18 Luglio
Il conto di Alitalia non finisce mai
Il ministro dei Trasporti Toninelli: "Compagnia di bandiera con il 51 per cento in capo all'Italia e con un partner che la faccia volare". Tanti auguri. Ecco la storia di ieri e di oggi della freccia alata che ha bruciato 7 miliardi di euro dei contribuenti.
Alitalia controllata dallo Stato? Questa mattina il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha detto che "l'italianità è un punto fondamentale nel futuro di Alitalia e nel contempo emergono i danni straordinari compiuto da manager spesso dipinti come molto efficienti. Torneremo a farla diventare compagnia di bandiera con il 51 per cento in capo all'Italia e con un partner che la faccia volare". Toninelli racconta una storia che non conosce o fa finta di non conoscere. I danni di cui lui parla furono provocati in larga parte dalla presenza pervasiva della politica e del controllo della mano pubblica nell'azienda. Vi sono, inoltre, ragioni di mercato, di dimensione, di concorrenza, di aggregazione. Il dossier Alitalia è uno dei più complessi della storia industriale italiana. Una storia di gloria iniziale e dissipazione finale. Eccola su List.
***
L'aeroplano ci ha svelato il vero volto della terra.
Antoine de Saint Exupéry
E Alitalia ci ha svelato il vero volto del Belpaese. Nel bene e nel male la storia della nostra compagnia aerea è quella delle cabrate e picchiate del Genio Italico. La biografia della freccia alata è quella di un’affascinante signora dove il tempo non passa, il biglietto aereo è full service, una sequenza in primissimo piano dove l’eccesso è lo standard, l’economy non esiste, il business non fa rima con class: fin dal suo decollo Alitalia fu eccezionale nel meglio e nel peggio. Una vita dissipata ad alta quota e basso rendimento non si progetta in una stagione, la contabilità senza paracadute, i trapezisti del traffico aereo, il cargo dello spreco arriva stracolmo al the end dopo una, nessuna, centomila Alitalia, una commedia pirandelliana scandita dal rombo dei motori, cullata dal rullaggio in pista, vestita di verde, bianco e rosso, livrea di compagnia di bandiera. Che fascino, Alitalia. Che disastro, Alitalia. Che amore...
Alitalia controllata dallo Stato? Questa mattina il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha detto che "l'italianità è un punto fondamentale nel futuro di Alitalia e nel contempo emergono i danni straordinari compiuto da manager spesso dipinti come molto efficienti. Torneremo a farla diventare compagnia di bandiera con il 51 per cento in capo all'Italia e con un partner che la faccia volare". Toninelli racconta una storia che non conosce o fa finta di non conoscere. I danni di cui lui parla furono provocati in larga parte dalla presenza pervasiva della politica e del controllo della mano pubblica nell'azienda. Vi sono, inoltre, ragioni di mercato, di dimensione, di concorrenza, di aggregazione. Il dossier Alitalia è uno dei più complessi della storia industriale italiana. Una storia di gloria iniziale e dissipazione finale. Eccola su List.
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L'aeroplano ci ha svelato il vero volto della terra.
Antoine de Saint Exupéry
E Alitalia ci ha svelato il vero volto del Belpaese. Nel bene e nel male la storia della nostra compagnia aerea è quella delle cabrate e picchiate del Genio Italico. La biografia della freccia alata è quella di un’affascinante signora dove il tempo non passa, il biglietto aereo è full service, una sequenza in primissimo piano dove l’eccesso è lo standard, l’economy non esiste, il business non fa rima con class: fin dal suo decollo Alitalia fu eccezionale nel meglio e nel peggio. Una vita dissipata ad alta quota e basso rendimento non si progetta in una stagione, la contabilità senza paracadute, i trapezisti del traffico aereo, il cargo dello spreco arriva stracolmo al the end dopo una, nessuna, centomila Alitalia, una commedia pirandelliana scandita dal rombo dei motori, cullata dal rullaggio in pista, vestita di verde, bianco e rosso, livrea di compagnia di bandiera. Che fascino, Alitalia. Che disastro, Alitalia. Che amore svampito, Alitalia. Che errore, Alitalia. Che meraviglia, Alitalia. Che fornace, Alitalia. Che racconto, Alitalia. “A soul in tension / that’s learning to fly” cantano i Pink Floyd. Alitalia non ha mai imparato a volare senza bruciare tutto il carburante prima di arrivare a destinazione. Crash, Alitalia.
01
Scatola nera e bilancio in rosso
La scatola nera, dov’è la scatola nera con il registro di volo, le voci dei piloti, la torre di controllo. Dov’è? Sembra tutto chiaro: tre palle, un soldo. Sempre quello del contribuente. Ma se andiamo a vedere… ascoltare… leggere le trascrizioni… allora la storia è un’avventura dove s’incrociano le fredde cifre e le calde anime di una storia italiana che desta stupore e meraviglia, gioia e rabbia, lacrime per chi ha amato quella bella signora, Alitalia. Quanto tempo è trascorso? La stupenda freccia alata decolla nel 1947, era il fregio del primo stormo dell’aeronautica militare, trasportava gloria, Alitalia.
Gloria vana, settanta anni dopo quella freccia è spuntata, umiliata, oggetto di scherno, rabbia, umiliazione. Quante Alitalia, figliolo? Troppe, almeno tre. Quella nata nel 1947 resta sospesa in aria fino al 2009, sembrava eterna. E invece… Mayday! Mayday! Mayday! la compagnia aerea delle meraviglie finì come la giostra dei bambini, tutti giù per terra. Calma, la storia non finisce qui. Fate il check in, si decolla di nuovo, ladies and gentlemen welcome on board, il 13 gennaio del 2009 nasce la nuova Alitalia, quella dei capitani coraggiosi riuniti in una sigla burocratica, CAI, Compagnia aerea italiana. Sembrava dovesse intraprendere un lungo viaggio. Sembrava. Si ferma dopo pochi anni di acrobazie nei cieli, a fine 2014 il Gattopardo di Alitalia entra nel circo degli emiri, i conti ballano come i cerchioni di un carrello che ha sbattuto in pista, dalle dune del deserto della penisola arabica arrivano quelli che sanno come si fa, quelli che… lasciamo perdere, Alitalia è stata commissariata.
02
Il decollo nel deserto
Il Gattopardo volante: tutto cambia perché nulla cambi. Soprattutto i conti. Gli emiri entrano con la baldanza di chi ha domato gli scorpioni nel deserto, escono con un conto da terapia intensiva: oltre 400 milioni di perdite della Spa nel 2015, altri 600 milioni l’anno dopo. Siamo nel guinness dei fiaschi volanti, allacciate le cinture. La gestione di Etihad è l’ultima e proprio per questo la più dolorosa e incredibile per la genesi da manicomio contabile. Non se lo immaginava proprio, Khalifa bin Zayed Al Nahyan, l’emiro di Abu Dhabi, di fare patatrac nel Belpaese. In verità, nessuno se lo immaginava, il suo beau geste finanziario fece ululare di gioia il bel mondo del salotto romano: “Cribbio, al gate c’è una petro-monarchia che si prende cura della carretta volante italiana”. A bordo parte la musica degli Imagination, Just an illusion… seduto su un oceano di petrolio, l’emiro ha scoperto il naufragio del portafoglio tra le nuvole. Gli sono bastati due anni di kerosene bruciato in aria per alzare bandiera bianca, Alitalia è inesorabilmente cancelled. E’ un punto che cambia tutta la narrazione fatta fino all’altro ieri sulle capacità di gestione di Etihad e Alitalia non è il solo buco nero che si è aperto nella compagnia. Le cose vanno a rotoli anche in Germania con Air Berlin: 781,9 milioni di euro di perdite nel 2016. Sintesi: in Europa entrano gli arabi, escono gli utili.
03
Il management australiano
A dire il vero, quando arrivò un management australiano a gestire la baracca italiana, qualcuno cominciò a pensare che qualcosa non tornava in questa storia. Il nuovo capo azienda, Cramer Ball, veniva con quello che appariva come il profilo del perfetto marziano a Roma: nel suo record di esperienza c’era Jet Airways (25 milioni di passeggeri nel 2016, ma nel terzo mercato del mondo) e Air Seychelles (143.761 passeggeri nel primo trimestre del 2017), India e voli turistici, non proprio quello che serviva in un mercato ad alto voltaggio come quello di Alitalia. Ma la vulgata in pista era inarrestabile: “So’ arrivati gli arabbi e semo apposto”. Il diavolo s’annidava nei dettagli. Tutto il ponte di comando di Alitalia non parlava una parola d’italiano, gli incontri si svolgevano con l’interprete e provate a immaginare l’evoluzione dei rapporti sindacali con questa non del tutto trascurabile asimmetria di linguaggio. Però, caspita, il Cramer fa parte dell’albo australiano dei dottori commercialisti, ha pieni poteri, la fiducia del plenipotenziario volante dell’emiro, l’altro australiano, James Hogan, quindi si vola e non gufate. Epilogo: Cramer è finito uccellato dai sindacati e dalla sua arroganza, dal so tutto io lasciatemi volare, Italians, e il presidente di Etihad Group, Hogan, un altro che credeva di saperla lunga, si è bruciato le penne a Fiumicino. Tanti saluti. E Luca? Luca chi? Come chi? Cordero di Montezemolo. Si è detto e scritto molto sulle sue responsabilità, ha partecipato alla gestione, ha scelto molti uomini e donne che hanno fatto e disfatto la nuova Alitalia, le sue impronte digitali restano, ma in realtà il suo ruolo era quello di trait-d’union tra i vecchi e i nuovi soci, finanza e industria, un punto d’equilibrio che non si è mai materializzato perché quelli di CAI sono entrati in rotta di collisione con i manager australiani a velocità supersonica. La posizione di Montezemolo era singolarissima per un altro aspetto, uno dei classici corto-circuiti all’italiana: stava seduto contemporaneamente nel consiglio d’amministrazione di Alitalia e in quello di un partner finanziario della compagnia, Unicredit. Montezemolo non era il solo a condividere la poltrona in business class, nel cda di Alitalia c’erano infatti anche Jean Pierre Mustier, numero uno di Unicredit, e Paolo Andrea Colombo, vicepresidente di Banca Intesa. In Italia anche le banche volano. Con quali risultati? Preparate il paracadute.
04
Atterraggio senza carrello
Il seggiolino eiettabile si aziona fin da subito. Il bilancio del 2015 dopo un anno di gestione di Etihad è un film dell’orrore: perdita complessiva dell’esercizio di 532 milioni (bilancio consolidato), oltre 300 milioni di rosso sui derivati stipulati per coprirsi dal rischio di oscillazione del prezzo del carburante e delle valute (totale a bilancio dei derivati con fair valuepassivo: 346 milioni di euro), 2,8 miliardi di euro di ricavi da traffico, 2 miliardi di costi per i servizi, 811 milioni di costi per le materie prime (voce principale, il carburante), 600 milioni di costi per il personale. Ci fermiamo qui, non occorre una laurea in economia aziendale a Harvard per afferrare il concetto: non c’è alcun piano industriale che tenga di fronte a questi numeri e se c’è il piano, allora è sbagliato come un elefante che passeggia in una sala da concerto per violini. C’è un punto altrettanto chiaro: non è il costo del personale il problema numero uno, quella voce da 600 milioni è importante, pesa, va rettificata e c’è spazio per lavorare sul numero e la qualità, ma Alitalia suona la campana a morto quando si apre la porta con la targhetta “servizi”, è in quel capitolo della spesa che si nascondono le scelte senza alcun senso aziendale (ma politico) dei manager di ieri e di oggi, è nella struttura a dir poco barocca del sistema che il velivolo si avvita e precipita. Fin dal primo anno di gestione arabo-australiana, il destino di Alitalia è quello di una compagnia che brucia carburante, dollari e euro, è già sulla via del fallimento.
Gli arabi di Etihad si perdono nel suk dove tutto è no limits, non capiscono la liturgia romana, mentre i manager australiani fanno i canguri con quelli del sindacato, beccano scioperi, nessuno li capisce e poco fanno per farsi capire. Infine, il fato, quello che gli uomini sottovalutano, lo smontaggio della storia: la notte tra il 6 e il 7 maggio del 2015 i nuovi capitani dell’aria si scontrano con la sfortuna che sarà cieca ma in realtà ci vede benissimo e fa scoppiare un incendio al terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino. Il fuoco. Lo scalo finisce ko, saltano i voli, l’operatività crolla e l’incidente finisce nella relazione di bilancio come uno dei fattori che hanno impedito il miracolo, la rinascita di Alitalia con le truppe cammellate.
Le scintille di quella notte, in realtà, sono una premonizione, la compagnia brucia cassa a non finire: prima mezzo milione, poi un milione, poi due milioni di euro al giorno, oltre 41.600 euro all’ora, 700 euro al minuto. Arriva il batticuore, si sente la mancanza d’ossigeno, ma la compagnia va avanti come un maratoneta che ha finito l’acqua e lontanissimo dal traguardo e ha perso la borraccia. Ci provano con lo storytelling, questa dannazione da copywriter tutto marketing e algoritmo che dimentica quella cosa chiamata realtà, e allora vai con la nuova livrea e sì, perbacco è un nuovo inizio! Qualcosa di dannatamente importante va storto perché siamo in Italia e tu non puoi cannare il design delle divise del personale di bordo senza suscitare lo scherno e far lievitare una montagna di diffidenza nell’italiano medio – il tuo cliente – abituato a sfoggiare la griffe anche quando non conosce il bon ton. Non siamo tedeschi che scendono dalla BMW con i sandali di plastica, siamo italiani, il tuo passeggero, caro Cramer Ball, va e viene con il Panerai al polso, ha una seconda casa al mare, canta I found my love in Portofino, si sente come Fred Buscaglione, mangia e beve divinamente come nessuno sulla terra, ha una moglie che riceve in casa, ha certa esperienza della vita mondana, cena fuori, balla e canta, e si ricorda di essere italiano quando tu pensi che lui sia un inglese qualsiasi con i calzini fuori tono e il pigiama a righe.
Ve le ricordate le divise che imbastirono? Le hostess e gli steward… sembravano tutti intabarrati in una tunica buona per respingere la sabbia del deserto e, sorbole, riescono perfino a cambiare i colori della selleria, sparisce il verde, entrano il rosso e il nero, cose arabeggianti che lasciano di stucco i passeggeri abituati al verde speranza screziato di rosso e bianco. È finita anche quella, la speranza, insieme al carburante, al denaro fresco, all’idea pazza di far volare l’Italia senza capirla, l’Italia. Gli arabi hanno chiuso con uno sgangherato colpo di scimitarra e due salti di canguro in preda a una sbronza un grandioso, meraviglioso e tragico romanzo cominciato il 5 maggio del 1947 con un volo diretto da Roma a Catania, costo del biglietto, 7000 mila lire.
05
Costi a reazione e tutti giù per terra
Come ha spiegato il professor Gaetano F. Intrieri in una analisi del bilancio scritta per Avio News in tempi non sospetti “il vero problema della compagnia sono i costi operativi”. Manutenzione degli aerei (secondo l’analisi di Intrieri sono 1.000 euro di manutenzione per ogni ora di volo nel bilancio 2015!); costi di handling e assistenza passeggeri (circa 300 milioni, il 10 per cento dei ricavi); il costo del carburante superiore a quello della media del mercato (oltre 668 milioni di euro); spese di vendita pari a oltre 215 miliioni di euro; locazioni e fitti per la modica cifra di 615 milioni di euro. I numeri si possono torturare, ma raccontano sempre una sola versione della storia: non è il bilancio di una compagnia low cost, non è la strategia industriale di un grande vettore. Un’azienda senza fisionomia, un dottor Jeckyll e Mr. Hide dell’aviazione, un nano-gigante che si esibisce nell’hangar mentre la folla si strappa i capelli, lancia cavolfiori ma paga lo spettacolo mentre il ciarlatano di turno gira con il piattino in mano. Un paradosso, Alitalia. Costi alti per servizi che non generano ricavi sufficienti. Una compagnia aerea che fin dal primo minuto di volo, anche con la nuova gestione, ha mancato l’obiettivo più importante: il posizionamento di mercato. Stretta tra l’incudine di Ryanair sul settore low cost e il martello delle grandi compagnie sul segmento dei voli internazionali dei viaggiatori premium, Alitalia finisce per essere come un aereo che viaggia su una rotta diretta verso nessun dove. Non ha il credito del mercato del biglietto a basso costo, non conquista quello del volo internazionale. La domanda fondamentale che si deve porre il manager di una compagnia aerea – chi è il nostro passeggero? – non ha una risposta coerente nella strategia aziendale. Risultato: Alitalia nel 2015 è piena di buchi nella fusoliera, a fine 2016 non ha neppure il carrello per atterrare, è un’azienda senza futuro, perde due milioni di euro al giorno, è a corto di liquidità, come un treno a vapore ha bisogno del carbone per camminare sulle rotaie, ma gli azionisti e i finanziatori non credono più nell’impresa di rimetterla in assetto di volo stabile. Si tenta la solita operazione di taglio dei costi del personale, una manovra d’emergenza, escono le maschere per la respirazione, la cabina si sta depressurizzando, Montezemolo si defila, il governo capisce che casa brucia, Gubitosi viene chiamato a fare il pompiere, l’azienda firma un accordo con i sindacati che però nel frattempo hanno perso il controllo della cloche dei dipendenti, si è scavato un fossato tra il management australiano e i dipendenti. “C’era troppa distanza tra chi lavora in Alitalia e quelli di Cramer Ball”, racconta al titolare una fonte che conosce il “sistema Alitalia”.
È il decollo del vaffanculo a reazione, mettiamo a terra la compagnia e poi vediamo chi ha più coraggio a scrivere la parola “fine”, l’ultima tentazione senza neanche Cristo. Arrivano i commissari. Chi sono? Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, il loro profilo è quello di chi compulsa i numeri, insomma, sono liquidatori che devono vendere. A chi? Bella domanda. In cabina di pilotaggio stamattina s'è piazzato Toninelli. Quale azienda compra una compagnia aerea al 49 per cento con a capo lo Stato?
Come andrà a finire? Aspettiamo con il taccuino squadernato di capire la rotta dal comandante pilota Toninelli. Non si tratta solo di decollare ma... di atterrare con il carrello e non con la fusoliera.
06
Sette miliardi a carico del contribuente
La storia di Alitalia dice che il castello delle streghe resta sempre aperto, anche quando le cose vanno a rotoli. Poco tempo fa il grande pubblico ha scoperto – che sorpresa, la realtà – che Alitalia è costata al contribuente italiano 7.4 miliardi di euro. È il conto finale di uno studio realizzato da Mediobanca e la cosa davvero notevole del documento non è solo nel costo per la collettività, i numeri raccontano un’altra storia, una dissipazione di capitale e lavoro che avviene negli ultimi trent’anni della storia di Alitalia. Prima la compagnia stava in piedi alla grande, aveva mercato e futuro. Il grafico sulla redditività dell’azienda dal 1974 al 2007 è stupefacente:

Che curva meravigliosa. Alitalia viene letteralmente bruciata negli anni Novanta: “La redditività della Compagnia comincia a deteriorarsi nei primi anni ‘90 per poi scadere significativamente dalla metà degli anni ’90. Dal 1974 e fino al 2007, ultimo bilancio prima dell’amministrazione straordinaria, sono maturate perdite cumulate pari a 4.407 milioni di euro a valori correnti. Dal 1996, anno della prima perdita monstre di 625 milioni, il saldo negativo è stato pari a 3.906 milioni. La perdita maggiore è caduta nel 2001 (-907 milioni). Dei 34 anni esaminati, 20 hanno chiuso in deficit, sommando una perdita pari a 5,1 mld. di euro. Dal 1989, in 15 anni su 19 si è avuta una perdita netta (circa l’80 per cento dei casi)”.
Questa perdita in realtà va riconteggiata. Mediobanca spiega come: "Data l’estensione temporale dell’analisi, è opportuno rettificare i dati riportandoli al valore monetario corrente (2014). Così facendo le perdite modeste dei primi anni assumono maggiore rilevanza ed il cumulo dei risultati diviene costantemente negativo nel periodo. Pur restando confermato l’aggravio occorso dalla metà degli anni ’90, il totale delle perdite sale a circa 6,1 miliardi di euro (grafico a seguire). Il cumulo dei venti anni in perdita aumenta, con questa modalità di computo, a 7,2 miliardi di euro".

L'oste presenta il conto volante per il contribuente. E così arriviamo a 7 miliardi. Denaro del contribuente. Nostro.
Questo conteggio non sarebbe corretto se non valutassimo anche gli introiti del periodo preso in esame per l'azionista, lo Stato. Com'è andata? Sempre male. Guardate questa tabella:

Lo Stato dal 1974 al 2007 ha incassato da Alitalia le imposte, i dividendi, il denaro dei collocamenti sul mercato. La parte più grossa è quest'ultima (971 milioni di euro ai valori del 2014) ma il bilancio è sempre in rosso fisso e il risultato finale per il contribuente è di 3.3 miliardi versati nella fornace della compagnia.
L'evoluzione della curva di questi oneri - stavolta netti - per il contribuente è esemplare:

Alitalia chiude nel 2007 il suo ultimo bilancio in bonis. Poi entra in gestione commissariale dal 2008 fino al 2014. Un altro festival della spesa. Cercate un calmante, tenetelo a portata di mano. Sempre dallo studio di Mediobanca.
Gli oneri direttamente in carico allo Stato o riferibili alla collettività sono relativi a:
1. Erogazione nel 2008 di un “prestito ponte” pari a 300 milioni di euro da parte del Mef, al fine di garantire la continuità del servizio di trasporto aereo in capo alla “vecchia” Alitalia;
2. Ritiro delle obbligazioni “Alitalia 7,5 per cento 2002-2010 convertibili” in adesione all’offerta che consentiva il loro scambio contro titoli di Stato “zero coupon” con scadenza dicembre 2012; il controvalore dei titoli di Stato emessi è stato pari a 312,9 milioni di euro;
3. Permanenza nel portafoglio del Mef della propria quota delle medesime obbligazioni “Alitalia 7,5 per cento 2002-2010 convertibili” per un valore nominale pari a 446,6 milioni di euro; tale importo è stato ridotto per l’ammontare degli interessi incassati (stimati in 34 milioni all’anno) durante il quinquennio 2003-2007 (circa 165 milioni complessivi);
4. Partecipazione all’eventuale ripiano del passivo dell’amministrazione straordinaria: dedotti i circa 730 milioni di debiti di Alitalia verso il Mef (prestito ponte ed obbligazioni), permarrebbe in capo ad Alitalia in as un netto patrimoniale negativo pari a circa 1.150 milioni;
5. Erogazione, con decorrenza dicembre 2008, del trattamento Cigs a zero ore per il quadriennio 2008-2012 e di quello di mobilità per il triennio successivo (2012-2015) . Considerando una media di 4000 persone coinvolte, l’onere complessivo può essere stimato in 660 milioni di euro;
6. Erogazione integrativa dei trattamenti di cui al punto 5 per consentire il raggiungimento dell’80 per cento della retribuzione originale, a valere sul Fondo Speciale per il Trasporto Aereo (FTSA) istituito presso l’Inps. L’onere, sempre comprensivo della quota contributiva, può essere quantificato in 1,2 mld. di euro.
Infine, vi è da considerare il versamento di 75 milioni di euro effettuato da Poste Italiane in Alitalia-Cai.
Totale della gestione commissariale? Eccolo qua:

Sintesi di Mediobanca su questa storia cominciata nel 1974: "Tra il 1974 ed il 2007 Alitalia ha cumulato perdite pari a 6,1 mld. di euro in moneta del 2014. La gestione di Alitalia, a far data dal 1974 e fino al 2007 relativamente alla gestione in bonis (3,3 mld. a valori 2014) e successivamente fino al giugno 2014 sotto la gestione commissariale (4,1 mld.), ha prodotto in via indicativa e approssimata un onere complessivo a carico del settore pubblico e della collettività stimabile in circa 7,4 mld. di euro".
Ora ricicciano la compagnia di bandiera. Che volete farci, suona bene - "compagnia di bandiera" - solletica il sovranismo volante che non guarda i conti, non sa nulla del passato. Il pericolo di replicare lo stesso film in volo è notevole, visti i soggetti di ieri e quelli di oggi.
07
Prima e Seconda Repubblica alla cloche
Provate a incrociare le date (e le dita per il domani) della saga infinita di Alitalia con le stagioni della politica italiana e scoprirete che…. la Prima Repubblica ha fatto decisamente meglio all’azienda rispetto alla Seconda Repubblica o presunta tale. I bilancio della compagnia sono buoni fino agli anni Novanta, nonostante si navigasse già nel mare in tempesta del debito pubblico, poi succede qualcosa di imprevisto: la politica si squaglia, comincia il valzer delle poltrone.
Non ci credete? Dal 1946 al 1988 alla presidenza di Alitalia arrivano solo cinque figure: Giuseppe De Michelis, Nicolò Carandini, Bruno Velani, Giorgio Tupini e Umberto Nordio. Questa pugno di dirigenti farà una grande Alitalia. Dal 1988 a oggi la situazione diventa a dir poco caotica e alla presidenza della compagnia si balla la rumba, ecco la sequenza: Carlo Verri, Michele Principe, Renato Riverso, Fausto Cereti, Giuseppe Bonomi, Giancarlo Cimoli, Berardino Libonati, Maurizio Prato, Aristide Police. La Prima Repubblica nomina 5 presidenti nel giro di 42 anni; la Seconda Repubblica ne piazza 9 in 20 anni. I partiti hanno cominciato a usare Alitalia come un taxi. La corsa è pagata dai contribuenti, Roma è il grande centro di smistamento dei favori, delle assunzioni, degli appalti, un’economia volante si attovaglia intorno alla freccia alata, ne rosica le ali, fa finta di amarla ma in realtà la usa, la consuma, la tratta come se fosse una fonte inesauribile di ricchezza a basso sforzo ed alto costo. L’Urbe è il detto, contraddetto e non detto di questa storia, la buccia di banana dove tutti scivolano per eccesso di confidenza, di indivanamento nel Salotto Capitale. E prima o poi, Roma dopo averti coccolato, lasciato sprofondare nel suo ventre, finisce per non accontentarsi solo di suggere il nettare: vuole comandare. Nella Prima Repubblica c’è ancora la decenza di lasciar fare ai dirigenti d’azienda, l’antico mestiere del volo è temuto e rispettato, Fanfani non si sarebbe mai sognato di mettersi alla cloche e Berlinguer non avrebbe mai detto che turni si fanno negli hangar. Nella Seconda Repubblica tutto diventa lost and found, una valigia perso tra i bagagli sfatti e strafatti della contemporaneità. Nella terza... Toninelli, Di Maio, sembrano tutti nati con la cloche in mano. Allacciate le cinture. Ah, che goduria, la compagnia di bandiera.