7 Novembre
Governo fragile e indiani d'acciaio
Arcelor Mittal conferma l'addio a Taranto. Restare? Ci sono 5 mila esuberi. Il premier non ha la soluzione e la chiede all'impresa, ma trova la porta chiusa. Che fare? Palazzo Chigi, il dilemma del Pd e lo spettro della crisi
"Facciano una proposta". Quando Giuseppe Conte ha pronunciato queste parole, s'è capito quanto è grave il problema: il governo si è presentato senza una soluzione per l'acciaieria di Taranto e gli indiani di Arcelor Mittal lo hanno messo al tappeto. Restituiscono l'azienda, aprono una causa giudiziaria, mostrano a Conte la realtà e non le fantasie grilline che ha continuato a inseguire anche durante una conferenza stampa drammatica. Il vuoto. L'assenza di una pur minima idea di cosa sia il business dell'acciaio. Improvvisamente, di fronte al premier si è materializzata la realtà: nessuno si fida a gestire un'industria pesante in un paese dove si cambiano le regole in corsa, si distrugge l'economia con la demagogia, si chiudono attività imprenditoriali al batter di ciglia della magistratura, si promette il carcere a mezzo stampa, si presume di avere sempre una posizione di forza perché sei a Palazzo Chigi, salvo poi scoprire che comanda il mercato dell'acciaio e gli indiani non sono tipi malleabili. Restare in Italia? Ci sono cinquemila posti di lavoro da tagliare. Non va bene? Il mondo è grande e poi un governo che arriva a questo punto vuol dire che non può essere un interlocutore affidabile. E infatti non lo è. Come può esserlo con i grillini della decrescita felice? Sono le 23:30 Conte boccheggia, il ministro Patuanelli è un disco rotto, il governo sembra già a fine corsa.

Cravatta viola, solita pochette, il premier è una maschera semovente, il viso contratto e una voce che sembra un rabdomante a caccia di significato nel deserto. Pessima serata. "Non accettiamo il gioco dell'azienda e la invitiamo a rimeditare le sue iniziative. Non riteniamo accettabile che ci siano iniziative di tutela giudiziaria". Gong, buonanotte. Con questa frase Conte certifica di essere nel vicolo cieco, un governo all'angolo. E naturalmente "lo scudo penale non è il tema....
"Facciano una proposta". Quando Giuseppe Conte ha pronunciato queste parole, s'è capito quanto è grave il problema: il governo si è presentato senza una soluzione per l'acciaieria di Taranto e gli indiani di Arcelor Mittal lo hanno messo al tappeto. Restituiscono l'azienda, aprono una causa giudiziaria, mostrano a Conte la realtà e non le fantasie grilline che ha continuato a inseguire anche durante una conferenza stampa drammatica. Il vuoto. L'assenza di una pur minima idea di cosa sia il business dell'acciaio. Improvvisamente, di fronte al premier si è materializzata la realtà: nessuno si fida a gestire un'industria pesante in un paese dove si cambiano le regole in corsa, si distrugge l'economia con la demagogia, si chiudono attività imprenditoriali al batter di ciglia della magistratura, si promette il carcere a mezzo stampa, si presume di avere sempre una posizione di forza perché sei a Palazzo Chigi, salvo poi scoprire che comanda il mercato dell'acciaio e gli indiani non sono tipi malleabili. Restare in Italia? Ci sono cinquemila posti di lavoro da tagliare. Non va bene? Il mondo è grande e poi un governo che arriva a questo punto vuol dire che non può essere un interlocutore affidabile. E infatti non lo è. Come può esserlo con i grillini della decrescita felice? Sono le 23:30 Conte boccheggia, il ministro Patuanelli è un disco rotto, il governo sembra già a fine corsa.

Cravatta viola, solita pochette, il premier è una maschera semovente, il viso contratto e una voce che sembra un rabdomante a caccia di significato nel deserto. Pessima serata. "Non accettiamo il gioco dell'azienda e la invitiamo a rimeditare le sue iniziative. Non riteniamo accettabile che ci siano iniziative di tutela giudiziaria". Gong, buonanotte. Con questa frase Conte certifica di essere nel vicolo cieco, un governo all'angolo. E naturalmente "lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che Mittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non riescono a remunerare gli investimenti. È un problema industriale". Dove si capisce che Conte non capisce che il problema industriale è rappresentato prima di tutto dal governo, dalla magistratura, da un clima ostile al capitale, cose che lui liquida con la formula del "rischio d'impresa" in un passaggio dove dice che "per me è inaccettabile qualsiasi piano di esuberi. C'è un rischio di impresa, parliamo di un player globale attrezzatissimo, profondo conoscitore del mercato. È inaccettabile che dopo un anno si metta in discussione il piano. È inaccettabile la proposta che oggi ci è stata fatta". Solo che con la parola "inaccettabile" non si sposta il problema di un solo millimetro e infatti eccolo "confidare che dopo questa prima interlocuzione possano tornare al nostro tavolo con delle proposte sì accettabili e plausibili". Zero, non c'è una sola idea, e infatti si chiede alla controparte di presentare una soluzione. Piano B? Non c'è, ma "ovviamente non restiamo inerti e se ci fossero rigidità cercheremo strade alternative". Del Patuanelli si sono perse le tracce nel ronzio del nulla che girava vorticosamente nella sala stampa di Palazzo Chigi. Finiranno per nazionalizzare di nuovo l'acciaio.
Cosa farà il Partito democratico? Questa è la domanda. C'è una ciclopica rassegnazione tra i dem, bisogna approvare la legge di Bilancio, non si può fare la crisi ora, ma tutti la sentono arrivare, galoppa con i voti di Salvini nelle Regioni. Ma si possono perdere voti a nastro per sostenere le follie dei grillini? Quante domande, Zingaretti. Tutto il futuro è là, sempre tra la Via Emilia e il West. E quante domande frullano nella mente di Luigi Di Maio? Ha un partito in caduta libera, vittima di una spirale di utopie che ora cascano a terra una a una, la scatoletta di tonno, figuriamoci, l'anti-moderno internettiano consumato dall'acciaio, che contrappasso, proprio dalla materia prima del Novecento, dal clangore dell'industria che catapulta nel Luna Park pentastellato la realtà del vivere quotidiano - il salario, la fatica, il sudore, la famiglia, quella cosa preziosa chiamata lavoro. Reggeranno? Si spaccano? Nonostante i banchi di nebbia, si vede benissimo il galeone con le vele sbrindellate della crisi di governo. L'auto-affondamento, l'implosione.
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Il copione è quello previsto, i lettori di List lo conoscono: il governo giallo-rosso segue il collaudato copione del governo giallo-verde, la politica del rancore contro i ceti produttivi arriva all'esito finale: Arcelor Mittal dice addio all'Italia, spedisce la lettera per la restituzione dell'acciaieria di Taranto e tanti saluti. Era solo una questione di tempo. C'è solo una cosa notevole in questa storia: come tutto questo sta avvenendo. Siamo a teatro. Tra il riso e il pianto.
01
Tempesta d'acciaio
Il governo per tre ore ha discusso con i vertici di Arcelor Mittal (alla riunione a Palazzo Chigi hanno partecipato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri Stefano Patuanelli, Roberto Gualtieri, Giuseppe Provenzano, Roberto Speranza e Teresa Bellanova e il sottosegretario Mario Turco; per Arcelor Mittal il patron Lakshmi Mittal e il figlio Adyta) per cercare di evitare ciò che ha innescato la stessa maggioranza: l'uscita dall'Italia del gigante mondiale dell'acciaio e la restituzione dell'azienda ai commissari.
A Palazzo Chigi si diffonde il panico (come, vanno via? E ora chi paga 10 mila operai?), tutti strillano, si apre un grande dibattito nel paese, cribbio, i grillini duri e puri non mollano, il Pd viene colto da labirintite acuta convoca una segreteria e sfodera l'ovvio dei popoli ("così non va"), i sindacati scioperano e naturalmente sono divisi. Nel frattempo, i tipi indiani, gente che fa colare l'acciaio in tutto il mondo, si guardano in faccia e osservano divertiti lo smarrimento di una classe dirigente di fronte una decisione logica (chi mai è disposto a farsi arrestare perché sta rimettendo in sesto un'azienda?), il presidente del Consiglio - atterrato da un pianeta sconosciuto - sistemata la pochette d'ordinanza, fa la voce grossa, lancia i suoi ormai classici penultimatum a cui non crede nessuno, dice con il petto in fuori e il ciuffo splendente che lui no, perbacco, lui non consentirà nessuna chiusura e, funiculì funiculà, si arriva a un incontro con il sudore freddo a Palazzo Chigi, il governo pronto a tutto, l'azienda che martella sul metallo rovente sapendo di poterlo fare perché ha di fronte un premier che non ha la soluzione neanche per se stesso, una maggioranza divisa con un partito (il Pd) che sa cos'è l'industria ma non ha il polso per governare un altro partito (il Movimento Cinque Stelle) che non sa cosa è l'industria e ha scambiato l'esecutivo della seconda potenza industriale d'Europa per posto dove sperimentare la decrescita infelice. Dopo una giornata ad altissima tensione, questo è il quadro. E voi direte: ma la soluzione dov'è? Risposta: non c'è.
Il preludio era chiaro come il gong di una campana, poco prima dell'ingresso dei patron di Arcelor Mittal a Palazzo Chigi, tempistica perfetta (e non casuale): una lettera di otto pagine spedita ai sindacati dove si comunica la procedura di riconsegna dell'ex Ilva I dipendenti sono 10.777, di cui 8.277 nel sito produttivo di Taranto. Gli altri stabilimenti sono a Genova, Novi Ligure, Milano, Racconigi, Paderno Dugnano, Legnano, Marghera, più altre tre società collegate. Scrive l'azienda: "Con la presente comunicazione, le scriventi società comunicano alle organizzazioni sindacali , ai sensi e agli effetti dell'art. 47 della legge 492/90,la retrocessione alle società Ilva per effetto della comunicazione di cessazione ed in esecuzione di quanto previsto dall'articolo 27 del contratto dei rispettivi rami di azienda unitamente al trasferimento dei relativi dipendenti ex art. 2012 del Codice Civile. La retrocessione dei rami di azienda ed il conseguente trasferimento dei dipendenti alle società concedenti avverrà entro 30 giorni dalla data del recesso di AmInvestco. I rapporti di lavoro dei dipendenti verranno trasferiti alle società concedenti". Tempesta d'acciaio. Gong. Fine.
02
Confindustria: chi paga?
Cosa dicono gli industriali? Durissimo il commento di Vincenzo Boccia: "Spero ci sia spazio per una soluzione e che la politica abbia il senso del limite, che a volte si supera e poi gli effetti purtroppo arrivano. È una responsabilità della politica, adesso la politica risolva le questioni che ha determinato". Tutto qui? No, c'è una frase in più di Boccia che fa trasparire quanto sia grave la situazione: "Il problema è chi paga, c'è qualcuno in questo paese che prescinde dalle risorse, a meno che non voglia battere moneta e pagare direttamente da solo". Quel qualcuno, irresponsabile, è il governo.
E la manovra? Boccia dixit: "Sulla manovra il giudizio per noi ènegativo. Lunedi' andiamo in audizione e diremo tutte le cose che non ci piacciono di questa manovra, dalla plastic tax alla sugar tax, alla confisca dei beni per gli evasori prima delle sentenze definitive. Questa manovra è prociclica, non aiuta le imprese e addirittura la distribuzione la si fa a danno delle imprese per altre cose. La manovra redistributiva la si fa a tutela dei fattori di produzione non contro i fattori di produzione". Gli industriali alla fine hanno rimesso i piedi per terra. Cambiando un colore nel governo, dal verde al rosso, non sono cambiati i problemi. A Palazzo Chigi è rimasto il giallo.
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D'altronde, c'è un fatto, una notizia finanziaria, che dice quanto e come sia finita un'epoca.
03
Unicredit esce da Mediobanca

Bagliori di un tempo che non c'è più. "In linea con la propria strategia di disinvestire negli asset non strategici", Unicredit annuncia la vendita della propria quota in Mediobanca. Unicredit è il primo azionista e ha disposto il placement delle proprie azioni ordinarie, pari a circa l'8,4% del capitale. Al prezzo indicato l'8,4% di Mediobanca vale circa 780 milioni euro. La vera notizia qui è racchiusa in una sola frase: non è strategica. La banca che fu di Enrico Cuccia. È finita un'epoca e non da oggi. E questo significa anche che l'Italia dell'industria è sempre più indifesa. Se non ci sono capitani, le navi restano in porto.
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Gli industriali criticano la manovra e non sono soli nell'universo, perché sul fronte della giustizia siamo di fronte a un mostro giuridico. Gli avvocati penalisti sono sul piede di guerra. E hanno ragione.
04
Imputato per sempre. Penalisti ancora in sciopero
Gli avvocati penalisti scioperano ancora dal 2 al 6 dicembre. La decisione è dell'Unione Camere penali, "per rendere concreto e visibile l'appello al legislatore e alle forze politiche ad assumere o sostenere iniziative legislative volte alla cancellazione della legge che abolisce la prescrizione in appello". Ci sarà una maraton oratoria, fino all'8 dicembre a Roma, in piazza Cavour, per "informare incessantemente, e senza sosta, la pubblica opinione circa i reali contenuti di una riforma sciagurata che renderà il processo penale senza fine e colpirà in modo irrimediabile diritti fondamentali di tutti, prolungando a tempo indeterminato, ben più di quanto già oggi accada, la definizione dei processi penali, con un danno incommensurabile sia per i diritti degli imputati che per quelli delle persone offese". Ne abbiamo già scritto ampiamente, siamo all'imputato per sempre. Una barbarie.
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Nel frattempo il mondo là fuori corre alla velocità della luce, si adatta a un nuovo scenario. Gli Stati prendono decisioni che da noi non arrivano. In compenso se ne vanno gli investitori esteri. In Germania si discute di ammorbidire le regole di bilancio. E non è un fatto scontato.
05
Germania. Il Consiglio degli esperti avvisa Merkel e la Bce
In Germania ci sono cinque saggi che non decidono ma consigliano sulla "scienza triste". Il Consiglio degli esperti economici della Germania, quello appunto dei 5 saggi, ha presentato un rapporto che chiede alla cancelliera Angela Merkel di allentare le regole di bilancio "in caso di un pronunciato rallentamento dell'economia". Il tema del contendere è quello dello "zero nero", il pareggio di bilancio. Secondo gli esperti "il mantenimento della regola del pareggio potrebbe "impedire il buon funzionamento degli stabilizzatori automatici". Frenare il debito federale - esiste un divieto previsto dalla Costituzione, si chiama Schuldenbremse - è un obiettivo finora rispetto dal 2014. I cinque saggi hanno assestato il colpo che fa godere gran parte dei cittadini tedeschi, una randellata alla politica espansiva della Bce e alle ultime decisioni prese da Mario Draghi prima della sua uscita: "Sarebbe stato meglio per la Bce astenersi dal rilanciare il suo programma di acquisti di titoli del debito pubblico". Achtung.
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Nel frattempo, si vota. Domenica in Spagna, poi il 12 dicembre tocca al Regno Unito. Le crisi si risolvono - o complicano - con il voto. In ogni caso la parola a un certo punto torna al popolo. In Italia, repubblica parlamentare con un Parlamento smarrito, non si vota. Pare che faccia male, che il popolo si considerato uno scolaretto. Si va Madrid, poi attraversiamo la Manica e andiamo a Londra. Sì, viaggiare.
06
Voto in Spagna. Il problema non è vincere, ma fare il governo
Domenica le elezioni. Il Psoe di Pedro Sanchez è favorito, ma c'è l'incognita dei numeri. Attenzione al risultato di Vox che potrebbe essere terza forza nel paese. Un'indagine di Maite Carpio sul sottosopra di Madrid

di Maite Carpio
Domenica si vota in Spagna per la quarta volta negli ultimi quattro anni. Una campagna elettorale brevissima che l'altro ieri ha raggiunto il suo apice mediatico con l’unico dibattito previsto in Tv tra i cinque candidati. È cominciato alle 10 di sera ed è andato avanti per tre ore, un lungo scambio di battute piuttosto noioso tra cinque uomini ingessati: quattro che hanno provato a dare la colpa al quinto in causa: Sanchez. E tutti quanti che facevano finta che il candidato di Vox (Santiago Abascal, molto scarso) non fosse tra loro. Continua a leggere l'articolo su List.
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Si voterà nel Regno Unito il 12 dicembre. Si vota. In Italia no. Rileggiamo le storie parallele - e divergenti - di Italia e Inghilterra. Due destini, una crisi, due soluzioni diverse.
07
Lezione inglese
Due paesi in crisi e transizione, due soluzioni diverse: in Italia si fanno governi che sono minoranza nel paese, nel Regno Unito si vota. Un'indagine di Lorenzo Castellani tra Brexit e trasformismo

di Lorenzo Castellani
Italia e Regno Unito sono due paesi in forte crisi d’identità. La prima viene dal decennio che ha posto fine alla cosiddetta seconda Repubblica e spazzato via la democrazia dell’alternanza, non è ancora uscita dalla crisi economica iniziata nel 2010, non riesce a produrre élite nazionali in grado di tirarla fuori dalle secche, ha lasciato irrisolto il rapporto con l’Unione Europea. Continua a leggere l'articolo su List.
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Come lo chiudiamo questo numero di List? Con una bella notizia, l'impresa di una grande donna italiana.
08
La prima volta della seconda volta al Cern

Fabiola Giannotti è stata nominata direttore generale del Cern per la seconda volta. La conferma è un grandissimo riconoscimento per la scienziata italiana che è stata anche la prima donna a guidare il Cern, uno dei più importanti laboratori di fisica del mondo. Il nuovo mandato quinquennale di Giannotti comincerà dal primo gennaio del 2021. È la prima volta che al Cern accade la seconda volta.