25 Agosto
Nazionalizzazioni? No, meglio (poche) partecipazioni
Il crollo del Ponte Morandi a Genova ha riaperto il dibattito sulla proprietà e gestione privata delle aziende nei settori strategici. Giuliano Noci spiega perché non si può rifare l'IRI, ma acquisire quote (di minoranza) da parte dello Stato può avere un senso
di Giuliano Noci
A leggere i giornali di questi giorni sembra di sfogliare la margherita: nazionalizzo o non nazionalizzo. Il tema non è di quelli da deboli di cuore o da affrontare con la spanna; i disastri (economici e non solo) potrebbero essere dietro l’angolo. Con questo spirito, mi pare utile in primo luogo inquadrare il fenomeno su basi storiche (recenti). A partire dagli anni ’80 si è innescata su scala planetaria un’onda lunga che ha portato molti Paesi ad approdare ad un modello quasi fideistico di privatizzazione di asset pubblici (cfr. Tabella 1).
Tabella 1 – I ricavi derivanti dalle privatizzazioni su scala mondiale (fonte: Privatizazion Barometer, 2016)
Fino al 2000 si è trattato di un fenomeno quasi esclusivamente occidentale, che ha avuto il suo epicentro nel Regno Unito di Margaret Thatcher; con il nuovo secolo si sono raffreddati i bollori dei Paesi OECD e sono subentrate le tigri asiatiche e i paesi in via di sviluppo: basti pensare che la sola Cina ha ottenuto introiti da privatizzazioni per oltre 158 miliardi di euro nel 2015 e 134 miliardi nel 2016.
L’Italia a partire dalla privatizzazione dell’IRI ha perseguito senza tentennamenti l’obiettivo (cfr. Tabella 2) anche in virtù della necessità di fare cassa per ripianare parte del debito - senza privatizzazioni del resto il debito pubblico non sarebbe sceso tra il 1994 e il 2006 dal 121,5 per cento del PIL al 106,5 per cento - o per sostenere, più recentemente, le leggi di bilancio. Gli introiti netti complessivamente maturati dallo Stato nelle operazioni di cessione sono stati pari a oltre 110 miliardi di Euro. Molto significativo è stato anche il ricorso alle concessioni (in questi giorni nell’occhio del ciclone); la rilevazione sui beni dati in concessione realizzata dal Mef-Dipartimento del Tesoro nel maggio di quest’anno - con dati relativi al...
di Giuliano Noci
A leggere i giornali di questi giorni sembra di sfogliare la margherita: nazionalizzo o non nazionalizzo. Il tema non è di quelli da deboli di cuore o da affrontare con la spanna; i disastri (economici e non solo) potrebbero essere dietro l’angolo. Con questo spirito, mi pare utile in primo luogo inquadrare il fenomeno su basi storiche (recenti). A partire dagli anni ’80 si è innescata su scala planetaria un’onda lunga che ha portato molti Paesi ad approdare ad un modello quasi fideistico di privatizzazione di asset pubblici (cfr. Tabella 1).
Tabella 1 – I ricavi derivanti dalle privatizzazioni su scala mondiale (fonte: Privatizazion Barometer, 2016)
Fino al 2000 si è trattato di un fenomeno quasi esclusivamente occidentale, che ha avuto il suo epicentro nel Regno Unito di Margaret Thatcher; con il nuovo secolo si sono raffreddati i bollori dei Paesi OECD e sono subentrate le tigri asiatiche e i paesi in via di sviluppo: basti pensare che la sola Cina ha ottenuto introiti da privatizzazioni per oltre 158 miliardi di euro nel 2015 e 134 miliardi nel 2016.
L’Italia a partire dalla privatizzazione dell’IRI ha perseguito senza tentennamenti l’obiettivo (cfr. Tabella 2) anche in virtù della necessità di fare cassa per ripianare parte del debito - senza privatizzazioni del resto il debito pubblico non sarebbe sceso tra il 1994 e il 2006 dal 121,5 per cento del PIL al 106,5 per cento - o per sostenere, più recentemente, le leggi di bilancio. Gli introiti netti complessivamente maturati dallo Stato nelle operazioni di cessione sono stati pari a oltre 110 miliardi di Euro. Molto significativo è stato anche il ricorso alle concessioni (in questi giorni nell’occhio del ciclone); la rilevazione sui beni dati in concessione realizzata dal Mef-Dipartimento del Tesoro nel maggio di quest’anno - con dati relativi al 2015 (gli ultimi disponibili) – ci aiuta a comprendere la rilevanza del fenomeno. Nelle acque minerali e termali ad esempio le concessioni censite sono rispettivamente 295 e 489 con canoni annuali complessivi per 18 e 1,7 milioni che incidono per lo 0,68 e lo 0,1 per cento sul fatturato annuo dei settori. Vi sono poi 95 concessioni attive nelle risorse geotermiche (con 21 milioni di canone), 220 per petrolio e gas (275 milioni di canone e royalty), 44 per gli aeroporti civili (90 milioni), 2.300 per le frequenze radio, tv e telecomunicazioni (148 milioni, il 70 per cento provenienti dalle telecomunicazioni, dato che non comprende gli incassi dall’assegnazione delle frequenze 3G, 4G e dalla prossima 5G).
Qualcuno comincia a vederla in modo diverso. In generale il ragionamento alla base di questa corsa alle privatizzazioni si è fondato su un assunto economico e strategico di base: la mano privata è in grado di operare in modo più efficiente (dal punto di vista del ritorno degli investimenti) ed efficace per la collettività (per via di condizioni di mercato competitive) rispetto all’attore pubblico. Al contrario, corporativismo politico, scelte clientelari, assenza di logiche manageriali sono alla base di tutti i problemi delle società controllate/gestite dallo Stato.
Più recentemente, direi nell’ultimo biennio i bollenti spiriti della privatizzazione hanno ceduto, almeno in parte, il passo ai primi amletici dubbi: la politica ha cominciato ad interrogarsi se ha fatto bene i propri compiti a casa ricorrendo in modo quasi indiscriminato a percorsi di privatizzazione; si affaccia nel dibattito pubblico il tema di una eventuale (ri)-nazionalizzazione di taluni beni e attività precedentemente delegati a terzi (privati). Si badi bene, non si tratta di una questione che investe solo il nostro Paese in conseguenza del Decreto salva banche (2017) e del drammatico episodio di Genova di questi ultimi giorni ma è un tema che sta permeando la discussione politica di quello che è stato l’eldorado delle privatizzazioni: il Regno Unito.
Il Financial Times, ha dedicato una sezione ad hoc del sito (denominata “Privatisation revisited”) per analizzare gli effetti delle privatizzazioni britanniche degli ultimi decenni. Grande attenzione è stata in particolare dedicata alla madre di tutte le privatizzazioni inglesi, quella delle Ferrovie; si è puntata, in particolare, l’attenzione sul fatto che l’ammontare dei sussidi pubblici all’industria ferroviaria è passato dal miliardo di Euro degli anni ’80 (quando le ferrovie erano pubbliche) ai 6 miliardi degli ultimi anni. Da qui la retromarcia degli ultimi mesi rispetto alla concessione a privati della gestione di alcune tratte.
Nel Regno Unito si è aperto un dibattito sugli effetti delle privatizzazioni degli ultimi decenni. Grande attenzione è stata dedicata alla madre di tutte le privatizzazioni inglesi, quella delle Ferrovie.
Si tratta di in cambio di rotta del tutto inimmaginabile anche solo qualche anno fa per via delle virtù magiche allora attribuite dai più al libero mercato e di un predominante isomorfismo ideologico che puntava al lasseiz-faire. È comunque un fenomeno che viene da lontano e che è andato progressivamente montando nella politica e nella società civile e si alimenta di numerosi fattori:
- I cattivi risultati ottenuti da gestori privati negli ultimi anni sul fronte economico e/o dal punto di vista sociale (il caso del Ponte Morandi ma non solo – la situazione inglese sopra riportata – ci comunicano che qualcosa non è sempre andato per il verso giusto);
- La crisi finanziaria del 2008 ha ridato, soprattutto nel settore finanziario, centralità al ruolo del sistema pubblico;
- L’instabilità alla base del disegno dell’EU a seguito della crisi del 2011;
- La crescita di giganti economici come la Cina in cui, nonostante le privatizzazione effettuate, il ruolo del sistema pubblico è larghissimamente predominante.
Che fare? Domanda esplosiva visto che si tratta di asset di grandissima rilevanza economica (infrastrutture, energia, acqua, telecomunicazioni, ecc.) e di grande impatto per la qualità della vita della società. Come sempre, occorre evitare di cadere nella atavica battaglia dei guelfi e ghibellini, che troppo spesso ha attanagliato il nostro Paese; dobbiamo stare molto lontani da qualsiasi atteggiamento dogmatico o fideistico: in un senso o nell’altro. Soprattutto oggi dobbiamo mantenere il sangue freddo e evitare di ritornare alla partenza quando l’esperienza di questi decenni ci ha insegnato molto: per assumere una prospettiva equilibrata dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse e del rispetto dei fabbisogni del mercato. In questo senso, è davvero importante procedere con ordine nel ragionamento, cercando di mettere in sequenza (spero logica) le variabili principali di un processo decisionale certamente non semplice.
La crisi finanziaria del 2008 ha ridato, soprattutto nel settore finanziario, centralità al ruolo del sistema pubblico.
Occorre, in primo luogo, osservare che il tema della eventuale ri-nazionalizzazione (anche parziale) di pezzi della nostra economia non può essere affrontato senza una visione economica e strategica. In particolare, occorre evitare di fare come nel passato in cui la stagione delle privatizzazioni è stata accompagnata da una sorta di quasi-rifiuto per le politiche industriali. L’Italia ha bisogno invece, oggi come non mai, di un disegno di politica industriale, che definisca settori strategici su cui concentrare attenzione e capitali pubblici. Si tratta in altre parole di identificare settori e obiettivi di sviluppo industriale prioritari per la competitività del nostro Paese e procedere conseguentemente. Ai nostri politici, mi permetto un qualche suggerimento; ovvero di prestare attenzione al presidio delle frontiere tecnologiche su cui l’Italia vanta ancora un posizionamento di rilievo, il sostegno e la promozione delle reti (fisiche e virtuali) e la difesa della sicurezza nazionale.
L’Italia ha bisogno invece, oggi come non mai, di un disegno di politica industriale, che definisca settori strategici su cui concentrare attenzione e capitali pubblici.
Bisogna d’altro canto essere consapevoli che la definizione del che cosa presidiare/sostenere non porta necessariamente all’affermazione di un percorso di nazionalizzazione; contribuisce piuttosto a definire in modo trasparente il perimetro degli interessi del nostro Paese. Sul come operare – e quindi definire il ruolo specifico del pubblico vs privato – dobbiamo rifuggire da ricette assolutiste, che tendono a privilegiare l’una o l’altra prospettiva. In quest’ottica, è invece opportuno evidenziare che la gestione di asset e servizi di pubblica rilevanza (nei termini precedentemente definiti) deve far fronte ad una prospettiva duale:
- L’azionista, che deve trovare una remunerazione per il capitale investito;
- Il cittadino, che deve poter aver accesso ad asset adeguati dal punto di vista tecnologico (pensiamo al caso delle infrastrutture) e a prezzi ragionevoli.
È questo a tutti gli effetti un trade-off, come direbbero gli economisti, che deve essere tenuto nel dovuto conto dal regolatore nel momento in cui affronta un qualsiasi processo decisionale. Per fortuna gli studi scientifici ci vengono in aiuto (dobbiamo sperare che vengano consultati anche dai nostri politici). Più precisamente, autorevoli ricerche condotte su scala globale hanno evidenziato come i business che sono stati privatizzati negli anni ’80 e ’90 si siano rivelati più efficienti e abbiano registrato investimenti significativamente superiori rispetto ai casi in cui la mano pubblica ne ha conservato la proprietà e la gestione.
Autorevoli ricerche condotte su scala globale hanno evidenziato come i business che sono stati privatizzati negli anni ’80 e ’90 si siano rivelati più efficienti.
Un più recente studio (2016) del professor Megginson dell’Università dell’Oklahoma è giunto alle medesime conclusioni avendo come periodo di osservazione i primi quindici anni del terzo millennio. Insomma, la scienza ci dice, attraverso l’esame delle esperienze reali portate avanti in giro per il mondo, che quando si analizza il complesso delle esperienze di privatizzazione, la gestione del privato non conosce rivali. Il diavolo però, come sempre si annida nei dettagli; queste sono conclusioni che valgono in termini medi e complessivi e non sono necessariamente valide per tutti i casi. Per dipanare la questione dobbiamo fare riferimento alla teoria di funzionamento delle organizzazioni, rimando l’attento lettore di List ad un libro molto interessante per lo scopo di questa riflessione, The Org: The Underlying Logic of the Office, di Ray Fisman e Tim Sullivan, edito da Harvard Business Review Press.
Nella sostanza, possiamo ricavare le seguenti considerazioni:
- Ogni organizzazione (pubblica o private che sia) deve gestire un trade-off tra obiettivi contrastanti; la sfida è gestirli ed è molto più difficile di quanto si pensi. British Petroleum, ad esempio, quando era pubblica prestava troppo poca attenzione alla gestione delle risorse dal momento che i manager si curavano principalmente della loro conferma da parte dell’attore pubblico; in mani private, è caduta nell’estremo opposto: troppa enfasi sui profitti a discapito di altri obiettivi (ad esempio, quelli di natura ambientale);
- Il successo o il fallimento di una organizzazione dipende dalla sua capacità di indentificare con chiarezza gli obiettivi e allineare di conseguenze gli interessi del management; tenendo presente che qualsiasi sistema di incentivi può introdurre completamente distorti. Emblematico, in questo senso, l’esperienza raccontata dal sociologo Peter Moskos, che si è aggregato alla polizia di Baltimora per studiare il comportamento a seguito di una richiesta governativa di incrementare il numero di arresti. La risposta non si è fatta attendere: 20.000 persone arrestate in un anno in un distretto di 45.000 persone; per carità non un gran distretto sul fronte della sicurezza ma i numeri sono davvero abnormi e, per di più, l’incidenza degli omicidi è continuata ad aumentare;
- Più incentiviamo il miglioramento di prestazioni che sappiamo misurare, e non incentiviamo obiettivi che sono importanti ma non misuriamo, e più indurremo nell’organizzazione comportamenti distorti. Della serie: quello che viene misurato è quello che viene gestito, quello che viene gestito corrisponde a quanto viene realizzato.
In virtù di queste riflessioni, possiamo ricavare elementi utili per la gestione del dualismo pubblico-privato. Emerge, in particolare, con grande evidenza il fatto che le organizzazioni pubbliche e quello private differiscono in misura molto significativa circa le modalità di raggiungimento dei loro obiettivi. Il profitto è uno dei più potenti motori del comportamento umano – nella prospettiva di allineare interessi del management con quelli aziendali – ma può presentare anche significativi inconvenienti: le imprese private, essendo “oggetto della dittatura del profitto”, hanno pochi spazi di manovra per gestire la tensione che consegue alla necessità di far fronte ad obiettivi non convergenti.
Il profitto è uno dei più potenti motori del comportamento umano ma può presentare anche significativi inconvenienti.
Questo ci porta a identificare, per lo meno in termini teorici, gli ambiti in cui il privato è in grado di far meglio del sistema pubblico. Se un’attività può essere definita chiaramente nei suoi confini ed è possibile associarvi obiettivi chiari e sistemi di incentivi coerenti a coloro che la gestiscono, allora il ricorso al privato rappresenta la soluzione migliore (in virtù degli studi sopra richiamati). Occorrono ovviamente contratti molto chiari tra il pubblico – che affida la gestione di un asset/servizio prioritario a seguito dello sforzo di definizione di una politica industriale seria per il Paese – e il privato incaricato.
Se invece gli obiettivi di esercizio di una attività non sono facilmente circoscrivibili – rendendo difficile l’allineamento tra obiettivi di profitto e altre dimensioni di prestazione a valenza prettamente sociale – la privatizzazione potrebbe non rappresentare la scelta migliore; è questo un aspetto che negli anni ’90 si è in parte trascurato in nome di obiettivi di razionalizzazione della spesa e di fare cassa per sostenere altre spese correnti o ridurre il livello di indebitamento pubblico. Certamente il tema della disponibilità di competenze e persone all’interno del sistema pubblico è comunque elemento dirimente per la scelta in una o nell’altra direzione.
Consigli (non richiesti) ma spero utili. Applicare questa prospettiva all’Italia mi porta a formulare alcune riflessioni finali, che rivolgo direttamente ai nostri politici in tono quasi gergale da social network (ambiente in cui peraltro sguazzano).
- Prego astenersi dai sogni. In molti casi non abbiamo competenza all’interno del mondo pubblico in grado di gestire contesti di business che sono ormai molto complessi;
- Leggete con attenzione l’arena competitiva. In questo senso, il sogno di nazionalizzare nuovamente Alitalia è davvero da riporre nel cassetto: l’intensità della rivalità sul fronte competitivo, l’entità degli investimenti in gioco e la complessità del business rendono più che utopica l’ipotesi di un’Alitalia pubblica e italiana in grado di stare sul mercato offrendo ai passeggeri servizi competitivi;
- Definite sempre regole chiare sul fronte degli impegni e delle modalità di funzionamento dell’operatore privato coinvolto nella gestione di un bene/servizio di interesse pubblico. Non sono accettabili zone d’ombra in cui la controparte inevitabilmente riesce ad insinuarsi per favorire gli interessi dell’azionista a discapito di quelli della collettività; ma questo richiede ovviamente competenze rilevanti ed autorevolezza del versante pubblico.
- Privilegiate, in un quadro di regole chiare, la competenza anche a discapito della fedeltà del management. È questo uno dei temi più delicati; l’esperienza peraltro di alcune nostre imprese in cui il pubblico è presente in misura significativa (Enel, Ferrovie, Poste) dimostra che si possono ottenere risultati molto positivi ma solo in presenza di persone con la “schiena dritta” e in possesso di robuste competenze manageriali e tecnologiche.
Nel complesso, in un Paese che ha istituzioni deboli come l’Italia e che non sempre annovera nelle proprie istituzioni pubbliche competenze di assoluta eccellenza, l’ipotesi che il sistema pubblico si riporti completamente in pancia la gestione di asset e servizi ritenuti prioritari non appare praticabile quantomeno su larga scala; se invece lo Stato decidesse di acquisire una quota (non maggioritaria) nell’equity delle aziende (private) incaricate di gestire asset pubblici potrebbe ottenere, in non pochi casi, una soluzione win-win: sarebbe garantita una marcatura stretta sull’operato del privato e si riuscirebbe probabilmente a gestire con maggiore oculatezza il tema della limitata disponibilità di competenze qualificate all’interno del mondo pubblico. Secondo questa ipotesi, sarebbe evidentemente necessario costituire un’Agenzia del Tesoro in possesso delle professionalità e delle risorse finanziarie necessarie per acquisire e gestire tutte le partecipazioni che, coerentemente con la politica industriale deliberata, verrebbero ad essere nella mano pubblica.
In un Paese che ha istituzioni deboli come l’Italia, l’ipotesi che il sistema pubblico si riporti completamente in pancia la gestione di asset e servizi ritenuti prioritari non appare praticabile su larga scala.
Il lettore dirà: ma in questo modo si ritorna all’IRI. Arrivati a questo punto, devo confessare che in parte rimpiango quel periodo: avevamo leadership tecnologica e imprese di grandi dimensioni in un numero non piccolo di settori. Non solo: tornando a bomba, avevamo anche una visione, che dobbiamo presto recuperare permettendo al meglio che c’è del mondo privato di operare in sinergia con il sistema pubblico e in un quadro di regole e controlli chiaro per la crescita del nostro Paese. Fate presto ma, nel contempo, con i piedi ben piantati per terra! La nazionalizzazione tout-court è infatti la risposta sbagliata ad un problema reale.
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5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
misura
specificata nell'offerta in relazione al pacchetto scelto dall'Utente.
5.2 Tutti i prezzi indicati nell'offerta si intendono comprensivi di IVA.
5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
effettuare gli
acquisti online. Le carte accettate sono le seguenti: Visa, Mastercard, American Express.
5.4 L'Utente autorizza il Fornitore ad effettuare l'addebito dei corrispettivi dovuti al momento
dell'acquisto
dell'Abbonamento e dei successivi rinnovi sulla carta di pagamento indicata dallo stesso Utente.
5.5 Il Fornitore non entra in possesso dei dati della carta di pagamento utilizzata dall'Utente. Tali dati
sono
conservati in modo sicuro dal provider dei servizi di pagamento utilizzato dal Fornitore (Stripe o il
diverso provider
che in futuro potrà essere indicato all'Utente). Inoltre, a garanzia dell'Utente, tutte le informazioni
sensibili della
transazione vengono criptate mediante la tecnologia SSL – Secure Sockets Layer.
5.6 È onere dell'Utente: (i) inserire tutti i dati necessari per il corretto funzionamento dello strumento
di pagamento
prescelto; (ii) mantenere aggiornate le informazioni di pagamento in vista dei successivi rinnovi (per
esempio,
aggiornando i dati della propria carta di pagamento scaduta in vista del pagamento dei successivi rinnovi
contrattuali).
Qualora per qualsiasi motivo il pagamento non andasse a buon fine, il Fornitore si riserva di sospendere
immediatamente
l'Abbonamento fino al buon fine dell'operazione di pagamento; trascorsi inutilmente 3 giorni senza che il
pagamento
abbia avuto esito positivo, è facoltà del Fornitore recedere dal contratto con effetti immediati.
Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
interamente
attraverso la piattaforma App Store fornita dal gruppo Apple. Il pagamento del corrispettivo è
automaticamente
addebitato sull'Apple ID account dell'Utente al momento della conferma dell'acquisto. Gli abbonamenti
proposti sono
soggetti al rinnovo automatico e all'addebito periodico del corrispettivo. L'Utente può disattivare
l'abbonamento fino a
24h prima della scadenza del periodo di abbonamento in corso. In caso di mancata disattivazione,
l'abbonamento si
rinnova per un eguale periodo e all'Utente viene addebitato lo stesso importo sul suo account Apple.
L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.