29 Agosto
Macron, il tuono che rischia di finire in un lampo
Si presenta come l'avversario dei populisti, afferma di essere il nemico di Salvini e Orban, parla molto di Europa, ma in casa ha problemi sempre più grandi. Si è dimesso il ministro dell'Ambiente, le Figaro definisce la sua non-linea politica "ieri geniale, oggi pericolosa". Da En Marche a RetroMarche, storia di un fenomeno (populista) incompiuto
"Ieri geniale, oggi pericoloso". Così le Figaro ha dipinto nell'editoriale in prima pagina la parabola politica di Emmanuel Macron. Le dimissioni del ministro dell'Ambiente, Nicolas Hulot, sono non un campanello d'allarme - ne erano suonati tanti in questi mesi - ma la conferma che la presidenza Macron si sta ripiegando e i suoi tentativi di rilancio si scontrano con il suo peggior nemico: se stesso, la sua politica nè nè. Nè di destra nè di sinistra, cioè nulla. Il rischio peggiore per Macron, in fondo, era questo fin dall'inizio: assecondare tutto per finire in niente. In un paese, la Francia, dove destra e sinistra sono ancora un potente motore dell'immaginario, questa scelta di non-essere sta consumando Macron.
Macron ha affermato oggi di essere lui il baluardo dei populisti in Europa. Detto da un populista come lui fa sorridere. "Hanno ragione, sono il loro oppositore principale" ha detto Macron riferendosi a Salvini e Orban. "Non cederò niente ai nazionalisti e a coloro che difendono i discorsi di odio. Se vogliono vedere in me il loro oppositore principale, hanno ragione". Il problema di Macron è che nessuno lo vede, il suo progetto di Europa è naufragato di fronte al Nein della Germania, la Francia è una teiera che fischia. Così il presidente parla molto di politica internazionale per mettere una maschera ai suoi problemi in casa. Le dimissioni di Hulot parlano da sole, un ministro che lascia "per non mentire più a me stesso", cioè per chiuderla con il racconto di una cosa che non è e non c'è: il governo En Marche. Al limite, se c'è, è decisamente En Retromarche.
Applaudito - giustamente - quando mise a segno la sua spettacolare vittoria, per un certo periodo è sembrato ai progressisti di casa nostra il perfetto sostituto del santone che aveva vegliato su...
"Ieri geniale, oggi pericoloso". Così le Figaro ha dipinto nell'editoriale in prima pagina la parabola politica di Emmanuel Macron. Le dimissioni del ministro dell'Ambiente, Nicolas Hulot, sono non un campanello d'allarme - ne erano suonati tanti in questi mesi - ma la conferma che la presidenza Macron si sta ripiegando e i suoi tentativi di rilancio si scontrano con il suo peggior nemico: se stesso, la sua politica nè nè. Nè di destra nè di sinistra, cioè nulla. Il rischio peggiore per Macron, in fondo, era questo fin dall'inizio: assecondare tutto per finire in niente. In un paese, la Francia, dove destra e sinistra sono ancora un potente motore dell'immaginario, questa scelta di non-essere sta consumando Macron.
Macron ha affermato oggi di essere lui il baluardo dei populisti in Europa. Detto da un populista come lui fa sorridere. "Hanno ragione, sono il loro oppositore principale" ha detto Macron riferendosi a Salvini e Orban. "Non cederò niente ai nazionalisti e a coloro che difendono i discorsi di odio. Se vogliono vedere in me il loro oppositore principale, hanno ragione". Il problema di Macron è che nessuno lo vede, il suo progetto di Europa è naufragato di fronte al Nein della Germania, la Francia è una teiera che fischia. Così il presidente parla molto di politica internazionale per mettere una maschera ai suoi problemi in casa. Le dimissioni di Hulot parlano da sole, un ministro che lascia "per non mentire più a me stesso", cioè per chiuderla con il racconto di una cosa che non è e non c'è: il governo En Marche. Al limite, se c'è, è decisamente En Retromarche.
Applaudito - giustamente - quando mise a segno la sua spettacolare vittoria, per un certo periodo è sembrato ai progressisti di casa nostra il perfetto sostituto del santone che aveva vegliato su di loro, Obama. Il Papa straniero al quale il Pd si è sempre aggrappato per non dover fare i conti con i ritratti vuoti della sua leadership post-berlingueriana. Macron era perfetto: ben vestito, un ex di banca Rothschild, portafoglio a destra e cuore a sinistra (maddeché), ministro dell'Economia con il povero Hollande che dava degli "sdentati" agli elettori della destra, iscritto naturalmente al partito dei carini inamidati, un giovane "temperato" nel carattere dalla relazione cronologicamente avanzata con Brigitte, un Enarca, cioè il prodotto di un laboratorio tecnocratico, fatto biografico che piace alla gente che piace, insomma un volterriano a prescindere.
Applausi, dunque, alla sua retorica europeista che in realtà nascondeva un progetto di rilancio nazionalista. Macron ha davanti una Francia che fatica a uscire dalla stagnazione morale, uno stato psicologico - la "nevrosi" individuata perfettamente dallo scrittore Michel Houllebecq - che si traduce in un aumento della tensione politica e sociale. La Francia è un paese malato, pensa all'impero senza averne più uno, vorrebbe ancora un De Gaulle, lo cerca continuamente e non lo trova, desidera guidare ma non ha né carro né cavalli per farlo, ha grandi aziende che corrispondono sempre meno alla fisionomia della nazione, il suo protezionismo le salva dalle scalate, non dalla storia che le rende cosmopolite per necessità di capitale, trimestrale e utile, Parigi vorrebbe sorpassare Berlino ma la Foresta Nera resta un'imbattibile officina di export mondiale, alla fine Parigi si accontenta di fare shopping nel paese di quegli sciagurati che parlano tanto di nazione senza mai difenderla, l'Italia.
La Francia ha una politica estera dove le ex colonie sono materia prima, ma quel che hanno lasciato i francesi in Africa, Asia e nelle Americhe è meglio scordarlo. Resta Parigi, c'è la campagna con le sue pianure grasse, una distanza abissale tra metropoli e pascolo, quei Pirenei che sono sempre passage verso un altro mondo, sempre latino ma irrazionale e donchisciottesco, poi c'è l'Atlantico, con il suo maestoso niente che nutriva l'immaginazione di Simenon, un orizzonte, una via di fuga, il richiamo del "mare chiuso", il Mediterraneo, uno spazio liquido e sabbioso dove Macron s'immagina capitano, pirata, commerciante e generale, ma senza la zampata di Napoleone in Egitto.
Questo voler essere tutto senza definire niente lo sta spegnendo come una candela. Non lentamente, ma lestamente. Non piano, ma forte. Non languidamente, ma furiosamente. Macron fu un tuono, rischia di finire in un lampo.
***
Si può dire che è pur sempre preferibile il populismo di Macron a quello di Di Maio e Salvini e che a Parigi un pensiero c'è e a Roma quel che si vede è uno spettacolo da pomodori e cavolfiori. L'idea che la politica sia destinata agli intellettuali di finissimo conio è una pia illusione. Winston Churchill era una macchina narrativa e uno statista, ma di Churchill nella storia ne è rimasto uno. La politica resta azione, immediatezza, improvvisazione e machiavellica Fortuna. Il contemporaneo poi, figuriamoci, è tutta una faccenda di social e non di biblioteca, di tele-cadenti spiaggiati sul primo canale che irradia qualcosa qualunque essa sia, di like e retweet, siamo già immersi totalmente nel tempo di The Circle, il libro di Dave Eggers, le pagine dove ricorrono i tre mantra: “Secrets are lies, sharing is caring, privacy is theft.” I segreti sono bugie. Condividere è essere premurosi. La privacy è un furto.
Macron e gli altri protagonisti della politica presente sono figli di un tempo accelerato, siamo in una terra di mezzo. Ne conosciamo il passato, possiamo catalogare i populismi di ieri, ma il futuro è più che mai un enigma. Su Aspenia (la rivista dell'Aspen Institute) nel maggio del 2017 il titolare pubblicò un mini-saggio sul tema del populismo. Ve lo riproponiamo, scritto un anno prima del sottosopra elettorale d'Italia, torna in pagina un anno dopo, raffinato in barrique. Buona lettura.
Il populista delle élite
Aspenia, numero 77, maggio 2017.
Populismo. La parola è diventata l’ultima forma di insulto à la page, l’arma di distruzione di massa delle presunte classi colte quando devono liquidare un fenomeno che era nel copione, il fenomeno paranormale di cui non riescono a spiegarsi l’esistenza. Populista, in questa declinazione da terrazza con vista sulle rovine fumanti, è tutto ciò che ha una radice popolare, è il mosto in fermentazione dell’irrazionale, l’afrore del popolo dove il sotto testo, il non detto (ma pensato) è il dispregiativo appuntato sulla giacca lisa di chi commercia con la realtà, la plebe.
Strano destino, quello del populismo, un testacoda storico che poteva riuscire solo in presenza di un’élite incapace di ascoltarlo e capirlo, il popolo. La parola è di origine russa,narodničestvo, nasce nei circoli politico-letterari dei rivoluzionari anti-zaristi dell’Ottocento, la radice è narod, popolo. Ha natali socialisti e nobili, il populismo.
Del populismo conosciamo la sorgente (più o meno nobile), ma se ci mettiamo in marcia per arrivare al mare, scopriamo che quel fiume si biforca in altri corsi d’acqua e arrivare alla diventa un gioco nel labirinto. Il populismo ha contaminato anche chi populista dice di non esserlo. La realtà nuda e cruda - e dunque inaccettabile nel dibattito a una dimensione - è che partiti, leader e movimenti politici oggi sono in svariata gradazione tutti populisti, anti-sistema anche quando sono loro il sistema, un paradosso che è evidente nell’elezione di Macron alla presidenza francese, l’ex ministro dell’economia del governo Hollande che uccide il Partito socialista con un movimento politico nuovo di zecca chiamato En Marche, un passaggio subliminale del ritornello della Marsigliese:
Aux armes, citoyens!
Formez vos bataillons!
Marchons! Marchons!
Qu’un sang impur
Abreuve nos sillons!
E presa della Bastiglia fu. Ieri e oggi. Marchons! En Marche!
Il populismo nelle sue svariate gradazioni è dunque un elemento costitutivo della vecchia e nuova politica, buona e cattiva, democratica e dispotica. Bisogna solo mettersi d’accordo su un dettaglio: che cosa è il populismo? Prendiamo Il Dizionario di Politica di Bobbio, Matteucci e Pasquino, proviamo a fissare una definizione. Più si va avanti nella lettura della voce enciclopedica, populismo, più i dubbi aumentano. La preziosa descrizione storica non riesce a catapultarsi nel presente, perché quei confini un tempo impregnati di -ismi sono saltati, la storia ha fatto un balzo imprevisto, ha scardinato le teorie del meccanicismo sociale e le categorie di interpretazione sono finite gambe all’aria. L’effetto è quello di un duello tra la realtà, armata di pietre e bastoni, e la sociologia politica da boudoir accademico che nel tentativo di ammazzare il dibattito sul nascere preme il grilletto di una pistola scarica: clic, un sordo suono metallico, il proiettile non parte. Prima era facile: destra, sinistra, ogni tanto un centro, un centrino, un esoterico liberale qua e là, e il test di lettura politicamente corretta andava liscio. Ma ora? Cosa è destra e cosa è sinistra? Rien ne va plus, les jeux sont faits, signore e signori, siamo in un altro mondo.
Il populismo nelle sue svariate gradazioni è dunque un elemento costitutivo della vecchia e nuova politica, buona e cattiva, democratica e dispotica. Bisogna solo mettersi d’accordo su un dettaglio: che cosa è il populismo?
La vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi è stata un buona notizia per l’Europa, una delle poche dall’inizio della crisi del 2008 a oggi, ma un bagliore nella notte non deve trarre in inganno, perché se è vero che il populismo nella sua versione ultra non governa in Europa (per ora), se è chiaro che le sue forme politiche estreme nel Vecchio Continente sono inadeguate, non hanno leadership di governo e mancano di cultura – in poche parole, non leggono, non sanno pensare e scrivere un manifesto politico - se è evidente questa incapacità (temporanea?) di essere nel mondo, è altrettanto chiaro che esiste una forza del rancore e della pena che non governa (in Europa) ma non è affatto in arretramento (guardare i voti), è sedimentata nel profondo della società, è un fattore dormiente carico di inquietudine che di volta in volta si mobilita, ha un immaginario e conta numeri che dovrebbero far riflettere. Sempre nel caso francese, l’ultimo che fa scuola - e che insieme all’elezione di Trump rappresenta un altro turning point della storia - se sommiamo i voti di Le Pen, Mélenchon e Dupont-Aignan, scopriamo che oltre venti milioni di francesi, la metà dell’elettorato, sono euroscettici. A questi voti va aggiunto – in chiave anti-partito – il consenso fulminante raccolto da Macron che rappresenta un nuovo inizio dell’antica lotta tra gli Antichi e i Moderni: l’avanzata dell’uomo giovane senza storia, partito e spartito ideologico.
Il populismo non è affatto in arretramento (guardare i voti), è sedimentato nel profondo della società, è un fattore dormiente carico di inquietudine che di volta in volta si mobilita, ha un immaginario e conta numeri che dovrebbero far riflettere.
Quando è finita l’antichità del Novecento europeo? E’ un tema aperto a cui il passagesulla Senna trasmette una drammatica e energetica accelerazione. La storia si diverte a giocare a dadi con i suoi luoghi e personaggi, per questo l’epicentro del sisma politico (e culturale) è in Francia. E’ esattamente là dove era cominciato tra il Seicento e il Settecento. Nel delizioso libro “Le api e i ragni” di Marc Fumaroli (Adelphi) ricostruisce questa disputa, la sua mondanità che galoppa con la diffusione della lingua francese e la sostituzione del latino, la nascita del “pubblico dei lettori parigini” che “diventa il tribunale internazionale dei libri al posto del pubblico internazionale dei dotti che leggono, scrivono e pubblicano in latino”. La cultura è politica, la politica è l’arte del governo, il punto di contatto tra l’elite e il popolo che si materializza attraverso la diffusione della lingua, il link che apre il futuro. Non a caso nel 1635 il cardinale Richelieu fonda l’Académie Française. Il populismo si dispiega attraverso una neolingua che sostituisce intere categorie in una logica d’opposizione tra noi e gli altri: non più destra e sinistra, ma élite e popolo, sovranità e globalizzazione, nazione e internazionalizzazione, confine e apertura, lavoro e finanza. La neolingua – epifania di quella artificiale creata da George Orwell nel libro 1984 – conduce alla guignolizzazione del discorso politico, alla sua estremizzazione e radicalizzazione. I risultati politici in Francia ne sono un esempio spettacolare, destinato a replicarsi alle prossime elezioni politiche in Italia.
La cultura è politica, la politica è l’arte del governo, il punto di contatto tra l’elite e il popolo che si materializza attraverso la diffusione della lingua, il link che apre il futuro.
Con uno dei dati più alti d’astensione di sempre (25,38 per cento), il record storico di schede bianche (3 per cento, pari a 3 milioni di elettori) e voti nulli (2 per cento, pari a 1 milione di elettori) e quindi con 4 milioni di francesi che hanno scelto di non scegliere e un elettore su tre che ha votato Front National, l’elezione di Macron rischia di diventare un caso clinico di rimozione e rinvio. La rimozione del crollo verticale del Partito socialista (e della famiglia europea del Pse che a questo punto spera in una vittoria di Schulz in Germania per non finire sotto un treno). Il rinvio è quello della riforma della politica europea, tanto Macron ha vinto e lo spaventapasseri populista è sparito. Sarebbe un colossale errore. Dunque sarà consumato subito.
Nel frattempo, la storia sta facendo viaggiare a velocità supersonica il carro alato del movimento dei senza partito, un tratto comune a tre protagonisti emersi da altrettante crisi di sistema: Grillo in Italia, Trump negli Stati Uniti, Macron in Francia. Il Movimento 5Stelle è la risposta alla crisi dei partiti italiani; Trump è la reazione alla fine della politica dei clan familiari dei repubblicani e dei democratici, l’esito di una parabola cominciata con i Tea Party e Occupy Wall Street; Macron è il colpo di freccia al cuore di un socialismo francese agonizzante e una destra repubblicana in stato confusionale. Tutti nati senza partito: Grillo emerge dal palcoscenico dei suoi spettacoli; Trump è un self made man, una versione reloaded del jacksonismo americano; Macron è un rivoluzionario neo-illuminista che ghigliottina i suoi padri socialisti. L’ideologia di questa trinità politica è sfuggente, ma l’obiettivo di tutti è chiarissimo: abbattere l’ancien régime. È la presa della Bastiglia.
Nel frattempo, la storia sta facendo viaggiare a velocità supersonica il carro alato del movimento dei senza partito, un tratto comune a tre protagonisti emersi da altrettante crisi di sistema: Grillo in Italia, Trump negli Stati Uniti, Macron in Francia.
Il populismo è sfuggente, inafferrabile, perché mutevole, camaleontico, le sue mimetizzazioni sono un continuo aggiustamento, spostamento e superamento della realtà pre-confezionata. La liquidità del populismo confonde i suoi avversari rinchiusi nel recinto di una tradizione in disarmo, il manicheismo delle presunte classi colte non funziona, l’effetto collaterale di lunga durata è lo smarrimento dei partiti tradizionali che vedono alcuni temi dei loro programmi (o presunti tali) squadernati nei manifesti politici dei populisti. Nel passaggio tra il tramonto e l’alba, la confusione regna sovrana: la destra fa la sinistra, la sinistra fa la destra, i populisti fanno destra e sinistra, a loro volta destra e sinistra inseguono i populisti. È’ un gioco che non finisce mai, è come Space Invaders: uccidi un marziano, ne esce subito un altro più grande del precedente. E vai con la schermata successiva. Macron ha vinto? Oui, ma è senza partito. Il suo lavoro nasce fuori dalla famiglia tradizionale, il suo movimento è transgenico, tanto da riuscire a cancellare il suo non proprio marginale passaggio nel governo Hollande come ministro dell’Economia. Macron nelle etichette del ballottaggio veniva definito di “centro” e Le Pen di “estrema destra”. In mezzo, il naufragio della politica del Novecento.
Procediamo con un esempio pratico, a prova di fiamma ossidrica: in Italia il reddito di cittadinanza è il cavallo di battaglia del Movimento 5Stelle, il dibattito sul tema è lievitato come un soufflé prima online e poi è finito nell’impaginato in cronico ritardo del mainstream. A cottura ultimata, dal forno dei partiti in stato confusionale sono usciti altri manicaretti demagogici che in realtà sono deviazioni della proposta di Grillo: il Partito democratico di Matteo Renzi ha lanciato il reddito di inclusione e Silvio Berlusconi non ha fatto neppure la fatica di fare una sua proposta e ha sposato con un lesto drag and drop l’idea dei Cinque Stelle in base al principio elementare che se una cosa è sua e funziona sul piano elettorale allora la faccio mia trasferendola tout de suite nel mio sistema e poi vediamo l’effetto che fa. In questo caso, quanti populisti abbiamo di fronte? Tutti.
In Italia il reddito di cittadinanza è il cavallo di battaglia del Movimento 5Stelle, il dibattito sul tema è lievitato come un soufflé prima online e poi è finito nell’impaginato in cronico ritardo del mainstream.
L’inseguimento del populismo genera clown e mostri. L’ultimo esempio legislativo l’ha offerto sempre il Partito democratico nel varo della nuova legge sulla legittima difesa. A un certo punto della seduta a Montecitorio è stato approvato un emendamento che sanciva come legittima difesa “la reazione ad un’aggressione avvenuta di notte”. La notte tutti come l’ispettore Callaghan. E di grazia, di giorno che succede se i ladri entrano in casa? Si intavola una trattativa? Al tramonto, nella fase del vedo non vedo, si sta in attesa che sparisca il sole e poi si preme il grilletto? Segnaliamo la presenza di un enorme buco legislativo sulla fase di luna piena, ma non disperiamo, il legislatore saprà affrontarlo con l’ausilio delle fasi lunari e della clessidra. La realtà di un partito di sinistra che vuol essere (solo un po’, di notte) di destra ha come esito un corto-circuito tra il mezzo (il partito e la sua cultura) e il messaggio (la legge). Sono i corto-circuiti dell’innesto populista senza elaborazione del contenuto.
L’inseguimento tra guardie e ladri, nonostante gli sforzi del Parlamento di rendere la faccenda ridicola, in realtà è una cosa seria, rimanda al tema della sicurezza, argomento tra i più gettonati del juke-box dei partiti cosiddetti populisti. Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, in un delizioso libretto intitolato “Il consolato guelfo” ne ha di recente fissato il carattere in una riflessione sul governo del futuro:
Anzitutto, c’è un bisogno forte e diffuso di sicurezza. La sensazione di vivere in una società sbandata fa sì che nessuno si senta garantito in materia di sicurezza, sia personale che collettiva. Non sono sicuri i confini nazionali, come non sono sicuri i voli aerei; non sono sicure le abitazioni, come non sono sicure le strade; non sono sicuri i luoghi di lavoro, come non sono sicuri i luoghi di intrattenimento e divertimento; non sono sicure le colline che franano, come non sono sicuri i mari (luoghi ormai cimiteriali e di pirateria). Creano altresì insicurezza i migranti, il bullismo giovanile, l’enorme debito pubblico, la dipendenza dalle norme europee (che erano viste come fonte di stabilità e rigore), la macchinosità della burocrazia pubblica come quella dell’amministrazione della giustizia, le tensioni delle periferie urbane, i flussi incontrollabili e virali della comunicazione di massa.
Perfetto. Che cosa è questo elenco? È il default non programmato dell’élite, il naufragio della classe dirigente. La ragione fondante di Grillo. Di Trump. Di Macron.
Il populismo è incompatibile con l’internazionalismo? Sembrerebbe un fatto certo, ma questa opposizione viene poi ammorbidita, aggirata e perfino negata dai fatti. Tra i leader considerati populisti, solo Marine Le Pen in Francia ha tutte le caratteristiche per indossare l’abito cucito in esclusiva per la patria, ma alla prova della realtà il suo remettre en ordre la France si sposava subito con un’altra frase che la candidata del Front National ha pronunciato durante lo scartavetrato dibattito televisivo con Emmanuel Macron: “Il mondo aspetta la Francia”. Il mondo. È lo stesso mondo che Macron ha evocato nel suo discorso della vittoria nella piazza del Louvre:
Questa sera avete scelto di essere audaci, continueremo ad esserlo, audaci, perché è quello che il mondo si aspetta da noi. Si aspetta che la Francia, sia la Francia.
La Francia. E il mondo che attende la Francia. Il nazionalismo di Macron e il sistema internazionale che ha bisogno di un nuovo format.
Il problema non è quello di alzare il ponte levatoio, allagare il fossato e far nuotare a fauci spalancate i coccodrilli per isolare il castello dall’assalto dell’esercito globalista, ma il funzionamento dei forum di cooperazione internazionale. E’ il flipper dell’ordine mondiale che è andato in tilt. Game over, serve altro.
L’Occidentali’s Karma della politica, ancora una volta, suona soprattutto in Italia, il prossimo appuntamento di questo intrigante racconto della contemporaneità. Il Movimento 5Stelle ha una politica estera dadaista, una linea politica dove Nato, Unione Europea, Nazioni Unite sono viste come organizzazioni obsolete, addirittura un ostacolo per la pace nel mondo. Il Movimento 5Stelle dice di esser guidato dal faro del pacifismo, ciò significa che una permanenza dell’Italia nella Nato è impossibile e infatti in Commissione Esteri alla Camera i grillini tempo fa hanno presentato una proposta di legge che - a causa delle incompatibilità fissate sull’uso dello strumento militare e del nucleare - de facto impedisce la stipulazione di trattati di cooperazione con tutte le grandi potenze e conduce all’uscita dall’Italia dalla Nato e perfino dalle Nazioni Unite. Uno scherzo irrealizzabile? Oggi no, ma domani tutto è possibile, visto che secondo i sondaggi parliamo del primo partito italiano. L’osservato speciale si chiama Italia, il terzo debito pubblico del mondo.
Il populismo mette in discussione il dogma. Non è di destra, di sinistra, di centro, di sopra, di sotto o di sottosopra, è una cosa in sé camaleontica, non ha bisogno di un codice a barre e un’etichettatura per essere venduto al supermarket della politica, si presenta sullo scaffale per quello che è, senza belletto, a volte è brutto e inquietante, spesso affascinante come il diavolo, il sulfureo Woland de Il Maestro e Margherita di Bulgakov:
Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ecco l'ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quando c'è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco.
La sciocchezza è quella di chi affronta la sfida senza cercare una risposta politica efficace che parta proprio dalla messa in discussione dei dogmi fin qui seguiti come un libretto liturgico, l’algoritmo della convenienza e il tratto retorico della supponenza conducono dritti alla sconfitta. Siamo di fronte a un’altra forma di contagio del populismo, quello che durante le campagne elettorali si preoccupa di coprirsi a destra, a sinistra, in basso e in alto e dopo, a voto consegnato nell’urna, dimentica di aver percorso quella carretera che in ogni caso alle sue spalle lascia inesorabilmente le orme del passaggio. Non è indolore. Non è mai senza conseguenze. Così i leader e i loro gruppi di funzionari del potere sono todos caballeros e arriviamo al populismo a episodi, un serial dove la narrazione è imbellettata di “valori” scambiati con l’insistente “bevi qualcosa Pedro” delle novelas distribuite alla massa dei tele-morenti della tv del pomeriggio, ma la sostanza resta quella di un conflitto aperto tra l’istituzione - che nel reale e nell’immaginario rappresenta l’establishment - e un partito cripto-populista che insegue come una volpe affamata il partito all Populist. La parabola della sinistra guidata Jean-Luc Mélenchon, la France Insoumise, è questo sottosopra di significato e significante, fin dalla testata del suo blog l’accordo di chitarra pop rock è esplicito:
La traduzione di questo slogan è il né né in versione reloaded della sinistra francese, né con Macron né con Le Pen, un tic progressista che rilancia echi del passato anche italico (né con lo Stato né con le Br) e trova una esilarante traduzione in questa prima pagina del giornale satirico (da prendere dannatamente sul serio, ne sa qualcosa François Fillon) Le Canard enchaîné:
Ni ni. E lo splash della politica degli schieramenti pre-costituiti e dei partiti tradizionali. Ha vinto Macron, l’anti-partito. D’altronde, l’implosione del Partito socialista francese è là, sotto gli occhi del medico che ne esegue l’autopsia, mentre la sparizione per la prima volta nella storia della destra repubblicana dal ballottaggio è un rintocco di campana sinistro, anzi destro. Non si va da nessuna parte dunque? No, perbacco, si corre tutti dalla parte del popolo ma travisandolo, si liscia il pelo (senza dare una risposta vera) alla massa informe e mutante di cui Elias Canetti tracciò il carattere nello strabiliante lavoro di una vita, quel “Massa e Potere” che gli valse il premio Nobel. Mélenchon, Le Pen, Grillo, i Brexiters, Trump, Macron e gli altri soggetti che hanno superato il sistema tradizionale dei partiti fanno appello direttamente a quella che Canetti definisce massa di rovesciamento che, non a caso, nel libro trova il suo luogo descrittivo – ancora una volta, torniamo sul luogo del delitto, del capro espiatorio - nella presa della Bastiglia:
L’intera città si procura armi. La sommossa è diretta contro la giustizia reale, personificato dall’edificio assalito e conquistato. Vengono liberati prigionieri che poi si uniranno alla massa. Vengono giustiziati il governatore, responsabile della difesa della Bastiglia, e i suoi aiutanti. Ma si impiccano anche dei ladri ai lampioni. La Bastiglia è rasa al suolo, viene asportata pietra per pietra. La giustizia passa nelle mani del popolo, nei suoi due aspetti principali, la condanna capitale e la grazia.
Quella rivoluzione si compie nel sangue, genera il Terrore e in una perenne rivolta finisce per divorare anche i suoi figli. E’ l’eccesso del dominio, l’irrazionale. Ne vediamo tracce luminose anche in questa lunga notte del tempo presente. Ne “La morte di Danton”, sublime opera teatrale di Georg Büchner (il titolare consiglia l’edizione di Adelphi), uno dei passaggi centrali è in questo scambio di battute tra Danton e Robespierre.
Danton – Dove cessa la legittima difesa comincia l’assassinio, e non vedo alcuna ragione che ci costringa a uccidere ancora.
Robespierre – La rivoluzione sociale non è ancora finita, chi fa una rivoluzione a metà si scava da sé la propria fossa. La buona società non è ancora morta, la sana forza popolare si deve mettere al posto di questa classe rovinata in ogni senso. Il vizio dev’essere punito, la virtù deve dominare per mezzo del terrore.
La sana forza popolare. Questo è l’estremo tagliente, il colpo netto, l’utopia che si trasforma in totalitarismo, la massa di rovesciamento che alla fine travolge anche i suoi agitatori. La ghigliottina è scritta anche nel futuro di Robespierre.
La massa può arretrare, sciogliersi, sparire e riapparire, ma una cosa è certa: chi pensa che le elezioni in Olanda e in Francia chiudano un capitolo della storia, si sbaglia. In Olanda governa una destra che al primo ruggito della Germania si riunirà nella nuova Lega Anseatica contro il Club Med del debito pubblico e dell’allegra gestione di bilancio, la Francia anche con Macron resta inchiodata al lettino dello psicanalista, in quello stato che lo scrittore francese Michel Houellebecq ha efficacemente chiamato nevrosi, la condizione innescata dalla divergenza tra il segno del governo e lo spirito inquieto della nazione fratturata. Macron ha annullato un rischio (Le Pen), distrutto i socialisti, costretto all’angolo la destra repubblicana, respinto la ribellione dei mélenchonisti, ma cammina sulle macerie del Novecento e il suo compito sarà quello di essere un “conquistatore-ricostruttore”, definizione che Louis Madelin, accademico di Francia, coniò per il generale Bonaparte, “l’architetto del Regime Moderno”. Nell’edizione Mondadori del 1937 del libro compare in epigrafe una frase di Napoleone:
Io sono della migliore razza di Cesari, quella che fonda.
Il populismo anti-partito di En Marche è il tasto reset sul software obsoleto dei partiti, ma il download di un nuovo programma per ora non c’è, il codice è ancora tutto da scrivere e scoprire. E la massa di ribaltamento ha fretta.
Senza scomodare il materialismo storico – lasciamo che Marx riposi in pace - ai perdenti della globalizzazione è dovuta una risposta. Quasi quaranta milioni di disoccupati nell’area Ocse la chiedono. Il popolo invoca pane e lavoro, spesso la reazione infastidita è stata quella di Maria Antonietta: “Che mangino brioches!”. La storia non vi torna? Allora entriamo nel campo della magia pura e bisogna chiedersi in quale officina dell’Oscuro Signore di Mordor siano potuti nascere la Brexit di Farage e Johnson, l’elezione di Trump, Le Pen e Mélenchon in Francia, il Movimento 5Stelle in Italia (il terzo debito pubblico del mondo), Orban in Ungheria, il nazionalismo della Polonia. I partiti all’estremo dello spettro populista, sono sic et simpliciter partiti nazionalisti con un alto grado di entropia e nessun punto ideologico, formazioni che reinterpretano un messaggio antico.
La storia non vi torna? Allora entriamo nel campo della magia pura e bisogna chiedersi in quale officina dell’Oscuro Signore di Mordor siano potuti nascere i movimenti populisti.
Il tratto nuovo di questo fenomeno è nella diffusione del loro messaggio con una velocità esponenziale – senza mediazioni – grazie al pervasive computing. America First è un vecchio slogan; Mussolini e l’Uomo Qualunque in Italia vengono ben prima di Grillo; il nazionalismo è una vecchia conoscenza della Francia; la Germania ha una storia che parla (anzi, urla, come nel quadro di Edward Munch) da sola, l’antieuropeismo inglese è stampato nella sterlina, l’anticapitalismo totalitario delle sinistre di ieri e di oggi surfa nella storia dai tempi di Marx e Engels e si proietta in un domani di ferro e sangue nella torcida venezuelana. Il passato avanza al galoppo della cavalleria corazzata. Questo grafico è tratto da uno studio recente di Bridgewater, l’hedge fund guidato da Ray Dalio:
Siamo immersi in una condizione spirituale simile a quella degli anni Trenta. Ma in uno scenario accelerato dalla rete, con la diffusione e dispersione di senso dei social media e – cito ancora Canetti - con la massa di rovesciamento che si muove come una muta di caccia.
Guardatevi in giro, non farete fatica a riconoscerne i segni e soprattutto captare i silenzi colpevoli delle classi dirigenti. Non a caso, in un altro splendido testacoda della storia, i punti di svolta della contemporaneità arrivano da Washington e Parigi, dalle capitali delle rivoluzioni che avviarono il Moderno. E sempre per un gioco del fato, sulla scacchiera è comparso anche il pezzo pregiato della Regina, Londra. L’ascesa inarrestabile di Trump, la vittoria fulminea di Macron, lo shock culturale della Brexit.
Guardatevi in giro, non farete fatica a riconoscerne i segni e soprattutto captare i silenzi colpevoli delle classi dirigenti.
Macron in Francia apre un’altra fase della storia? Può darsi. È solo una questione di tempo, maturazione delle pere e delle mele. Senza risposte, questi frutti cadranno al suolo in forme diverse. E non ci sarà Isaac Newton a spiegare la forza di gravità alla vista della mela che cade. Non è tempo di geni, ma di mezze figure. E’ più facile trasformare il populismo in uno scarafaggio che fornire una risposta seria e un’azione politica coerente.
L’unica arma è quella della diffusione della cultura, dell’educazione. Coltivare il pensiero libero. Il problema è uscire da questa metamorfosi kafkiana. Fate una passeggiata tra le rovine della terra desolata (T. S. Eliot, Note intorno alla definizione di cultura, 1948), tra i lampi di sterminio e la perdita di senso e spirito (George Steiner, Nel castello di Barbablù, 1971), tra le cattedrali della banalizzazione della società dello spettacolo (Mario Vargas Llosa, Note sulla morte della cultura, 2015) e avrete un quadro preciso del batterio che ha attaccato la pianta del sapere. La crisi non è quella del populismo, ma l’aridità delle élite che pensano di sapere tutto e davanti a un nuovo scenario sono incapaci di pensare a una soluzione originale, è quella che il polemista inglese del Seicento William Hazlitt chiamava l’ignoranza delle persone colte:
Il dotto non è che uno schiavo letterario. Se lo mettete a scrivere una composizione propria gli gira la testa e non sa più dov’è. Gli infaticabili lettori di libri sono come gli eterni copisti di quadri che, quando provano a dipingere qualcosa di originale, trovano che manca loro l’occhio veloce, la mano sicura e i colori brillanti, e perciò non riescono a riprodurre le forme viventi della natura.
Trump e Macron, due figure senza partito – senza il retroterra del già visto, già detto, già classificato – hanno colto la materia incandescente della contemporaneità.
A queste note dovremmo aggiungere due pilastri putrescenti dell’ideologia contemporanea: la deificazione della tecnologia fine a se stessa e la trasformazione dell’economia da scienza sociale in dogma religioso. La Brexit e l’elezione di Trump non sono bastati a trasmettere l’urgenza di un cambio di paradigma degli economisti. Paolo Savona in un recente articolo sull’eterno problema del debito pubblico italiano, a un certo punto, fa un passaggio sulfureo: “Se mancasse la paura legata al fatto che la speculazione aggredirebbe il nostro debito pubblico, mettendo alle corde il Paese, quale sarebbe l’argomento a cui appigliarsi per evitare che si pensi a ritornare alla lira?”. E’ solo il colpo acuminato di un economista non allineato? No, è la ricerca di un dibattito che in Europa non decolla perché mette in discussione la fortezza in cui si è rinchiusa l’élite, mentre là fuori, in America, dall’altra parte della barricata, c’è chi da posizioni liberal sostiene che per l’Europa è ora di cambiare senso di marcia. Prima che sia troppo tardi. Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, New York Times del 5 maggio:
Ci sono, senza dubbio, motivi di ansia culturale nei confronti degli immigrati islamici. Ma appare chiaro che i voti per Le Pen saranno in parte voti di protesta contro i funzionari di alto livello dell’Unione europea che appaiono come fuori dalla realtà. E questa percezione purtroppo ha un elemento di verità.
Touchdown. L’elezione di Macron per l’Europa continentale è un passo avanti, una salutare dissoluzione ma per ora non risolve, siamo allo spostamento del problema. Egli, Macron il conquistatore, deve diventare costruttore. Se fallisce, torna l’era dei distruttori.
Sul punto più basso della piramide medievale, in fondo al barile targato new normal, c’è il popolo. Tutto ciò che è basso per definizione, irrazionale, non misurabile e dunque non comprensibile. Siamo catapultati inesorabilmente in una dimensione da post-guerra (che torna verso la guerra) e ha il titolo di un prezioso saggio scritto da Carl Schmitt nel 1959 (tradotto in Italia da Adelphi), La tirannia dei valori. Quale tirannia? Riporto una frase di Franco Volpi che a sua volta citava Martin Heidegger: “Quanto più grave è la crisi, tanto più grande è il numero di incapaci che si sentono chiamati a risolverla scrivendo di valori”. Fissato il valore a prescindere, l’indiscutibile progresso diretto non si sa dove, tutto il resto è liquidato con una sola parola: populismo. Cioè l’ingrediente numero uno della politica, né bene né male in sé, è solo una questione di dosaggio. Incitare, eccitare, agitare, hanno preso il posto del verbo pensare. L’ora e subito, la categoria social dell’instant, la dittatura dell’immediato, hanno sostituito il progettare, edificare, costruire, fondare. Il provvisorio è diventato permanente, il cretino prevalente. Che tragicommedia, l’avanti popolo che diventa vade retro popolo.
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4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
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6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
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di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
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- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
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7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
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assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
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altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
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elaborazione dei
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8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.