12 Settembre
L'ultimo colpo di Draghi e l'inverno della Germania
La Banca centrale europea taglia i tassi e vara un Quantitative easing da 20 miliardi al mese. Il cuore del problema è a Berlino dove pesa la flessione della domanda della Cina, i problemi della Brexit e l'export nel Regno Unito, la crisi dell'auto teutonica. E poi? C'è lui, Trump e la guerra valutaria tra il dollaro e l'euro. Un giro di giostra di Gianclaudio Torlizzi sui mercati
di Gianclaudio Torlizzi
L’avvitamento dell’economia mondiale e l’esacerbarsi delle pressioni deflazionistiche hanno indotto negli ultimi mesi le banche centrali a rivedere in toto i piani di restringimento dei propri bilanci. L’ultima a muoversi in tal senso in ordine cronologico è stata oggi la Banca centrale europea che oltre a tagliare il tasso sui depositi dello 0,10% allo 0,50% ha annunciato la ripresa del Quantitative easing da 20 miliardi al mese a partire da novembre. La manovra si è rivelata leggermente inferiore alle attese: BNP Paribas per esempio si attendeva un taglio di 15 punti base e acquisti annuali tra i 300-400 miliardi di euro. Ma al netto di quello che gli operatori si attendevano, risulta chiaro come l’Eurotower prosegua lungo il sentiero dell’allentamento quantitativo. Una scelta quasi obbligata se si pensa che sia bastato il semplice appiattimento della crescita degli acquisti quantitativi (i famosi QE) nel 2018 per avviare una netta retromarcia del comparto manifatturiero mondiale la cui crescita prevista per quest’anno non supererà l’1% secondo le stime di Jp Morgan.
Il mercato ha accolto inizialmente bene l’ennesimo allentamento monetario: mezz’ora dopo la comunicazione della BCE, Londra avanzava dello 0,31%, Francoforte dello 0,6% e Parigi avanza dello 0,48%. Milano guadagnava lo +0,73%. In forte calo anche lo spread tra Btp e Bund a 145 punti contro un'apertura a 154. Ma l’immediata reazione positiva dei mercati non impedisce agli operatori più attenti di chiedersi l’effettiva efficacia di un nuovo ciclo si stimolo monetario nel ridare lustro alla crescita reale. Focalizzandoci sull’Eurozona e in particolare sulla Germania, vi è da rilevare come tra i principali ‘colpevoli’ del rallentamento congiunturale vi sia in particolare il calo della domanda cinese le cui importazioni a settembre hanno registrato un calo del 5,6% su base annuale.
Il Celeste Impero è attualmente la terza destinazione dell’export tedesco con un giro...
di Gianclaudio Torlizzi
L’avvitamento dell’economia mondiale e l’esacerbarsi delle pressioni deflazionistiche hanno indotto negli ultimi mesi le banche centrali a rivedere in toto i piani di restringimento dei propri bilanci. L’ultima a muoversi in tal senso in ordine cronologico è stata oggi la Banca centrale europea che oltre a tagliare il tasso sui depositi dello 0,10% allo 0,50% ha annunciato la ripresa del Quantitative easing da 20 miliardi al mese a partire da novembre. La manovra si è rivelata leggermente inferiore alle attese: BNP Paribas per esempio si attendeva un taglio di 15 punti base e acquisti annuali tra i 300-400 miliardi di euro. Ma al netto di quello che gli operatori si attendevano, risulta chiaro come l’Eurotower prosegua lungo il sentiero dell’allentamento quantitativo. Una scelta quasi obbligata se si pensa che sia bastato il semplice appiattimento della crescita degli acquisti quantitativi (i famosi QE) nel 2018 per avviare una netta retromarcia del comparto manifatturiero mondiale la cui crescita prevista per quest’anno non supererà l’1% secondo le stime di Jp Morgan.
Il mercato ha accolto inizialmente bene l’ennesimo allentamento monetario: mezz’ora dopo la comunicazione della BCE, Londra avanzava dello 0,31%, Francoforte dello 0,6% e Parigi avanza dello 0,48%. Milano guadagnava lo +0,73%. In forte calo anche lo spread tra Btp e Bund a 145 punti contro un'apertura a 154. Ma l’immediata reazione positiva dei mercati non impedisce agli operatori più attenti di chiedersi l’effettiva efficacia di un nuovo ciclo si stimolo monetario nel ridare lustro alla crescita reale. Focalizzandoci sull’Eurozona e in particolare sulla Germania, vi è da rilevare come tra i principali ‘colpevoli’ del rallentamento congiunturale vi sia in particolare il calo della domanda cinese le cui importazioni a settembre hanno registrato un calo del 5,6% su base annuale.
Il Celeste Impero è attualmente la terza destinazione dell’export tedesco con un giro d’affari stimato in 93 miliardi di euro. Una flessione, quella dell’import cinese, che ha a che fare da un lato certamente con il braccio di ferro commerciale con Washington (Pechino deve ridurre l’import per bilanciare il calo dell’export negli Usa al fine di non mettere in sofferenza la bilancia commerciale), ma che si inquadra all’interno di lungo processo di smaltimento dagli eccessi creditizi inaugurato nel 2012. A impattare sull’economia tedesca sono naturalmente anche le dinamiche relative alla Brexit con l’export nel Regno Unito crollato del 15% nel secondo trimestre. Anche Londra rappresenta un partner commerciale di prim’ordine per Berlino con un giro d’affari di 82 miliardi di euro nel 2018. Dulcis in fundo la crisi che ha colpito il settore dell’auto teutonica alle prese sia con il rallentamento delle vendite, ma soprattutto con la pessima gestione del passaggio all’elettrico.
Date queste premesse viene dunque da chiedersi se il vero obiettivo della BCE sia quello di utilizzare l’arma della politica monetaria per mantenere debole l’euro e dare sostegno all’export comunitario nel resto del mondo. Ma, se andiamo a confrontare l’andamento della moneta unica con la variazione dei prezzi al consumo nell’Eurozona, si noterà come gli effetti reflazionistici siano stati molto bassi. Questo perché non è solo la BCE ad aver mutato politica monetaria ma anche la maggior parte delle banche centrali del resto del mondo. Una pratica, questa, che tra l’altro sta innervosendo anche il presidente americano Donald Trump, (gli Usa rappresentano la principale destinazione dell’export tedesco con un turn over di 113 miliardi di EUR). Negli ultimi mesi l’inquilino della Casa Bianca ha lasciato intendere senza troppe mezze misure che se Francoforte continuerà a deprezzare indirettamente il cambio attraverso la politica monetaria potrebbe rivalersi applicando dazi sull’import di auto Made in Germany. Il gioco di continuare a far leva su tassi d’interesse sempre più bassi rappresenta un rischio anche per il comparto bancario in quanto ne danneggia la capacità di far profitti, come è ben evidentemente dalla correlazione tra i tassi di interesse del decennale tedesco e l’andamento del titolo Deutsche Bank.
Se dunque le politiche monetarie super espansive hanno esaurito la loro capacità propulsiva e anzi rischiano di essere controproducenti, qual è l’elemento che spinge i banchieri centrali a proseguire lungo questo sentiero? È presto detto: l’aspettativa dei mercati finanziari. I quali, sempre più scettici sulla capacità del sistema economico mondiale di reflazionarsi (anche per cause strutturali legate al calo demografico, delocalizzazione e robotizzazione dei cicli produttivi), hanno riversato vagonate di miliardi nei titoli obbligazionari abbattendone così i tassi di interesse e dunque costringendo le banche centrali ad accontentarli per evitare un fuggi fuggi.
Ma a tenere legate le mani delle banche centrali è anche il livello di indebitamento globale di paesi sovrani, aziende e privati che stando alle stime dell’Institute of International Finance è balzato del 50% a 246 miliardi di dollari dall’inizio della crisi 2008 (ma ne siamo veramente mai usciti?). Mantenere bassi i tassi di interesse sembra dunque una strada obbligata per evitare dolorose ristrutturazioni o pesanti roll-over. Con queste premesse ben si spiega il motivo per cui si sta facendo sempre più acceso il dibattito sul passaggio di testimone dalla politica monetaria a quella fiscale. La stessa Germania, incalzata sia sul fronte interno che su quello esterno, ha recentemente inviato ai mercati messaggi rassicuranti di voler ampliare le maglie della spesa pubblica, anche se un semplice ammorbidimento del Patto di Stabilità potrà far poco per risollevare in maniera sostanziale l’economia del Vecchio Continente troppo dipendente dall’export e ancora contraddistinta da gap di competitività tra i paesi membri.
Kicking the can down the road continuerà dunque a essere il mantra prevalente. Gli indicatori anticipatori danno per la fine del 2019 e l’inizio del 2020 la fine dell’attuale fase di rallentamento in favore di una fase di riaccelerazione della congiuntura mondiale grazie al mini-stimolo monetario varato in Cina. E probabilmente questo sarà sufficiente a far rientrare gli attuali allarmi di deflazione in Europa. Ma, fino a che non si metterà mano seriamente alla leva fiscale, permarrà il rischio che a decidere il time out possano essere i mercati.
Di questo ne sono ben consapevoli le banche centrali la cui inattaccabile immagine di ‘guardiani del sistema’ rischia di finire irrimediabilmente compromessa. Non è dunque affatto escluso che, dopo aver reagito passivamente alle richieste dei mercati, i banchieri centrali possano sorprenderli negativamente con un approccio monetario più restrittivo delle attese tenuto anche conto del graduale incremento in cui si sta assistendo in tutto il mondo dei salari. Il mese scorso gli Usa hanno riportato il balzo più consistente dal 2007. Ma anche in Germania la pressioni al rialzo sulle contribuzioni iniziano a farsi sentire.
In ballo, non bisogna dimenticarlo, vi è anche la fiducia dei correntisti. Finora il settore bancario è riuscito ad evitare che la spirale ribassista sui tassi di interesse si estendesse anche sui depositi bancari. Pertanto se ciò rappresenta un tabù (e vogliamo sperarlo che lo sia) non dovremmo essere troppo lontani dal limite circa quello che la BCE e le altre banche centrali possano ottenere.
Concludendo, i governi hanno oggi un’eccezionale opportunità per finanziare un aumento della spesa infrastrutturale o semplicemente rifinanziare il debito esistente ai tassi correnti. Ma la finestra non rimarrà aperta per molto.
I mercati non hanno impegnato molto tempo a prenderne atto. Tanto è vero che l’EURUSD dopo aver testato il minimo di 1,0930 pari al minimo 1.0924 toccato lo scorso 3 settembre è tornato sopra 1.10 ritenendo sostalzialmente scarico il bakooza del QE.
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l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.