21 Agosto

Io, il segretario di Dubcek e la Primavera di Praga

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia entrano in Cecoslovacchia. Giuliano Cazzola ricorda quei giorni, la discussione nel Partito comunista italiano e un viaggio rivelatore a Praga nel 1989, dopo il crollo del Muro di Berlino.

di Giuliano Cazzola

Cinquant’anni or sono, nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968,  con una rapidissima operazione militare, le truppe del Patto di Varsavia (sovietiche, polacche, tedesco-orientali, ungheresi e bulgare; la Romania si rifiutò di prendervi parte con le proprie) occuparono la Cecoslovacchia senza incontrare alcuna resistenza se non quella passiva e ostile della popolazione. Jan Palach, un giovane ceco, all’inizio del 1969, si diede fuoco per protesta e divenne il simbolo della resistenza a quel tragico evento  che interrompeva manu militari la cosiddetta "Primavera di Praga", ovvero il tentativo del Partito comunista cecoslovacco e del suo leader Alexander Dubcek di avviare un profondo programma riformista con la restaurazione delle libertà civili e politiche.

Il nuovo corso di Praga non metteva in discussione il sistema economico-sociale, l’assetto delle alleanze né si proponeva (di questo intendimento fu  accusata  la rivoluzione ungherese del 1956, stroncata nel sangue dall’Armata Rossa) di abbattere il regime comunista. Non c’erano dunque ragioni di politica internazionale o di sicurezza del blocco sovietico che giustificassero  quell’intervento (secondo la logica del Patto di Yalta). Peraltro, in quello stesso frangente, la Romania era impegnata in una politica estera caratterizzata da significativi distinguo da Mosca. Ma sul piano interno il partito comunista di Nicolae Ceausescu manteneva il controllo del Paese con il solito pugno di ferro. Leonida Breznev, il leader del Pcus, giustificò l’aggressione militare con la necessità di salvare ‘’le conquiste del socialismo’’, enunciando il principio della ‘’sovranità limitata’’ che rimase da allora in poi (fino all’avvento di Gorbaciov) alla base della politica di Mosca sull’Est europeo, con la conseguenza di bloccare ogni tentativo di rinnovamento.

Il nuovo corso di Praga non metteva in discussione il sistema economico-sociale, l’assetto delle alleanze né si proponeva di abbattere il regime comunista. Non c’erano dunque ragioni di politica internazionale

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