3 Ottobre

Non è il balcone, è l'ansia della barricata. La rivoluzione

Primi del Novecento, la tecnologia trasforma la società e i giovani cercano la rottura totale per inseguire il mito di una grande nazione “proletaria” che avrebbe riscattato debolezze secolari: allora con le armi, oggi con il deficit di bilancio. Dagli anni del Futurismo all'uno vale uno, uno straordinario viaggio di Giordano Bruno Guerri nel passato-presente

di Giordano Bruno Guerri

Non è stato l’apparire al balcone di Di Maio e compagni a farmeli associare ai balconi dannunziani di Fiume, come altrove – banalmente – ho letto. C’è un filo rosso più sostanzioso, e meno facile da cogliere, fra le due fasi storiche.

“Ora ogni giorno è come il precedente; nessuna grande gioia e nessun grande dolore... tutto è così noioso”, scriveva sul diario un poeta tedesco ventenne, nel 1907. Georg Heym trasferiva questo sentimento in poesie di critica alla società occidentale, alle sue convenzioni, al suo piatto individualismo. Anche nel 1910, dopo il trasferimento nella dinamica Berlino, annotò: “Se soltanto accadesse qualcosa... se soltanto s’innalzassero ancora una volta le barricate”.

Molti giovani, in tutta Europa, condividevano il desiderio di un grande cataclisma che sconvolgesse la società della Belle époque. Era diffuso un nuovo culto del benessere, grazie all’inarrestabile progresso della scienza e della tecnologia, al consolidamento di forti stati nazionali e imperiali. Si arrivò a guardare con nostalgia alle guerre degli avi, alle lotte per l’indipendenza, alle spedizioni coloniali. Guerra e rivoluzione apparivano come luoghi mitici capaci d’infondere coraggio, identità, cambiamento. 

Oggi ritrovo lo stesso spirito, semplificato, adattato a usi civili, nei movimenti che si usa chiamare “populisti”. Non si tratta più di grandi battaglie ideali: come il web ha trasferito il sapere e il poter dire da pochi a tanti, abbassandone la qualità, allo stesso modo si sono trasferiti gli ideali a bisogni più terragni e concreti. I “populismi” chiedono a gran voce di azzerare la vecchia classe dirigente (inetta e pensosa dei propri vantaggi) a vantaggio appunto del popolo. E un vantaggio del popolo non starebbe più nell’allargare i confini, ma nel chiuderli: agli ex colonizzati e all’Europa, che non si impicci degli affari nostri. 

Ritrovo lo stesso spirito dei primi anni

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