18 Giugno
L'uscita dell'Italia dall'Euro è una bolla (im)possibile
L'Italexit è un tema alimentato con toni grotteschi e allucinati da fazioni contrapposte per reciproca convenienza. La politica, l'economia, il diritto, la forza della quotidianità, restituiscono un altro scenario. Un'indagine di Lorenzo Castellani su un dibattito ai confini della realtà
di Lorenzo Castellani
A volte aprendo i giornali nazionali ed internazionali oppure scorrendo i social media di politici, opinionisti, accademici ed esperti vari si ha l’impressione che l’Italia sia ad un passo dall’uscita dall’euro. La questione è ben delineata: da un lato i critici della moneta unica e dall’altro i difensori ortodossi dell’Unione Europea e del suo sistema monetario. Nel mezzo, invece, c’è la realtà. Sì, perché l’impressione è che la presunta uscita dall’euro dell’Italia sia diventata una grande bolla mediatica, un business da parte di due minoranze contrapposte, un case study da corso di marketing politico. Il gioco dei due gruppi è semplice e ormai scoperto. Si deve creare il caso euro, alimentarlo mediaticamente con un’emergenza permanente ed una giusta dose di followers e grazie ad esso guadagnare citazioni, vendere libri, occupare posizioni pubbliche, aprire spazi politici.
La questione dell’uscita dall’euro è ovviamente molto seria ed è fisiologico che, in una situazione di crisi politica come quella in cui versa da un decennio l’Unione Europea, il mondo politico ed intellettuale affrontino anche aspramente la questione. Ciò non toglie che i toni e i modi con cui ciò avviene in Italia sono spesso grotteschi e allucinati.
Partiamo da chi la moneta unica vorrebbe lasciarla. La componente no-euro vicina alla Lega e al Movimento Cinque Stelle finge di ignorare di essere stata vittima della trasformazione delle due forze di governo. Se fino a tre anni fa entrambi i partiti ammiccavano all’Italexit, non appena i loro leader hanno sentito l’odore di Palazzo Chigi, l’uscita dall’euro è sparita dai programmi e pure dalla propaganda ufficiale. I ministri chiamati a guidare l’esecutivo, al netto di Di Maio e Salvini, non hanno mai preso una netta posizione pubblica a favore dell’uscita dall’euro. Anzi, la maggioranza di essi continua a mostrare un euroscetticismo ambiguo, fatto di...
di Lorenzo Castellani
A volte aprendo i giornali nazionali ed internazionali oppure scorrendo i social media di politici, opinionisti, accademici ed esperti vari si ha l’impressione che l’Italia sia ad un passo dall’uscita dall’euro. La questione è ben delineata: da un lato i critici della moneta unica e dall’altro i difensori ortodossi dell’Unione Europea e del suo sistema monetario. Nel mezzo, invece, c’è la realtà. Sì, perché l’impressione è che la presunta uscita dall’euro dell’Italia sia diventata una grande bolla mediatica, un business da parte di due minoranze contrapposte, un case study da corso di marketing politico. Il gioco dei due gruppi è semplice e ormai scoperto. Si deve creare il caso euro, alimentarlo mediaticamente con un’emergenza permanente ed una giusta dose di followers e grazie ad esso guadagnare citazioni, vendere libri, occupare posizioni pubbliche, aprire spazi politici.
La questione dell’uscita dall’euro è ovviamente molto seria ed è fisiologico che, in una situazione di crisi politica come quella in cui versa da un decennio l’Unione Europea, il mondo politico ed intellettuale affrontino anche aspramente la questione. Ciò non toglie che i toni e i modi con cui ciò avviene in Italia sono spesso grotteschi e allucinati.
Partiamo da chi la moneta unica vorrebbe lasciarla. La componente no-euro vicina alla Lega e al Movimento Cinque Stelle finge di ignorare di essere stata vittima della trasformazione delle due forze di governo. Se fino a tre anni fa entrambi i partiti ammiccavano all’Italexit, non appena i loro leader hanno sentito l’odore di Palazzo Chigi, l’uscita dall’euro è sparita dai programmi e pure dalla propaganda ufficiale. I ministri chiamati a guidare l’esecutivo, al netto di Di Maio e Salvini, non hanno mai preso una netta posizione pubblica a favore dell’uscita dall’euro. Anzi, la maggioranza di essi continua a mostrare un euroscetticismo ambiguo, fatto di accelerazioni, ma anche di brusche frenate.
Inoltre, il governo giallo-verde, in sede di formazione, ha subito il pesante filtro del Quirinale che ha impedito l’ascesa di Paolo Savona - uomo d’establishment dalle tesi euroscettiche - a via XX Settembre, per favorire un tecnocrate moderato come Giovanni Tria. A testimonianza di come i contrappesi istituzionali italiani e le pressioni europee funzionino ancora a pieno regime. Certo, sono stati eletti dei parlamentari molto critici con la permanenza dell’Italia nel sistema monetario. Alcuni di essi ricoprono incarichi importanti nell’assemblea legislativa, come Claudio Borghi e Alberto Bagnai, ma sono rimasti lontani dal cuore del governo. Lo stesso Bagnai di recente ha ribadito che la questione dell’uscita dall’euro non è in agenda e che l’Italia non sarebbe pronta. Un atteggiamento moderato e remissivo, almeno quando si pronuncia sui grandi media televisivi, per quello che viene additato come il guru economico dell’euroscetticismo.
C’è poi la proposta di Borghi sui mini-bot, votata da tutte le forze parlamentari e che incontra anche il favore di molti economisti di sinistra. Sebbene ci siano delle ambiguità, i mini-bot sembrano essere pensati più come metodo di pagamento ad hoc per i debiti della pubblica amministrazione che come moneta parallela. Essi però andrebbero ad aggiungere ulteriore debito pubblico ed è forse su questo che dovrebbe consumarsi la discussione. Ad ogni modo, il ministro Tria è contrario, il Presidente del Consiglio anche e Mario Draghi, sempre più diretto di altri nell’esercizio del potere, ha già detto che se fossero usati come moneta parallela sarebbero illegali. Fine della discussione.
L’Italia può uscire dall’euro per i tweet di Borghi e Bagnai? O per le loro idee? O per i libri dei vari bocconiani pentiti? Siamo in piena bolla social, riempita dalla minoranza scalmanata del governo giallo-verde e ampiamente sfruttata anche da quella piccola pletora di economisti, opinionisti, giornalisti che si oppongono con animosità al governo e al suo coté intellettuale. Nulla di nuovo sotto il sole, è il gioco delle minoranze intellettuali nella lotta politica. Una volta si sparavano per strada e oggi litigano e creano emergenze sui social. Vanno evitate sopravvalutazioni del fenomeno, anche perché, quando intervistati dai sondaggisti, gli italiani si mostrano critici con l’Europa, ma una maggioranza ancora schiacciante dichiara di voler restare nell’eurozona.
Tuttavia, è noto che le mezze misure in rete e sui giornali non funzionano, si devono costruire spettacoli, emergenze, evocare complotti. In altre parole, per esistere, il sistema politico-mediatico deve produrre notizie a ciclo continuo. L’uscita dalla moneta unica dell’Italia è un caso perfetto poiché desta allarme e preoccupazione, assume le proporzioni del momento storico, falsa le reali proporzioni del problema, semplifica brutalmente lo scenario. Costruire la notizia che i populisti vogliono uscire dall’euro spinge le due minoranze contrapposte sui media, le proietta al centro del dibattito grazie allo pseudo-evento che hanno costruito. Questo è quello che sta succedendo e che spesso però arriva anche a giornali internazionali, investitori e diplomatici stranieri manipolando la realtà politica ed istituzionale. Chi per ragioni professionali si confronta con l’estero sa bene che quasi sempre una delle prime domande quando ci si siede al tavolo della discussione è se l’Italia sia pronta ad uscire dall’euro perché su qualche giornale o in qualche tweet è stato letto che ciò potrebbe accadere.
Quando si spiega che ciò è molto improbabile, alcuni ribattono che gli italiani hanno votato in massa forze che avevano nel programma la messa in discussione della moneta unica. Ancora una volta però si viene tratti in errore poiché si assume che ogni elettore conosca tutte le proposte del partito che sceglie di votare o sia a conoscenza dell’esistenza e del pensiero dei presunti ideologi no-euro. In realtà, come molti dati e studi dimostrano, gli elettori tendono a votare concentrandosi su un solo punto programmatico, in base all’empatia del leader oppure per opporsi a chi aveva governato fino a quel momento. Nel caso di Lega e Cinque Stelle, le due grandi questioni su cui sono stati raccolti la gran parte dei voti sono state l’immigrazione e l’antipolitica. Oltre all’appeal personale dei leader e ad un imprecisato desiderio di cambiare l’Unione Europea e contestarne lo status-quo. Chi crede che oltre il 50 per cento degli italiani che ha votato per i partiti populisti nelle elezioni del 2018 e del 2019 lo abbia fatto perché è d’accordo con l’uscita dall’euro rischia di prendere un clamoroso abbaglio.
È giunto dunque il momento di chiedersi se davvero l’Italia possa lasciare l’euro. Iniziamo con una considerazione generale. Il nostro paese è debole, ha un grande debito pubblico, un’economia da anni insofferenza, un establishment diviso e litigioso, istituzioni pubbliche caratterizzate da un elevato grado di corporativismo e scarso coordinamento. Per imbarcarsi in una questione politica ed economica enorme come l’uscita dalla moneta unica, al contrario bisognerebbe essere un paese unito, con uno stato forte ed un establishment coeso. In altre parole bisognerebbe essere più simili alla Germania che all’Italia.
A questo si deve aggiungere che come tutti gli altri paesi dell’eurozona l’Italia è fortemente interdipendente dall’Unione Europea. Lo è nelle istituzioni amministrative e giudiziarie, nella diplomazia, nel sistema bancario e nella grande industria. Per uscire dal sistema monetario, l’intera classe dirigente del Paese o quasi dovrebbe essere accettare di disconnettersi dal sistema europeo. Non solo, ma anche qualora vi fosse un governo tout court no-euro, questo dovrebbe trovare il modo di uscire e non è affatto semplice farlo. Il referendum sull’euro, prescritto da trattati internazionali, non si può fare a norma di Costituzione. Andrebbe fatta una riforma costituzionale per cambiare l’articolo 75 comma 2 e solo successivamente indire un referendum consultivo sull’euro, il cui risultato sarebbe comunque non vincolante.
Le forze politiche italiane inoltre sono molto divise, e non solo al loro interno, sull’uscita dall’euro. Questo significa che la legge costituzionale necessaria per introdurlo difficilmente potrebbe raggiungere la maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere ed evitare così – dopo la richiesta di un quinto dei deputati o senatori, o di cinque consigli regionali, o di 500 mila cittadini – un referendum confermativo (si veda la procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione). Si arriverebbe insomma facilmente al paradosso di dover tenere un referendum confermativo sulla modifica costituzionale che consente di svolgere un referendum d’indirizzo. Una Bisanzio legislativa e democratica da cui nessun governo uscirebbe vivo.
Ci sono altre vie? Il governo potrebbe uscire dalla moneta unica con un decreto o una legge? Sarebbe incostituzionale perché violerebbe il diritto comunitario che nella gerarchia delle fonti è superiore a quello italiano. Inoltre, il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di firmare il decreto o la legge, rimandandolo alle Camere. Nel frattempo i mercati finanziari sarebbero in tempesta e con loro i conti dello Stato italiano, gli stipendi pubblici e i risparmi dei cittadini. Il prezzo politico da pagare per le forze di governo rischierebbe di essere salatissimo.
In base ai trattati, la moneta unica è obbligatoria per tutti i Paesi membri della Ue (ad eccezione di Regno Unito e Danimarca, che hanno un opt-out) che hanno raggiunto determinati parametri economici. Chi non li raggiunge viene qualificato dall’art 139 TFUE come "Stato membro con deroga", proprio per l’eccezionalità della sua situazione rispetto alla regola, e dunque non è possibile teoricamente uscire dall’euro senza abbandonare l'Unione europea.
L’unica opzione sul piatto resterebbe l’uscita integrale dall’Unione Europea ricorrendo all’articolo 50 del TFUE. Il quale prescrive al comma 2 che “Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3, del trattato sul funzio namento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.”
In altre parole, servirebbe il voto favorevole di due terzi degli Stati membri nel Consiglio Europeo e l’approvazione del Parlamento europeo. Abbiamo visto, anche qualora ciò avvenisse come nel caso di Brexit, quanto sia difficile contrattare le condizioni per uscire e quanti siano pochi gli incentivi dell’intero consesso europeo a lasciar andare uno Stato membro. Figuriamoci poi nel caso di un paese fondatore e membro dell’eurozona come l’Italia. Inoltre l’exit dovrebbe avvenire mentre tutti gli altri Stati membri subirebbero gli squilibri finanziari ed i conseguenti rischi creati dal paese che ha deciso di abbandonare la moneta unica. Anche questa via, dunque, appare impercorribile. E non ne restano altre poiché i trattati non prevedono altre modalità di recesso dalla moneta unica.
Qualcun altro sostiene che l’Italia potrebbe essere buttata fuori dalla moneta unica. Ma come? I problemi giuridici e i rischi finanziari resterebbero gli stessi. Inoltre, è davvero realistico pensare di liberarsi dalla terza economia del continente senza subire una deflagrazione di più ampia scala? Senza aprire una frattura che porti l’intera Eurozona al punto di non ritorno? Scenario molto complesso e anch’esso lastricato di enormi rischi e disincentivi.
È dunque impossibile uscire dall’euro? La politica è l’arte del possibile come ricordava Otto von Bismarck e sarebbe disonesto sostenere che non si possa trovare una via, per quanto complessa e molto rischiosa per la tenuta politica ed economica del paese. Tuttavia, sulla base di questi elementi si può ragionevolmente sostenere che oggi l’emergenza della potenziale uscita dall’Euro dell’Italia è una bolla mediatica più che una possibilità concreta. Le probabilità di una Italexit, o della sua espulsione dal sistema monetario, restano molto basse.
Ciò che sul nostro taccuino abbiamo sempre ritenuto come più probabile è invece quella che abbiamo chiamato "la trappola di Tsipras". Se gli azzardi economico-finanziari del governo fossero eccessivi, calcolati male e sottostimando il gioco europeo e l’influenza dei mercati, l’Italia potrebbe ritrovarsi finanziariamente con le spalle al muro e, a quel punto, i partiti populisti potrebbero essere costretti a subire obtorto collo un vincolo esterno ancor più forte di quello odierno. Proprio come è capitato al primo ministro greco Alexis Tsipras nel 2015 che dopo il referendum sull’accordo con la Commissione Europea si ritrovò ad attuare il programma della Troika. Uno scotto che probabilmente pagherà caro alle prossime elezioni.
Questo è lo scenario che si può realisticamente tracciare oggi sul rapporto presente, e probabilmente dei prossimi anni, tra l’Italia e l’Eurozona. Come è noto, la realtà non convince le tifoserie alimentate dalla propaganda e nemmeno le minoranze che costruiscono bolle mediatiche. È bene però che chi vuole ragionare sia informato del gioco politico e di mercato che si nasconde dietro certi atteggiamenti dai toni rivoluzionari o allarmistici delle opposte fazioni. L’uscita dall’euro dell’Italia è un business politico. A qualcuno ha già reso e a qualcun altro forse frutterà, ma la complessità della realtà non può essere trascurata da chi intende seriamente analizzare rischi e prospettive dell’Italia.
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7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.