30 Marzo
Populismo? No, si chiama jacksonismo
Donald Trump è un presidente inserito in un filone culturale della politica degli Stati Uniti. La figura mitica di Andrew Jackson, avvocato, generale, eroe di guerra e politico di una nuova borghesia. Lorenzo Castellani racconta perché The Donald non è la fine della democrazia americana, ma la regolarità della sua storia
di Lorenzo Castellani
Il populismo è oggi un termine sempre utilizzato con significato negativo. Persino gli scienziati politici e gli storici faticano ad utilizzarlo con parsimonia e neutralità. E siccome tutti sanno che il termine proviene dalla Russia e dagli Stati Uniti del Diciannovesimo secolo, in cima alla lista dei populisti c’è sempre il Presidente americano Donald Trump, l’uomo che ha sconfitto l’establishment, pur essendone parte, nel nome del forgotten man. Che cos’è il populismo? Persino un intellettuale mainstream come Francis Fukuyama ha ammesso che “populismo sono tutte quelle politiche che non piacciono all’establishment”.
Il politologo nipponico-americano questa volta centra il punto: non esiste un pensiero politico populista, non esistono ideologie populiste e nemmeno un pensiero economico. Si definisce come populismo tutto ciò che si pone in antagonismo con il recente passato sia sul piano delle politiche fiscali o monetarie, che su quello delle questioni etiche, sull’immigrazione oppure sul linguaggio.
Negli Stati Uniti storicamente un populismo c’è stato, era tutt’altro che privo di un solido pensiero e per ritrovarne le tracce bisogna risalire fino agli Anni Venti dell’Ottocento. Alla storia questa fase è passata come populismo oppure come jacksonismo, da Andrew Jackson. Di origini irlandesi, famiglia modesta, avvocato, poi generale dell’esercito americano ed infine Presidente degli Stati Uniti tra il 1829 ed il 1837. Jackson è una figura mitica, il politico americano più travolgente di un'intera generazione. È colui che ha aperto all’era del partito negli Stati Uniti e che ha dato sfogo agli istinti di una nuova borghesia che reclamava l’accesso alle urne e alle cariche pubbliche.
Populista come? Nell’era Jacksoniana si allargarono le maglie del suffragio ristretto, si introdusse uno spoils system...
di Lorenzo Castellani
Il populismo è oggi un termine sempre utilizzato con significato negativo. Persino gli scienziati politici e gli storici faticano ad utilizzarlo con parsimonia e neutralità. E siccome tutti sanno che il termine proviene dalla Russia e dagli Stati Uniti del Diciannovesimo secolo, in cima alla lista dei populisti c’è sempre il Presidente americano Donald Trump, l’uomo che ha sconfitto l’establishment, pur essendone parte, nel nome del forgotten man. Che cos’è il populismo? Persino un intellettuale mainstream come Francis Fukuyama ha ammesso che “populismo sono tutte quelle politiche che non piacciono all’establishment”.
Il politologo nipponico-americano questa volta centra il punto: non esiste un pensiero politico populista, non esistono ideologie populiste e nemmeno un pensiero economico. Si definisce come populismo tutto ciò che si pone in antagonismo con il recente passato sia sul piano delle politiche fiscali o monetarie, che su quello delle questioni etiche, sull’immigrazione oppure sul linguaggio.
Negli Stati Uniti storicamente un populismo c’è stato, era tutt’altro che privo di un solido pensiero e per ritrovarne le tracce bisogna risalire fino agli Anni Venti dell’Ottocento. Alla storia questa fase è passata come populismo oppure come jacksonismo, da Andrew Jackson. Di origini irlandesi, famiglia modesta, avvocato, poi generale dell’esercito americano ed infine Presidente degli Stati Uniti tra il 1829 ed il 1837. Jackson è una figura mitica, il politico americano più travolgente di un'intera generazione. È colui che ha aperto all’era del partito negli Stati Uniti e che ha dato sfogo agli istinti di una nuova borghesia che reclamava l’accesso alle urne e alle cariche pubbliche.
Populista come? Nell’era Jacksoniana si allargarono le maglie del suffragio ristretto, si introdusse uno spoils system più ampio che permetteva ai partiti di nominare i propri attivisti come funzionari di Stato pur se non appartenenti all'aristocrazia terriera e all’alta borghesia cittadina che aveva dominato l’età precedente. Oltre alla carica democratica v’era quella antipolitica d’un’epoca piena di trasformazioni economiche e sociali. I jacksoniani si battevano contro i grandi monopoli industriali, contro l’irresponsabilità delle banche assistite dallo Stato, contro le collusioni tra politica e affari e, soprattutto, contro l’espansione incontrollata della burocrazia federale e degli interventi di Washington nella vita dei cittadini. Fondamentali furono le idee di John Calhoun, geniale teorico conservatore a lungo negletto dalla storiografia, che aveva irrigato con queste idee il programma jacksoniano e che divenne vicepresidente nel primo mandato dell’ex generale. Che vi fosse una carica anti-establishment nel messaggio democratico appare evidente, ma v’era anche una profonda filosofia liberal-conservatrice che affondava le proprie radici nell’alba della Repubblica americana, nel pensiero di Thomas Jefferson ed in quello degli antifederalisti che alla fine del Settecento si batterono senza successo perché gli Stati Uniti restassero una confederazione, ma lasciarono un segno indelebile nel pensiero politico americano. All’epoca di Jackson il passo federale era stato oramai compiuto da quattro decadi, ma i Democratici dell’epoca di cui era a capo volevano mantenere delle forti restrizioni all’intervento del governo federale sulle scelte degli Stati e degli americani. L’autogoverno, la comunità, l’individualità del piccolo imprenditore o agricoltore dovevano prevalere sulle grandi strutture istituzionali, sul big business e sui circoli finanziari vicini alla politica.
La storia non si ripete mai, ma spesso le sue fasi si somigliano. Più volte lo stesso Trump ha evocato il jacksonismo nei suoi discorsi ponendosi volontariamente come estimatore e continuatore di quella oramai lontana esperienza. Quanto Jackson c’è in Trump? La differenza fondamentale è che Jackson parlava ad una classe media nuova e rampante, mentre Trump ad una ferita ed impoverita. Ne discende che il messaggio di Jackson era imperniato sulla liberazione delle energie politiche ed economiche di questa classe media, mentre quello di Trump sulla sua protezione e riabilitazione della stessa. Il populismo jacksoniano era per certi versi, al netto del protezionismo che è una matrice condivisa dai due, più liberale e radicale di quello trumpiano che però si ritrova a fronteggiare un apparato governativo molto più ampio, forte e mastodontico. Inoltre Jackson correva verso Ovest e verso Nord, guidava un territorio in espansione e crescita mentre Trump deve gestire il riequilibrio del potere americano nel mondo e la ritirata sia da alcuni territori che dal ruolo di poliziotto del mondo.
L’obiettivo di una retorica in entrambi i casi ruvida resta però lo stesso: l’establishment di Washington e i suoi riti. È come se la storia degli Stati Uniti possa scandirsi in fasi in cui l’oligarchia è ben protetta, legittimata e solida ed altre in cui, dal basso, esplodono tutte le contraddizioni del mondo americano che si rivolgono contro l’élite dominante. In cui gli americani territorializzati, delle piccole comunità e del business più semplice si rivoltano contro il comando degli “Unamerican”, gli americani con il passaporto, i grandi interessi e gli affari sofisticati. Una tensione inestirpabile che percorre tutta la storia americana e che fa ammantare di populismo gli interpreti di queste fasi. E che accomuna gli attacchi di Jackson alle banche, ai grandi monopoli, alle oligarchie partitiche e ai burocrati di professione con quelli di Trump al deep State, alle big tech e ai politici di lungo corso. Come ha scritto il grande storico americanista Tiziano Bonazzi: “L’America è la modernità perché è un inarrestabile dramma del cambiamento che muove dall’entusiasmo alla tragedia e ritorno, è un Paese che ribolle continuamente dal basso.”.
Non si deve dimenticare che per il repubblicanesimo inglese del Settecento, in cui erano immersi i padri costituenti, il potere è un cancro che infetta chi lo possiede, anche se eletto dal popolo, per cui occorre un popolo virtuoso, come quello dell’antica Roma repubblicana o il moderno popolo protestante, per tenere sotto controllo i governanti. Una teoria che venne portata nelle colonie, ispirò la Rivoluzione e si legò indissolubilmente all’idea di sovranità popolare che hanno gli americani.
La percezione di un’inimicizia naturale fra governanti e governati, di una mai completa legittimità del potere, è intrinseca agli Stati Uniti. Di conseguenza un nocciolo populista è parte integrante dell’esperienza americana. Disconoscerlo significa rinunciare a comprendere la politica d’oltreoceano. Un errore spesso commesso dai media, che si accompagna ad un'altra miopia forse ancor più frequente, ossia l’idea che l’elezione di un Presidente possa cambiare tutto. Mentre la complessità del potere americano, intricato incrocio tra pubblico e privato, è tale che ciò non accade praticamente mai. Il Presidente è un attore politico fondamentale, inserito in un sistema ampio che ridefinisce continuamente i suoi equilibri interni.
Dunque l’avvento del populismo in America non è l’avvento di infauste catastrofi, bensì una regolarità della sua storia. Non è come spesso erroneamente creduto da analisti e commentatori europei, la fine della democrazia americana. È una democrazia che, al contrario, si vivifica e rimette in circolo le élite anche grazie al riaffiorare di questa profonda e sotterranea eredità.
I problemi sembrano di gran lunga maggiori altrove, in Europa, dove si parla sempre più impropriamente di populismo per riflessi politici che, in realtà, sembrano essere qualcosa di ben diverso dall’originale versione statunitense.
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- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
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alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
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11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.