20 Maggio

La politica e il palcoscenico del trasformismo

WeekList. Nel contratto di governo compare la parola "trasformismo". Da dove nasce e perché all'inizio e alla fine di questa storia tutto si lega alla politica, al teatro e alla grande figura di Fregoli. Michele Magno va in scena.

di Michele Magno

“Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”: così recita un passo del contratto per il governo del cambiamento alla voce “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta”. Ho già avuto modo di esprimere su queste colonne la mia diffidenza nei confronti   quelle concezioni secondo cui gli elettori  sono i "datori di lavoro" degli eletti, ridotti ala rango di loro “portavoce”. Qui mi interessa invece fermare l’attenzione sull’origine storica del termine trasformismo, ossia l’abitudine a cambiare casacca di partito con fulminea disinvoltura. 

Il vocabolo entra nel linguaggio politico italiano negli ultimi decenni dell’Ottocento. In un discorso tenuto a Stradella alla vigilia delle prime elezioni a suffragio allargato (8 ottobre 1882), il capo della sinistra parlamentare Agostino Depretis giustificava così gli accordi stipulati con la destra moderata di Marco Minghetti: "Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?". Perorazione vana, perché il termine trasformismo divenne immediatamente sinonimo di mancanza di principi, di amoralità, di corruttela. 

Nel gennaio 1883, in un articolo apparso sul periodico bolognese “Don Chisciotte”, Giosuè Carducci (nella foto qui sopra) la condannò senza appello: “Brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi da sinistri a destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri. Come nel cerchio dantesco de’ ladri, non essere più uomini e non essere più ancora serpenti; ma rettili sì, e rettili mostruosi nei quali le due immagini si perdono, e che invece di parlare ragionando sputano mal digerendo”. In seguito la “brutta parola” fu utilizzata per designare addirittura un topos del carattere nazionale, vale a dite l’inclinazione - figlia dell’atavica arte di arrangiarsi italica - a non prendere troppo sul serio le fedi e...


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