26 Giugno
Il manifesto che non ha mai scritto il Pd
Le parole d'ordine del populismo, le colpe a cui sinistra e sindacati non possono sottrarsi. Michele Magno scrive l'analisi della sconfitta e il nuovo inizio che non c'è. Bilancio del lavoro in rosso e assenza nella difesa di working poors e salariati.
La Toscana non è più rossa e vota "prima gli italiani", l'Emilia è smacchiata e si tinge di blu e giallo, su Twitter i democratici illuminati mandano online l'hashtag #portiaperti mentre la maggioranza degli italiani li chiude e manda la loro storia in archivio. Il Pd è nella crisi più grave della sua storia e dell'intera grande, piccola, bella e tragica vicenda della sinistra italiana. Carlo Calenda al Tg1 ha annunciato urbi et orbi che domani presenterà, tout de suite, dopo un'approfondita discussione in salotto, un manifesto per il Fronte Repubblicano; Matteo Renzi pensa di passare dal ruolo di Conducator a quello che forse sogna da sempre, conduttore televisivo; Oliviero Toscani ha proposto una foto di gruppo dei reduci democratici per fare nannimorettianamente qualcosa di sinistra; i renziani hanno già fatto indigestione di popcorn in Parlamento mentre il Governo Frankenstein ha preso tutto il potere.Viene in mente Eugène Ionesco: "Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene". Michele Magno ha inviato a List l'analisi della sconfitta e il manifesto per il nuovo, umile e realista inizio che il Pd non ha mai scritto. Buona lettura.
di Michele Magno
Caro titolare, dal 4 marzo a oggi la mappa politica del paese è cambiata completamente. Il vento della destra sovranista che soffia sulle due sponde dell’Atlantico da noi, però, non ha incontrato nessuna resistenza. La sinistra come la conoscevamo si è dissolta. Bisogna prenderne atto. Il gruppo dirigente del Pd non pare in grado, o forse non ha il coraggio, di fare un’analisi spietata degli errori commessi nel quinquennio passato. Ma i ballottaggi del 25 giugno sono l’ultimo episodio di un declino che inizia già nel passaggio di secolo, quando il socialismo europeo ha cercato di cavalcare la globalizzazione oscillando tra un generico nuovismo e arretramenti nelle vecchie trincee identitarie. Perfino nella penisola scandinava svelataci dai romanzi di...
La Toscana non è più rossa e vota "prima gli italiani", l'Emilia è smacchiata e si tinge di blu e giallo, su Twitter i democratici illuminati mandano online l'hashtag #portiaperti mentre la maggioranza degli italiani li chiude e manda la loro storia in archivio. Il Pd è nella crisi più grave della sua storia e dell'intera grande, piccola, bella e tragica vicenda della sinistra italiana. Carlo Calenda al Tg1 ha annunciato urbi et orbi che domani presenterà, tout de suite, dopo un'approfondita discussione in salotto, un manifesto per il Fronte Repubblicano; Matteo Renzi pensa di passare dal ruolo di Conducator a quello che forse sogna da sempre, conduttore televisivo; Oliviero Toscani ha proposto una foto di gruppo dei reduci democratici per fare nannimorettianamente qualcosa di sinistra; i renziani hanno già fatto indigestione di popcorn in Parlamento mentre il Governo Frankenstein ha preso tutto il potere.Viene in mente Eugène Ionesco: "Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene". Michele Magno ha inviato a List l'analisi della sconfitta e il manifesto per il nuovo, umile e realista inizio che il Pd non ha mai scritto. Buona lettura.
di Michele Magno
Caro titolare, dal 4 marzo a oggi la mappa politica del paese è cambiata completamente. Il vento della destra sovranista che soffia sulle due sponde dell’Atlantico da noi, però, non ha incontrato nessuna resistenza. La sinistra come la conoscevamo si è dissolta. Bisogna prenderne atto. Il gruppo dirigente del Pd non pare in grado, o forse non ha il coraggio, di fare un’analisi spietata degli errori commessi nel quinquennio passato. Ma i ballottaggi del 25 giugno sono l’ultimo episodio di un declino che inizia già nel passaggio di secolo, quando il socialismo europeo ha cercato di cavalcare la globalizzazione oscillando tra un generico nuovismo e arretramenti nelle vecchie trincee identitarie. Perfino nella penisola scandinava svelataci dai romanzi di Stieg Larsson - inquieta, attraversata da cupi impulsi xenofobi e da fanatismi violenti - quello che sembrava un modello sociale inattaccabile ha mostrato la corda.
La socialdemocrazia è sempre stata europeista (undici governi su quindici erano socialisti quando fu varata la moneta unica), ma non è mai stata davvero europea. Vale a dire che il suo raggio di azione e i suoi orientamenti strategici sono rimasti sempre nazionali. Oggi stanno venendo al pettine i nodi di una crisi che viene da lontano. In estrema sintesi: caduto il Muro di Berlino, il mercato mondiale si è riorganizzato sulla base di un patto tacito tra Asia e America. La prima produceva merci a basso costo, la seconda le comprava indebitandosi (al suo interno e con l’Asia stessa). Nel contesto di questi squilibri commerciali e produttivi, l’Occidente ha imparato i trucchi della finanza creativa e l’arte temeraria di vivere a debito. La speculazione ha fatto il resto.
Scattata oltreoceano, la crisi non ha risparmiato l’Unione europea, in balia del contrasto tra le “formiche del Nord” e le “cicale del Sud”. L’esplosione del fenomeno migratorio (liquidazione di Gheddafi in Libia, guerra siriana, primavere arabe) ha completato l’opera. Di fronte alle crepe vistose dell’edificio comunitario, la sinistra continentale non è riuscita a mettere in campo progetti alternativi. Le sue vecchie rotte sono state corrette, ma la navigazione procedeva a vista. Chiusa l’esperienza della politica dei redditi, si è passati all’economia sociale di mercato e poi alla ricerca di una “terza via”. Ma è rimasta indefinita quella che dovrebbe essere la sua missione storica, e cioè la costruzione di un più alto compromesso tra democrazia e capitalismo nella “società del rischio”, per riprendere la formula di Ulrich Beck.
Ma torniamo alla sinistra domestica. Dopo il 1989, si consuma la sua abituale attenzione per le trasformazioni sociali, scalzata da un disinvolto eclettismo politologico. Ci si illude che sistema elettorale e ingegneria istituzionale possano sostituire la politica, la capacità di rispondere a bisogni e risolvere i problemi. Sbiadisce quella che era stata una delle sue ragioni fondanti: la rappresentanza e la difesa del mondo del lavoro. Il Pd, approdo finale di un lungo e tormentato cambio di sigle, ne porta tutto intero il fardello. La verità è che esso è nato da una spinta di natura difensiva, dall’obiettivo di raccogliere tutte le forze disponibili a unirsi contro il berlusconismo. Sotto tale profilo, nella sua genesi c’è un elemento di astrattezza giacobina, che ha pesato non poco anche sulla stagione di Matteo Renzi.
Esaminato dal punto di vista del lavoro, il bilancio di questi anni è in rosso: dinamica debole delle retribuzioni, precarizzazione crescente, disoccupazione giovanile alle stelle. La geografia delle disuguaglianze distributive, inoltre, comprende ormai territori prima quasi sconosciuti. Si pensi solo ai working poors, ai lavoratori che stazionano ai margini della povertà. Per altro verso, il trend della povertà assoluta non si è arrestato: la sua soglia è stata varcata l’anno scorso (dati Istat) da oltre cinque milioni di individui, di cui uno su dieci è un meridionale e uno su cinque un minore, per lo più concentrati nei piccoli Comuni o nelle periferie urbane, una vasta porzione delle fasce più periferiche del lavoro e dei ceti più deboli è stata così sedotta dalle ossessioni securitarie della narrazione mitologica leghista, dove le popolazioni sane e laboriose delle valli lombarde e della pianura padana vengono protette dalle temute invasioni del proletariato migrante.
Tuttavia, se la grammatica del populismo e i codici dell’antipolitica sono penetrati in profondità nelle classi popolari, la sinistra e anche il sindacato confederale non possono chiamarsi fuori. Perché si tratta di un processo che si delinea già alla vigilia della Seconda Repubblica, colpevolmente sottovalutato per una lettura scadente e approssimativa delle novità che si stavano aggrumando in quello che per convenzione viene chiamato lavoro posfordista. Occorre quindi chiedersi se un partito riformista, animato dall’ambizione di modernizzare l’Italia, possa rinunciare a un forte radicamento nella realtà del lavoro salariato. Sulla risposta non dovrebbero esserci dubbi. Se infatti non si riescono a rappresentare adeguatamente gli interessi di quella realtà, che riguarda circa i due terzi degli occupati, non si va da nessuna parte. L’Ulivo e l’Unione di Romano Prodi hanno vinto quando il voto operaio, del pubblico impiego e dei pensionati è stato attratto da un’offerta di innovazione e di tutela sociale lontana dalle arcane alchimie che predicano la centralità dell’elettore mediano, alias del “cittadino-consumatore-moderato”.
Caro titolare, benché il numero degli indigenti sia in salita, il futuro delle giovani generazioni sia incerto, il Mezzogiorno arranchi vistosamente, non siamo un paese povero. Non è povero un paese in cima alle classifiche mondiali per uso di cellulari e smartphone, in cui un’auto su dieci è un Suv, otto italiani su dieci vivono o vanno in vacanza in case di proprietà, la ricchezza privata è pari a sei-sette volte il Pil, nonostante un’evasione fiscale e un’economia sommersa stratosferiche. Siamo, certo, anche un paese che vanta tristi primati negativi quanto a tassi di produttività e investimenti in ricerca, su cui grava il macigno di un debito pubblico abnorme e l’onere di una crescita stentata.
Beninteso, l’elenco delle nostre (più o meno) nascoste risorse e (più o meno) clamorose povertà andrebbe ben altimenti circostanziato, ma ho l’impressione che la crisi italiana spesso venga raccontata con una retorica che svuota di senso le parole su cui si fonda il patto civile tra rappresentati e rappresentanti, tra cittadini e istituzioni. Con l’effetto di indebolire la delega del sapere e del potere, instaurando nel discorso pubblico un analfabetismo che ci fa vedere l’Italia peggiore di quanto sia nella realtà. Mentre vengono spacciati come leve del cambiamento gli ammiccamenti del contratto pentaleghista ad antagonisti (no Tav), oscurantisti (no Vax), ambientalisti radicali (no Tap, no Ilva), neocolbertisti (banca statale, nazionalizzazione Alitalia), stampatori di moneta parallela (minibot, alias altro debito pubblico).
Adesso la coalizione giallo-verde, che presto diventerà (azzardo una previsione) verde-azzurra, ha il vento in poppa. Saprà uscire dalla campagna elettorale permanente a cui la costringe il suo unico e indiscusso leader, Matteo Salvini, e affrontare sul serio questi problemi? Mi permetta di dubitarne. I populisti hanno saputo parlare alla pancia del paese e hanno vinto la battaglia per l’egemonia. La loro cultura è entrata nel senso comune degli italiani, conquistando parti significative di quello che era l’elettorato di sinistra. Ma la propaganda contro i “negher” e i rom, ad alta redditività elettorale e a costo zero, prima o poi dovrà segnare il passo. E allora non saranno solo rose e fiori. Infatti occorrerà disciplinare umori, interessi e obiettivi non facilmente conciliabili tra loro.
A Palazzo Chigi oggi ci sono due partiti espressione di due elettorati distinti: uno chiede di redistribuire maggiori risorse al Sud; l’altro di garantire al Nord un fisco più benevolo (e il presidio delle frontiere). Il controllo del bilancio pubblico è cruciale per rispondere a queste domande. Ecco perché Lega e Cinque Stelle alla fine hanno deciso di governare insieme. Ma qualunque mediazione verrà trovata per mantenere le mirabolanti promesse del contratto, si scontrerà inevitabilmente con le regole e i vincoli dell’Eurozona. Si possono sempre modificare, ovviamente. Anzi, vanno modificati. Ma con quali alleati? Con Orban e il blocco di Visegrad? Non scherziamo.
Un tempo tra la gente del Nord comparivano fantasiosi stendardi, ornati di guerrieri bellicosi e spade sfoderate. Oggi i soldati del Carroccio marciano invece sulle note di una retorica patriottarda, che scarica ipocritamente sull’Europa l’eterna protesta e la congenita diffidenza dei cittadini verso lo Stato, sentito come una realtà punitiva, estranea e usurpatrice. Paradossalmente, il sovranismo delle forze populiste ora al governo si nutre proprio di questo inguaribile malcontento e di un’atavica diseducazione civica, in cui l’arte del compromesso si scompone nella volubilità e nella furberia, si corrompe nella mancanza di principi, si avvilisce nel cinico egoismo. La cura del “particolare”, che una volta ci era concesso di frodo, chiudendo un occhio, adesso ci viene raccomandata e quasi prescritta come l’obiettivo stesso della vita nazionale.
Del resto, quando troppo a lungo e impunemente il sistema politico produce inefficienza e corruzione, perché dovremmo meravigliarci se vengono meno i valori di solidarismo umano, i diritti e i doveri che tengono unita una società? Il successo della campagna per la chiusura delle frontiere ai migranti, orchestrata con grande spregiudicatezza dal ministro degli Interni, non è forse ascrivibile proprio ai ritardi civili e ideali del paese, prima ancora che alle sue povertà materiali? Talvolta mi chiedo se non sia ormai tardi per riattivare il senso di una comune appartenenza storica, che sappia opporsi con efficacia a pulsioni plebiscitarie che rischiano di devastare la democrazia parlamentare. Sì, sono pessimista. Ma, come diceva Giovanni Sartori, il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; altrimenti il male lo fanno l'ottimismo e il tranquillismo che inducono a non far niente.
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8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.