14 Gennaio
La seconda Guerra Fredda
Sono tornati gli imperi e la storia ama ripetersi. La Cina apre avamposti, la tecnologia degli Stati Uniti invade il mondo (tranne Pechino), si salda l'Anglosfera tra Washington e Londra. Benvenuti nella nuova Guerra Fredda. Un'indagine di Lorenzo Castellani nella dimensione del nemico alle porte
di Lorenzo Castellani
Il 2016, l’anno dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, potrà forse essere ricordato dagli storici del futuro come la data d’inizio della nuova guerra fredda. Fino a quel momento la Cina e gli Stati Uniti hanno convissuto, in una sorta di pax economica e politica. Anzi, i due giganti erano funzionali l’uno all’altro: i cinesi compravano il debito americano; gli Stati Uniti acquistavano prodotti cinesi. I primi quindici anni del 2000 sono stati l’era della Cinamerica, quelli della relazione buona e prolifica tra le due grandi potenze. Poi, progressivamente, la competizione si è indurita. Pechino è cresciuta nei numeri, nella tecnologia e, con l’avvento di Xi al potere, ha varato piani di espansione geo-economica verso l’Asia, l’Africa e, soprattutto, l’Europa. L’élite internazionalista americana che era al potere fingeva di non vedere, pur sapendo, poiché troppo intenta a risolvere i propri guai economico-finanziari e troppo prigioniera dei propri schemi mentali. Fino a quando, nella campagna elettorale del 2016, non è arrivato il tornado Donald Trump. E nel corso di quella competizione che la questione cinese è diventata esiziale per la politica americana. L’elezione del tycoon ha rotto la Cinamerica, portato ai massimi livelli la competizione tra le due potenze.
Siamo entrati in una nuova Guerra Fredda? La storia non si ripete mai, ma se si guarda la cartina geografica del mondo è evidente il ritorno di un bipolarismo tra imperi. La Cina investe e ha avamposti tecnologici ovunque, tranne che nelle terre del Commonwealth. I grandi colossi americani del digitale e delle telecomunicazioni si diramano ovunque nel mondo, tranne che nei territori di Pechino. Ciò non significa che quest’era sia uguale a quella intercorsa tra il 1946 ed il 1950, non dobbiamo aspettarci un’altra guerra di Corea...
di Lorenzo Castellani
Il 2016, l’anno dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, potrà forse essere ricordato dagli storici del futuro come la data d’inizio della nuova guerra fredda. Fino a quel momento la Cina e gli Stati Uniti hanno convissuto, in una sorta di pax economica e politica. Anzi, i due giganti erano funzionali l’uno all’altro: i cinesi compravano il debito americano; gli Stati Uniti acquistavano prodotti cinesi. I primi quindici anni del 2000 sono stati l’era della Cinamerica, quelli della relazione buona e prolifica tra le due grandi potenze. Poi, progressivamente, la competizione si è indurita. Pechino è cresciuta nei numeri, nella tecnologia e, con l’avvento di Xi al potere, ha varato piani di espansione geo-economica verso l’Asia, l’Africa e, soprattutto, l’Europa. L’élite internazionalista americana che era al potere fingeva di non vedere, pur sapendo, poiché troppo intenta a risolvere i propri guai economico-finanziari e troppo prigioniera dei propri schemi mentali. Fino a quando, nella campagna elettorale del 2016, non è arrivato il tornado Donald Trump. E nel corso di quella competizione che la questione cinese è diventata esiziale per la politica americana. L’elezione del tycoon ha rotto la Cinamerica, portato ai massimi livelli la competizione tra le due potenze.
Siamo entrati in una nuova Guerra Fredda? La storia non si ripete mai, ma se si guarda la cartina geografica del mondo è evidente il ritorno di un bipolarismo tra imperi. La Cina investe e ha avamposti tecnologici ovunque, tranne che nelle terre del Commonwealth. I grandi colossi americani del digitale e delle telecomunicazioni si diramano ovunque nel mondo, tranne che nei territori di Pechino. Ciò non significa che quest’era sia uguale a quella intercorsa tra il 1946 ed il 1950, non dobbiamo aspettarci un’altra guerra di Corea o un altro Vietnam. Ma dobbiamo aspettarci una competizione sempre più serrata con mezzi vecchi e nuovi: i dazi, i segreti tecno-industriali, le regolamentazioni per sfavorire la concorrenza della potenza avversaria, le operazioni militari nelle zone di confine, lo spionaggio a tutto campo.
Le mosse di politica estera di Donald Trump si muovono seguendo questa nuova logica. S’interviene quando c’è occasione in Medio Oriente per evitare la crescita di potenze gradite a Pechino, come l’Iran, che aspirino ad egemonizzare una certa regione. Non è un caso che la Cina stesse svolgendo degli addestramenti militari congiunti con l’Iran nei mesi scorsi e che il Presidente americano abbia scelto di colpire, appena possibile, il regime degli ayatollah. Inoltre, Trump si è sempre rapportato in maniera elastica con Vladimir Putin, per evitare che vada in porto la saldatura di una alleanza sino-russa capace di controllare tutta l’Asia ed estendere i propri tentacoli sull’Europa. La Brexit, e l’avvento di Boris Johnson a Downing Street, hanno rinsaldato l’anglosfera. Il Presidente americano chiede agli alleati continentali europei maggiori sforzi sulla NATO e sul commercio, sia per alimentare la propria retorica nazionalista e di riequilibrio economico sia per far sentire gli alleati più vulnerabili senza lo scudo a stelle e strisce. Anche le pressioni affinché le capitali europee allontanino la seduzione cinese sul 5G si muove in questa direzione. L’Europa continua a fornire risposte contrastanti e ambigue, ma questa è un’altra storia.
Questa Cold War II potrebbe giocare anche, sul piano interno, a favore dei protagonisti. Per Donald Trump la riesumazione del metus hostilis, il nemico alla porte, è un’arma forte sul piano retorico, politico ed economico. Come negli Stati Uniti degli anni cinquanta e sessanta, egli può utilizzare la minaccia esterna per rimodulare le politiche fiscali, commerciali e monetarie. Nella prima Guerra Fredda, infatti, i grandi investimenti militari e scientifici diedero vita a quasi un trentennio di crescita economica. Oggi, non siamo poi in una situazione tanto dissimile. Inoltre, il nemico può essere anche un fattore politico coagulante. Il Partito Repubblicano è oggi unito dietro Trump (nel 2016 sembrava ad un passo dal collasso) e se la tensione dovesse salire ulteriormente, la polarizzazione politica potrebbe scendere, proprio come successe nel dopoguerra. Un segnale, in questa direzione, è la durezza che tutti i candidati dem alle primarie hanno mostrato sulla Cina.
Nessuno degli sfidanti più accreditati vuole eliminare i dazi sulle merci cinesi, nessuno ha dichiarato di voler abbassare la guardia sulla competizione tecnologica. Anche se Trump perdesse a Novembre, in politica estera ci sarà una certa continuità. Per Xi, i cui maggiori problemi oggi sono interni (invecchiamento popolazione, gestione welfare, mantenimento crescita economica) e al confine (Hong-Kong), la nuova guerra fredda è il modo per aumentare la presa autocratica e procedere con le riforme guardando allo scacchiere globale, indicando un orizzonte di grandezza. La Cina non è l’Unione Sovietica, non rappresenta un’ideologia, non vuole esportare alcuna rivoluzione internazionale, ma ciò non significa che sia un avversario meno ostico e temibile. E’ un’economia più solida, forte e legata al resto del mondo rispetto a quella sovietica; preferisce progetti infrastrutturali, sviluppo scientifico e tecnologico, shopping aziendale e, soprattutto, costruire silenziosamente reti politici (con tutti i mezzi, più o meno leciti, del caso). E’ una potenza meno forte culturalmente, meno affascinante del vecchio potere comunista russo, ma più pragmatica, più efficiente ed egualmente forte a livello tecnologico-militare.
L’errore più grave che si possa commettere con la Cold War II è sottovalutarla, credere che gli Stati Uniti siano in grande vantaggio, che l’unità dell’Occidente sia intoccabile, che le grandi tensioni appartengano al passato, che gli unici strumenti siano quelli diplomatici e giuridici. Ciò che sta scorrendo sotto gli occhi dell’opinione pubblica occidentale non sono né i capricci di un Presidente pazzo ed istrionico né l’azione innocua di una potenza autocratica con cui fare pacificamente affari. Troppo spesso questa versione tende a divenire quella dominante nelle nostre opinioni pubbliche, senza capire che abbiamo varcato una nuova porta della storia.
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.