9 Febbraio
Non si tifa lo straniero. Ma il gilet giallo non è un alleato
La Francia di Macron ha da tempo una politica aggressiva con l'Italia. Ma il confronto si fa utilizzando gli strumenti dello Stato, non la goffa propaganda. Lorenzo Castellani parte dall'Italia divisa del Seicento per spiegare cosa non funziona nella storia dei rapporti tra Roma e Parigi. Abbiamo un problema: fare l'Italia
di Lorenzo Castellani
L'attrito diplomatico con la Francia di questi giorni è il paradigma di tutte le debolezze storiche e politiche del Paese nonché delle sue insuperabili divisioni. Un pezzo di classe dirigente, oltremodo esterofilo ed oggi politicamente in difficoltà, sembra infatti più interessato a tutelare gli interessi degli altri paesi che quelli del proprio. Questi enunciano un teorema per cui le potenze straniere hanno sempre ragione e l’Italia sempre torto. L’altra fazione invece, quella che oggi governa, pensando di difenderne le ragioni del Paese di fatto lo danneggia con la sua goffa inesperienza.
L'atteggiamento di Di Maio appare grave proprio perché l'Italia avrebbe delle ragioni nell'avviare un confronto serrato con la Francia, ma certe sceneggiate rischiano di far recedere i buoni motivi e indebolire ulteriormente la nostra posizione. Con i francesi c'è un problema di lungo periodo che, senza correre troppo indietro nel passato, inizia almeno con l'intervento in Libia e con la deposizione del governo Berlusconi a colpi di risatine di Sarkozy e letterine di Jean-Claude Trichet. A questi screzi si sono sommati l'atteggiamento di Macron sull'immigrazione con i respingimenti alla frontiera, le scampagnate oltre confine della Gendarmerie, lo scarico dei migranti in suolo italiano; sul piano economico, i tentatitivi di scalata ai colossi italiani della finanza e delle assicurazioni ed il ricorso all'Antitrust europeo per bloccare la fusione Fincantieri-STX e poi le diverse posizioni proprio sulla risoluzione della crisi libica. Non mancano, dunque, i dossier con una nazione che è la diretta concorrente per la leadership nel Mediterraneo e che, nell'ultimo decennio, ha mostrato una politica aggressiva nei confronti del nostro paese. Chi lo nega rifiuta la realtà politica oppure è innamorato dell'accento transalpino. E non sono pochi, nella classe dirigente italiana, quelli che subiscono il fascino dello straniero. La borghesia vendidora e compradora, sempre...
di Lorenzo Castellani
L'attrito diplomatico con la Francia di questi giorni è il paradigma di tutte le debolezze storiche e politiche del Paese nonché delle sue insuperabili divisioni. Un pezzo di classe dirigente, oltremodo esterofilo ed oggi politicamente in difficoltà, sembra infatti più interessato a tutelare gli interessi degli altri paesi che quelli del proprio. Questi enunciano un teorema per cui le potenze straniere hanno sempre ragione e l’Italia sempre torto. L’altra fazione invece, quella che oggi governa, pensando di difenderne le ragioni del Paese di fatto lo danneggia con la sua goffa inesperienza.
L'atteggiamento di Di Maio appare grave proprio perché l'Italia avrebbe delle ragioni nell'avviare un confronto serrato con la Francia, ma certe sceneggiate rischiano di far recedere i buoni motivi e indebolire ulteriormente la nostra posizione. Con i francesi c'è un problema di lungo periodo che, senza correre troppo indietro nel passato, inizia almeno con l'intervento in Libia e con la deposizione del governo Berlusconi a colpi di risatine di Sarkozy e letterine di Jean-Claude Trichet. A questi screzi si sono sommati l'atteggiamento di Macron sull'immigrazione con i respingimenti alla frontiera, le scampagnate oltre confine della Gendarmerie, lo scarico dei migranti in suolo italiano; sul piano economico, i tentatitivi di scalata ai colossi italiani della finanza e delle assicurazioni ed il ricorso all'Antitrust europeo per bloccare la fusione Fincantieri-STX e poi le diverse posizioni proprio sulla risoluzione della crisi libica. Non mancano, dunque, i dossier con una nazione che è la diretta concorrente per la leadership nel Mediterraneo e che, nell'ultimo decennio, ha mostrato una politica aggressiva nei confronti del nostro paese. Chi lo nega rifiuta la realtà politica oppure è innamorato dell'accento transalpino. E non sono pochi, nella classe dirigente italiana, quelli che subiscono il fascino dello straniero. La borghesia vendidora e compradora, sempre pronta ad invocare il salvifico vincolo esterno e ben descritta dal Professor Giulio Sapelli, è ancora viva e visibile. Il servire lo straniero è da sempre una gran specialità delle élite di un Paese con scarsa coscienza dell'interesse nazionale.
Tuttavia, l'insipienza dei leader del Movimento 5 Stelle è palese. Non si giocano partite difficili e delicate con dichiarazioni pirotecniche e con il sostegno diretto a movimenti politici di protesta ancora privi di una chiara identità, ma non di episodi violenti. Si può caldeggiare legittimamente un cambiamento politico, ma appare una mossa quanto meno azzardata che un vicepresidente del Consiglio voli all'estero per incontrare i presunti leader di un tale movimento dopo aver sparato una serie di accuse a mezzo stampa al Presidente francese. Un comportamento che rischia di danneggiare la patria ed esacerbare senza motivo le tensioni ed avviare rappresaglie. Si può ingaggiare un confronto con i francesi per regolare conti ed interessi, ma per farlo urge una strategia che si muova attraverso la diplomazia, la politica commerciale, strumenti legali e geopolitici. In altre parole: Di Maio sembra dare spettacolo per risalire la china del consenso più che perseguire una vera politica estera.
Questi due atteggiamenti, faccia della stessa medaglia di un Paese debole, informano una pièce teatrale in cui dramma e commedia coincidono. Tanto che di senso dello Stato, quello che lo storico francese Daniel Richet chiamava lo spirito delle istituzioni, nella penisola ve n'è sempre stato poco. Ciò perché lo Stato, in Italia, è stato fatto male, in fretta, sommando pezzi troppo diversi e dello stesso Stato il popolo italiano ha sempre diffidato e le sue élite per gran parte di esso hanno profittato. La storia ha il suo peso e la schizofrenia odierna lo dimostra. La decadenza seicentesca, dopo un Rinascimento folgorante ma politicamente inconcludente, pesa ancora sul paese. D'altronde quando nel 1559 a Cateau-Cambrésis si firmava la pace tra gli Asburgo e la Francia e dove, per la prima volta, compariva la parola "Stato", l'Italia non era seduta al tavolo, ma oggetto di smembramento. Spagna, Austria, Francia ed Inghilterra erano già Stati con i processi di identità, disciplina, organizzazione militare, culto dei simboli e delle istituzioni, mentre l'Italia era un assembramento di staterelli sotto il gioco straniero.
Inoltre come tutti i paesi cattolici europei, incapaci di reggere la concorrenza economica dei nuovi paesi protestanti (Olanda e Inghilterra), le cui potenti flotte navali assicuravano la loro ricchezza, anche l'Italia, dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559), con cui si consegna una penisola controriformistica, divisa in principati, a una nazione veterofeudale come la Spagna, vede il suo declino economico, già iniziato al tempo della discesa di Carlo VIII (1494), procedere senza soluzione di continuità. In maniera diretta o indiretta gli spagnoli controllavano quasi tutta la penisola, ad eccezione del ducato di Savoia e della repubblica veneta. E i loro metodi erano ovunque gli stessi: enormi tasse e tributi per sostenere le guerre e una vita di lusso, e assoluti favoritismi per i ceti nobiliari, laici e soprattutto ecclesiastici, cui venivano venduti a prezzi di favore o addirittura ceduti gratuitamente titoli nobiliari, feudi, uffici, senza considerare ch'essi erano totalmente esentati dal pagamento delle imposte.
Lo sviluppo della produzione era ostacolato anche dall'introduzione, da parte spagnola, di monopoli (tra l’altro essi avevano nelle loro mani il commercio del grano siciliano) e dalla adulterazione della moneta praticata dalle stesse autorità spagnole. Un'Italia divisa in tanti staterelli, dominata da una potenza straniera, oppressa da una chiesa avversa allo sviluppo del capitalismo e al libero pensiero, non poteva che ripiombare nel feudalesimo, dopo essere stata per almeno mezzo millennio la punta avanzata della borghesia europea.
L'Italia del XVII secolo cominciò a vivere una situazione socialmente ed economicamente molto drammatica, e per una serie di ragioni: guerra dei Trent'anni tra gli Asburgo e i francesi (1618-48): entrambi Stati cattolici, ma gli Asburgo d'Austria non hanno rinunciato a imporre a tutta Europa la controriforma; contrazione delle attività artigianali, industriali e commerciali; calo sensibile dell'importazione di metalli pregiati dalle colonie americane, che comporta una mancanza di moneta circolante; rifeudalizzazione dei rapporti agrari con l'introduzione della mezzadria; ma anche fuga dalle campagne verso le città, in quanto l'attività agricola, da secoli basata sul mercato, non è più redditizia; decremento demografico dovuto a carestie ed epidemie di peste (1576 e 1630); generale aumento delle sommosse (Milano, Palermo e Messina dal 1628 al 1647 e Napoli negli anni 1647-49, dove la rivolta contadina di Masaniello, dopo aver portato alla proclamazione della repubblica, venne soffocata dagli spagnoli); nello Stato della chiesa era forte il banditismo e il brigantaggio; ovunque dilagava il pauperismo.
In questo mosaico desolato il granducato di Toscana fruiva di una relativa autonomia, essendo al potere i Medici, al punto che può proteggere la libertà di pensiero e di ricerca di vari letterati artisti scienziati (come Galileo Galilei), ma la Spagna lo controlla attraverso la repubblica di Lucca e soprattutto attraverso lo Stato dei Presìdi (isola d'Elba, Piombino, alcuni porti litoranei della Toscana). Il granducato poté permettersi di conquistare la repubblica di Siena, ma non senza l'aiuto degli spagnoli. Estinta la famiglia dei Medici, i fiorentini furono costretti ad accettare un duca di Lorena, scelto dalle potenze europee (1738). Uno degli Stati italiani più poveri in assoluto era quello Pontificio, non avendo alcuna iniziativa economica in campo industriale e commerciale. Tuttavia il papato, avvalendosi della forza militare spagnola, riuscì ad annettere il marchesato di Ferrara (1598) e il ducato di Urbino (1631). Nel 1542 a Roma veniva riorganizzata l’Inquisizione, che ben presto comincia a infierire in tutto il paese, ad eccezione di Venezia. Anche Genova, ove si manteneva al potere l’oligarchia dei banchieri e dei grandi mercanti, sfruttava la presenza spagnola in Italia, concedendole numerosi prestiti finanziari e facendo del proprio porto uno scalo per i traffici spagnoli col ducato di Milano e i territori tedeschi. Tuttavia Genova non potrà in alcun modo sottrarsi al progressivo tramonto della Spagna, già iniziato verso la metà del XVI secolo e precipitato con una serie di catastrofiche bancarotte del governo iberico tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo.
Gli unici due Stati a conservare una certa libertà di manovra rimanevano il ducato di Savoia, che, con una amministrazione centralizzata e un piccolo esercito permanente, proprio nella seconda metà del Cinquecento prendeva la decisione di espandersi non più in Francia bensì in Italia: di qui il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino. Grazie al trattato di Lione (1601), Carlo Emanuele I poté annettersi il marchesato di Saluzzo, cedendo ai francesi alcune terre della Savoia. L'altro Stato indipendente era la repubblica di Venezia, che, di fronte all'avanzata turca nel Mediterraneo, preferisce limitarsi a curare i propri interessi nell'Adriatico e nell'entroterra, contro ogni tentativo d'intromissione politica dall'esterno. La propria espansione territoriale, realizzata in questo periodo, resterà immutata sino all'arrivo delle truppe napoleoniche nel 1797. Alla ricerca di un appoggio contro la Spagna, essa si avvicinava o alla Francia o ai principi protestanti tedeschi, e vedeva affari e sovranità recedere e declinare.
Serviranno altri duecento anni per fare l’Italia unita ed anche questo processo sarà pieno di ingerenze, interventi ed interessi delle potenze straniere. A metà dell’Ottocento s’innescherà un processo di unificazione a tappe forzate, spinto da un solo angolo della penisola che incontrerà forti resistenze e comporterà inevitabili compromessi nei primi decenni di vita del Regno d’Italia. Questo strato di “tormento storico”, costituito da divisioni, squilibri territoriali, debolezza istituzionale e vincoli esterni, che caratterizza la nascita dell’Italia unita resterà un elemento caratterizzante della vita politica italiana. E che ancora oggi condiziona le scelte e i comportamenti della classe dirigente italica.
Ciò non significa che l'Italia dal Seicento non abbia fatto notevoli progressi: è divenuta uno Stato unitario, s'è fatta ricca e industriale, è riuscita ad esercitare una consistente influenza culturale sul resto del mondo, ma sconta ancora le ferite d'un paese per storia abituato ad essere diviso, rissoso, fazioso ed in perenne rapporto di supina subordinazione o disordinata rivalsa verso le potenze a nord delle Alpi. La storia di questi giorni non è che l'ennesima ripercussione di una vicenda lunga e frammentata che si alimenta di un debole senso dello Stato e di scarsa consapevolezza degli strumenti con cui difendere l'interesse nazionale.
Quella con la Francia è una partita che deve esser giocata con astuzia, in punta di fioretto, e ricorrendo a quello che comunemente si chiama Stato profondo (intelligence, relazioni diplomatiche, sistema economico). A maggior ragione perché, in questa partita, la Francia parte avvantaggiata essendo una più forte potenza economica, diplomatica e militare. Non sarà fomentando i gilet gialli che recupereremo le distanze, alleggeriremo le pressioni o troveremo triangolazioni con altri paesi. Ciò può avvenire solo organizzando la più potente macchina degli interessi, lo Stato, e le sue articolazioni militari, economiche e politiche.
Dunque solo quando l'Italia riuscirà a costruire una classe dirigente votata alla Ragion di Stato e alla coscienza nazionale allora, forse, queste ferite della storia spariranno e la competizione con le altre grandi potenze europee potrà essere giocata a pari livello.
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immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
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8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.