24 Settembre
Una rivoluzione populista, sovranista, conservatrice
Ciò che lega i partiti è il bisogno di riprendere il controllo sulla politica e sulle decisioni. Nuove élite sostituiscono le vecchie élite, quelle che hanno costruito l’Europa nella Guerra fredda e nell’età della globalizzazione. La seconda puntata dell'indagine di Marco Gervasoni sul sottosopra politico in corso
di Marco Gervasoni
"Di Maio ti sembra un Robespierre, o Dibba un Marat, o Salvini un Danton?", qualcuno mi ha, un po’ sprezzantemente, chiesto quando ha letto la prima parte di questo testo, di cui ora esce la seconda. No, ho replicato, ma molti all’epoca descrivevano Robespierre, Marat e Danton proprio come oggi i giornaloni e i competenti parlano di Di Maio, Dibba o Salvini: truci incapaci rozzi. Erano infatti, come mostrò anni dopo Hyppolite Taine nella sua monumentale storia della Francia rivoluzionaria, i rappresentanti di nuovi francesi che stavano per spodestare i vecchi - avrebbe potuto anche scrivere élite, tanto Taine fu un precursore della teoria di Mosca e di Pareto. Siamo nel pieno quindi di una rivoluzione populista, un processo in qualche sorta impersonale che sceglie, seleziona e poi scarta i leader a seconda del suo sviluppo: quindi non si faccia tanto gli schizzinosi sulla qualità di chi di questa rivoluzione si fa interprete.
Scrivevo nella prima puntata che l’ondata populista contiene al suo interno almeno due tipi di rivoluzione che, per il momento, sembrano sovrapponibili ma che in un futuro neppure tanto lontano potrebbero divergere tra loro e collocarsi addirittura su fronti opposti. L’insorgenza populista possiede infatti due volti: uno sovranista e l’altro conservatore. I sovranisti non sono, in quanto tali, né di destra né di sinistra, né progressisti né conservatori. Ciò che li lega è il bisogno di riprendere il controllo sulla politica e sulle decisioni, da quelle ravvicinate alla propria vita a quelle più lontane: tutte però devono essere riportate nella sfera della quotidianità. Qui la sovranità agognata è meno quella dello Stato e della nazione quanto quella dell’individuo, del proprio gruppo, della propria comunità locale. Per questo i sovranisti non possono essere definiti nazionalisti, per loro il primato o la tutela dell'interesse...
di Marco Gervasoni
"Di Maio ti sembra un Robespierre, o Dibba un Marat, o Salvini un Danton?", qualcuno mi ha, un po’ sprezzantemente, chiesto quando ha letto la prima parte di questo testo, di cui ora esce la seconda. No, ho replicato, ma molti all’epoca descrivevano Robespierre, Marat e Danton proprio come oggi i giornaloni e i competenti parlano di Di Maio, Dibba o Salvini: truci incapaci rozzi. Erano infatti, come mostrò anni dopo Hyppolite Taine nella sua monumentale storia della Francia rivoluzionaria, i rappresentanti di nuovi francesi che stavano per spodestare i vecchi - avrebbe potuto anche scrivere élite, tanto Taine fu un precursore della teoria di Mosca e di Pareto. Siamo nel pieno quindi di una rivoluzione populista, un processo in qualche sorta impersonale che sceglie, seleziona e poi scarta i leader a seconda del suo sviluppo: quindi non si faccia tanto gli schizzinosi sulla qualità di chi di questa rivoluzione si fa interprete.
Scrivevo nella prima puntata che l’ondata populista contiene al suo interno almeno due tipi di rivoluzione che, per il momento, sembrano sovrapponibili ma che in un futuro neppure tanto lontano potrebbero divergere tra loro e collocarsi addirittura su fronti opposti. L’insorgenza populista possiede infatti due volti: uno sovranista e l’altro conservatore. I sovranisti non sono, in quanto tali, né di destra né di sinistra, né progressisti né conservatori. Ciò che li lega è il bisogno di riprendere il controllo sulla politica e sulle decisioni, da quelle ravvicinate alla propria vita a quelle più lontane: tutte però devono essere riportate nella sfera della quotidianità. Qui la sovranità agognata è meno quella dello Stato e della nazione quanto quella dell’individuo, del proprio gruppo, della propria comunità locale. Per questo i sovranisti non possono essere definiti nazionalisti, per loro il primato o la tutela dell'interesse nazionale è solo uno strumento per il controllo sulle proprie vite.
L’insorgenza populista possiede due volti: uno sovranista e l’altro conservatore
Il Movimento Cinque Stelle rappresenta l’ideal-tipo del sovranismo, che in tal senso è più una metodologia, un modo di far sentire la propria voce: una scatola vuota i cui contenuti, cioè i progetti, possono essere anche perfettamente contraddittori tra di loro. Sulla questione dell'immigrazione, per esempio, le posizioni dei Cinque Stelle sono sovraniste perché il flusso incontrollato di immigrati sconvolge la comunità locale e le fa perdere il controllo, ma per il resto non sono mossi dalla preoccupazioni che essi possano disintegrare identità e tradizioni, perché la visione della società dei sovranisti resta di tipo individualistico e contrattualistico; se l’individuo immigrato si comporta bene, si "integra", se aderisce al contratto informale della comunità, lo si accetterà ben volentieri.
Il sovranismo è quindi il figlio o il prodotto della società destrutturata favorita dai processi di globalizzazione: è una reazione che, come tale, può esser conservatrice o progressista sul piano dei valori e le due pulsioni potrebbero per un certo tempo persino convivere. L'impulso a prendere il controllo caratterizza marcatamente il giacobinismo dei Cinque Stelle: da qui la loro apparente maggiore radicalità rispetto alla Lega. La recente polemica contro i "tecnici" del ministero dell'Economia, ad esempio, nasce da una ragione giusta e legittima, e da un problema che vivono tutte le democrazie, comprese quelle che praticano lo spoil system, cioè come i funzionari promossi dai vecchi governanti possano servire adeguatamente i nuovi. Problema serio ma il modo di affrontarlo dei Cinque Stelle, esaltando una rigida polarizzazione tra noi e loro e la necessità di prendere il controllo totale della macchina, è proprio figlio della mentalità sovranista che li caratterizza.
Il sovranismo è il figlio o il prodotto della società destrutturata favorita dai processi di globalizzazione
Essa possiede molti punti in comune con la mentalità rivoluzionaria studiata negli anni Cinquanta da Richard Cobb (The Revolutionary Mentality in France 1793-1794) una visione profondamente moralistica del politico fondata sull’irriducibile opposizione tra i (tanti) piccoli e i (pochi) grossi, questi tutti impegnati a complottare nell’ombra. L’intervista di Di Maio al Fatto quotidiano del 24 settembre, poi diffusa sul sito dei Cinque Stelle con il significativo titolo "La manovra del popolo: aiuta gli ultimi e fa la guerra ai potenti", fin dal linguaggio ricorda la mentalità rivoluzionaria sanculotta - e non credo che il vice premier sia un lettore di cose della Rivoluzione francese.
La mentalità sovranista non alberga solo nei Cinque Stelle: uscendo dai nostri confini, possiamo trovarla sia nei movimenti cosiddetti populisti di destra che in quelli di sinistra. Dobbiamo tuttavia notare che questi ultimi alla fine appaiono molto più mainstream di quanto non vogliono far sembrare, come si vede dai loro sviluppi. Poiché i populisti di sinistra sono fondamentalmente globalisti, finiscono presto o tardi per essere assorbiti dai partiti che globalisti lo sono fino in fondo e coerentemente, e che appaiono più affidabili. In Grecia Syriza, in calo pesantissimo nei sondaggi, è diventata una costola del macronismo (che cerca di intercettare i sentimenti sovranisti per rafforzare l'establishment globalista, è trasformismo nel senso più puro), mentre Podemos, anch’esso in flessione elettorale, è sempre più l’ala sinistra del socialismo spagnolo, mentre gli altri movimenti sono spariti. Resta la France Insoumise di Melenchon e in Germania il nuovo movimento di Sahra Wagenknecht, chiamato Aufstehen, nato da una costola della Linke, sono gli unici due che possono a rigore esser definire sovranisti, nel senso che abbiamo dato a questo termine - non a caso entrambi sull’immigrazione presentano posizioni assai meno open border di Syriza e Podemos.
La mentalità sovranista non alberga solo nei Cinque Stelle: uscendo dai nostri confini, possiamo trovarla sia nei movimenti cosiddetti populisti di destra che in quelli di sinistra
Tale mentalità sovranista vive pure nella Lega e soprattutto in una parte dei suoi elettori: il partito di Matteo Salvini incarna però soprattuto l’altra rivoluzione interna all’orizzonte della insorgenza populistica. É insomma una rivoluzione conservatrice. Questo termine ha preso nel corso degli anni due significati. Con il primo si intende una tendenza, più intellettuale che politica, che abbracciava figure di primo piano della cultura tedesca negli anni Venti e Trenta del XX secolo: da Moeller van der Bruck a Oswald Spengler e Martin Heidegger, da Ernst Jünger a Carl Schmitt. Tutti autori abbastanza diversi tra loro, tuttavia, tanto che a raggrupparli sotto la voce rivoluzione conservatrice è stata la storiografia, e in particolare lo studio di Armin Mohler (La Rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932).
Il secondo significato di rivoluzione conservatrice prende piede negli anni Settanta, quando in ambito anglosassone e francese si comincia a utilizzarlo per definire le tendenze politiche liberistiche, favorevoli a un ritiro dello stato nell'economia: quelle che poi avrebbero dato forza a Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Se negli anni Venti erano da conservare la tradizione e lo spirito tedesco contro la duplice minaccia della "occidentalizzazione" e della "bolscevizzazione" della Germania, piegata dalla sconfitta in guerra, nel secondo caso la conservazione era intesa esclusivamente sul lato economico, mantenere lo spazio del capitalismo e della libera impresa contro il soffocamento delle prerogative dell’individuo prodotto dalla estensione del Welfare State.
Quanto al sostantivo "rivoluzione", ha senso solo nel primo caso: per i “rivoluzionari conservatori” la vecchia destra tedesca del tempo guglielmino, sopravvissuta a Weimar, non era più adeguata allo scopo, perché nostalgica e organizzata secondo principi elitari: occorreva allora creare forze politiche rivolte al popolo e alle masse, con tecniche di comunicazione nuova, che dovevano perseguire progetti opposti a quelli dei socialisti e dei comunisti. Nel caso della conservative revolution degli anni Settanta e Ottanta il sostantivo rivoluzione è invece più che altro una metafora, visto che questi movimenti rigenerarono antichi partiti mainstream, i Tories e i Repubblicani.
È evidente che oggi, quando parliamo di rivoluzione conservatrice e la vediamo all’opera nella Lega, ma anche in molti dei partiti frettolosamente etichettati come di "destra radicale", "populisti" e "nazionalisti", intendiamo altro. Qui la rivoluzione vuole sostituire nuove élite a vecchie élite, quelle che hanno costruito l’Europa nella Guerra fredda e nell’età della globalizzazione. E rivoluzionario è il loro linguaggio, lo stile, la comunicazione, che infatti recupera le tradizioni eretiche e maledette, quelle bandite dalla correttezza politica del mainstream degli ultimi quarant’anni.
La rivoluzione vuole sostituire nuove élite a vecchie élite, quelle che hanno costruito l’Europa nella Guerra fredda e nell’età della globalizzazione
I nuovi rivoluzionari conservatori invertono infatti di valore il paradigma sessantottesco e post sessantottesco che era poi stato adottato anche dalle élite della globalizzazione: dalla difesa delle minoranze si passa alla difesa della maggioranza, dall’esaltazione dei border line e dalla comprensione "sociale" verso i criminali si passa alla tutela dei diritti dei cittadini che non infrangono la legge, dal culto della diversità sessuale e della libera scelta anche in tema di pratiche procreative (con correlato disinteresse verso la famiglia tradizionale) si passa alla tutela di quello che i filosofi radical americani chiamano "il maschio bianco occidentale" - che statisticamente è ancora maggioranza in tutto l’Occidente. Se, infine, l’ideologia sessantottesca e post sessantottesca aveva esaltato la distruzione dello Stato e della nazione prodotta dai processi di globalizzazione, i rivoluzionari conservatori riscoprono l'importanza e la forza della nazione come vincolo sociale, identitario e persino affettivo ed emozionale.
In tal senso, mentre i "sovranisti" possono tranquillamente ospitare al loro interno molti elementi della ideologia dell’apertura (open society), i rivoluzionari conservatori segnano una reazione esplicita, dal punto di vista culturale, a quella che il mainstream chiama modernità, intesa come trasformazione in sé positiva, apportatrice di "civiltà". La filosofia di fondo elaborata negli ultimi anni, che non a caso hanno visto una rinascita internazionale del pensiero conservatore, dimostra che è in corso una sfida tra forze che stanno disgregando valori e istituzioni millenarie e forze che invece intendono conservarli: parliamo di nazione, famiglia, comunità, lingua, religione, fino alla identità sessuale, messa in discussione dai movimenti gender e da quelli transumanisti che costituiscono la deriva estrema della ideologia della "società aperta". Secondo il filosofo e teologo inglese John Milbank, autore del fondamentale The Politics of Virtue: Post-Liberalism and the Human Future, la sfida del futuro contrapporrà "il transumanismo capitalistico" ai "difensori dello spirito" (nel senso del filosofo francese Emmanuel Mounier) e della "tradizione", intesa come tutela della natura umana, secondo il concetto aristotelico e tomistico.
Se non si coglie questa dimensione filosofica della sfida in corso in questi anni, rischiamo di restare avvolti nelle spire della cronaca: dobbiamo renderci conto che stiamo assistendo a una battaglia durissima tra tre grandi blocchi etico-politici, quello globalista, quello sovranista e quello rivoluzionario conservatore. Una battaglia che durerà a lungo, vedrà repentini e anche insospettabili cambi di campo, nuove élite sostituirsi alle vecchie e capi, oggi considerati potentissimi, inabissarsi o trasformarsi e altri apparire dal nulla, senza che nessuno li abbia visti arrivare. L’inverno sta arrivando.
2 - Fine.
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altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.