2 Dicembre
Io, l'Europa, Salvini e il Pd. Intervista a Moscovici
Il commissario Ue all'Economia si racconta. • "Sto cercando di politicizzare il dibattito con Matteo Salvini. Non sono un tecnocrate, e mi rifiuto di esserlo". • "Avrei potuto oltrepassare il mio ruolo e colpire duro: mi rifiuto e mi sono rifiutato di farlo. Ho agito secondo le regole" • "Quando sono andato a Roma a metà ottobre, dovevo incontrare Maurizio Martina, allora ancora segretario del Pd. Ha annullato l’appuntamento un quarto d’ora prima, dicendomi che non sarebbe stato prudente incontrarci nella sede del Pd"
La crisi della socialdemocrazia, la necessità di avere un'Europa che funziona per tutti, un'istituzione con organismi non opachi ma trasparenti, il confronto duro tra partiti tradizionali e populisti, l'ascesa della destra e l'analogia con gli anni Trenta, le occasioni mancate e quelle da cogliere, il duro negoziato aperto con l'Italia sul bilancio, lo scontro con Salvini, la crisi del Partito socialista francese e del Pd in Italia, il profilo politico di quest'ultimo soggetto in cerca d'autore e le lacune anche sul fronte del rapporto con l'Unione (con un aneddoto surreale vissuto in prima persona, a Roma, da Moscovici). In questa intervista, Pierre Moscovici rivendica la sua identità di politico socialista, rifiuta l'etichetta di tecnocrate e non nasconde le difficoltà dei prossimi mesi. L'intervista è stata realizzata da Eléna Maximin e Gilles Gressani, animatori del Groupe d’études géopolitiques, un think tank indipendente fondato alla École Normale Supérieure di Parigi da un gruppo di studiosi con cui List ha instaurato un confronto e scambio di visioni sullo scenario contemporaneo. L'intervista è stata pubblicata prima su Le Grand Continent e ora su List. Le idee di Moscovici possono essere condivise o meno, sono chiaramente il frutto di una visione personale e di una parte politica, ma l'intervista per la sua ampiezza e complessità è un documento molto interessante che ci aiuta a riflettere in maniera plurale e informata sul futuro dell'Unione, in vista delle elezioni europee di maggio 2019. Buona lettura.
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Pierre Moscovici ci ha accolti nei locali parigini della Commissione Europea, per un'ampia intervista sulla sua lunga esperienza politica. Attualmente Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Moscovici è stato deputato al Parlamento Europeo (1994-1997), Ministro degli affari europei durante il governo Jospin (1997-2002), vice presidente del Parlamento Europeo (2004-2007) e Ministro dell’economia nei governi Ayrault (2012-2014). Moscovici propone una visione inedita della profonda crisi che attraversa al momento la...
La crisi della socialdemocrazia, la necessità di avere un'Europa che funziona per tutti, un'istituzione con organismi non opachi ma trasparenti, il confronto duro tra partiti tradizionali e populisti, l'ascesa della destra e l'analogia con gli anni Trenta, le occasioni mancate e quelle da cogliere, il duro negoziato aperto con l'Italia sul bilancio, lo scontro con Salvini, la crisi del Partito socialista francese e del Pd in Italia, il profilo politico di quest'ultimo soggetto in cerca d'autore e le lacune anche sul fronte del rapporto con l'Unione (con un aneddoto surreale vissuto in prima persona, a Roma, da Moscovici). In questa intervista, Pierre Moscovici rivendica la sua identità di politico socialista, rifiuta l'etichetta di tecnocrate e non nasconde le difficoltà dei prossimi mesi. L'intervista è stata realizzata da Eléna Maximin e Gilles Gressani, animatori del Groupe d’études géopolitiques, un think tank indipendente fondato alla École Normale Supérieure di Parigi da un gruppo di studiosi con cui List ha instaurato un confronto e scambio di visioni sullo scenario contemporaneo. L'intervista è stata pubblicata prima su Le Grand Continent e ora su List. Le idee di Moscovici possono essere condivise o meno, sono chiaramente il frutto di una visione personale e di una parte politica, ma l'intervista per la sua ampiezza e complessità è un documento molto interessante che ci aiuta a riflettere in maniera plurale e informata sul futuro dell'Unione, in vista delle elezioni europee di maggio 2019. Buona lettura.
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Pierre Moscovici ci ha accolti nei locali parigini della Commissione Europea, per un'ampia intervista sulla sua lunga esperienza politica. Attualmente Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Moscovici è stato deputato al Parlamento Europeo (1994-1997), Ministro degli affari europei durante il governo Jospin (1997-2002), vice presidente del Parlamento Europeo (2004-2007) e Ministro dell’economia nei governi Ayrault (2012-2014). Moscovici propone una visione inedita della profonda crisi che attraversa al momento la sua famiglia politica, la socialdemocrazia, ed evidenzia i limiti democratici di istituzioni ed entità come l’Eurogruppo - che frequenta abitualmente - sui mezzi necessari a farle ripartire, sul confronto con le misure del governo italiano di Salvini, e sull’importanza di veder nascere una visione politica che risponda alle sfide che attendono la nostra Europa “condannata alla potenza”. Un’analisi utile per preparare l’anno elettorale che ci attende, e il grande cantiere che si apre sul futuro dell’Unione.
Groupe d’études géopolitiques: Il Suo percorso politico è strettamente legato alla socialdemocrazia, la famiglia politica che sembra attraversare la crisi più acuta nello spettro europeo. Quali sono stati i momenti salienti di tale formazione politica, a livello continentale ?
Pierre Moscovici: Ho vissuto due momenti durante i quali la socialdemocrazia era forte e presente in buona parte dell’Unione. Il primo, quello dell’ “Europa rosa” durante gli anni ‘90, prima dell’allargamento ai paesi dell'Europa centrale e orientale. Ad eccezione della Spagna, tutti i grandi paesi dell’Unione erano governati da partiti socialdemocratici: Gerhard Schröder in Germania, Lionel Jospin in Francia e Tony Blair nel Regno Unito. Il secondo, quindici anni dopo, nel 2012, quando sono tornato al governo: c’era ancora un equilibrio tra cristiano-democratici e socialdemocratici, per questi ultimi in particolare - all’epoca al governo in Francia e in Italia.
Cosa ci ha condotti alla crisi contemporanea - e come la interpreta? Quali possono essere le fonti, le origini dell’implosione della socialdemocrazia?
In primo luogo, si tratta di un esaurimento intellettuale di lunga data, e una notevole difficoltà nel trovare una posizione comune - il che spiega in parte il fallimento degli anni ‘90 e le difficoltà attuali. Ricordo bene il periodo in cui Tony Blair proponeva la sua “Third way”, Schröder la “Neuve Mitte” e Jospin rispondeva “Sì all’economia di mercato, no alla società di mercato”. Era un’ottima formula e una posizione forte. Purtroppo, non ha trovato un apparato teorico fertile su cui installarsi. Nonostante fossero anni di forte crescita, riduzione del tasso di disoccupazione, il paradigma socialdemocratico non è mai riuscito ad attecchire. La socialdemocrazia non è riuscita ad imprimere dei cambiamenti duraturi della governance, né delle strutture economiche. Ha finito per abbandonare anche il campo della riflessione.
Sembra essere particolarmente il caso francese…
Dal 1990 al 1997, sono stato a capo del Partito socialista, e all’epoca vi era una vita intellettuale nel partito. Sono tornato nel 2002. Non vorrei fare il processo di nessuno, ma ho l’impressione che gli anni Hollande siano stati caratterizzati da una smobilitazione intellettuale, che si è fatta gradualmente, fino a produrre una sorta di ‘messa a riposo’ delle idee.
La crisi del 2008 si è prodotta in questo contesto…
Sì, la crisi e i suoi danni collaterali. I socialisti erano al governo di diversi paesi, tra cui la Francia, proprio nel momento in cui le riforme che andavano applicate non erano di natura socialdemocratica. È il caso ad esempio del CICE [ndt: Credito d’imposta per la competitività e l’impiego] proposto dal governo di Jean-Marc Ayrault, o la riduzione del deficit pubblico che ho portato avanti da ministro, nel 2012-2013. Il risultato è stato uno shock fiscale che non ha risparmiato del tutto la classe media. La riforma delle pensioni e la riforma [ndt: del mercato del lavoro] El Khomri, di cui non ho apprezzato i metodi, ma di cui difendo tuttora la necessità, sono altri esempi. Tali riforme, pur necessarie, hanno urtato frontalmente le attese della nostra base elettorale. Ne abbiamo perso, un po’ ovunque, in credibilità e sostegni. Non solo in Francia: l’identità dei socialdemocratici tedeschi è oggi giorno poco chiara, il Pd di Matteo Renzi è stato spazzato via. La crisi economica ha giocato un ruolo particolare nell’esplosione della socialdemocrazia, e ne ha rivelato le contraddizioni. Quando non c’è riflessione teorica e la pratica è lontana - per via delle circostanze - dalle attese dell’elettorato, non ci si può aspettare null’altro che una profonda delusione degli elettori.
Citava poco fa delle figure marcanti dell’Europa rosa; nella seconda ondata socialdemocratica, si nota invece un’assenza di leadership capace di esprimersi a livello continentale. Le pare che questa si possa definire come terza causa della crisi contemporanea?
Lo dico cautamente, ma credo di sì. Ciò di cui hanno sofferto i socialdemocratici, come e in misura maggiore rispetto ad altre formazioni politiche, è l’indebolimento della leadership collettiva, in tutti i paesi dell’Unione. Viviamo in un periodo in cui la politica ha sempre più bisogno di identificarsi con una persona - e i socialdemocratici non hanno una figura di punta da quindici anni. Tony Blair è una personalità considerevole, ma contestabile, e non era un socialdemocratico. Gerhard Schröder era anche lui una personalità forte. Ma non si è mai riuscito ad aggregare niente intorno alla propria figura. Lionel Jospin incarnava una corrente più di sinistra, era rispettato ma isolato. Negli anni 2012-2017, che hanno preceduto il successo dei populismi, non c’era nessuno che incarnasse la sinistra. François Hollande non ha saputo o non ha voluto assumere il ruolo di leader. Matteo Renzi non è riuscito ad imporsi come tale. Senza parlare del PS [Partito Socialista] attuale, per il quale l’assenza di una direzione degna di questo nome ha come effetto la propria quasi-sparizione. Anche se la socialdemocrazia difende un’attitudine più collettiva degli altri, la latenza di leadership è un fenomeno politico grave. Ad un certo punto, bisognerà che qualcuno emerga e prenda la parola per questa famiglia politica.
L’assenza di teorizzazione, la crisi economica e una mancanza di leadership sarebbero all’origine della crisi della socialdemocrazia. Che fare allora?
Bisogna prendere coscienza della gravità della crisi che stiamo attraversando, e studiarne le origini. Dobbiamo anche relativizzarne l’impatto: la socialdemocrazia rappresenta ancora il 20 per cento degli elettori - molti meno in Francia, purtroppo - e resta la seconda forza politica in Europa.
Quando si studia un vettore, la forza conta, ma anche la direzione: la socialdemocrazia è una forza diretta al passato, che vedrà il suo 20 per cento disgregarsi definitivamente in una serie di forze eterogenee, o è ancora capace di proporre una base per rialzarsi?
È questa la vera domanda. Al giorno d’oggi, la prima opzione mi sembra la più probabile. Mi rendo conto che ciò che ci ha più marcati negli scorsi quindici anni è più presente che mai: insufficienza di un lavoro teorico, eterogeneità ideologica e leadership debole. Cumuliamo le debolezze, e non siamo nemmeno in grado di proporre riforme progressiste. Osservando come si profilano le elezioni europee, noto tutta la difficoltà che esiste nel costruire una piattaforma comune e l’assenza di leadership, collettiva o individuale che sia. Lo stato della socialdemocrazia e le sue prospettive future mi preoccupano molto.
Da dove dovrebbe ripartire la socialdemocrazia per proporsi come una forza del futuro in Europa?
Bisogna ripartire da tre questioni essenziali - senza dimenticare la necessità di garantire la sicurezza interna e esterna dell’Unione, o quella di rispondere in modo efficace e umanitario alla questione migratoria. In primo luogo, tutto deve ruotare intorno all’ambiente e alla lotta contro il riscaldamento globale. La socialdemocrazia di domani dev’essere ecologista. Non può esistere altrimenti. Per rimanere al cuore della sinistra, dobbiamo anche essere in grado di aggregare tutte le forze politiche vive - anche se dovesse richiedere le vecchie basi intellettuali della socialdemocrazia. In secondo luogo, dobbiamo ritornare alla questione, centrale e perenne, delle diseguaglianze - ancor più in un’epoca in cui il populismo se ne nutre. La socialdemocrazia deve ripensare le diseguaglianze di oggi, nella loro diversità e complessità - diseguaglianze sociali, di genere, territoriali. È la problematica intorno cui deve ruotare tutta la nostra riflessione futura. Infine, c’è una terza causa essenziale. È la lotta per la democrazia liberale, per uno Stato di diritto e i suoi valori, per delle società aperte, modi di governare più trasparenti - in tutta una serie di settori.
La crisi della socialdemocrazia non è anche - se non soprattutto -, una crisi della democrazia rappresentativa e dell’arbitrato a volte introvabile tra la complessità delle decisioni contemporanee e il loro carattere democratico?
La socialdemocrazia è la combinazione tra politica sociale e approccio democratico. Consiste anche nel dare il potere a chi ne era sprovvisto, a chi era lasciato ai margini della società. Sono questi i due pilastri che vanno ricostruiti. La socialdemocrazia soffre attualmente di non essere né abbastanza sociale, né abbastanza democratica. È incompleta su entrambi i pilastri - a cui aggiungo quello ecologico. Per questo motivo risulta poco chiara.
Come mettere in relazione queste tre questioni con la Sua pratica concreta della politica?
Se prendiamo l’esempio delle diseguaglianze territoriali, si osserva - in Francia come negli altri paesi - una polarizzazione crescente tra alcune metropoli che si portano bene e una ‘periferia’ - per riprendere un’espressione che non condivido - declassata e messa ai margini, e che entra quindi nel populismo come forma di rivolta. E lo si può constatare direttamente sugli elettorati. È l’America di Trump contro l’America blu, la Francia di Marine Le Pen contro la Francia di Macron nel 2017. Se non si inverte la tendenza, questa Francia rischia in futuro di diventare maggioritaria. È la Francia dove per anni sono stato eletto, fatta di ex comunisti, diventati socialisti e poi elettori del Front National. Ne conosco personalmente. E mi rendo conto che c’è una battaglia sul piano delle diseguaglianze da portare avanti, dal punto di vista intellettuale e politico.
Una democratizzazione che passa attraverso una maggiore apertura, o una maggiore trasparenza, può rispondere alle attese di un tale elettorato?
C’è una questione che mi piace esplorare e che potrebbe portare delle risposte: è la trasparenza fiscale, una lotta politica in primo piano al giorno d’oggi. C’è anche una problematica più profonda, ma che rimane essenziale: la lotta per la trasparenza nella governance delle istituzioni europee. Faccio parte dell’Eurogruppo da sei anni. È il tipo di organismo - non istituzione -, il cui potere è immenso, e le cui decisioni hanno un impatto considerevole, ma sprovvista di qualsiasi forma di controllo, mediatico o parlamentare che sia.
Riferendosi all’Eurogruppo, lei ha parlato di uno scandalo democratico…
Sì, esatto. Ma bisogna rendersi conto che lo scandalo non sta tanto nelle decisioni che si prendono, che non hanno d’altronde mancato di efficacia malgrado tentennamenti ed errori, ma nel processo decisionale. È per questo che è necessario reinventare e rivitalizzare la democrazia a livello europeo, a cominciare dalla “de-tecnocratizzazione” della gestione delle regole. Sono membro dell’Eurogruppo da oltre sei anni. Ma cos’è questo organismo? Si riuniscono in una sala diciannove ministri, il commissario in carica, il sottoscritto, il presidente della Banca centrale europea, il presidente del Meccanismo europeo di stabilità, il Fondo monetario internazionale – quando trattiamo di un programma come quello della Grecia – e uno staff leggero che non svolge un ruolo diretto nella riunione. Ventitré responsabili, ventitré deputati. In questa sala, possiamo decidere della sorte di milioni di cittadini in Grecia, in Italia, in Spagna, in Portogallo, senza alcuna trasparenza, senza alcun controllo parlamentare né mediatico né popolare; perché, in realtà, nessuno sa cosa stia succedendo. È questo lo scandalo!
Yanis Varoufakis, in Adults in the Room: My Battle With Europe's Deep Establishment, è stato uno dei pochi a rappresentare le discussioni che hanno avuto luogo nell’Eurogruppo. Che cosa ne pensa?
Il successo del suo libro si spiega proprio perché è stato il primo a raccontare cosa succedeva dietro le quinte. Molto semplicemente Varoufakis, che ha usato un metodo da thug (ndt: teppista) registrando le conversazioni private, parte da fatti esatti per farne una lettura erronea, fuorviante e pro domo sua. Dagli stessi fatti e contenuti se ne sarebbe potuta tirare fuori una storia completamente diversa, più giusta. Ma in fondo, non è questo il punto. La cosa migliore è che ci fossero stati degli atti, delle deliberazioni, una relazione davanti al Parlamento.
Una parte della sinistra ritiene oggi che, accanto a questa opacità, sia stata la rigidità delle regole europee – di cui lei è stato chiamato ad essere custode in qualità di Commissario – a costituire un ostacolo insormontabile all’invenzione della democratizzazione, allorché quest’ultima dovrebbe comportare del movimento e del cambiamento. Come si pone rispetto a tale critica?
L’esistenza di regole non mi mette a disagio. Non ci può essere società, né democrazia né Stato né costruzione europea senza regole comuni. In Europa, abbiamo una semi Costituzione, composta da un insieme di trattati. Conosco bene dall’interno tutte le istituzioni europee esistenti, le rispetto, e sono un riformista. Credo dunque che possano e debbano essere modificate, migliorate, aperte, perché non potremmo che basarci e costruire a partire da queste stesse strutture, da queste istituzioni e regole. Qualsiasi approccio alternativo porta o all’implosione o all’ipocrisia.
Potrebbe spiegare il significato di quest’alternativa?
Quando si dice di volere un’altra Europa, si fa finta di dimenticare che l’Europa esiste già, e che non possiamo costruirne un’altra all’unanimità. È dunque una posizione che porta alla disintegrazione o all’implosione. D’altra parte, quando continuiamo nella pretesa che tutto cambi, anche quando sappiamo di non essere in grado di farlo, cadiamo nell’ipocrisia. L’esistenza e la difesa delle regole europee non mi mette in imbarazzo. E non mi imbarazza neanche l’esistenza delle regole del Patto di stabilità e di crescita. Sono dettate da una logica abbastanza solida, che consiste nell’evitare l’aumento del debito. Da tempo faccio parte di un gruppo poco conosciuto della socialdemocrazia, che chiamerei e definirei “socialisti nemici del debito”.
Si tratta di una posizione formulata precedentemente da Dominique Strauss-Kahn…
Per anni ho lavorato con lui, anche se a un certo punto le nostre strade hanno preso direzioni diverse, ben prima dello scandalo del Sofitel. DSK sosteneva questo ragionamento: il debito è nemico dell’economia e dunque è nemico della sinistra. In effetti, più il costo del debito aumenta, più l’economia si indebolisce, meno spazio è accordato alle politiche ed ai servizi pubblici. In Italia, il costo del debito è pari a 65 miliardi di euro. Costituisce il primo budget dello Stato, a pari merito con l’Istruzione. Puoi dire tutto ciò che vuoi, ma qualsiasi politica che aumenti il debito non è una buona politica per il popolo, né per la sinistra. E così ho sempre pensato che la riduzione del debito fosse un obiettivo della sinistra.
Tornando alla rigidità delle regole: come ha affrontato la questione nella sua esperienza di Commissario per gli Affari economici?
Le regole non sono immutabili. Possono essere modificate, migliorate, semplificate, interpretate. Quando sono arrivato alla Commissione europea, prevaleva, nell’interpretazione del Patto di stabilità e di crescita, una logica meccanicistica. Abbiamo preferito, al concetto di rigidità, il concetto di flessibilità. Da cinque anni a questa parte, utilizziamo tutta la flessibilità possibile in conformità alle regole. Se fosse stata un’altra Commissione o un altro commissario, avremmo probabilmente punito, negli ultimi quattro anni, la Spagna, il Portogallo, l’Italia e forse anche la Francia. Ma sono sempre stato convinto del fatto che, quando un caso è “al limite”, dovrebbe essere gestito in modo flessibile.
Il caso italiano si sta spingendo attualmente oltre questa soglia di flessibilità?
Si, ci sono situazioni diverse, come ad esempio l’attuale situazione italiana. Un arbitro simpatico può considerare buono un servizio che tocca la linea esterna. E può essere ancora molto più simpatico se la palla è a lato, se lui è terribilmente miope. Ma quando questa va sui teloni o quando è diretta contro il pubblico, non possiamo considerare che stia segnando un punto! Quando un governo come quello tra Lega e Cinque Stelle lancia la palla sulle tribune, è il momento in cui l’esistenza di regole e di un arbitro diventa utile.
In questo momento, nel dibattito italiano, la maggior parte dei media ha preso posizione ad una sorta di duello politico: Moscovici contro Salvini. Tuttavia, nella visione più popolare di questo confronto, si ha l’impressione che si tratti di una lotta della tecnocrazia contro la politica e la democrazia…
Si tratta di un problema, e di un errore. Perché penso che la tecnocrazia e il populismo sono dei doppioni mostruosi e caricaturali. In un caso, la politica si fa in nome di un popolo reificato, inesistente. Nell'altro caso, si fa in nome della tecnicità e dell'amministrazione pura, che è altrettanto inesistente. Dobbiamo respingere questi due poli. Ecco perché sto cercando di politicizzare il dibattito con Matteo Salvini. Non sono un tecnocrate, e mi rifiuto di esserlo.
In che modo?
In primo luogo, rifiuto l’idea secondo la quale ci siano da un lato i tecnocrati, non eletti, e dall’altro gli uomini che trascinerebbero il popolo. La Commissione Europea non è una tecnocrazia, ma un esecutivo politico controllato direttamente dal Parlamento europeo, così come lo è il governo di uno Stato membro. Certo, siamo degli uomini e delle donne politiche, e non dei funzionari pubblici, ma siamo investiti e controllati dal Parlamento, così come un Ministro lo è da un Parlamento nazionale. Siamo dunque un organismo politico che si sforza di comportarsi politicamente basandosi dunque su delle regole. Nel caso italiano, ci sono stati diversi modi di procedere. Avrei potuto oltrepassare il mio ruolo e colpire duro: mi rifiuto e mi sono rifiutato di farlo. Ho agito solo secondo le regole, cercando di non spingermi oltre. E le regole, in questo caso, devono essere interpretate in modo flessibile. Una procedura per disavanzo eccessivo avrebbe potuto essere avviata molto prima, ma mi sono rifiutato. Nel dibattito con Salvini, faccio funzionare entrambi gli emisferi del mio cervello.
In che senso?
L'emisfero sinistro, è quello di un politico che ha sempre avuto convinzioni antifasciste, figlio di un padre che è venuto in Francia fuggendo dal totalitarismo, e di una madre nascosta in Lozère dai Giusti. Sono completamente allergico a tutto ciò che ricorda questo periodo ed estremamente sensibile a riguardo, e non lascio passare nulla. Con questo emisfero combatto Matteo Salvini, l'uomo di estrema destra, amico di Marine Le Pen, il populista, il ministro anti-migranti. Ma in veste di Commissario, con l'emisfero destro, cerco di mantenere quello che Rouletabille chiamava "il piccolo pezzo di ragione", e di non lasciare alcuna presa alla possibile critica della Commissione. Rispetto pienamente la legittimità del governo italiano, non discuto le sue scelte, ma il loro impatto sulla crescita, sul deficit e sul debito. Questo è ciò che rende questo confronto così affascinante.
Ne La Grande Trasformazione, Karl Polanyi espone un pensiero politicamente interessante, quando scrive che “l’efficacia politica del fascismo non ha nulla a che vedere con la sua forza materiale e numerica” ma che “la caratteristica della “situazione fascista” è la disintegrazione psicologica e morale di tutte le forze di resistenza”. Lei oggi vede una resistenza rispetto alla spinta neo-nazionalista europea?
Chiaramente no. Ed è la grande tragedia dell’epoca. Polanyi è assolutamente illuminante. Di certo, questa citazione aiuta ad alimentare un confronto con gli anni ’30, ma ciò non mi stupisce. Ci sono delle somiglianze, e non esito a vedere un aumento di pericoli paragonabili a quelli dell’epoca. Gli attori non sono gli stessi e non voglio etichettare nessuno come fascista, rischiando così di condividere troppo velocemente la tesi di Godwin. Eppure ci troviamo di fronte a un movimento di estrema destra che deve essere chiamato in qualche modo, che presenta alcune caratteristiche del fascismo, e contro il quale lo spirito di resistenza è troppo debole. In Europa, le idee di estrema destra stanno diventando egemoniche, veicolate da una forza politica molto offensiva, ovvero la forza populista. Guardando alla configurazione politica contemporanea, i socialdemocratici rimangono piuttosto ben saldi, ma non hanno una capacità propulsiva nel loro discorso. Sono diventati, e me ne rammarico, non una forza trainante, ma una forza di supporto. La famiglia conservatrice e la famiglia liberale restano solo apparentemente unite, e ciascuna porta in sé leader e correnti a loro volta dominate dal pensiero populista. Ci sono populisti - o almeno delle influenze populiste - tra i liberali. Ma di questo non ne parliamo mai.
A chi sta pensando?
A Christian Lindner, ad esempio, il presidente del Partito liberaldemocratico tedesco (FDP). È pesantemente responsabile del fallimento delle elezioni tedesche e della formazione della Grande coalizione, che sta distruggendo la CDU e la SPD. C'è anche Andrej Babiš nella Repubblica Ceca, che incarna un populismo imprenditoriale. La realtà è che il Partito Popolare Europeo (PPE) non ha voluto veramente fermare il populismo. In questo senso, la sua posizione su Viktor Orban è alquanto tipica, dato che sta aprendo un dibattito che non risolve: facendo votare in maggioranza l'articolo 7 (sulle violazioni dello Stato di diritto), pur continuando a sostenere il Primo ministro ungherese.
Se osserviamo da vicino gli affari italiani, ci rendiamo conto che la Confindustria italiana è ben lungi dall'aver aderito a pieno titolo a Salvini, il che è alquanto contro intuitivo data la sua base elettorale. Si può pensare che parte di questo riallineamento provenga da azioni di cui vi potete ritenere responsabili. Non è la forza di resistenza di cui parlavamo con Polanyi?
Anche se fa male alle mie radici marxiste sì, il mondo imprenditoriale avrà un ruolo di primo piano nel caso italiano, perché in assenza di un’opposizione credibile, la Confindustria e le imprese in generale avranno una voce molto importante. Tanto più in quanto rappresentano in parte l’elettorato di Matteo Salvini, o perlomeno le forze economiche per le quali deve lavorare, sulle quali deve fare affidamento. Detto questo, spero che il Partito Democratico si riprenda e che in Italia rinasca una forza democratica credibile e filoeuropea. Tuttavia, tale partito dovrebbe guadagnare del coraggio, della coerenza ed una certa articolazione.
In che senso?
Posso citarvi un aneddoto. Quando sono andato a Roma a metà ottobre, dovevo incontrare Maurizio Martina, allora ancora segretario del Pd. Ha annullato l’appuntamento un quarto d’ora prima, dicendomi che non sarebbe stato prudente incontrarci nella sede del Pd. Come se il leader di un partito di centro-sinistra non fosse in grado di assumersi la responsabilità di incontrare il commissario socialdemocratico europeo, che sono io! Ovviamente non pretendo incarnare in modo esclusivo la leadership europea, ma mi sembra di essere diventato il nemico pubblico numero uno agli occhi di molti degli italiani che sostengono Matteo Salvini. Il problema con i populisti, è che c'è sempre un dilemma. Se li affronti, si dice che "perdi perché li nutri". Se non li affronti, perdi perché non li combatti. Finché si perde, tanto meglio perdere con le armi in mano, e fare di tutto per combattere e vincere: penso quindi che si debbano affrontare. Un partito che fugge è un partito che non ha futuro. Per fortuna, altre personalità mi hanno accolto in modo più cordiale e amichevole, a cominciare dai presidenti Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella.
Potremmo notare che l'inosservanza delle regole sia stata necessaria nel caso italiano perché la Commissione venisse a svolgere un ruolo politico e perché emergesse una figura europea capace di avviare un dibattito. Ritiene che l'incarnazione e la politicizzazione del ruolo di Commissario siano due tendenze auspicabili?
Questo non solo mi procura degli amici in Italia, ma ricevo anche un forte sostegno. In ogni caso, non si può più dare per scontato che questa sia una lotta della tecnocrazia contro la democrazia. Si tratta in effetti di due concezioni politiche opposte di ciò che l'Europa dovrebbe essere. Da questo punto di vista, ero e sono a favore del principio dello Spitzenkandidat. Tuttavia, l’idea ha perso gran parte della sua forza e del suo senso, poiché né il candidato del Ppe né il candidato del Pse possono essere considerati leader indiscussi del loro campo. E poi gli altri partiti non stanno al gioco. Dovremo quindi reinventare questa regola. O diventa automatica e generale, e persiste, o non è più automatico, è parziale e deve scomparire. Deve essere accompagnata da liste transnazionali, che conferiscono una dimensione europea al dibattito sulle elezioni europee, che si deve svolgere ora.
Come vede la sequenza politica che si aprirà dopo i risultati delle elezioni europee del maggio 2019?
Ciò che sarà deciso dopo le prossime elezioni europee sarà assolutamente cruciale. Fondamentalmente, ci sono tre scenari: la dismissione, il sussulto e l’immobilismo.
Cominciamo con il primo scenario, quello della dismissione...
O dell’implosione. Presuppone una svolta dell'estrema destra di tale importanza da rimettere in discussione l'esistenza della zona euro. Uno scenario in cui il governo populista vorrebbe che l'Italia uscisse dalla zona euro e costruisse un altro sistema. In questo scenario, i partiti nazionalisti occuperebbero un posto tale nelle istituzioni europee che andrebbero a costituire, di fatto, la forza attorno alla quale si organizza il tutto. Questo è lo scenario d’implosione. Non si gioca necessariamente e solamente durante elezioni europee, ma si sta assestando nella moltiplicazione dei pericoli neo-nazionalisti di estrema destra in Europa, che possono diventare maggioritari. I bastioni sono deboli, la Francia stessa rischia di cadere in una situazione pericolosa. Le nostre istituzioni sono in grado di mantenere un’illusione maggioritaria, ma la verità è che l'elettorato è molto frammentato e la situazione è, conseguentemente, precaria.
Il secondo scenario, quello del sussulto?
Sì: è lo scenario in cui le elezioni europee porterebbero ad un risultato deludente per i populisti. In questo caso, le varie forze politiche che agiscono in seno al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio affronterebbero a viso aperto le questioni che non sono state ancora pienamente colte, a cominciare dalla zona euro - che è molto più importante di quanto pensiamo, dato che porta in sé la capacità di combattere le disuguaglianze.
Il terzo scenario è quello dell’immobilismo...
Sì, una sorta di guerra di trincea. In questo scenario possiamo immaginare una significativa svolta populista, insufficiente a rovesciare l'Europa ma abbastanza forte da rallentare o addirittura paralizzare il sistema, con un blocco maggioritario troppo eterogeneo per far avanzare le riforme. Assisteremmo ad un crescente successo di populisti e nazionalisti, divisi in due campi, sia al Consiglio che al Parlamento. La capacità di iniziativa cambia da scenario a scenario. Bisogna dunque creare le condizioni che consentano un sussulto. Per questo motivo queste elezioni europee sono le più importanti da quando il Parlamento è stato eletto a suffragio universale (1979). Se dovessero portare ad uno scenario grigio o nero, l'Europa sarebbe in pericolo.
La politica europea sembra costantemente sospesa tra un ritmo di urgenza e crisi in un paradossale confronto con una sua strutturale lentezza. Si pone dunque la questione delle occasioni, o dei momenti favorevoli da cogliere per proporre delle trasformazioni concrete. Quali possibili finestre di azione vede nel futuro prossimo?
Temo che nella zona euro non accadrà nulla di decisivo fino al giorno dopo le elezioni, anche se spero in qualche possibile avanzamento per quanto riguarda l'Unione bancaria, il ruolo del Meccanismo Europeo di Stabilità o il principio di budget unico per la zona euro in dicembre 2018. Per questo motivo ritengo che la prossima occasione per agire avverrà non prima del 2020. Ce ne sono state alcune prima, che hanno coinciso con le elezioni presidenziali francesi e le elezioni tedesche, ma questa finestra si è chiusa a causa della formazione di un fronte ostile guidato dai Paesi Bassi e dai Paesi nordici. Il problema è che entro il 2020 il contesto si sarà, per forza di cose, ulteriormente deteriorato.
Da un punto di vista istituzionale, come vi immaginate la possibile attuazione di tali trasformazioni?
La logica vorrebbe che venissero attuate nel quadro di una nuova legislatura, e dunque di un nuovo mandato. E dunque, ci dovremmo basare sulle elezioni europee e sulle loro conseguenze. Il problema è che questo appuntamento rischia di svolgersi in condizioni estremamente difficili.
E dal punto di vista della Commissione?
La Commissione europea fa parte di un ciclo politico. Quando siamo arrivati, abbiamo lanciato una serie di iniziative. Ne posso citare tre: il piano Junker, lanciato immediatamente nel 2015 ; la flessibilità, lanciata anche in modo molto rapido sempre nel 2015 ; e poi il percorso contro la frode e l'evasione fiscale, sempre molto rapidamente, attraverso delle direttive. Poi abbiamo gestito l’aumento di potere, entriamo adesso nel naturale periodo di fine ciclo, alla fine di quest’anno, dove la Commissione dovrà gestire gli affari correnti. Nel complesso, dunque, è necessario un approccio legislativo.
La difficoltà sta nel fatto che le istituzioni europee non sono costruite per garantire pienamente una logica di legislatura…
Sì, il duo Commissione-Parlamento non si è totalmente affermato in quanto cuore pulsante della governance europea, e il Consiglio europeo si riforma e si distorce costantemente, il che va contro questa logica. Questa è la difficoltà delle istituzioni che non obbediscono al ragionamento di Montesquieu, ma rispondono ad un ordine molto più complesso, mescolando intergovernamentalismo e sovranazionalità.
Prima di concludere, vorremmo chiederle cosa ne pensa di una bella e un po' tragica dichiarazione di Pascal Lamy in occasione di una conferenza internazionale su Kojève al Parlamento europeo: "L'Europa è condannata al potere"…
Siamo in una fase tragica della storia. Chiunque si approcci in modo ingenuo, pensando di stare nel "business as usual", pensando di vivere una semplice fase del ciclo politico, che precederebbe la presa di potere di una nuova forza politica, è cieco, non vede ciò che si sta svolgendo sotto i suoi occhi e cammina sul bordo di un abisso. Prendete il caso di Donald Trump al di fuori dei nostri confini europei. Guardando attentamente ai risultati dei midterm, il presidente Trump pare, se non condannato, perlomeno destinato ad essere un one term president. Se l’elettorato che ha votato per i Democratici il 6 novembre si consolida, sarà molto difficile per lui vincere le prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, anche se non le vincesse, e specialmente se dovesse vincerle, avrà radicalizzato la metà della popolazione americana e il Partito Repubblicano uscirà dal periodo Trump radicalmente trasformato. Tutta la frangia repubblicana moderata, gli eredi di Abramo Lincoln, saranno scomparsi. E in fondo, le sconfitte dei democratici al Senato nei red states indicano la stessa cosa. È il territorio che inizia a parlare, che siate moderati o meno. E si arriva ad un partito politico che non ha più moderati in grado di esprimersi - tranne forse Romney.
Vede un fenomeno simile in Europa?
Sì, a poco a poco i populisti potrebbero imporsi come interlocutori. Siamo quindi in un periodo tragico. Guardiamo il mondo così com'è in Cina, nel Golfo, negli Stati Uniti ed oltre, le forze politiche del mondo. Chi sono i liberaldemocratici nel G20? Il Canadese, l’Australiano, la Tedesca, la Britannica, il Francese, l’Unione europea e, con tutte le sue particolarità, il Giapponese. Accanto a loro ci sono Bolsonaro, Trump, Putin, Xi Jinping, Erdogan, il principe ereditario Mohammed Bin Salman, il primo ministro indiano Modi. Il pianeta è diventato prevalentemente illiberale - e, occasionalmente, populista. L'Europa ha quindi un dovere su questo frangente, che è quello di costituirsi, di formarsi e di diventare potente. Allo stesso tempo più unita nelle forme di governance, più vigorosa nelle politiche che propone e più capace di avere un impatto su scala globale, perché, per quanto debole e fragile, rimane un modello politico, economico, sociale, culturale ed unico al mondo.
Quali sono gli elementi peculiari di questo modello da difendere?
Ce ne sono molti. Per esempio, in Europa non c’è la pena di morte, vogliamo la parità di genere, rifiutiamo ogni forma di discriminazione, siamo consapevoli del riscaldamento globale, difendiamo un modello sociale basato sulla riduzione delle disuguaglianze e sulla sicurezza sociale, difendiamo il multilateralismo, siamo contro il protezionismo.... e potrei continuare. Anche se questo ambiente unico può essere stato eroso e contestato dall'interno, è ancora un'entità con dei principi da diffondere nel mondo. Ma perché ciò accada, l'Europa si deve costituire. Forse è questo ciò che Pascal Lamy intendeva per "condannata al potere". O l'Europa si costituisce ora, e allora saremo un attore decisivo per i nostri popoli e per il mondo, o ci decomponiamo, che è il rischio della dismissione. Allora saremo una preda facile per tutti gli altri – 27 Stati isolati ed impotenti nell’anomia di un mondo pericoloso... Questo è ciò contro cui sto lottando!
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fino al momento in cui il consumatore lo ha informato dell'esercizio del diritto di recesso; per il calcolo
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all'esercizio del
diritto di recesso. Il rimborso avverrà entro 14 giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso sullo
stesso
mezzo di pagamento utilizzato per la transazione iniziale.
4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
5. Modalità di pagamento
5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
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specificata nell'offerta in relazione al pacchetto scelto dall'Utente.
5.2 Tutti i prezzi indicati nell'offerta si intendono comprensivi di IVA.
5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
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5.5 Il Fornitore non entra in possesso dei dati della carta di pagamento utilizzata dall'Utente. Tali dati
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5.6 È onere dell'Utente: (i) inserire tutti i dati necessari per il corretto funzionamento dello strumento
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Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
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addebitato sull'Apple ID account dell'Utente al momento della conferma dell'acquisto. Gli abbonamenti
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L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
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6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
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6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
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comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
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attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.