Cosa succede? Il coronavirus è arrivato a Palazzo Chigi (la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese positiva), la crisi alchemica del governo Conte va avanti, non s'è mai fermata, al pari del caotico esperimento tentato nel 2018 con il governo Frankenstein tra Lega e Cinque Stelle, anche l'unione del Partito democratico con i pentastellati è andata in cortocircuito fin dal principio, il fiammeggiare intenso di questi giorni è solo la normale combustione dell'esecutivo. Rispetto al passato c'è più benzina: la gestione degli oltre 200 miliardi del Recovery Fund che in realtà sarà il Recovery Power di chi lo gestirà. Quando, quanto, chi e come? Seguite il titolare di List.
01
Duecento miliardi di motivi per stare in sella
Per sapere, per capire, ecco una tabella eloquente tratta dal piano che è in discussione nel Consiglio dei ministri che è stato aggiornato a domani dopo un'infinita discussione durata tutto il giorno:
Come saranno distribuiti i finanziamenti? Altra tabella tratta dal piano (presunto tale):
Sono 196 i miliardi destinati a finanziare il dispositivo di ripresa e resilienza a cui sta lavorando il Consiglio dei ministri in queste ore. Di questi 196 miliardi, stando alla bozza, 48,7 dovrebbero andare alla digitalizzazione e innovazione, 74,3 a rivoluzione verde e transizione ecologica, 27,7 al settore infrastrutture per una mobilità sostenibile, 19,2 all'istruzione e ricerca, 17,1 alla parità di genere e 9 alla sanità. Hanno fatto i titoli, manca tutt0 il romanzo.
02
La torta, le fette (e la lezione di Marshall)
Il premier Giuseppe Conte ha puntato su questo tesoro distribuito in un tempo di sei anni per farsi un'assicurazione sulla vita (politica), ma i soldi non sono tutto, non lo sono in amore (di solito lo rovinano) e non lo sono neppure in politica, perché tutti i patti hanno bisogno di una passione profonda e nobile, perfino i più inconfessabili sodalizi non sfuggono a questa regola. Conte ha immaginato - forse ha ragione, ma anche quando esiste non è mai eterna - di essere insostituibile, pensa di non avere un'alternativa, fa un calcolo basato sul semplice fatto che la torta è grande e le fette deve essere lui a tagliarle e dispensarle ai commensali. Niente di strano, è l'esercizio del potere. Domanda sul taccuino: è il mestiere di Conte? Sì e no. Facciamo un salto indietro, saliamo sulla macchina del tempo, vediamo come fu gestita un'altra grande crisi, quella del dopoguerra.
Uno dei poster lanciati nel 1947 dal governo americano per sostenere il Marshall Plan
L'Europa fu ricostruita con il piano Marshall (che guardacaso si chiamava European Recovery Program) , si trattava di un piano finanziario e di cessione di beni materiali che in Italia fu avviato dal Governo Parri con la costituzione il 21 giugno del ’45 di un dicastero della Ricostruzione, poi guidato da Ugo La Malfa durante il primo Governo De Gasperi. Il ministero di La Malfa non programmava, coordinava gli interventi. L'Italia faceva le sue scelte di politica economica informando gli Stati Uniti, il piano nazionale prevedeva l'investimento dal 1948 al 1952 di 2273 miliardi di lire che erano così ripartiti: 920 all’industria, 665 all’agricoltura, 630 a trasporti e telecomunicazione, 8 a corsi per riqualificazione professionale. Il 40% dei 920 miliardi dati all’industria, era destinato alle compagnie elettriche, circa il 20% a Finsider e Falk e un altro 20% all’industria meccanica. Scelte mirate, nessuna dispersione dei finanziamenti, apertura all'iniziativa privata. Altri tempi. E altri politici, l'Italia aveva una grande classe dirigente.
03
La tecnostruttura del premier
Fare paralleli con il passato aiuta a capire cosa accade nel presente. È chiaro che siamo di fronte uno scenario dove il presidente del Consiglio sta apparecchiando un organismo sotto il suo comando che de facto scavalca i ministri e i partiti che ne sono espressione, tutta la politica viene cancellata, resta solo quella di Conte al vertice di una tecnostruttura. Organigramma? Non c'è, questo è un altro punto debole. Verrebbe dato il via libera a un organismo di cui non si conoscono i contorni. È lo stesso accentramento di potere - in versione esponenziale - che abbiamo visto nella gestione dell'emergenza coronavirus, il commissario Domenico Arcuri che comanda su tutti, parla come un ministro, esprime giudizi politici che non gli competono e non sono richiesti per la sua funzione, s'avventura anche a disquisire di liberismo, con tutto quello che ha da fare, santo cielo. Il contismo allo stato nascente è Arcuri, quello che seguirà con la gestione del Recovery Fund sarà l'apoteosi di questo metodo di governo.
04
Come (non) si apre una crisi di governo
Riuscirà Conte nella sua impresa? Ha davanti lo scoglio del voto sulla riforma del Mes, i Cinque Stelle divisi, il Pd in trincea sull'europeismo e via così. È solo un gioco di fumo e specchi, la vera partita è quella sul Recovery Fund e Matteo Renzi è quello che l'ha colta meglio di tutti. Intervistato da Repubblica, il leader di Italia Viva (solo un po') fa la descrizione reale dello scenario: "Questo modo di fare non è solo sprezzante: è sbagliato. Noi siamo contrari a sovrastrutture di centinaia di consulenti che stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza. Il futuro dell'Italia dei prossimi vent'anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi". Sul taccuino del cronista piovono note a margine:
1) Dopo aver reso possibile il bis di Conte, Renzi ha capito che il premier sta stritolando i partiti alleati (e logorando quelli all'opposizione) per costruirne o ereditarne uno quando avrà consolidato la sua fortuna politica con il Recovery Fund;
2) Più tempo passa, più sarà difficile (e alla fine sarà impossibile) far cadere Conte, perché avviato il Recovery Fund, tutto si complica e per "Giuseppi" la corsa sarà in discesa (ma servono sempre i freni);
3) Il momento migliore per innescare la crisi è tra la fine e l'inizio dell'anno, subito dopo la manovra, prima del varo del piano sul Recovery Fund;
Che crisi sarebbe? Abbiamo già visto con la sortita a vuoto di Matteo Salvini nell'agosto del 2019 che aprire crisi al buio significa cascare nella botola vietnamita, dunque serve un'idea per non finire nella buca. Come si fa? La Prima Repubblica offre la cassetta degli attrezzi: si disegna la parabola di una crisi pilotata. Renzi potrebbe aprirla da solo, i suoi voti al Senato sono decisivi, ma la crisi pilotata è un'altra cosa, occorre concertare le mosse con altri soggetti. Chi? Tanto per cominciare Renzi dovrebbe parlare con i suoi ex amici-nemici, con Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini. Quest'ultimo è il vero stratega del Pd (con Dario Franceschini che in questo periodo vola basso), sostiene la necessità di Conte come elemento di congiunzione tra il Pd e i Cinque Stelle. Fin qui, non proprio una scoperta che rivoluziona la politica, ma Bettini è uomo che sa giocare di fino, dunque ha in mente altro. Cosa? La crescita di un altro leader in quello che i dem di rito zingarettiano (dunque bettiniano) chiamano pomposamente "campo progressista". Il leader in fasce esiste? No, questo è il problema. E questo è anche il grande vantaggio di Conte. Il premier può permettersi di galleggiare perché il Pd non ha un cavallo da far correre subito in pista, uno che metta d'accordo tutti (si sono visti su Zoom e litigavano sugli aggettivi). Renzi lo sa e ha compreso benissimo che il logoramento colpisce prima di tutto il suo partito, Italia Viva. Gli altri? Forse campano. Qui serve il Divo Giulio.
05
Nel regno di Andreotti (tirare le cuoia e tirare a campare)

Giulio Andreotti diceva che tirare a campare è meglio che tirare le cuoia, ma la realtà è che a guadagnare da questa situazione è solo il premier Conte. Sempre per restare nel regno delle massime andreottiane, il potere logora chi non ce l'ha (dunque prima di tutto l'opposizione senza alcuno sbocco di Lega e Fratelli d'Italia - cosa che Silvio Berlusconi ha colto e sfrutta per guadagnare spazio di manovra) e chi ne ha poco (di potere) un domani si ritroverà ancora davanti non solo l'ego ipertrofico di Conte, ma anche un ex avvocato del popolo ormai divenuto politico tout court, forte di un consenso acquisito a colpi di miliardi di euro spendi e spandi. Si tratta di una situazione che si può sbloccare solo con una crisi pilotata che avrebbe queste sembianze: si apre il caso (uno qualsiasi, tutto fa brodo se parte la rumba) in aula, il premier è costretto a chiedere la fiducia - o lasciare senza parlamentarizzare la crisi - si aprono consultazioni per un altro governo e un altro premier. Naturalmente tutto questo deve fare i conti con il Quirinale: Sergio Mattarella ha consigliato prudenza a tutti solo pochi giorni fa, segno che lo scioglimento delle Camere in caso di crisi non è una faccenda remota. Andare a votare? Nessuno vuole suicidarsi. Rimpasto? Possibile, ma per fare cosa?
Qui il tema è il potere di Conte, non di un ministro o due, in discussione c'è la struttura che il premier sta varando per controllare la gestione del Recovery Fund. Conte con questo organismo ai suoi ordini sarebbe il presidente del Consiglio più potente dal dopoguerra a oggi. Si può gestire così il paese che ha la seconda manifattura d'Europa? No, ma abbiamo visto che finora è andata così, senza alcuna programmazione per il futuro, allargando il debito pubblico e poi domani si vedrà. Si tratta di un'operazione spericolata, lo vede chiunque, il rischio di finire un domani molto vicini alla situazione della Grecia - dove il Parlamento non muove uno spillo se non c'è il via libera di Bruxelles - è concreto, ma nello stesso tempo avvolto dalla cortina fumogena del debito che galoppa. "Paga lo Stato". Paghiamo noi, fessi.
Il problema è che aprire una crisi in queste condizioni appare una follia: in piena crisi pandemica, con piano per il Recovery Fund da scrivere (quello presentato è un album al quale mancano le figurine, i ruoli in campo, tutto), la più grande campagna di vaccinazione della storia da avviare, il 2021 che presenterà il conto del secondo virus, quello del collasso dell'economia. Tutto sembra condurre a un esito andreottiano: tirare a campare.
***
Che facciamo? Il Consiglio dei ministri è aggiornato a domani, c'è un po' di posta per il titolare da leggere.
06
C'è posta per List. Noi e le riaperture
di Sandro Chierici
Stimato titolare,
il surreale dibattito sulle riaperture, che si protrae da qualche settimana e che ha raggiunto in questi giorni livelli di assurdità difficili da immaginare, mi spinge a qualche considerazione che vorrei condividere con Lei, se posso.
Chiudere tutto è facile. Basta usare l’autorità. Ed è facile da controllare. Se non si può uscire e c’è uno in giro, lo si prende subito. Tutti ricordiamo le scene da film con l’incauto bagnante individuato con il drone e circondato dai poliziotti…
Riaprire invece, soprattutto se si deve aprire per gradi, è molto più difficile. È necessario infatti poter contare sulla responsabilità dei singoli, e non sulla paura di essere sanzionati. Per questo non occorre l’autorità ma l’autorevolezza, che è ben altro.
L’autorevolezza va guadagnata, è un rapporto che si costruisce nel tempo, attraverso decisioni la cui logica sia comprensibile, non contradditorie, ben comunicate, non si conquista con slogan.
Questo mi sembra il rimprovero più serio che possiamo fare al Governo. Non quello di avere fatto degli errori (chi non ne avrebbe fatti, trovandosi in una situazione come questa?), ma quello di non aver dedicato i mesi scorsi a costruire un rapporto autorevole, e non autoritario, con i cittadini.
Il Governo questo lo sa benissimo, e per questo continua a procedere in maniera autoritaria, nelle parole (linguaggio terroristico, minacce più o meno velate, insinuazioni…) come nei fatti (decreti, assenza di dialogo con le opposizioni, scavalcamento del Parlamento…).
Il risultato è quello che emerge dal rapporto del Censis. Un paese incattivito, teso, sempre più egoista. Non ne siamo usciti migliori.
Cordialmente.
***
Caro Chierici, siamo sempre là, tra bianchi e neri, guelfi e ghibellini, bartaliani e coppiani e, oggi, naturalmente, divisi in falangi di aperturisti e chiusuristi. Ancora qualche settimana e avremo il grande dibattito tra Vax e No Vax, Pfizeristi e Modernisti, Astrazenechiani e Sputnikisti e, naturalmente, le sfilate primavera-estate di quelli che "noi ci facciamo di Regeneron". Gajardi. Un bel giorno, esauriti tutti gli argomenti da falò senza vanità, dovremo rispolverare dal passato una delle domande fondamentali del nostro tempo che impegnò le meningi in progress, il dilemma sullo slip di destra e il boxer di sinistra. Non abbiamo ancora sfiammato il Natale, ma i botti il 2020 li ha già sparati tutti. La polvere da sparo è di destra, la miccia è di sinistra? E per Santa Claus, ma le lenticchie sono sovraniste e il cotechino è globalista? O il segno politico è invariabilmente per tutti i cibi bio europeista? Amleto qui sarebbe trattato come un dilettante post-trumpiano, figuriamoci, le domande sull'Essere o sul Non Essere, qui siamo anche oltre le "memorie dal basement" di Joe Biden, abbiamo il massimario di Vincenzino De Luca, è tutto un lanciafiamme, non si capisce poi cosa debba bruciare, visto che i neuroni sembrano saltati a tutti da tempo. Troisi, visto che siamo piombati con il pensiero in quel del Golfo di Napoli, avrebbe motteggiato: "Non ci resta che piangere".