare, ma i docenti attuali non sono formati e motivati per queste esigenze, perché dominati, anche quando scrivono articoli e libri liberali, da un’ideologia ottocentesca per la quale l'intellettuale ritiene di appartenere a una casta superiore e di avere in mano le chiavi del mondo.
Da noi il problema è cambiare le teste e non è semplice, perché le università italiane sono amministrazioni pubbliche, usate come parcheggio dei giovani.
Da qui la chiusura e l'incapacità di comprendere i cambiamenti storici avvenuti dal 1989 a oggi, perché quei cambiamenti erano giudicati impossibili nella testa dei nostri accademici, intellettuali e giornalisti à la page. Da qui l'atteggiamento sprezzante per i cafoni incompetenti pentastellati o per i buzzurri della Lega. Agli studenti spiego sempre che il Discorso sul metodo di Cartesio è anche un'autobiografia. È la storia di un giovane che deluso dal collegio gesuita di La Fléche, si mette in viaggio per scoprire se stesso e cosa può conoscere. È la crisi dell'università scolastica. Cartesio, a cui interessava soprattutto la matematica, poco insegnata a La Fléche, si accorge che la filosofia, su cui si basava l'insegnamento del collegio, gli procurava solo confusione e dubbi. I filosofi di La Fléche discutevano di tutto, con grande raffinatezza, ma non arrivavano mai a niente di certo. E così Cartesio si mette in viaggio, decidendo di non cercare altra scienza se non quella che avrebbe potuto trovare in se stesso o nel gran libro del mondo. Frequenta le corti, gli eserciti, persone diverse per temperamento e condizione sociale, conosce città diversissime, fa esperienza, si mette alla prova. Fa anche la guerra, e quando si trova in Germania, in una pausa della Guerra dei Trent'anni, bloccato dall'inverno, in un quartiere dove non c'era niente da fare, chiuso in una stanza con una stufa calda, cominciò a scrivere una delle opere più importanti del pensiero moderno.
I filosofi non scrivevano articoli o libri standard da spedire in pdf al Miur, ma grandi opere, tra un viaggio e l'altro, in mezzo alla vita concreta.
I filosofi moderni non sono accademici: si occupano di matematica, di geometria, di ottica, di fisica, di astronomia, di medicina, di politica, viaggiano, si guadagnano da vivere, se non sono ricchi come Cartesio, facendo il segretario e il ghost writer di qualche nobile come Hobbes, esperto di arcana imperii, ma anche azionista della Virginia Company. Viaggiano per l'Europa, appartengono al think tank di Mersenne, come lo chiameremmo oggi, che invia i loro scritti ad altri scienziati e filosofi sparsi per l'Europa per sentire cosa ne pensavano. Fanno network, diremmo oggi. Non sono accademici, fanno il medico come Locke che poi, dopo la Glorious Revolution, si occupa del commercio nelle colonie. Hume divenne segretario dell'ambasciatore inglese a Parigi, un'esperienza che gli fece conoscere un altro mondo. Non scrivevano articoli o libri standard da spedire in pdf al Miur, ma grandi opere, tra un viaggio e l'altro, in mezzo alla vita concreta. Così hanno aperto un'età nuova. Sono questi i modelli da avere in mente per ripartire.
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L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.