21 Ottobre
Guardare BoJo e la Brexit, pensare alle Banche centrali
Nuovo appuntamento a Westminster. Johnson proverà a far passare l'accordo tra Regno Unito e Ue con l'exit entro il 31 ottobre. A cosa pensano davvero i mercati? Gianclaudio Torlizzi fa un giro di giostra nella finanza
Il governo inglese proverà nuovamente a far passare a Westminster l'accordo sulla Brexit. Il Parlamento britannico finora ha sempre respinto gli accordi con l'Unione europea presentati prima da Theresa May e poi da Boris Johnson. Michael Gove ieri ha detto che il governo ha i voti per far passare l'accordo, la Brexit entro il 31 ottobre è un'opzione ancora in piedi. Cosa succede e cosa pensano davvero i mercati?
di Gianclaudio Torlizzi
“Per un attimo ci eravamo illusi. La prospettiva di una tregua della guerra commerciale tra Usa e Cina, il cessate il fuoco in Siria e soprattutto l’accordo sulla Brexit promettevano un quarto trimestre positivo per i mercati. Ma ora tutto viene messo in discussione”. Andrew è il responsabile del desk materie prime di una delle più importanti banche d’affari della City. Il programma che aveva in mente per il fine settimana era di rilassarsi con moglie e figli passeggiando per i Kew Gardens di Richmond. E invece Andrew, come molti suoi colleghi, ha trascorso la domenica a lavoro, richiamato in fretta e furia dai suoi capi terrorizzati da quello che potrà accadere sui mercati finanziari nella giornata di oggi dopo l’ennesimo, e questa volta inatteso, stop alla Brexit. E pensare che il cosiddetto super saturday, come lo avevano chiamato i media britannici, doveva essere la coronazione del successo del premier conservatore, Boris Johnson, che da abile negoziatore aveva finalmente raggiunto un accordo con l'Ue. Per quanto vi fosse consapevolezza all’interno della comunità finanziaria degli ostacoli che ancora si frapponevano al via libera definitivo, è indubbio come questa volta un certo ottimismo si fosse fatto strada anche i più scettici. E invece, è arrivata l’ennesima delusione, ancora una volta per mano di Westminster, che, con una manovra parlamentare, è riuscito a sbarrare la strada alla ratifica dell'accordo, approvando invece...
Il governo inglese proverà nuovamente a far passare a Westminster l'accordo sulla Brexit. Il Parlamento britannico finora ha sempre respinto gli accordi con l'Unione europea presentati prima da Theresa May e poi da Boris Johnson. Michael Gove ieri ha detto che il governo ha i voti per far passare l'accordo, la Brexit entro il 31 ottobre è un'opzione ancora in piedi. Cosa succede e cosa pensano davvero i mercati?
di Gianclaudio Torlizzi
“Per un attimo ci eravamo illusi. La prospettiva di una tregua della guerra commerciale tra Usa e Cina, il cessate il fuoco in Siria e soprattutto l’accordo sulla Brexit promettevano un quarto trimestre positivo per i mercati. Ma ora tutto viene messo in discussione”. Andrew è il responsabile del desk materie prime di una delle più importanti banche d’affari della City. Il programma che aveva in mente per il fine settimana era di rilassarsi con moglie e figli passeggiando per i Kew Gardens di Richmond. E invece Andrew, come molti suoi colleghi, ha trascorso la domenica a lavoro, richiamato in fretta e furia dai suoi capi terrorizzati da quello che potrà accadere sui mercati finanziari nella giornata di oggi dopo l’ennesimo, e questa volta inatteso, stop alla Brexit. E pensare che il cosiddetto super saturday, come lo avevano chiamato i media britannici, doveva essere la coronazione del successo del premier conservatore, Boris Johnson, che da abile negoziatore aveva finalmente raggiunto un accordo con l'Ue. Per quanto vi fosse consapevolezza all’interno della comunità finanziaria degli ostacoli che ancora si frapponevano al via libera definitivo, è indubbio come questa volta un certo ottimismo si fosse fatto strada anche i più scettici. E invece, è arrivata l’ennesima delusione, ancora una volta per mano di Westminster, che, con una manovra parlamentare, è riuscito a sbarrare la strada alla ratifica dell'accordo, approvando invece il temuto emendamento Letwin, e dunque ritardando il divorzio tra Londra e Bruxelles in quanto obbliga il Parlamento a votare le leggi attuative del deal raggiunto prima del voto finale. Ancora una volta sono stati decisivi i Dup che hanno voltato le spalle al governo perché contrari all'accordo che prevede un confine in mare tra l'Irlanda del Nord (che resta nel mercato europeo) e Inghilterra e Scozia. "Non negozierò un rinvio con l'Ue e la legge non mi obbliga a farlo", ha spiegato il premier Boris Johnson prendendo la parola subito dopo il voto, "la cosa migliore per il Regno Unito e la Ue" è l'uscita in base ai termini dell'accordo negoziato tra Londra e Bruxelles. "La prossima settimana", ha annunciato, il governo presenterà ai Comuni la legislazione per l'uscita dalla Ue il 31 ottobre". E in effetti la promessa è stata mantenuta: Johnson ha sì spedito la lettera per il rinvio della Brexit come imposto da Letwin, ma si è trattato di una fotocopia non firmata, allegando una seconda lettera che smentisce la prima, bollandola come “errore”. Insomma lo spettro di un nuovo stallo politico nel Regno Unito torna a dipanarsi davanti agli occhi degli investitori, che già all’apertura delle borse asiatiche stamattina hanno iniziato a vendere sterline, provocando una brusca inversione di tendenza rispetto al balzo che la divisa britannica aveva prodotto nelle settimane precedenti, arrivando venerdì scorso a lambire la soglia psicologica di 1,30 nei confronti del dollaro per la prima volta dal maggio 2019.
Ma la reazione della divisa di Sua maestà è solo la punta dell’iceberg di una questione ben più delicata: la tenuta dell’economia dell’Eurozona. Che dalle ultime settimane a questa parte sta assistendo a una brusca frenata da parte del settore manifatturiero. “Dall’inizio di ottobre si sta nuovamente fermando tutto. Non ci sono ordini”, confida il top manager di una delle più importanti acciaierie italiane. A confermare i timori circa la stasi dei consumi industriali nel Vecchio Continente ci ha pensato venerdì scorso la casa automobilistica Renault, il cui titolo a Parigi è crollato del 12% dopo l’inaspettato profit warning.
Inutile girarci intorno: il comparto manifatturiero europeo è in recessione (l’ultima stima di Oxford Economics parla di una crescita dello 0,1% per l’Eurozona nel terzo trimestre). ‘Colpa’, se così si può dire, in parte della frenata cinese (come conseguenza del sofferto piano di smaltimento del credito inaugurato nel 2012). Ma è al di là della Manica che si deve andare per capire le ragioni del rallentamento dell’economia del Vecchio Continente, se si considera che dal referendum del 2016 le esportazioni europee verso il Regno Unito hanno avuto una netta battuta d’arresto dopo una dinamica di crescita degli anni precedenti.
Il dossier Brexit si discute in un momento particolarmente delicato per i mercati azionari internazionali. I quali hanno raggiunto livelli di ipercomprato difficilmente sostenibili alle condizioni attuali. Il modello della banca d’affari Nordea nel grafico in basso mette a confronto le aspettative economiche dei CEO americani con l’indice azionario S&P500: il risultato è un gap che rende il livello attuale raggiunto da Wall Street particolarmente precario. Insomma il vento del rallentamento dopo Asia ed Europa sta iniziando a soffiare anche negli Stati Uniti. Nulla ancora di drammatico, per carità, ma passare rapidamente da una crescita stimata al 2,2% per il 2020 a una dell’1,6% a fronte di listini azionari invariati, alimenta comprensibilmente una certa apprensione tra gli attori economici e finanziari.
Solo per dare un’idea concreta della compiacenza attualmente vigente a Wall Street, basta dare uno sguardo al record minimo delle posizioni ribassiste.
Con una marcata correzione delle borse che sembra imminente, gli investitori faranno finta di riporre attenzione alla prossima riunione della BCE in agenda giovedì prossimo, l’ultima presieduta da Mario Draghi il cui processo di canonizzazione si è decisamente indebolito negli ultimi mesi per la manifesta incapacità da parte dell’Eurotower di reflazionare il sistema economico dell’Eurozona. Mission not accomplished. Con la BCE oramai di fatto fuori gioco, anche per effetto dell’opposizione interna da parte della Germania sempre più preoccupata circa l’effetto che i tassi negativi rischiano di sortire sul sistema assicurativo tedesco, il mercato pregherà la Federal Reserve di giungere nuovamente in suo soccorso, portando il bilancio aggregato delle 4 principali banche centrali del mondo a virare nuovamente al rialzo.
Sarà l’inizio di un nuovo ciclo monetario espansivo a scongiurare il redde rationem sui mercati? Probabilmente sì almeno nel breve termine, ma non nel medio-lungo termine. Per allontanare definitivamente lo spettro di una nuova crisi finanziaria, occorrerà rimettere in discussione quelle politiche che in nome della competitività dell’export hanno prodotto enormi diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Politiche queste adottate in particolare dai cosiddetti surplus countries (Cina, Giappone, Germania) che le ricette protezionistiche adottate da Donald Trump cercano, seppur goffamente, di correggere. Ma far passare il concetto sembra impresa quasi impossibile che si pensa che lo stesso nuovo capo del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, la scorsa settimana ha esortato Usa e Cina a siglare una pace duratura sul fronte del commercio per ridare sostegno all’economia mondiale. Una presa di posizione, questa, a dir poco semplicistica in quanto lascia filtrare il concetto di un’economia perfettamente funzionante in assenza della trade war. E invece solo cambiando l’attuale paradigma, correggendo gli squilibri della globalizzazione per come è stata condotta negli ultimi 20 anni, sarà possibile assistere a una vera tregua della guerra commerciale e a una sostenibile ripresa dell’attività economica mondiale, allontanando definitivamente lo spettro di un déjà vu del 2008.
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pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
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(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
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è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.