13 Giugno
L'intellò d'Italia che applaude sempre lo straniero
L'esterofilia degli intellettuali. Vere e proprie sbornie sono state prese dal ceto riflessivo italiano per leader stranieri come Blair, Sarkozy, Zapatero, Clinton e Obama. E la storia continua con Macron e gli altri. Lorenzo Castellani fa un'indagine sulla rinuncia all'autonomia di pensiero.
di Lorenzo Castellani
L’Italia è una nazione? Difficile fornire una risposta a questa domanda. Qualunque italiano, almeno una volta nella vita, si è rivolto all’estero per condannare i mali del Paese. “La Francia è un paese serio”, “in Germania le regole si rispettano”, “adottiamo il modello inglese, svedese, danese”. Sono frasi quotidiane sulla bocca degli italiani, volte ad esprimere un senso di rassegnazione o d’inferiorità rispetto al resto d’Europa.
La politica, quasi sempre in modo macchiettistico, continua a riferirsi ad esperienze straniere coniando nomi, sigle e slogan di esperienze di successo originatesi all’estero. Nel mondo intellettuale e giornalistico, invece, questa propensione all’esterofilia è forse ancora più pronunciata. Vere e proprie sbornie sono state prese dal ceto riflessivo italiano per leader stranieri come Blair, Sarkozy, Zapatero, Clinton e Obama. Oggi ci si stordisce con il modello Merkel, si corre alla ricerca spasmodica del Macron italiano e si plaude al benefattore Pedro Sanchez, nuovo premier spagnolo della “sinistra-come-dovrebbe-essere”, e a Ciudadonos, sogno proibito del liberalismo italiano. Senza comprendere che i successi di tali movimenti non sono esportabili poiché sempre legati a tradizioni e sensibilità nazionali.
Vere e proprie sbornie sono state prese dal ceto riflessivo italiano per leader stranieri come Blair, Sarkozy, Zapatero, Clinton e Obama.
Quanto avvenuto sul problema dell’accoglienza dei migranti è il paradigma della diffusa esterofilia italica. Salvo poi scoprire che la Merkel ha un pezzo di partito e una fetta ancora più ampia di opinione pubblica su posizioni “leghiste”, Macron è un nazionalista con fascinazione bonapartista che non esita ad usare il manganello della gendarmerie e che la promessa di Pedro Sanchez è basata sull’una tantum. Tutto questo non interessa all’esterofilo delle redazioni e delle cattedre poiché qualsiasi comportamento straniero supera, a prescindere, la moralità e la capacità degli italiani.
Questi atteggiamenti evidenziano la debolezza dell’identità italiana...
di Lorenzo Castellani
L’Italia è una nazione? Difficile fornire una risposta a questa domanda. Qualunque italiano, almeno una volta nella vita, si è rivolto all’estero per condannare i mali del Paese. “La Francia è un paese serio”, “in Germania le regole si rispettano”, “adottiamo il modello inglese, svedese, danese”. Sono frasi quotidiane sulla bocca degli italiani, volte ad esprimere un senso di rassegnazione o d’inferiorità rispetto al resto d’Europa.
La politica, quasi sempre in modo macchiettistico, continua a riferirsi ad esperienze straniere coniando nomi, sigle e slogan di esperienze di successo originatesi all’estero. Nel mondo intellettuale e giornalistico, invece, questa propensione all’esterofilia è forse ancora più pronunciata. Vere e proprie sbornie sono state prese dal ceto riflessivo italiano per leader stranieri come Blair, Sarkozy, Zapatero, Clinton e Obama. Oggi ci si stordisce con il modello Merkel, si corre alla ricerca spasmodica del Macron italiano e si plaude al benefattore Pedro Sanchez, nuovo premier spagnolo della “sinistra-come-dovrebbe-essere”, e a Ciudadonos, sogno proibito del liberalismo italiano. Senza comprendere che i successi di tali movimenti non sono esportabili poiché sempre legati a tradizioni e sensibilità nazionali.
Vere e proprie sbornie sono state prese dal ceto riflessivo italiano per leader stranieri come Blair, Sarkozy, Zapatero, Clinton e Obama.
Quanto avvenuto sul problema dell’accoglienza dei migranti è il paradigma della diffusa esterofilia italica. Salvo poi scoprire che la Merkel ha un pezzo di partito e una fetta ancora più ampia di opinione pubblica su posizioni “leghiste”, Macron è un nazionalista con fascinazione bonapartista che non esita ad usare il manganello della gendarmerie e che la promessa di Pedro Sanchez è basata sull’una tantum. Tutto questo non interessa all’esterofilo delle redazioni e delle cattedre poiché qualsiasi comportamento straniero supera, a prescindere, la moralità e la capacità degli italiani.
Questi atteggiamenti evidenziano la debolezza dell’identità italiana e della scarsa coscienza nazionale di cui è dotato il Paese. La storia viene in soccorso evidenziando secoli di divisioni, cortigianeria e sottomissione allo straniero, uno Stato costruito dall’alto e con istituzioni deboli e spiegando il travaglio dell’italiano nel sentirsi parte di una nazione. Quest’ultima è, prima di tutto, una costruzione intellettuale che in Italia, specie dopo l’Unità, non v’è mai stata poiché mondo intellettuale e politico erano già irrimediabilmente compromessi nella loro esterofilia.
Gli italiani hanno così continuato a pensare a se stessi in termini provinciali, e non ci sarebbe nulla di male, ma allo stesso tempo cosmopoliti, quindi slegati dai destini della nazione. Nel cuore di ogni italiano alberga sempre la nostalgia del luogo natio, ma sapientemente condita da un sano disprezzo per i comportamenti dei compatrioti e la moralità diffusa nel Paese.
Questi atteggiamenti evidenziano la debolezza dell’identità italiana e della scarsa coscienza nazionale di cui è dotato il Paese.
L’identità nazionale, inoltre, fa riferimento alla statualità, cioè al processo di raccordo comune tra istituzioni e cittadini, che è forse l’elemento di cui più difetta il paese. In fondo, come sottolinea il Professor Ernesto Galli Della Loggia in un bel libro titolato “L’identità italiana”, lo Stato nazionale in Italia ha trovato grossi problemi a formarsi. Il pluricentrismo, il municipalismo, la mancata saldatura tra il nord laborioso ed il sud, tra Roma e Milano, tra l’asse tirrenico e il triangolo padano-orientale, sono lo specchio della difficile integrazione tra politica e statualità.
In assenza di tutto ciò i principali caratteri del modo sociale d’essere degli italiani restano, dunque, l’individualismo assieme ad un radicato familismo. Questo è quello che spesso l’osservatore straniero annota sul nostro modo di essere. Una sorta di carattere nazionale, che ha anche delle ragioni storiche ed una narrazione diffusa. L’italiano è stato nei secoli costretto da una vita dura e stentata che lo ha portato ad essere flessibile e ad aguzzare l’ingegno cercando anche di scansare le vessazioni di cui era sovente oggetto da chi aveva un qualche potere piccolo o grande su di lui; ha imparato, quindi, a contare solo su se stesso o al massimo su pochi intimi, di solito consanguinei: il piccolo gruppo che ricorda la famiglia e in cui l’italiano dà di solito il meglio di sé.
All’esterofilo delle redazioni e delle cattedre non interessa la realtà, poiché qualsiasi comportamento straniero supera, a prescindere, la moralità e la capacità degli italiani.
La famiglia al centro della società, nel tempo istituzione romana, poi cattolica e quindi propriamente italiana, che diviene struttura di servizio tuttofare e rete di protezione. Galli della Loggia attribuisce la lontananza italiana dalla modernità nazionale a due fattori principali: 1) assenza di tradizione statale; 2) vischiosità oligarchica della società italiana, in un paese dove si assiste a molta ideologia moralistica e poca cultura dello Stato. Nella costruzione culturale dell’identità italiana concorre la figura dell’intellettuale letterato, un equivalente laico del chierico ma suo concorrente. Tale figura ed i suoi schemi concettuali, nonché i luoghi comuni che ne sono derivati, sono già stati meticolosamente delineati in Dante Alighieri, poi costantemente replicati nei secoli successivi fino ad oggi. Il problema che travaglia la modernità italiana coincide con quello di una debole, troppo debole identità nazionale. Di una storia che non è, come diceva Hegel un banco di macelleria, ma che ha anche costruito una struttura di rete, che ha prodotto diversità e contestualmente l’amalgama tra esse, una rete di influssi, combinazioni, prestiti, contaminazioni, tutte innestate sull’unico terreno comune dato dal retaggio romano e cristiano cattolico che hanno creato l’identità italiana: identità figlia del sovrapporsi di queste molteplicità, appunto su uno sfondo unico. La crisi della modernità italiana è proprio qui, come già scritto, cioè nell’esistenza di un vulnus incolmabile nel percepirsi come nazione.
Un affresco, quello di Galli della Loggia, che ci conduce all’esterofilia estremizzata in cui viviamo oggi e si riflette anche nella proiezione geopolitica del paese. Questo senso di sudditanza intellettuale rispetto allo straniero, in particolare ai Paesi del centro e nord Europa, si riflette nei rapporti con l’Unione Europea. Quel “ce lo chiede l’Europa” esprime non soltanto la propensione a vincolarsi dall’esterno dell’élite italiana, ma anche un immobilismo secondo cui è bene che siano altri, i popoli seri, a disegnare gli scenari, i piani e i progetti per il futuro europeo. Non è un caso se oggi a Bruxelles si discute di una proposta francese per la riforma dell’Unione Europea mentre da anni è assente una qualche grande idea italiana. Così l’esterofilia diviene, prima di tutto, una rinuncia all’autonomia di pensiero e al cambiamento stesso dell’Italia, oltre che delle istituzioni europee. Così come da freno funge l’estenuante ricorso all’economicismo di gran parte degli opinionisti italiani e cioè l’idea che l’economia sia scienza esatta, a cui ogni altra logica debba piegarsi, volta a segnare inesorabilmente il destino di una nazione. Senza comprendere, invece, che l’economia è una filosofia, una espressione culturale, e che di questa ne esistono infinite declinazioni. Presi dall’esterofilia, perciò, rifiutiamo costantemente di confutare le filosofie altrui e, ancor peggio, ci arrendiamo al costruirne una nostra. Chi crede che il successo della Germania sia puramente economico ne coglie solo una prospettiva parziale poiché la forza tedesca deriva, per gran parte, dalla sua capacità d’imporre in Europa un certo modo di pensare.
Quel “ce lo chiede l’Europa” esprime non soltanto la propensione a vincolarsi dall’esterno dell’élite italiana, ma anche un immobilismo secondo cui è bene che siano altri, i popoli seri, a disegnare gli scenari, i piani e i progetti per il futuro europeo.
Grazie a questa mentalità l’Europa è stata trasformata dal ceto intellettuale italiano o nel miraggio gestito dai paesi seri e per questo da seguire fideisticamente senza tenere conto degli interessi e delle specificità italiane oppure la discarica delle responsabilità per continuare a coltivare i nostri localismi. Un approccio che ha influenzato il modo italiano di pensare la geografia con un paese costantemente rivolto verso nord, oltralpe, tremendamente affascinato e condizionato dalla Francia e dalla Germania. Gli italiani hanno rinunciato a fare del proprio paese una potenza del Mediterraneo rivolgendo le attenzioni verso sud, l’Africa settentrionale, e verso i Balcani, dove invece hanno sempre cercato di coltivare un rapporto con il nostro Paese. L’Italia di oggi è il più grande paese europeo senza una sfera d’influenza definita.
Ciò si riflette anche nei rapporti di forza con l’Europa poiché la terza potenza del Continente non è mai riuscita a costruire un fronte comune con gli altri Paesi mediterranei. Scarsa coscienza nazionale, rifiuto della ragion di Stato ed esterofilia hanno determinato in gran parte della classe colta italiana l’idea pedagogica che il Paese vada francesizzato e germanizzato a tappe forzate. Tuttavia, bisognerebbe rendersi conto quanto difficile sia impiantare su tradizioni e problemi secolari come quelle italiane un modello straniero.
Sicuramente questa tendenza è spiegabile sia nel retaggio dell’intellettuale di corte sempre pronto a servire lo straniero che in una breve e travagliata esperienza statuale, nell’assenza di un impero nell’epoca moderna e nelle lunghe dominazioni straniere sul territorio. Tuttavia, il Paese è continuamente chiamato a fare i conti con la propria identità, al percepirsi come nazione, e non sarà possibile rimandare all’infinito la costruzione di una consapevolezza italiana. Si potrebbe partire dallo studio della storia, della civiltà italiana e delle sue istituzioni, argomenti da sempre trascurati dalla nostra scuola. Un cambiamento in tal senso potrebbe forse rendere l’elite italiana del domani meno spompa, meno piena di complessi d’inferiorità e più strategicamente consapevole di cosa significhi, nelle debolezze e nelle forze, essere l’Italia.
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avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.