15 Settembre
Politica e identità. Fukuyama è arrivato in ritardo
Il suo ultimo libro arriva dopo opere ben più forti e originali. Un solo punto è interessante: quando traduce, in forma ideologica, il progetto di una parte dell'establishment e della élite globalista per battere i populisti: tornare alla nazione. Per loro è una missione impossibile. Marco Gervasoni stronca l'autore de "La fine della storia"
di Marco Gervasoni
I libri di Francis Fukuyama sono come un gin tonic analcolico. Non credo esista sul mercato, e francamente spero che a nessuno venga in mente di introdurlo, ma consumarlo provocherebbe la stessa sensazione della lettura dei volumi del politologo americano: il gusto apparentemente simile a quello di un vero testo filosofico, ma senza quella carica che gradualmente ti prende fin dai primi sorsi, che solo il vero gin tonic regala. Un drink senza identità. Eppure proprio di questa, l’identità, si occupa il nuovo libro di Fukuyama, Identity. The Demand for Dignity and the Politics of Resentment (Farrar, Straus and Giroux), che tuttavia finisce per esserne del tutto priva, un po’ troppo… identico a quelli di altri autori degli ultimi anni.
Non che mi aspettassi sfracelli, ben inteso. Fukuyama è un po’ come quei cantanti rock e pop che all’album di esordio, da perfetti sconosciuti, sbancano, ma poi non riescono a bissarne il successo, restando per tutta la vita legati a quel loro, fugace, passato. La fine della storia o l’ultimo uomo (1992) fu proprio così, il classico libro più noto che letto, meno sciocco di quanto i suoi numerosi detrattori pensino, una fonte importante per capire la visione del mondo o l’illusione che accompagnò gran parte delle élite occidentali dopo la caduta del Muro. Ma Ralph Dahrendorf (altro autore sopravvalutato, ancorché più solido) che all’epoca previde a Fukuyama un warholiano quarto d’ora di celebrità seguito da un altrettanto rapido ritorno nel dimenticatoio, non sbagliò di molto. I lavori successivi del politologo americano, infatti, pur sempre accompagnati da traduzioni, recensioni sui quotidiani di tutto il globo e vendite buone, non sfiorarono tuttavia neppure lontanamente il clamore della sua opera d’esordio.
Fukuyama, che ha pretese di essere pensatore originale, si impegnò allora persino in una poderosa e impegnativa opera...
di Marco Gervasoni
I libri di Francis Fukuyama sono come un gin tonic analcolico. Non credo esista sul mercato, e francamente spero che a nessuno venga in mente di introdurlo, ma consumarlo provocherebbe la stessa sensazione della lettura dei volumi del politologo americano: il gusto apparentemente simile a quello di un vero testo filosofico, ma senza quella carica che gradualmente ti prende fin dai primi sorsi, che solo il vero gin tonic regala. Un drink senza identità. Eppure proprio di questa, l’identità, si occupa il nuovo libro di Fukuyama, Identity. The Demand for Dignity and the Politics of Resentment (Farrar, Straus and Giroux), che tuttavia finisce per esserne del tutto priva, un po’ troppo… identico a quelli di altri autori degli ultimi anni.
Non che mi aspettassi sfracelli, ben inteso. Fukuyama è un po’ come quei cantanti rock e pop che all’album di esordio, da perfetti sconosciuti, sbancano, ma poi non riescono a bissarne il successo, restando per tutta la vita legati a quel loro, fugace, passato. La fine della storia o l’ultimo uomo (1992) fu proprio così, il classico libro più noto che letto, meno sciocco di quanto i suoi numerosi detrattori pensino, una fonte importante per capire la visione del mondo o l’illusione che accompagnò gran parte delle élite occidentali dopo la caduta del Muro. Ma Ralph Dahrendorf (altro autore sopravvalutato, ancorché più solido) che all’epoca previde a Fukuyama un warholiano quarto d’ora di celebrità seguito da un altrettanto rapido ritorno nel dimenticatoio, non sbagliò di molto. I lavori successivi del politologo americano, infatti, pur sempre accompagnati da traduzioni, recensioni sui quotidiani di tutto il globo e vendite buone, non sfiorarono tuttavia neppure lontanamente il clamore della sua opera d’esordio.
Fukuyama, che ha pretese di essere pensatore originale, si impegnò allora persino in una poderosa e impegnativa opera di filosofia politica sull’ordine politico in due volumi, The Origins of Political order (2011) e Political order and political decay (2014). Ma, privo di capacità speculative proprie, il libro non lasciò tracce e l’autore, pur cattedratico in diverse università Ivy league (non sempre cosi eccellenti come le statistiche mondiali vorrebbero far credere) è ritornato a fare quello che sa fare meglio, il thought leader, il leader del pensiero.
Fukuyama è un po’ come quei cantanti rock e pop che all’album di esordio, da perfetti sconosciuti, sbancano, ma poi non riescono a bissarne il successo, restando per tutta la vita legati a quel loro, fugace, passato
La formula è figlia di un altro politologo, molto meno noto di Fukuyama, Daniel Drezner che, in un un interessante volume (The ideas industry. How Pessimists, Partisans, and Plutocrats are Transforming the Marketplace of Ideas, Oxford University Press, 2017) spiega che i i leader del pensiero hanno ormai soppiantato gli intellettuali pubblici, il cui astro aveva invece brillato nel corso del Novecento. Il thought leader, scrive Drezner, è un intellettuale da eventi, scrive pensando più ai «plutocrati che sponsorizzano le convention» che all’universale a cui si illudevano di parlare i vecchi intellettuali. «Conosce solo una grande tema », crede e fa credere « che la sua grande idea possa cambiare il mondo ». Non è scettico, anzi è un true believer, è ottimista per natura, ragiona in modo induttivo partendo dalla propria esperienza, laddove invece il vecchio intellettuale procedeva deduttivamente ispirandosi all’autorità dei suoi predecessori. «Susan Sontag, William F. Buckley Jr., Gore Vidal erano intellettuali pubblici, Thomas L. Friedman, Niall Ferguson, and Parag Khanna sono thought leader». Drezner non lo cita, ma Fukuyama (e si potrebbero aggiungere Steven Pinker o Yuval Harari) fa certo parte di tale famiglia, che comporta, aggiungiamo noi con grande invidia, anche formidabili cachet per i loro discorsi, capaci di far guadagnare in una serata quanto il vecchio intellettuale riusciva faticosamente a racimolare in un anno di diritti d’autore sui libri, di articoli di giornale e saggi di riviste.
Il thought leader «conosce solo una grande tema », crede e fa credere « che la sua grande idea possa cambiare il mondo». Il thought leader non è scettico, anzi è un true believer, è ottimista per natura
I leader del pensiero, ammesso siano ricordati nel futuro, lo saranno in quanto ideologi, una figura sociale a metà strada tra il teorico vero e proprio e il propagandista. Al primo lo avvicina il gusto per la speculazione, mai tuttavia originale sul piano della storia del pensiero, al propagandista si approssima per il gusto delle formule ready made che restano subito impresse nella mente, per la capacità di tradurre, semplificandole, le argomentazioni spesso astruse e complesse dei veri pensatori in un linguaggio piano e scorrevole - come quello di un drink analcolico. Quando poi però questo soggetto intellettuale vuol farsi pensatore, perché va bene i cachet ma anche la gloria conta, finisce per bruciarsi le ali, come accade a Fukuyama con i libri sull’ordine politico.

Un’ altra caratteristica fondamentale del thought leader, se non la più importante, è il senso del tempo. Deve trovare la big idea al momento giusto, non troppo in anticipo ma neppure troppo in ritardo. Non serve che l’idea sia originale, ma deve combaciare con lo Zeitgeist, anzi un minuto prima. A Fukuyama questa impresa riuscì con La fine della storia, quando teorizzò l’idea dell’eternità della democrazia liberale e del suo sviluppo all over the world, per dare un senso alla formula del nuovo ordine mondiale di cui gli Usa avrebbero dovuto essere garanti subito dopo il crollo del Muro. Ma ai libri successivi del Nostro il gioco è riuscito meno, finendo sempre un po' in ritardo rispetto a quanto stava per avvenire. Deciso a rientrare nel grande gioco con questo volume, almeno a giudicare dal pre battage, non ci sembra però che l’operazione sia riuscita
Qual è infatti la big idea idea che l’autore ci vuole vendere? Che l’identità conta. Che i popoli occidentali non sono solo mossi dal guadagno economico ma che altri fattori pesano, culturali, linguistici, religiosi. Che sono altrettanto se non più rilevanti. A far agire gli individui è il senso della dignità, come già scrivevano Platone, Aristotele e i classici della filosofia cristiana dei primi secoli, Agostino su tutti. Quando la dignità è violata, nasce il risentimento, un concetto forgiato nel 1912 dal filosofo Max Scheler (Il risentimento nella edificazione delle morali, Vita e Pensiero, 1975) che però Fukuyama mai cita e anzi che vende come totalmente suo. Aver sottovalutato il peso della identità, la dignità violata e il risentimento avrebbe impedito, ai sostenitori della democrazia liberale, di capire in anticipo fenomeni come i populismi, la Brexit, la vittoria di Trump.
Qual è la big idea idea che l’autore ci vuole vendere? Che l’identità conta. Quando la dignità è violata, nasce il risentimento, un concetto forgiato nel 1912 dal filosofo Max Scheler che però Fukuyama mai cita e anzi che vende come totalmente suo
Niente, per verità, che il maestro di Fukuyama, Samuel Huntington, non avesse già scritto, molto tempo prima che questi eventi si manifestassero, fin dagli anni Settanta con il saggio per la commissione Trilateral (M. Crozier-S. Huntigton - J Watanuki, La crisi della democrazia, Franco Angeli, 1977); per non dire di Christopher Lasch o di Alain de Benoist. Però Huntington era un intellettuale pubblico e soprattutto un pensatore originale e creativo. E nonostante l’enorme successo del suo Scontro di civiltà, non si trasformò mai in thought leader. Così per molti anni, larga parte dell’establishment continuò a fidare più nelle tesi di La fine della storia che in quelle dello Scontro di civiltà o di Who are we. The Challeges of American Identity, il testamento di Huntington (tradotto in Italia con il titolo di La nuova America, ndr). Ma se questi peccò per essere in anticipo, Fukuyama arriva oggi più che mai in ritardo. Scoprire la forza della identità dopo i libri di Mark Lilla, Thomas Frank, David Goodhart e, per uscire dal mondo anglosassone, Pierre Manent, Alain Finkielkraut, Jean-Claude Michéa, solo per citarne alcuni, appare oggi qualcosa di molto scontato. E il fatto che un pensatore per l’establishment come Fukuyama vi arrivi solo ora dà la misura di quanto i suoi referenti siano in affanno.
Fukuyama ha pretese di filosofo della politica per cui qui ragiona a partire da Platone, Hobbes, Locke e Rousseau, il che finisce per restituire alle pagine un gusto di astrattezza e una freddezza che ha portato l’ottimo Anand Giridharadas, recensendolo sul New York Times, a suggerire all’autore di farsi una passeggiata, parlare con i taxisti, entrare in un diner, il che avrebbe dato un po’ di sangue alla sua materia. L’invito per Fukuyama e per tutti noi a frequentare i mercati rionali resta più che mai valido, ma l’effetto freeezer del libro non è dovuto alla teoria: i grandi classici della filosofia politica sono spesso riboccanti dei rumori della vita, anche quando molto astratti. È che a Fukuyama manca proprio l’energia della speculazione.

Il suo testo rimane interessante soprattutto per altro. Traduce, in forma ideologica, il progetto di una parte dell'establishment e delle élite globalista per «battere i populisti»: recuperare l’identità nazionale e persino l’idea di sovranità. La convinzione che la nazione fosse morta, scrive Fukuyama, è risultata infatti completamente fallace, così come le tesi dei «cosmopoliti globalisti». L’identificazione con la nazione resta fondamentale e con essa la ricerca di sicurezza, l’importanza dei confini, il senso di fiducia nello stato, la preservazione di una società omogenea dotata di una cultura comune, tutte richieste legittime che i sostenitori della democrazia liberale devono tenere in considerazione, soprattutto quando affrontano le questioni della immigrazione.
Anche qui però Fukuyama arriva in affanno. Per quanto non sia mai citato nel testo, abbiamo già visto un establishment europeo che ha compreso l’importanza della comunità nazionale e ha creato in vitro un leader che parla globalista ma au meme temps di identità nazionale e di protezione: Macron. Ma gli scarsi risultati del Presidente francese, di cui già si intravede il fallimento, ci fanno dubitare della possibilità di tenere assieme questi universi. E del resto, lo stesso Fukuyama, laddove propone misure concrete, soprattutto per l’Europa, non sembra aver capito molto dove stia andando il Vecchio Continente. Se le sue pagine sul fallimento della Ue suonano abbastanza ovvie, il politologo vuole propinare a tutti il modello multiculturalista nord americano. Quindi più immigrazione, anche se controllata, ius soli in tutti i paesi che ancora non lo prevedono, creazione dall’alto di una leitkultur (cultura dominante) nazionale che fondi le culture e le religioni degli immigrati con quelli degli «autoctoni».
Abbiamo già visto un establishment europeo che ha compreso l’importanza della comunità nazionale e ha creato in vitro un leader che parla globalista ma au meme temps di identità nazionale e di protezione: Macron. Ma se ne intravede il fallimento, difficile tenere insieme questi universi
Però l’autore non ci spiega come possa convivere la sharia già praticata in diverse corti del Regno Unito con il diritto romano o con quello consuetudinario anglosassone; e Londonistan, le banlieu francesi, le no zone svedesi, olandesi e belga, Cheminitz e così via stanno a ricordare che la realtà è brutale, bussa alla porte, e non si fa regolare dalle speculazioni dei think thank. E se sulla Unione europea la pars destruens di Fukuyama resta condivisibile, quella costruens ci lascia interdetti: più integrazione, costruzione di una entità sopranazionale unica, cittadinanza europea. Al di là della bontà, discutibile, dell’obiettivo finale, Fukuyama neanche si mette a spiegare come arrivarci: probabilmente perché né lui né nessun altro lo sa.
Niente che non si sia già sentito, niente che non sia già fallito. In un barlume di lucidità nelle pagine finali, Fukuyama esce dalla caverna dell’ottimismo imposto dal suo ruolo e ci descrive un futuro non di magnifiche sorti e progressive ma di «ipercentralizzazione e di frammentazione senza fine». Non molto diverso da quello intravisto dal saggista statunitense Michael Lind, per cui la nuova managerial era farà assomigliare sempre più Usa e Europa al Brasile e al Messico «con oligarchie nepotistiche rinchiuse in ristrette aree metropolitane alla moda circondate da un hinterland di derelitti spopolati e spaesati. Quello che in Metropolis di Fritz Lang (1927) fu per la prima età dei manager, Elysium di Neill Blomkamp (2013) - con la sua vita sibaritica in orbita e un pianeta terra di disperati— potrebbe essere per la seconda età dei manager: una profezia in forma di incubo » (M. Lind, Classless utopia vs. Class Compromise, American Affairs, estate 2018). Altro che il disegno panglossiano del trionfo della democrazia liberale fondata sul «dialogo», sui « diritti » e sulla «società aperta ».

L’impasse argomentativa di Fukuyama accompagna la paralisi politica delle élite occidentali. E, al suo interno, del vecchio conservatorismo dell’establishment. Fukuyama infatti è tutt’altro che un liberal, anzi si definisce un conservatore, e per tutta la vita ha fatto parte di network e fondazioni legati al mondo repubblicano. Con il quale però egli ha rotto da tempo. Dopo aver anticipato i neo-con, chiedendo a Bill Clinton negli anni Novanta di attaccare l’Iraq per attuare un regime change, Fukuyama si schierò conto la guerra a Saddam decisa da Bush jr. e da Cheney, prese a polemizzare con i neo-con veri e propri e poi ha sostenuto Obama e, da ultimo, Hillary. Senza rendersi conto che il suo conservatorismo è molto simile a quello dei neo-con, entrambi fondati su una visione del mondo elitaria, razionalistica, costruttivistica e progettualistica, più prossima alla cultura liberal post sessantottina che al vero conservatorismo della tradizione burkiana introdotto negli Usa da Russell Kirk, fatto proprio da Reagan e proseguito da Pat Buchanan.
Così, alla fine, Fukuyama e i neo-con sono tutti diventati never trumpers, più feroci contro Donald degli stessi democratici, ma con le medesime argomentazioni dei liberal. C’è da dubitare che Fukuyama e tutti loro abbiano capito veramente ciò che sta avvenendo, se alla fine, ritengono, come ha detto Fukuyama in un’intervista a «Repubblica» dello scorso 8 settembre, che Trump « vada fermato con ogni mezzo possibile», compreso l’impeachment. Si faccia Fukuyama un giro nei diners della vera America, fuori dalla bolla di Manhattan e della California meridionale e gli si parerà di fronte una realtà diversa. Altro che risolvere la crisi, libri come quelli di Fukuyama testimoniano quanto il vecchio establishment non abbia alcuna idea di come uscire dalla palude in cui ha contribuito a portarci.
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proposti sono
soggetti al rinnovo automatico e all'addebito periodico del corrispettivo. L'Utente può disattivare
l'abbonamento fino a
24h prima della scadenza del periodo di abbonamento in corso. In caso di mancata disattivazione,
l'abbonamento si
rinnova per un eguale periodo e all'Utente viene addebitato lo stesso importo sul suo account Apple.
L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.