15 Febbraio
La nuova lotta di classe
Lavoro, capitale, politica. Il libro di Michael Lind, "The New Class War", sul conflitto della contemporaneità. Una divisione prima di tutto geografica tra le aree urbane e le Vandee delle periferie. Un'indagine di Lorenzo Castellani sulla tecnocrazia e il populismo
di Lorenzo Castellani
È tornata la lotta di classe. Su List lo abbiamo scritto spesso, e non tanto in termini marxisti e materialisti quanto come scontro politico tra gruppi diversi, sul piano socio-culturale, all’interno degli Stati nazionali. E’ una tesi che inizia a farsi largo anche a livello internazionale. L’ultimo magistrale libro di Michael Lind, intitolato The New Class War, descrive precisamente ciò che ci troviamo davanti e rifiutiamo di vedere.
La tesi di Lind è semplice e potente: siamo nella mani di una élite tecnocratica, che vive asserragliata nelle sue enclave, fuori c’è una classe media e operaia (l’autore non ha paura di usare working class per raggruppare tutti coloro che sono fuori dal giro dell’establishment, vivono in realtà periferiche e territorializzate) sempre più disorientata ed incattivita.
La divisione, per Lind, è prima di tutto geografica. I tecnocrati, termine usato qui genericamente per indicare tutti coloro che hanno elevate competenze certificate da un sistema universitario internazionale sempre più oneroso, vivono negli hubs, le grandi aree urbane dove si concentrano finanza, multinazionali, tecnologia, media, servizi di consulenza. Gli stessi si descrivono come “creativi”, “competenti”, “élite digitale”, “brain hubs”, “thinkepreneur”, “smart”.
Dall’altro lato, appena fuori le metropoli oppure dispersa per le varie Vandee del mondo, c’è la working class. Sono coloro che sono ancorati al modello “tradizionale”, nella terminologia delle élite progressiste, che vivono nelle province e nelle periferie, che credono nella famiglia tradizionale, nella proprietà immobiliare, usano l’auto e coltivano miti nazional-popolari e strapaesani. Non sono necessariamente “i poveri”, perché un imprenditore di provincia o un artigiano guadagnano spesso molto di più di un giornalista patinato, ma diversa è la loro cultura.
La working class nazionale, inoltre, è costretta a mescolarsi con i nuovi arrivati, gli immigrati. Dinamica sociale che alimenta la paure dei residenti, ma che tarpa anche...
di Lorenzo Castellani
È tornata la lotta di classe. Su List lo abbiamo scritto spesso, e non tanto in termini marxisti e materialisti quanto come scontro politico tra gruppi diversi, sul piano socio-culturale, all’interno degli Stati nazionali. E’ una tesi che inizia a farsi largo anche a livello internazionale. L’ultimo magistrale libro di Michael Lind, intitolato The New Class War, descrive precisamente ciò che ci troviamo davanti e rifiutiamo di vedere.
La tesi di Lind è semplice e potente: siamo nella mani di una élite tecnocratica, che vive asserragliata nelle sue enclave, fuori c’è una classe media e operaia (l’autore non ha paura di usare working class per raggruppare tutti coloro che sono fuori dal giro dell’establishment, vivono in realtà periferiche e territorializzate) sempre più disorientata ed incattivita.
La divisione, per Lind, è prima di tutto geografica. I tecnocrati, termine usato qui genericamente per indicare tutti coloro che hanno elevate competenze certificate da un sistema universitario internazionale sempre più oneroso, vivono negli hubs, le grandi aree urbane dove si concentrano finanza, multinazionali, tecnologia, media, servizi di consulenza. Gli stessi si descrivono come “creativi”, “competenti”, “élite digitale”, “brain hubs”, “thinkepreneur”, “smart”.
Dall’altro lato, appena fuori le metropoli oppure dispersa per le varie Vandee del mondo, c’è la working class. Sono coloro che sono ancorati al modello “tradizionale”, nella terminologia delle élite progressiste, che vivono nelle province e nelle periferie, che credono nella famiglia tradizionale, nella proprietà immobiliare, usano l’auto e coltivano miti nazional-popolari e strapaesani. Non sono necessariamente “i poveri”, perché un imprenditore di provincia o un artigiano guadagnano spesso molto di più di un giornalista patinato, ma diversa è la loro cultura.
La working class nazionale, inoltre, è costretta a mescolarsi con i nuovi arrivati, gli immigrati. Dinamica sociale che alimenta la paure dei residenti, ma che tarpa anche le ali ai nuovi arrivati segregandoli nelle periferie e spingendoli a lavorare come manodopera a basso prezzo (badanti, colf, giardinieri ecc). Di fatti, per i nati fuori dall’énclave tecnocratica la strada per raggiungere gli hubs è lunga e accidentata, sostiene Lind, checché ne dicano gli apostoli della meritocrazia. Sì perché la grande maggioranza di quelli che entrano a far parte dei tecnocratici parte avvantaggiata: figli di genitori laureati e/o con una condizione economica superiore alla media. Insomma, il sistema premia il merito, ma solo se ci sono determinate condizioni di partenza e se l’individuo è disposto a sposare i valori dell’establishment fatti di identità blande, diritti individuali, ecologismo, mobilità lavorativa.
Grazie a questa chiusura ermetica, l’ideologia della classe tecnocratica è un’ipocrita sintesi tra individualismo assoluto e disciplinamento autoritario. L’individuo deve (non può) essere libero da ogni legame famigliare, geografico, sociale della tradizione. Il meritevole deve farsi tecnocrate globale, pluralista, aperto alla diversità di genere ed etnia, ecologico, aperto. Al tempo stesso, però, le uniche idee accettabili sono quelle della stessa classe tecnocratica. Tutto il resto, che resta fuori, è populismo, fascismo, bigottismo, analfabetismo funzionale. Il vecchio mondo borghese in cui la famiglia, il patrimonio, la comunità erano valori deve essere spazzato via. Seppellito insieme ai suoi status symbol come la proprietà immobiliari, il cibo troppo calorico e le auto.
Scrive Lind che c’è “una nuova ortodossia della competente classe manageriale, i cui membri dominano simultaneamente le burocrazie, le assemblee societarie, le università, le fondazioni e i media del mondo occidentale.” E “il suo modello economico si basa su tasse, regolamentazioni, arbitrati e mercato del lavoro globali, che indeboliscono sia la democrazia degli stati nazionali che la maggioranza della classe operaia nazionale.
Il suo modello preferito di governo è apolitico, non maggioritario, elitista, tecnocratico.” Una élite che, come descritta da Jonah Goldberg in Miracolo e suicidio dell’Occidente, altro libro prezioso appena pubblicato in Italia da LiberiLibri, assume caratteri anti-concorrenziali, burocratici, anti-comunitari e centralizzatori. Ha la smania, in sostanza, di gestire tutto dal centro e di correggere tutto attraverso lo Stato, le istituzioni sovranazionali ed i tribunali, esponendosi a pericolosi fallimenti per la naturale fallacia in cui incorre chi pretende il controllo totale sulla società.
E da qui, tornando a Lind, la lotta di classe. Perché i territorializzati, minacciati dalle dinamiche dell’economia globale e dall’immigrazione, ricorrono all’unica arma possibile nel mondo occidentale: il voto. Un movimento elettorale di reazione, quello che ha scosso i regimi democratici degli ultimi dieci anni.
The Cathedrals of Wall Street. Dipinto del 1939 di Florine Stettheimer, esposto al Metropolitan Museum of Art di New York.Entrano in gioco, a questo punto, i populisti. Per Lind il populismo è una reazione, una resistenza alla vittoria completa della classe tecnocratica, che ha maggiori risorse e potere ma numeri inferiori alla classe periferica. I populisti hanno cambiato coordinate alla politica. Il centrismo vincente degli anni novanta, quello dei Blair, dei Clinton, dei Bush, dei Berlusconi si basava su idee economiche liberali (centrodestra) e su un approccio etico aperto (progressista o, quantomeno, non tradizionalista). Quello dei populisti è l’esatto contrario, per questo è scomparso il centro ed i tecnocratici continuano a non volerlo comprendere, si basa su idee economiche di sinistra (Stato sociale) e su posizioni etiche di destra (tradizionaliste). In cui il collante più forte è l’opposizione alla classe tecnocratica e progressista che, nel frattempo, si è avvantaggiata della globalizzazione economica ed istituzionale occupando gran parte dei posti di potere nel mercato e nelle istituzioni non-maggioritarie. Qual è il problema del populismo? Lind non è tenero: i movimenti populisti reagiscono, protestano, frenano, ma non governano. Se e quando governano, faticano a costruire una propria élite, un contro-establishment capace di ricondurre alla ragionevolezza la classe tecnocratica, tenere unita la società, trovare un accordo tra le due classi. È per questo che la politica occidentale rischia di andare a rotoli, perché nessuno riesce a costruire un New Deal. Troppo sprovveduti i populisti, troppo cieca e sfacciata la classe tecnocratica. I due mondi non si connettono, nessuno coglie la raffinatezza del buon viso a cattivo gioco e della mediazione. E scrive Lind, fornendo una potente suggestione, che il rischio è quello della deriva sudamericana in cui oligarchie oppressive provocano cicliche e distruttive reazioni populiste. È il tecnopopulismo, regime in cui le due anime, le due classi, convivono nel rischio dell’autodistruzione. Quanto manca al collasso del sistema? Non lo sappiamo, ma come ammoniva George Orwell nei regimi tecnocratici vi è sempre il rischio “di una società gerarchica, con in cima una aristocrazia della competenza e in basso una massa di semi-schiavi”.
Dove finisce il ragionamento di Lind? Come si guarisce dalla malattia? L’intellettuale americano sfocia in quello che potremmo chiamare neo-corporativismo, e che Lind chiama pluralismo democratico. Non si tratta di rievocare il corporativismo fascista, esperimento nella pratica di poco successo perché effettuato in una cornice statalista, autoritaria e dominata dal partito unico, ma di una tradizione che parte dal sociologo Durkheim e s’integra con i pensatori federalisti, come Thomas Jefferson. L’unico modo per trovare un patto tra le due classi è fornire gli strumenti per cui possa avvenire una trattativa: rivivificare i sindacati, ri-territorializzare la politica, addomesticare il capitalismo. Fondare la società su un ordine tripartito: lavoro, capitale, politica. Che dovranno tornare a cooperare all’interno di nuovi ordini camerali e territoriali. La working class, ben più numerosa e diffusa dei tecnocrati, deve utilizzare questi strumenti per far valere il proprio potere. Un maggiore controllo sulla politica, sulla finanza pubblica, sul commercio, sull’immigrazione ed un rapporto più stretto con il mondo economico-finanziario sono gli antidoti al tecno-populismo, all’oligarchia demagogica in cui rischiamo di precipitare. In questo processo la maturazione dei movimenti nazional-populisti è fondamentale, il passaggio dalla reazione alla progettazione di un nuovo ordine è essenziale. Ma anche nelle élite tecnocratiche servono pontieri che possano favorire questi processi federativi e spingere affinché si rafforzi il controllo dal basso del potere. Per molti aspetti questo ragionamento coincide con quello di Joshua Goldberg, che parte da posizioni più conservatrici ma alla fine ci riconduce nel suo libro alla necessità di riscoprire e difendere lo spirito originario dell’Occidente. Un approccio che aveva trovato spazio anche nelle riflessioni di importanti, ma spesso fuori dal coro del conformismo, pensatori italiani come Gianfranco Miglio e Geminello Alvi.
La diagnosi della malattia della nostra società è ormai accurata. Riusciranno vecchie e nuove élite a forgiare un nuovo patto? O siamo forse destinati a dividerci tra le due disastrose derive, quella orwelliana e quella sudamericana?
***
Il dipinto che apre questo numero di List è un olio su tela del 1934 del pittore americano Dacre F. Boulton, Industrial. L'opera è esposta allo Smithsonian American Art Museum.
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l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.