31 Maggio
Il falso establishment e la vera élite d'Italia
L'establishment italiano? Non esiste, la classe dirigente è divisa e il piccolo mondo liberal è sempre più una minoranza. Chi fa girare gli ingranaggi? I banchieri, la rete della media e piccola impresa, la vera élite. Lorenzo Castellani esplora lo scontro tra "localizzati" e "sradicati", il cuore dell'operazione politica della Lega
di Lorenzo Castellani
Che cosa è l’establishment italiano? Nessuno lo sa, perché in Italia non esiste establishment. Mai paese ha avuto una classe dirigente più divisa, frazionata, distribuita sul territorio, con posizioni politico-culturali così variegate. È la solita Italia, per natura e vocazione storica, smembrata in fazioni rissose.
Abbiamo cercato per anni di applicare le teorie anglo-americane alle dinamiche politiche che hanno sconvolto il panorama politico degli ultimi anni. Le ultime elezioni (2018, 2019) hanno dimostrato che per l’Italia non funzionano. Qui non esiste Washington con i suoi lobbisti e nemmeno Londra con la sua finanza, non vi è una Parigi con la sua classe di mandarini pubblici e privati. Non c’è un establishment unito formato da individui che hanno frequentato le stesse grandi scuole superiori, le stesse cinque università, che svolgono professioni interdipendenti, che si ritrovano in appositi luoghi per coordinare le proprie azioni come club, associazioni, fondazioni filantropiche. Non esiste un sistema finanziario paragonabile per denaro ed influenza al mondo anglosassone, non esiste una élite amministrativa potente come oltralpe e nemmeno un grande sistema industriale integrato come nell’earthland germanico.
Establishment italiano, di cosa parliamo? Di una finzione da teatro in cui il popolo italiano eccelle. I nuovi protagonisti della politica, la destra sovranista di Salvini e l’antipolitica di Grillo, sono saltati sul carro globale di una rivolta dalle molteplici cause imbracciando la lotta contro la casta, l’establishment, l’élite. Se questo impianto può forse reggere sul piano europeo nella contestazione della legittimità della tecnocrazia di Bruxelles, crolla appena si varcano le Alpi. Il piccolo mondo liberal composto da accademici e professionisti competenti, intellettuali, pensatori e artisti auto-proclamatisi tali se ne è compiaciuto così tanto da sentirsi davvero la sanior pars della società. Si può sul serio credere che l’establishment italiano siano Capalbio, i Parioli ed il centro di...
di Lorenzo Castellani
Che cosa è l’establishment italiano? Nessuno lo sa, perché in Italia non esiste establishment. Mai paese ha avuto una classe dirigente più divisa, frazionata, distribuita sul territorio, con posizioni politico-culturali così variegate. È la solita Italia, per natura e vocazione storica, smembrata in fazioni rissose.
Abbiamo cercato per anni di applicare le teorie anglo-americane alle dinamiche politiche che hanno sconvolto il panorama politico degli ultimi anni. Le ultime elezioni (2018, 2019) hanno dimostrato che per l’Italia non funzionano. Qui non esiste Washington con i suoi lobbisti e nemmeno Londra con la sua finanza, non vi è una Parigi con la sua classe di mandarini pubblici e privati. Non c’è un establishment unito formato da individui che hanno frequentato le stesse grandi scuole superiori, le stesse cinque università, che svolgono professioni interdipendenti, che si ritrovano in appositi luoghi per coordinare le proprie azioni come club, associazioni, fondazioni filantropiche. Non esiste un sistema finanziario paragonabile per denaro ed influenza al mondo anglosassone, non esiste una élite amministrativa potente come oltralpe e nemmeno un grande sistema industriale integrato come nell’earthland germanico.
Establishment italiano, di cosa parliamo? Di una finzione da teatro in cui il popolo italiano eccelle. I nuovi protagonisti della politica, la destra sovranista di Salvini e l’antipolitica di Grillo, sono saltati sul carro globale di una rivolta dalle molteplici cause imbracciando la lotta contro la casta, l’establishment, l’élite. Se questo impianto può forse reggere sul piano europeo nella contestazione della legittimità della tecnocrazia di Bruxelles, crolla appena si varcano le Alpi. Il piccolo mondo liberal composto da accademici e professionisti competenti, intellettuali, pensatori e artisti auto-proclamatisi tali se ne è compiaciuto così tanto da sentirsi davvero la sanior pars della società. Si può sul serio credere che l’establishment italiano siano Capalbio, i Parioli ed il centro di Milano? Al massimo questo è un circolo scoordinato di poche migliaia di persone con buoni patrimoni su 60 milioni e rotti di cittadini. Che poi votino tutti nella stessa direzione non sembra molto indicativo poiché così è sempre stato. Piccola corporazione più che vero establishment. Minoranza sempre più minoranza politica, come la storia dimostra. Che poi l’establishment possano essere giornalisti, scrittori, registi e accademici oggi fa scappare proprio da ridere. Ne sanno qualcosa i banchieri che silenziosamente, sfuggenti all’etichettatura dell’esser establishment, continuano a far girare gli ingranaggi. Gli orologiai, come li chiama l’eccellente giornalista economica Camilla Conti, si muovono felpati e comandano con l’invisibilità di chi ha le leve del potere finanziario. Se poi proprio la si vuol mettere sul piano del puro potere politico allora è assai più influente la casta dei magistrati - anch’essa sempre divisa in litigiose fazioni - che falcia d’inchieste l’intero arco politico da tre decenni. Altro che Gruber, Saviano e Lerner.
Che dire poi del voto che ha investito la Lega a queste europee? Salvini ha ottenuto tra le classi di reddito più elevato la stessa media che ha a livello complessivo, 34,3%, tra imprenditori, commercianti e autonomi addirittura il 42,3%. In un paese che si regge sulla piccola-media impresa si può forse dubitare che sia questa la vera élite? Diffusa, distribuita, forgiata dai mercati e dall’inventiva individuale e collettiva, sempre sulla bocca di tutti. La vera élite italiana sono gli imprenditori e chi investe risorse finanziarie su di loro. L’establishment farsesco è il popolo di Twitter e delle televisioni. Si sostiene comunemente che i ricchi votino a sinistra. Nel centro di Roma, Milano, Napoli e Torino forse. Di certo non nelle ricche provincie dall’astigiano alla Maremma, dal triveneto alle costa marchigiana, dalle colline umbre agli uliveti del Salento. In Italia la superficie dell’oro riflette sempre il provincialismo. Ogni categoria interpretativa dell’élite italiana usata fino ad oggi è dunque pronta a cadere, a sciogliersi nella complessità di un paese kafkiano e pirandelliano.
L’unica distinzione di una certa validità appare quella culturale. Da un lato chi ha i piedi ben piantati nel terreno, chi produce, chi cerca un orizzonte nazionale che lo supporti, una mano nello scontro tra piccoli produttori e grande capitale e soprattutto chi bada alla concretezza. Meno tasse e più sicurezza, il buon senso di Matteo Salvini che attrae grandi consensi per la sua semplicità. Dall’altra parte ci sono gli individui globalizzati che hanno studiato all’estero, i professionisti internazionalizzati, i media dei grandi centri urbani, i colti con le case a New York e Parigi, tutti quelli che potrebbero lavorare a Roma come a Londra, a Milano come a Hong Kong. Lo spiega bene il voto degli italiani all’estero tutto orientato in senso liberal e cosmopolita oppure lo spettro fasullo della “rivolta del Nord” contro la Lega sbandierato dai giornali di Roma e Milano, che evidenziano un giornalismo sempre più improntato al retroscena, alla manipolazione e alla conferma del pregiudizio ideologico che alla cronaca.
L’inglese Goodhart ha chiamato le due categorie somewheres, i localizzati, e gli anywheres, gli sradicati. Nella sua rapsodia politica la Lega, assurto a partito interclassista, ha svolto una operazione trumpiana, cercando di porsi come forza capace di proteggere i piccoli-medi produttori dalle trasformazioni furiose del mondo, di metterli in cima alla lista delle priorità, promettendo di ri-territorializzare il capitalismo. Con una spolverata di legge ed ordine ed un’abilissima serie di polemiche con avversari perfetti perché establishment autoproclamato. Dunque, cosa è l’élite italiana? Alla fine della cavalcata è sempre più evidente che non ne esista una sola. Esistono plurime élite, varie classi dirigenti con diverse idee d’Italia, ma per mancanza di unità e partigianeria non esiste alcun establishment italiano, checché ne pensino i complottisti oppure gli anti-populisti da Twitter che establishment si credono.
Ciò che è certo è che il nazional-populismo non è la rivolta dei buzzuri, non è il golpe degli incompetenti e nemmeno una purissima lotta di classe. È uno scontro culturale in cui diverse élite si fronteggiano con bordate più forti rispetto a quelle di dieci o venti anni fa a causa dei rapidi cambiamenti globali. Tra chi vuol frenare integrazione sovranazionale e cosmopolitismo e chi, invece, intende accelerarlo. Tra chi vuole rompere istintivamente un paradigma economico in crisi, ma con poche alternative, e chi cerca disperatamente di difenderlo nonostante le palesi disfunzioni sociali e politiche. Ed è questo scontro culturale ciò che realmente fa tremare i polsi alla società dei colti e competenti. Che li spinge alla polarizzazione: o con noi o con i populisti (sì, ma quali?). Tertium non datur, il pensiero sia omogeneizzato in due fazioni, il quadro si semplifichi, il conformismo si imponga. Bipolarismo muscolare del pensiero. Venature autoritarie per i difensori della democrazia, e anche qui quale democrazia non sappiamo. Questo è ciò che preoccupa “la parte migliore”, più delle ineleganti dichiarazioni di Salvini o dei congiuntivi di Di Maio, ben oltre un governo populista con idee contraddittorie o una nuova classe politica piena di improbabili.
Gli stessi populisti dovranno preoccuparsi ben più dei loro concreti elettori, vera e cospicua élite nazionale, che dei loro sempre più minoritari avversari; dare maggiore peso alla questione culturale della borghesia disillusa che agli screzi dei salotti televisivi; coltivare le relazioni con i banchieri invece che quelle con il sedicente popolo colto dei grandi centri; affondare e saldare le radici nella provincia poiché se le idee vengono dalle città è li che si pratica e svolge il potere italiano. Lasciar perdere, in altre parole, di legittimare l’establishment farlocco e minoritario per dedicarsi alle vere élite.
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(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.