27 Giugno

Segni, parole, guerre culturali. È la politica dell'identità

Dall'elezione di Erdogan ai ballottaggi nei Comuni in Italia. Cosa è cambiato nello scenario politico, perché l'economia non basta a spiegare la trasformazione. Uno straordinario viaggio di Marco Gervasoni nell'era dell'identità.

di Marco Gervasoni

«Ma non dovevamo non vederci più?». Invece sei lì, Recep Tayyp Erdogan, alto e un po’ curvo, a salutare la folla e a ringraziarla per la vittoria alle elezioni. Non dovevamo non vederci più, si saranno chiesti i lettori di pressoché tutti i giornali europei e nord americani: che vari scenari avevano contemplato, persino che il Sultano, come lo chiamano quelli italiani, perdesse al secondo turno. Non avevano previsto una sola  ipotesi: quello che poi si è avverata, la vittoria piena di Erdogan. 

Il giornalista collettivo mi ha ormai abituato alle clamorose smentite delle sue previsioni (dalla Brexit in poi non ne azzecca una, passando ovviamente anche per le elezioni italiane) ma in questo caso mi aveva colpito la granitica sicumera con la quale si decretava la parola fine sull’esperienza erdoganista. Leggendo le analisi, non di sole firme del giornalismo italiano mainstream, sulla politica internazionale sempre piuttosto lasco, ma anche di quelle di ben più quotati osservatori internazionali, qualcosa non mi quadrava. Non l’insistenza sui sondaggi, che in effetti, promettevano un Erdogan al ballottaggio. Ma i sondaggi si sono dimostrati inaffidabili in contesti di democrazie normali, figuriamoci in un regime che, a pochi anni da un mancato golpe, si trova in un stato di eccezione. Poi non mi convinceva il sapore di whishful thinking, di profezia che si auto avvera: tra i tanti «dittatori» di cui ormai, secondo il mainstream progressista, è costellata la terra, quello turco è certamente il più detestato (e motivazioni ve ne sono, sia chiaro, pensiamo all’antisemitismo). Solo non mi persuadeva l’idea che un dittatore potesse essere rovesciato dalle urne. Nel linguaggio politico occidentale il dittatore non concede elezioni, semmai plebisciti. E se anche le concedesse, non si farebbe rovesciare da un voto. Per cui, la logica formale avendo un senso,...


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