20 Settembre
Mike suona la campana due volte
Pompeo invita il Vaticano a non rinnovare l'accordo con la Cina sui vescovi e la libertà religiosa. E annuncia il ritorno delle sanzioni Onu sull'Iran (tutti dicono no, ma il dossier è riaperto). La politica estera americana, le relazioni dell'Italia con il regime cinese, il prossimo viaggio del segretario di Stato a Roma. America 2020: Trump nominerà una donna alla Corte Suprema
Che succede? In Italia si vota, elezioni regionali e referendum, 46 milioni alle urne e la notizia arriverà domani con lo spoglio delle schede, alle 19.30 non abbiamo neppure il dato dell'affluenza, sappiamo che è oltre il 30% e nient'altro, il resto sono pezzi "di colore" sul voto che servono a riempire le pagine dei giornali e qui ne possiamo fare a meno. I fatti accadono altrove, c'è un capitolo di politica estera importante, una giornata piena di significato. Tutto ruota intorno agli Stati Uniti, al segretario di Stato Mike Pompeo, alla scacchiera del presidente Trump. In 24 ore Pompeo ha aperto due fronti, entrambi delicatissimi. Il primo, dichiarando che le sanzioni dell'Onu sull'Iran sono ripristinate in base ai meccanismi previsti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite sul controllo del programma nucleare di Teheran; il secondo, con un invito (fermo, quasi un monito) lanciato al Vaticano per non rinnovare l'accordo con Pechino sulla presenza dei cattolici in Cina e la loro libertà religiosa. Non è una semplice questione di nomine di vescovi, come vedremo, ma di libertà. Pompeo suona la campana. Per chi? Per chi dimentica che non tutto è negoziabile, che i regimi non sono tutti uguali, che il compromesso non può essere sempre un obiettivo, che qualche volta bisogna dire no, che si fanno patti anche con il nemico ma hanno un prezzo e non deve privare della libertà o incoraggiare i suoi nemici. È un equilibrio difficile, nessuno ha la formula perfetta.
Pompeo sarà in visita ufficiale in Italia il 29 e il 30 settembre, il suo viaggio è di grande importanza, avviene a un mese dal voto presidenziale e con una serie di dossier aperti, in particolare quello dei rapporti tra il nostro paese e la Cina, ricordiamo che gli Stati Uniti hanno bocciato l'accordo dell'Italia con...
Che succede? In Italia si vota, elezioni regionali e referendum, 46 milioni alle urne e la notizia arriverà domani con lo spoglio delle schede, alle 19.30 non abbiamo neppure il dato dell'affluenza, sappiamo che è oltre il 30% e nient'altro, il resto sono pezzi "di colore" sul voto che servono a riempire le pagine dei giornali e qui ne possiamo fare a meno. I fatti accadono altrove, c'è un capitolo di politica estera importante, una giornata piena di significato. Tutto ruota intorno agli Stati Uniti, al segretario di Stato Mike Pompeo, alla scacchiera del presidente Trump. In 24 ore Pompeo ha aperto due fronti, entrambi delicatissimi. Il primo, dichiarando che le sanzioni dell'Onu sull'Iran sono ripristinate in base ai meccanismi previsti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite sul controllo del programma nucleare di Teheran; il secondo, con un invito (fermo, quasi un monito) lanciato al Vaticano per non rinnovare l'accordo con Pechino sulla presenza dei cattolici in Cina e la loro libertà religiosa. Non è una semplice questione di nomine di vescovi, come vedremo, ma di libertà. Pompeo suona la campana. Per chi? Per chi dimentica che non tutto è negoziabile, che i regimi non sono tutti uguali, che il compromesso non può essere sempre un obiettivo, che qualche volta bisogna dire no, che si fanno patti anche con il nemico ma hanno un prezzo e non deve privare della libertà o incoraggiare i suoi nemici. È un equilibrio difficile, nessuno ha la formula perfetta.
Pompeo sarà in visita ufficiale in Italia il 29 e il 30 settembre, il suo viaggio è di grande importanza, avviene a un mese dal voto presidenziale e con una serie di dossier aperti, in particolare quello dei rapporti tra il nostro paese e la Cina, ricordiamo che gli Stati Uniti hanno bocciato l'accordo dell'Italia con la Cina sulla Belt & Road e chiesto al governo di limitare l'uso della tecnologia cinese nel nostro paese, in agenda c'è anche un incontro in Vaticano con Papa Francesco. Il doppio colpo di Pompeo su Iran (via Onu) e Cina (via Vaticano) arriva alla vigilia dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, la prima virtuale della storia del Palazzo di Vetro. Facciamo il nostro giro di giostra. Seguite il titolare di List.
01
Vaticano-Cina. Il monito alla Santa Sede
Mike Pompeo lancia un monito al Vaticano: "Due anni fa, la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Ma l'abuso del Partito comunista cinese sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo". L'avviso del segretario di Stato arriva via twitter, è il rilancio di un articolo a sua firma sulla prestigiosa rivista americana First Things.
Il Papa riceve il segretario di Stato Mike Pompeo in Vaticano il 3 ottobre del 2019 (Foto Ansa).Il 29 e 30 settembre Pompeo sarà a Roma per incontri istituzionali e in agenda c'è anche un colloquio in Vaticano con Papa Francesco. Cosa dice Pompeo su First Things? Ricorda al Vaticano che la Cina non è un soggetto che mantiene i patti e rispetta i diritti umani, fatto che per l'autorità religiosa dovrebbe venire prima di tutto, non si può correre il rischio di legittimare una dittatura, ecco un paio di passaggi chiave. Il primo sui diritti umani:
La situazione dei diritti umani in Cina si è gravemente deteriorata sotto il dominio autocratico di Xi Jinping, soprattutto per i credenti religiosi.
L'elenco è quello di una distopia fin troppo dimenticata con la "divinizzazione" del presidente Xi Jinping:
Il programma del Partito Comunista Cinese di sterilizzazioni forzate e aborti dei musulmani nello Xinjiang, il suo abuso di preti e laici cattolici e il suo attacco alle chiese domestiche protestanti, che fanno tutti parte di una campagna di "sinicizzazione" per subordinare Dio al Partito promuovendo lo stesso Xi come una divinità oltremondana.
Pompeo chiede l'impegno del Vaticano per i credenti e la causa della libertà:
Ora più che mai, il popolo cinese ha bisogno della testimonianza morale e dell'autorita' del Vaticano a sostegno dei credenti religiosi cinesiI diplomatici vaticani si incontrano questo mese con i loro omologhi del PCC per negoziare il rinnovo di un accordo provvisorio di due anni tra la Santa Sede e la Cina.
Ma ricorda che del precedente accordo non si conoscono i dettagli si sa poco:
I termini di quel patto non sono mai stati resi pubblici; ma la speranza della Chiesa era di migliorare la condizione dei cattolici in Cina raggiungendo un accordo con il regime cinese sulla nomina dei vescovi, i tradizionali amministratori della fede nelle comunità locali.
E gli esiti per Pompeo non sono i migliori, quanto meno quelli auspicati:
A due anni di distanza è chiaro che l'accordo sino-vaticano non ha protetto i cattolici dalle depredazioni del Partito, per non parlare del trattamento orribile del Partito nei confronti di cristiani, buddisti tibetani, devoti del Falun Gong e altri credenti religiosi.
Pompeo cita il rapporto annuale 2019 del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa e cita una storia esemplare:
La storia di padre Paul Zhang Guangjun, picchiato e 'scomparso' per essersi rifiutato di aderire all'Associazione cattolica patriottica gestita dal Pcc. Purtroppo, la sua esperienza non è unica. Le autorità comuniste continuano a chiudere le chiese, a spiare e molestare i fedeli e insistono sul fatto che il Partito è l'autorità suprema negli affari religiosi.
Il monito arriva con un passaggio sulla realtà cinese e le scelte fatte dal Vaticano:
Nell'ambito dell'accordo del 2018 il Vaticano ha legittimato sacerdoti e vescovi cinesi la cui lealtà rimane poco chiara, confondendo i cattolici cinesi che avevano sempre avuto fiducia nella Chiesa. Molti si rifiutano di pregare in luoghi di culto autorizzati dallo Stato, per paura che, rivelandosi fedeli cattolici, subiscano gli stessi abusi subiti da altri credenti per mano dell'ateismo sempre più aggressivo delle autorità cinesi.
L'invito di Pompeo al Vaticano è di sostenere la causa della libertà senza cedere all'appeasement, usando la sua autorità morale, e questo passo dell'articolo di Pompeo richiama l'opera di Giovanni Paolo II:
La Santa Sede ha la capacità e il dovere unici di concentrare l'attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani, soprattutto quelle perpetrate da regimi totalitari come quello di Pechino. Alla fine del XX secolo, il potere di testimonianza morale della Chiesa ha contribuito a ispirare coloro che hanno liberato l'Europa centrale e orientale dal comunismo, e coloro che hanno sfidato i regimi autocratici e autoritari in America Latina e in Asia orientale.
È il richiamo al dovere della testimonianza morale:
Lo stesso potere di testimonianza morale dovrebbe essere esercitato oggi nei confronti del Partito comunista cinese. Il Concilio Vaticano II e i Papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno insegnato che la libertà religiosa è il primo dei diritti civili. La solidarietà è uno dei quattro principi fondamentali della dottrina sociale cattolica. Ciò che la Chiesa insegna al mondo sulla libertà religiosa e sulla solidarietà dovrebbe ora essere trasmesso con forza e perseveranza dal Vaticano di fronte agli incessanti sforzi del Partito Comunista Cinese per piegare tutte le comunità religiose alla volontà del Partito e al suo programma totalitario.
Come confrontarsi con un regime totalitario come quello cinese?
Papa Francesco ha detto nel 2013 che "i cristiani devono rispondere al male con il bene, prendendo la Croce su se stessi come Gesù". La storia ci insegna che i regimi totalitari possono sopravvivere solo nell'oscurità e nel silenzio, i loro crimini e la loro brutalità senza essere notati e senza essere notati. Se il Partito comunista cinese riuscirà a mettere in ginocchio la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose, i regimi che disprezzano i diritti umani saranno incoraggiati, e il costo della resistenza alla tirannia aumenterà per tutti i coraggiosi credenti religiosi che onorano Dio al di sopra dell'autocrate del giorno. Prego che, nel trattare con il Partito comunista cinese, la Santa Sede e tutti coloro che credono nella scintilla divina che illumina ogni vita umana, ascoltino le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: "La verità vi renderà liberi".
Come reagirà il Vaticano di fronte alle riflessioni e sollecitazioni che arrivano dal Segretario di Stato pubblicate da una rivista influente come First Things? La Chiesa ha i suoi tempi, potrebbe non rispondere oggi e sorprendere tutti domani. Apriamo il libro radioattivo dell'Iran. È sempre una storia di potere, religione (in questo caso l'islamismo di Teheran) e tentazione dell'appeasement. Viviamo tempi interessanti. Forse troppo.
02
Sanzioni all'Iran. Stati Uniti contro tutti
Un fulmine. Mike Pompeo ha detto che le sanzioni delle Nazioni Unite contro l'Iran sono "tornate in vigore". Il segretario di Stato americano ha minacciato "conseguenze" se gli Stati membri dell'Onu non le attueranno. Secondo Pompeo senza questa mossa degli Stati Uniti l'Iran potrà riarmarsi come vuole e da chi vuole. L'Iran ovviamente si oppone, così come la Russia e anche la Cina (che fanno tandem nel Consiglio di sicurezza dell'Onu), fin qui nessuna sorpresa. È il no per ora compatto dell'Unione europea a mostrare la separazione netta tra l'amministrazione Trump e il resto del mondo. Secondo l'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue, Josep Borrell, "gli Stati Uniti hanno cessato unilateralmente la partecipazione al Jcpoa mediante memorandum presidenziale dell'8 maggio 2018 e successivamente non hanno partecipato ad alcun attività correlata all'accordo. Non possono, pertanto, essere considerati uno Stato partecipante al Jcpoa e non possono avviare il processo di ripristino delle sanzioni Onu ai sensi della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite".
La questione legale esiste, gli Stati Uniti sono fondatori dell'Onu (e la finanziano largamente più di tutti, con oltre 10 miliardi all'anno di contributi, che sono pari ai finanziamenti versati insieme dagli altri tre principali finanziatori: Giappone, Germania e Regno Unito), sono usciti dal programma del controllo nucleare (che non controllava niente e tra qualche anno l'Iran avrà la Bomba, con complimenti vivissimi all'Europa), ma la mossa di Pompeo lascia intendere che gli Stati Uniti in realtà possano richiamare l'attivazione della risoluzione Onu 2231 (che hanno votato e sulla quale c'è la sigla degli Stati Uniti, altrimenti non potrebbe essere in vigore) che consente il ripristino delle sanzioni, quello che tecnicamente viene chiamato "snapback". Il dato politico è che gli Stati Uniti si sono ritrovati tutti contro, sapevano che sarebbe accaduto, la mossa è calcolata e ora si apre un problema di diritto internazionale, tanto che il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres parla di "incertezze", di problemi di interpretazione legale, di "necessità di un chiarimento" sullo status delle sanzioni all'Iran. Il problema è delicatissimo perché Pompeo ha già anticipato che se le sanzioni all'Iran non verranno ripristinate dagli Stati membri dell'Onu, allora gli Stati Uniti agiranno e ci saranno "conseguenze".
Prima di tutto, vediamo cosa ha detto esattamente Mike Pompeo, ecco la sua dichiarazione rilasciata alla stampa.
03
No all'appeasement con il regime di Teheran
di Mike Pompeo
L'amministrazione Trump ha sempre capito che la più grande minaccia alla pace in Medio Oriente viene dalla Repubblica Islamica dell'Iran, i cui violenti sforzi per diffondere la rivoluzione hanno ucciso migliaia di persone e sconvolto la vita di milioni di innocenti. La storia mostra che l'appeasement non fa altro che incoraggiare tali regimi. Così oggi, gli Stati Uniti accolgono con favore il ritorno di quasi tutte le sanzioni dell'Onu, precedentemente revocate, contro la Repubblica Islamica dell'Iran, il principale sponsor statale mondiale del terrore e dell'antisemitismo.
Le sanzioni sono state reintrodotte nei confronti dell'Iran in seguito al ritorno all'ordine del giorno previsto dalla risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Unscr). Il 20 agosto gli Stati Uniti hanno notificato al Presidente del Consiglio di Sicurezza il significativo inadempimento degli impegni assunti dall'Iran nel quadro del Jcpoa (l'accordo sul controllo della proliferazione nucleare dell'Iran, fulcro della politica estera dell'amministrazione Obama, ndr). Tale notifica ha innescato il processo di 30 giorni che ha portato allo snapback delle sanzioni Onu precedentemente revocate. Ciò significa che a partire da oggi sono tornate in vigore tutte le disposizioni delle risoluzioni Onu 1696, 1737, 1747, 1803, 1835 e 1929 che erano state revocate dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza 2231. Inoltre, le misure contenute nei paragrafi 7, 8 e da 16 a 20 dell'Unscr 2231 sono ora abrogate.
Gli Stati Uniti hanno intrapreso questa azione decisiva perché, oltre al mancato rispetto degli impegni assunti dall'Iran nel quadro del Jcpoa, il Consiglio di Sicurezza non ha prorogato l'embargo sulle armi dell'Onu nei confronti dell'Iran, che era in vigore da 13 anni. L'inazione del Consiglio di Sicurezza avrebbe spianato la strada all'Iran per l'acquisto di ogni sorta di armi convenzionali il 18 ottobre. Fortunatamente per il mondo, gli Stati Uniti hanno agito in modo responsabile per evitare che ciò accadesse. In conformità con i nostri diritti, ai sensi della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, abbiamo avviato il processo per ripristinare praticamente tutte le sanzioni Onu precedentemente revocate, compreso l'embargo sulle armi. Di conseguenza, il mondo sarà più sicuro.
Gli Stati Uniti si aspettano che tutti gli Stati membri dell'Onu rispettino pienamente i loro obblighi di attuazione di queste misure. Oltre all'embargo sulle armi, questo include restrizioni come il divieto per l'Iran di impegnarsi in attività di arricchimento e ritrattamento nucleare, il divieto di test e sviluppo di missili balistici da parte dell'Iran, e sanzioni sul trasferimento di tecnologie nucleari e missilistiche all'Iran, tra gli altri. Se gli Stati membri dell'Onu non adempiono ai loro obblighi di attuazione delle sanzioni, gli Stati Uniti sono pronti a utilizzare la loro autorità per imporre conseguenze per tali mancanze e garantire che l'Iran non raccolga i frutti delle attività vietate dall'Onu.
Il ritorno delle sanzioni oggi è un passo verso la pace e la sicurezza internazionale. L'accordo nucleare del 2015 non ha indotto l'Iran ad unirsi alla "comunità delle nazioni" come promesso. Al contrario, i mullah hanno preso le loro nuove ricchezze e le hanno usate per fomentare la morte e la distruzione, dallo Yemen all'Iraq, al Libano e alla Siria - un risultato prevedibile. Senza l'azione degli Stati Uniti per ripristinare le misure dell'Onu, il regime iraniano sarebbe presto in grado di comprare e vendere armi più liberamente in tutto il mondo. A causa dei fallimenti del Jcpoa, l'Iran è quasi cinque anni più vicino alla scadenza delle restrizioni sul programma di arricchimento dell'uranio iraniano e sulle attività di ritrattamento, avvicinandosi in modo inaccettabile a una pericolosa capacità nucleare. Tuttavia, grazie al ritorno delle sanzioni Onu, l'Iran è ora obbligato a sospendere l'arricchimento, il ritrattamento e le attività legate all'acqua pesante. Non permetteremo mai che il principale sponsor statale mondiale del terrore ottenga l'arma più letale del mondo.
Nei prossimi giorni, gli Stati Uniti annunceranno una serie di misure aggiuntive per rafforzare l'attuazione delle sanzioni dell'Onu e ritenere i trasgressori come responsabili. La nostra campagna di massima pressione sul regime iraniano continuerà fino a quando l'Iran non raggiungerà un accordo globale con noi per contenere le sue minacce di proliferazione e smettere di diffondere il caos, la violenza e lo spargimento di sangue.
04
La parola chiave: snapback
Che cosa è lo snapback? È il meccanismo previsto dall'articolo 11 della risoluzione 2231 delle Nazioni unite con cui è stato approvato l'accordo globale del 2015, noto come Piano d'azione globale congiunto (Jcpoa, dall'acronimo in inglese), che limita il programma nucleare iraniano. Cosa dice l'articolo 11? Prevede che "entro trenta giorni dal ricevimento di una notifica da parte di uno Stato partecipante al Jcpoa che segnala un significativo inadempimento degli impegni" si debba "votare su un progetto di risoluzione per mantenere in vigore" la revoca delle sanzioni. Se entro dieci giorni dalla notifica delle violazioni, nessun membro del Consiglio di sicurezza presenta un progetto di risoluzione per una votazione, lo fa il presidente del Consiglio di sicurezza entro trenta giorni e lo mette a votazione". L'articolo 12 invece prevede che "se il Consiglio di Sicurezza non adotta una risoluzione ai sensi dell'articolo 11 per mantenere in vigore la risoluzione, a partire dalla mezzanotte dopo il trentesimo giorno dalla notifica al Consiglio di sicurezza, tutte le disposizioni delle risoluzioni 1696 (2006), 1737 (2006), 1747 (2007), 1803 (2008), 1835 (2008) e 1929 (2010), si applicano come avveniva prima dell'entrata in vigore della risoluzione", a meno che il Consiglio di sicurezza non decida diversamente. In sintesi, se uno Stato coinvolto nell'accordo nucleare notifica al Consiglio di sicurezza violazioni significative da parte dell'Iran, le sanzioni originali revocate nel 2016 verranno automaticamente ripristinate in 30 giorni a meno che il Consiglio di sicurezza non adotti un'altra risoluzione per evitarlo. Gli Stati Uniti hanno quindi deciso il ricorso all'articolo 12 ma gli altri Stati membri contestano il fatto che Washington si sia ritirata dall'accordo nel 2018 e di non avere quindi più il diritto di ricorrere allo snapback. Il Dipartimento di Stato americano sostiene che non vi è una norma nella risoluzione che escluda le nazioni che abbandonano l'accordo dall'innesco di sanzioni.
Si è aperta una enorme battaglia legale, siamo nel cuore del diritto internazionale. Gli americani sanno che gli altri paesi opporranno il loro no, puntano chiaramente a riaprire il negoziato, lo dice lo stesso Pompeo: "La nostra campagna di massima pressione sul regime iraniano continuerà fino a quando l'Iran non raggiungerà un accordo globale con noi". Bisogna stare tutti intorno al tavolo. Ci riusciranno?
Hassan Rouhani, presidente dell'Iran (Foto Ansa).L'Iran parla di prossima "sconfitta" degli Stati Uniti sulle sanzioni, il presidente Hassan Rouhani parla di "massima pressione americana contro l'Iran" che "nei suoi aspetti politici e legali, si è trasformata nel massimo isolamento americano". Nessuna sorpresa, fa parte della propaganda di Teheran, ognuno recita la sua parte, ma solo gli ingenui possono immaginare che la mossa del Dipartimento di Stato non sia stata studiata e pesata. Se lasci la porta aperta prima o poi qualcuno entra, dunque c'è un disegno semplice: mettere l'Onu di fronte a un fatto (il meccanismo previsto dalla risoluzione 2231), dire agli Ayatollah che i loro disegni di vendetta dopo l'uccisione del generale Soleimani avranno una risposta fin da ora e poi sedersi al tavolo con gli altri paesi per negoziare sulle sanzioni. L'Europa in blocco può ovviamente decidere di mantenere la linea dura, ma non bisogna mai sottovalutare la potenza degli Stati Uniti, quando un presidente apre un dossier ha molte frecce nel suo arco per imporre la sua linea e con l'Europa quella del commercio già in passato s'è dimostrata efficace.
La mossa del Segretario di Stato sembra un fulmine a ciel sereno, ma in realtà sono le azioni più o meno visibili di Teheran a innescarla: il 29 luglio scorso le Guardie Rivoluzionarie hanno annunciato il lancio di un missile da un silos sotterraneo, prima volta per l'Iran. Durante le esercitazioni nel Golfo, la marina e l'aviazione di Teheran hanno simulato un attacco a una finta portaerei americana, il programma balistico dell'Iran è in pieno sviluppo. I disegni di vendetta di Teheran, inoltre, sono noti alla Cia che qualche giorno fa (notizia di Politico) ha avvisato Trump sul piano per uccidere l'ambasciatrice americana in Sudafrica, Lana Marks, un'amica di Trump.
In questo scenario, il viaggio di Pompeo in Italia non è una visita di cortesia, è la richiesta di un impegno dell'Italia in un confronto internazionale in cui bisogna decidere da che parte stare.
05
C'è un problema Roma-Pechino
Pompeo sarà a Roma per un giro di incontri istituzionali e in Vaticano il 29 e il 30 settembre. È la ventesima missione nel 2020 del capo della diplomazia americana, era già stato in Italia il 30 settembre 2019, ma l'agenda si è fatta più delicata, l'America il 3 novembre sceglierà il nuovo presidente, la politica estera fa parte della sceneggiatura della campagna elettorale. I rapporti tra Italia e Cina sono da tempo fonte di preoccupazione per il governo americano. Il South China Morning Post, il più importante giornale di Hong Kong e tra i migliori dell'Asia, scrive che Pompeo dirà a Palazzo Chigi di non favorire gli investimenti cinesi nello logistica (i porti) e nelle reti materiali (quelle energetiche) e immateriali (internet). L'altro capitolo lo abbiamo visto con l'articolo di Pompeo su First Things, i rapporti tra il Vaticano e la Cina, il regime di Pechino e la libertà religiosa. L'Italia è l'unico paese del G7 ad aver firmato un'intesa strategica con la Cina sulla Nuova Via della Seta, progetto che ha rallentato il suo sviluppo con la crisi del coronavirus, ma sul quale la Cina continua a puntare con forza dopo esser uscito dalla pandemia con un vantaggio competitivo (soprattutto in termini di tempo) sugli Stati Uniti dove la campagna presidenziale si svolte in una tempesta perfetta: la crisi sanitaria, una ripresa lenta dopo il collasso economico provocato dal lockdown e la rivolta sociale innescata dai movimenti anti-razzisti. Pompeo a Roma cerca un alleato di cui fidarsi. Lo troverà?
Palazzo Chigi ha sempre detto che l'alleanza non si discute, che l'Italia resta un paese atlantista, alleato degli Stati Uniti d'America. Sono rassicurazioni che all'amministrazione americana non bastano più, anche perché lo scenario politico offre occasioni contraddittorie sulla nostra linea di politica estera. Siamo europeisti a corrente alternata (vedere alla voce Cinque Stelle), americani con gli americani, intratteniamo una relazione giudicata troppo stretta con Pechino. Trump potrebbe perdere le elezioni il 3 novembre, ma se le dovesse vincere, la linea dell'ambiguità non sarà a lungo sostenibile. Neppure nel caso di una vittoria di Joe Biden, perché l'agenda americana non prevede la resa davanti all'espansionismo di Pechino. In politica estera il neutralismo è una scelta che dura poco.
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Come va la campagna presidenziale? Trump viaggia per gli Stati in bilico, lui e Biden si marcano a vicenda. Si è aperta la battaglia per la nomina alla Corte Suprema. Pezzo a quattro mani
06
Trump sceglierà una donna per la Corte Suprema
di Mario Sechi e Rita Lofano
“Dio perché? Oh Ruth ci dispiace tantissimo che tu abbia dovuto lasciarci. Hai fatto il possibile per restare viva. Più coraggiosa di tutti. Mi limito a leggere le tue ultime parole: ‘Il mio più fervente desiderio è di non venire sostituita fino a quando non si sarà insediato il nuovo presidente’. Noi tutti dobbiamo assicurare che ciò accada”. Il regista e attivista Michael Moore, sintetizza in un tweet il vuoto lasciato dalla giudice della Corte Suprema americana Ruth Bader Ginsburg, morta all’età di 87 anni (a meno di due mesi dal voto) e come la sua scomparsa sia immediatamente diventata un elemento chiave della campagna presidenziale.
È una palla alzata per lo smash di Donald Trump sotto rete, i repubblicani sono pronti alla nomina, il capo dei senatori, Mitch McConnell, ha annunciato di esser pronto al voto sul nome che sarà scelto dal presidente. Le liste sono pronte, si attende la decisione. C'è una partita dentro la partita della Casa Bianca, è quella della Corte Suprema che si gioca sui tempi lunghi e fulminei del diritto, la trasformazione della società americana, il suo continuo download e aggiornamento, l'interpretazione della sua magnifica Costituzione, la sua flessibilità e rigidità.
Ginsburg era uno dei quattro giudici progressisti nel panel dei nove membri dell’alta Corte Usa che ora si avvia verso una schiacciante maggioranza conservatrice: 6 a 3. Non passa neanche un’ora dalla notizia della scomparsa dell’icona liberal, Mitch McConnell prepara il terreno, anticipa il suo verdetto politico (e cambia lestamente idea rispetto a quanto professava nel 2016: non si fanno nomine alla Corte Suprema in un anno elettorale), siamo dentro la battaglia per il consenso, si vota il 3 novembre, la Corte Suprema nell'immaginario è un baluardo e un esercito, difende la tradizione o la cambia per sempre. Ginsburg sapeva che sarebbe successo. Sperava di sopravvivere anche a questa elezione, ma quando ha capito che il tumore stava avendo la meglio ha dettato alla nipote Clara Spera il suo testamento politico.
Joe Biden ha chiesto (invano) che sia il prossimo presidente a scegliere il nuovo giudice della Corte Suprema. Chuck Schumer, leader di minoranza al Senato, ha subito fatto sue le parole della Ginsburg: "Gli americani dovrebbero dire la loro nella scelta del prossimo giudice della Corte Suprema". È intervenuto anche Barack Obama, esortando ad onorare l’eredità di Ginsburg seguendo le sue istruzioni.
Trump negli ultimi due anni ha nominato due giudici della Corte Suprema, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, record riuscito nel primo mandato solo a un altro repubblicano, Richard Nixon. Bocca cucita sulle prossime mosse, ma secondo indiscrezioni la nomina potrebbe essere una questione di giorni, come sollecitato dal senatore repubblicano del Texas Ted Cruz, incluso nell’ultima lista dei papabili divulgata dal tycoon lo scorso 9 settembre.
Biden non ha mai presentato le sue opzioni, limitandosi a dire che avrebbe nominato una donna di colore. Le potenziali scelte per la Corte Suprema sono cruciali per gli elettori americani. Dal 2016, da quando è sceso in campo, Trump ha già reso pubblici quattro elenchi. Quattro anni fa, durante il terzo confronto in tv tra i candidati alla presidenza (seguito da 84 milioni di americani, dati Nielsen) la questione dei giudici della Corte Suprema tenne banco per 15 minuti e secondo alcuni osservatori fu il quarto d’ora più importante della corsa di ‘The Donald’. Tra i nomi proposti nel settembre del 2016, figurava anche quello di Gorsuch, poi nominato il 31 gennaio del 2017 al posto di una stella del diritto americano, Antonin Scalia, interprete "originalista" della Costituzione.
Il presidente ha saputo della morte di Ginsburg durante il suo comizio in Minnesota. L’ha definita “un titano della Legge” e ha ordinato le bandiere a mezz’asta alla Casa Bianca. Tra i due non correva buon sangue. Lei lo aveva definito “un falso” e lui le aveva dato dell’idiota dicendole di dimettersi. Potevano solo dispiacersi e l'hanno fatto senza farne mistero.
Ginsburg era un talento del diritto applicato alla trasformazione sociale, studiò legge ad Harvard - unica donna in una classe di 500 uomini - e alla Columbia University. Fu una grandissima figura della stagione dei diritti delle donne negli anni Settanta, fu lei a usare per prima nelle cause dei tribunali la parola "genere" al posto di "sesso" e aprì le porte alle conquiste delle donne. Non si dimise quando i liberal chiedevano il ricambio dei giudici progressisti durante la presidenza di Barack Obama, sperava nell'arrivo di un altro presidente democratico, non aveva neanche lei, sempre acuta nelle analisi del contesto sociale e politico dell'America, calcolato l'arrivo di un imprevisto della Storia: Trump.
Con la sua azione nei tribunali, le sue ‘dissent opinion’ e le decisioni nella Corte Suprema, Ginsburg (una sua immagine nella foto Ansa qui sopra, durante la veglia in suo ricordo davanti alla Corte Suprema) ha avuto un ruolo chiave nella trasformazione della società americana. Linda Greenhouse, decana dei corrispondenti del New York Times sulla Corte (dal 1978 al 2008, premio Pulitzer nel 1998) ha scritto che ha "cambiato il ruolo della donna e dell'uomo" nella società americana. Ginsburg divenne non solo una bandiera del femminismo, ma del costume americano, il suo nome acquisì la dimensione di status dell'anima quando divenne un format dello spettacolo e la sua figura fu declinata in Notorious R.B.G., una biografia che riprendeva Notorious B.I.G., il nome di un rapper nato a Brooklyn. Lui cambiò la musica, lei cambiò la vita degli americani. Come titolò Time in una copertina a lei dedicata, fu una "changemaker".
Trump ha la possibilità lasciare una profonda impronta sullo scenario del diritto. Lo ha già fatto con la nomina finora di 216 giudici federali (potrebbero arrivare a 230 alla fine del primo mandato) e si tratta di un record, solo Jimmy Carter fece meglio di Trump (con 262 giudici confermati), Barack Obama in due mandati ne confermò 334. Quelli di Trump sono numeri imponenti, ora ha l'occasione di trasformare la Corte Suprema in un bastione inespugnabile del conservatorismo. Se venisse rieletto potrebbe scegliere non solo il successore di Ginsburg ma anche del liberal Stephen Breyer (82 anni) ed eventualmente del conservatore Clarence Thomas (72 anni). Chi sceglierà per sostituire Ginsburg? Un'altra donna, lo ha ha confermato ieri parlando dal North Carolina ("la prossima settimana presenterò una candidatura, sarà una donna")., tra i nomi circola quello di Amy Coney Barrett, giudice di Chicago, conservatrice, che era stata già presa in considerazione prima della scelta di Kavanaugh nel 2018.
Gli eventi scandiscono i tempi della campagna, sono l'occasione per cavalcare le onde radio della propaganda e sintonizzarsi con i rispettivi elettorati, le paure e le speranze degli americani. “Vinceremo il Minnesota e altri quattro anni alla Casa Bianca”, ha assicurato ieri il presidente volato nello Stato che è nel mirino di Trump. Comizio nel giorno in cui è iniziato il voto anticipato, preceduto di qualche ora da quello dello sfidante democratico. Nel 2016 Trump perse in Minnesota contro Hillary Clinton per 45 mila voti. L'esito finale dipenderà dalle scelte della Iron Range, la regione rurale ricca di miniere vicino al Lake Superior, un tempo roccaforte dei democratici, con un potente sindacato dei lavoratori che nel 2016 ha sostenuto Trump per le sue politiche sui dazi. The Donald spera di portarsi a casa i 10 grandi elettori, quelli che gli mancherebbero, ad esempio, se perdesse nel Wisconsin. È il sudoku elettorale del presidente, una cangurata continua a bordo dell'Air Force One da uno Stato in bilico all'altro.
Per Trump, a 46 giorni dal voto, la morte di Ginsburg è un'arma di eccezionale valore, un fatto che curva lo spazio della campagna presidenziale. Nessun presidente lascerebbe mai quel posto vacante mentre è in corsa per la Casa Bianca. Di sicuro proverà a rimpiazzarla, prima o dopo l’Election Day, anche se i repubblicani perdessero il controllo del Senato, facendo votare la nomina alla maggioranza in carica fino a gennaio. La nomina sarà poi approvata? È tutto da vedere, due senatrici del Grand Old Party, Susan Collins e Lisa Murkowski, vogliono che sia il prossimo presidente eletto a fare la nomina (linea confermata da entrambe). Ma il Gop appare determinato a andare avanti, anche Lindsay Graham ha detto che bisogna votare la nomina. Se la prospettiva di avere un altro giudice di destra favorisce Trump perché rinsalda il consenso dei conservatori, è anche possibile che la morte di R.B.G., tanto amata anche dai millennial, possa indurli a votare in massa per preservare la sua eredità.
Air Force One. La campagna di Trump ha un format dove l'aereo presidenziale è un elemento della scenografia.Decidere à la Trump, d'impulso, con la notizia che ancora squilla nei notiziari e emoziona almeno due generazioni di uomini e donne, anziani e giovanissimi, significa rischiare di agitare le acque dell'opinione pubblica, mettere il cappello del MAGA sulla successione aa una figura che aveva il rispetto anche degli avversari dell'altro fronte culturale e politico è un azzardo anche per un giocatore di poker come Trump. Ma il contesto stavolta lo pone di fronte a una scelta urgente, strategica: breve per le implicazioni che ha sulla campagna presidenziale, lunga per l'impatto che la nomina di un giudice della Corte Suprema ha sull'intera società degli Stati Uniti.
Passata la nuttata, Trump la mattina la mette giù nel solo modo possibile date le condizioni, il contesto storico e lo stato della campagna presidenziale: “Siamo stati messi in questa posizione di potere e importanza per prendere decisioni per le persone che ci hanno eletto con così tanto orgoglio, la più importante delle quali è da sempre considerata la selezione dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti. Abbiamo questo obbligo, senza indugio!” Tutto chiaro. Alla fine, per un politico come Trump, è una questione di tempistica, si ritrova nella condizione di poter scegliere e non poter dilatare all'infinito.
Alla fine, per un politico come Trump, è tutta una questione di tempistica, si ritrova nella condizione di poter scegliere e non poter dilatare all'infinito. Ciò che non può fare è quello che gli chiedono i democratici: non scegliere, lasciare che sia il prossimo presidente votato dagli americani a decidere la successione alla Ginsburg. Impossibile, Trump può prendere qualche giorno per riflettere (o semplicemente fare melina perché ha già un'idea ma la vuole far cadere con studiata lentezza), aspettare e poi sfoderare l'artiglio, meditare sornione e alludere con i giornalisti all'importanza del momento, far luccicare la scelta imminente nella solennità del pensare sulla responsabilità della nomina o lasciarla andare in buca con la spinta di un ferro sul campo da golf, in stile trumpiano, può far decantare i nomi e metterne in giro qualcuno che non torna, lanciare un ballon d'essai, consultarsi sulle liste senza crederci sul serio oppure in preda ai dubbi, sondare i senatori sul favore o meno per questo o quel nome, far decantare il messaggio da dare agli elettori. Concluso il giro di giostra, Trump pronuncerà il nome che segnerà il futuro della Corte Suprema, dandole l'impronta di una stagione diversa in cui tutto è cambiato perché con la morte di Ginsburg è finita ufficialmente un'era il cui apice fu la presidenza di Barack Obama. La campagna è all'ultima curva, poi ci sarà il rettilineo, la sceneggiatura è magistrale, la nomina alla Corte Suprema la intinge con l'inchiostro della suspence, dà il tocco dell'alto, della Costituzione, la solenne verità del suo incipit: "We the People of the United States...". Il 3 novembre quel popolo parlerà con il voto. È il verdetto che cambierà la storia.
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7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
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nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
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7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
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10. Limitazione di responsabilità
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10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.