9 Febbraio
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Secondo e ultimo giro di consultazioni di Mario Draghi. Tutti aspettano al varco Salvini (e il voto della Lega in Europa sul Recovery Fund). Conte candidato a tutto (e a niente). La morte di Franco Marini, la fabbrica dell'uomo e non della macchina. Il vero discorso politico, quello del Papa. L'ombra della Cina, l'America e la trappola di Tucidide
Che succede? Parte l'ultimo giro di consultazioni di Mario Draghi, poi si cambia spartito. Piaccia o meno, siamo a un voltapagina e quello che doveva essere fatto un anno fa - un governo di larghe intese - arriva dopo uno dei momenti più drammatici della nostra storia, nella fase più acuta di una crisi globale innescata dalla pandemia. Siamo arrivati, oggi, dopo un anno di sofferenza indicibile, a scegliere il migliore: Mario Draghi. E siamo arrivati dopo oltre 365 giorni di dolore, al varo di un governo (il giorno buono in calendario dovrebbe essere venerdì) con il contributo dei maggiori partiti, la realizzazione di quell'unità nazionale necessaria per risollevare il paese, spazzare via le macerie e avviare la ricostruzione. Senza questa formula, si aprirebbe una fase ancora più complicata, perché non si rimette in piedi il paese con l'appoggio di una sola parte, lo spirito nazionale non è un'esclusiva di alcuni, è degli uomini e delle donne di buona volontà che contribuiscono ogni giorno a tenere in piedi il paese. Si apre una fase interessante della nostra storia (e forse non è troppo). E si chiude un'altra storia, quella di Franco Marini.
01
Franco Marini 1933-2021
È morto Franco Marini. L'ho appreso da Claudio Velardi, stamattina, nel preludio di una chiacchierata tra amici in uno di quei luoghi virtuali che speriamo di abbandonare presto per tornare a incontrarci e riannodare i fili dell'amicizia, del confronto e del libero dibattito, la splendida diversità del pensare. Parlavamo di politica (perché la politica avvolge tutta la nostra esistenza, è il fondamento dei nostri pensieri e delle nostre azioni, coriandoli del nostro passaggio sulla terra), del nuovo governo Draghi che sta nascendo, di un'altra opportunità per il paese. E poi... Marini. Covid.
Marini è un lampo verso un "ieri" che mi sembra remoto e...
Che succede? Parte l'ultimo giro di consultazioni di Mario Draghi, poi si cambia spartito. Piaccia o meno, siamo a un voltapagina e quello che doveva essere fatto un anno fa - un governo di larghe intese - arriva dopo uno dei momenti più drammatici della nostra storia, nella fase più acuta di una crisi globale innescata dalla pandemia. Siamo arrivati, oggi, dopo un anno di sofferenza indicibile, a scegliere il migliore: Mario Draghi. E siamo arrivati dopo oltre 365 giorni di dolore, al varo di un governo (il giorno buono in calendario dovrebbe essere venerdì) con il contributo dei maggiori partiti, la realizzazione di quell'unità nazionale necessaria per risollevare il paese, spazzare via le macerie e avviare la ricostruzione. Senza questa formula, si aprirebbe una fase ancora più complicata, perché non si rimette in piedi il paese con l'appoggio di una sola parte, lo spirito nazionale non è un'esclusiva di alcuni, è degli uomini e delle donne di buona volontà che contribuiscono ogni giorno a tenere in piedi il paese. Si apre una fase interessante della nostra storia (e forse non è troppo). E si chiude un'altra storia, quella di Franco Marini.
01
Franco Marini 1933-2021
È morto Franco Marini. L'ho appreso da Claudio Velardi, stamattina, nel preludio di una chiacchierata tra amici in uno di quei luoghi virtuali che speriamo di abbandonare presto per tornare a incontrarci e riannodare i fili dell'amicizia, del confronto e del libero dibattito, la splendida diversità del pensare. Parlavamo di politica (perché la politica avvolge tutta la nostra esistenza, è il fondamento dei nostri pensieri e delle nostre azioni, coriandoli del nostro passaggio sulla terra), del nuovo governo Draghi che sta nascendo, di un'altra opportunità per il paese. E poi... Marini. Covid.
Marini è un lampo verso un "ieri" che mi sembra remoto e presente nel ricordo, vivo e pulsante, era la telefonata breve del cronista ("presidente, che succede? spiegami perché io non capisco più niente di quel che sta accadendo"), era la parola saggia, il non ho tempo liquidato con la battuta fulminante che dipingeva il personaggio del momento, il situazionismo della politica. Era Gianni Pennacchi (quanto ci manca e mi manca, Gianni) che entrava nella mia stanza in redazione al Giornale e esordiva con un balzo felino: "Capo, ho parlato con Marini e mo' te spiego che m'ha detto Franco". Era sempre un romanzo, l'incipit di una trama politica dove c'era Simenon e un Flaiano in agguato all'angolo del tabaccaio. Marini ti prendeva la misura con il silenzio. Fu una bellissima persona. Fu un uomo che aveva il cuore e la mente del costruttore, un altro pezzo di quella civiltà politica che abbiamo smarrito. Fu la Democrazia cristiana, egli posava al centro senza bisogno di dirlo. Posizione naturale, eretta, pensante. Ho tanti amici che militano nella Cisl, con loro ho spesso discusso del nostro tempo (e lo faremo ancora), delle cose che si possono (e non possono) fare per provare a riprendere il cammino di un'Italia migliore che esiste. So cosa significa questa perdita per loro, lo spirito di Marini è il loro spirito, quello di Giulio Pastore, fondatore e primo segretario della Cisl. Il lavoro, con gli operai, con gli intellettuali senza essere intellò, la fabbrica dell'uomo e non della macchina.
Lui, Marini, la pipa, il cappello che lo trasformava in ritrattista di Montparnasse e sì, sembrava di vederlo, Marini, seduto al Café de Flore, ma poi... che scrivi, lascia perdere il racconto d'assenzio, il suo passo era quello di un camminatore del sentiero di montagna, lo sguardo che puntava alla cima, al passaggio in osteria (lui che da presidente del Senato urlò "e non siamo in osteria!" quando un gruppo di bifolchi festeggiò la caduta di Prodi mangiando mortadella nell'aula di Palazzo Madama, un segno del peggio che sarebbe poi comparso dopo), all'occasione colta e a quella perduta. Lo uccellarono nell'ascesa alla vetta del Quirinale e lui ne ebbe amarezza non per lo scalata interrotta, ma per il modo in cui fu scaraventato al suolo, lui che era una penna nera, un alpino. Era già una lotta di tribù senza cultura, la politica. Guarderà quello che accade in Italia in questi giorni nevosi e umidi di lacrime, intabbarrati e blindati, ben distanziati dall'anima, disinfettati dai sentimenti nobili, schermato da una nube di tabacco che danza sulla sua pipa, corazzato da un cappotto cucito dal generale inverno, osserverà quel che resta del giorno con un sorriso addolcito dal rassicurante Gran Sasso, ogni tanto inebriato dal profumo della Balena Bianca che arriva dal mare, un sospiro e via, ci sarà tempo e modo di raccontarla, questa storia, da lassù, il punto più alto a cui sono destinati i giusti.
***
Cosa ci aspetta oggi. Secondo giorno di consultazioni di Draghi, è il turno dei gruppi parlamentari più importanti. Tutto aspettano al varco Salvini.
02
Lo spiazzatutti, Salvini
Salvini è il soggetto che ha sparigliato i giochi del quartierino, chi aveva fatto lo schema del "tanto voterà contro Draghi" non conosce la storia della Lega, il suo naturale "governismo". Fondato nel 1989, il partito di Bossi andò subito al potere, nelle elezioni politiche del 1994 prese oltre l'8% dei voti e il Senatur fece il governo con Berlusconi (che poi disfò). Nelle istituzioni senza cultura (e dunque senza memoria) si sono dimenticati del dettaglio: la Lega è partito di governo.
L'apertura "senza condizioni" di Salvini a Draghi ha messo tutti in ponte e con una domanda irrisolta: non possiamo dire no alla Lega (sarebbe come smentire il Quirinale), non possiamo limitare il format di governo (metterebbe Draghi in difficoltà), che cosa facciamo? Troviamo il modo di far saltare la manovra di Salvini in Europa? Così è partita - come previsto - una polemica sulla collocazione di Salvini in Europa (dove, facciamo notare, il Ppe continua a tenersi il premier ungherese Orban in casa), con vari soggetti pronti a alzare il dito e distribuire patenti democratiche. Tutto secondo copione, il vero banco di prova è oggi, con il voto del Parlamento europeo sul Recovery Fund, è su questo punto che la Lega deve cambiare spartito rispetto al passato. E può farlo, perché ciò che ieri era impossibile con il governo Conte (partecipare alla scrittura del piano per la ricostruzione), oggi è possibile con il governo Draghi. Con questo esecutivo la Lega può dare il suo apporto alla costruzione di un piano per i ceti produttivi e le famiglie, con la coalizione giallorossa guidata dal fu avvocato del popolo la Lega era tenuta fuori da ogni concerto istituzionale (e non solo la Lega, dei piani di Conte nessuno sapeva niente). È cambiata musica, la Lega oggi può votare il Recovery Fund in Europa.
03
Tutti lo vogliono, nessuno lo piglia (Conte)
A proposito del Conte... che fa? La sua parabola è una storia meravigliosa e la riassumiamo in poche righe:
1. Mentre è a Palazzo Chigi trama contro Draghi perfino nel giorno della chiamata dell'ex banchiere centrale da parte del Quirinale;
2. Quando Draghi sale sul Colle e accetta l'incarico, Conte si rende conto di aver perso tutto e s'inventa la casalinata che è già passata alla storia come "il banchetto der carciofaro di Palazzo Chigi" e fa un appello al Movimento come se fosse Maurizio Costanzo al Teatro Parioli che dice al pubblico "state boni", i giornali passano la ridicola vulgata che Conte ha spianato la strada a Draghi;
3. Parte il tam tam del Conte candidato a guidare il Movimento, c'è solo un dettaglio: nessuno glielo ha chiesto;
4. Parte il tam tam sul Conte ministro nel governo Draghi, ma egli dice al popolo che non parteciperà, la sua vita è già piena di impegni. C'è solo un dettaglio: nessuno gli ha chiesto di fare il ministro con Draghi;
5. Parte il tam tam del Conte candidato a sindaco di Roma, l'avvocato che tutti vogliono smentisce che possa correre per prendere il posto di Virginia Raggi. C'è solo un dettaglio: nessuno gli ha chiesto di fare il sindaco della Capitale;
6. Parte il tam tam del Conte candidato del Pd a Siena nelle elezioni suppletive di primavera, c'è da sostituire il seggio vacante di Pier Carlo Padoan (andato alla presidenza di Unicredit). Dopo tutto, Conte nella parte del "catapultato" non fa una piega. C'è solo un dettaglio: nel Pd per ora non si muove foglia.
La realtà? Più tempo passa, più la sua figura evapora. Conte cerca un posto, senza un incarico, privato dello charme della poltrona, egli è quello che era prima: un signor nessuno.
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La Compagnia di Gesù
La volta della Chiesa di Sant'Ignazio a Roma, uno dei capolavori di Andrea Pozzo.In questo scenario, l'unica vera notizia politica di ieri era nel discorso che Papa Francesco ha fatto di fronte al corpo diplomatico. Due punti molto importanti: il primo, sulla necessità che l'Italia sia unita; il secondo, sul Recovery Fund come strumento di solidarietà. Il Papa fa questi due passaggi proprio nel momento in cui sta per nascere un governo d'unità nazionale che deve usare al meglio i fondi europei per la ricostruzione. Potrebbe essere un caso, potrebbe essere la Divina Provvidenza, ma il fil rouge c'è. Rafforzato da un altro elemento: Papa Francesco e Mario Draghi sono due gesuiti. Il primo pontefice e il primo premier che vengono dalla scuola religiosa e politica fondata da Sant'Ignazio di Loyola. Abbiamo un altro soggetto protagonista della nostra storia contemporanea: la Compagnia di Gesù.
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Il vero discorso politico. Quello del Papa
Tutti presi nell'auscultazione del Tabacci, i gazzettieri si sono persi un intervento di Papa Francesco che è una miniera di spunti sulla contemporaneità. Il discorso del Santo Padre ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede è per tradizione un appuntamento da monitorare sul radar, qui i Pontefici parlano di politica estera e danno la linea sugli affari internazionali. In questo caso, ci sono spunti notevoli anche sull'Italia - immersa in una crisi globale - e in più c'è la coincidenza della chiamata di Draghi (scuola dai gesuiti) il cui programma (ieri sono cominciate a emergere delle anticipazioni) sembra essere la "declinazione laica" di molti temi toccati dal Papa in questo intervento di cui pubblichiamo ampi stralci. Il Papa tocca quattro "crisi": sanitaria, ambientale, economico-sociale, politica. C'è il corpo dell'essere umano, la sua anima, il Creato di San Francesco, Dio che parla con Cesare.
Papa Francesco durante l'incontro di ieri con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (Foto Ansa).Cari Ambasciatori,
l’anno da poco conclusosi ha lasciato dietro a sé un carico di paura, sconforto e disperazione, insieme con molti lutti. Esso ha posto le persone in una spirale di distacco e di sospetto reciproco e ha spinto gli Stati a erigere barriere. Il mondo interconnesso a cui eravamo abituati ha ceduto il passo ad un mondo nuovamente frammentato e diviso. Ciononostante, le ricadute della pandemia sono davvero globali, sia perché essa coinvolge di fatto tutta l’umanità e i Paesi del mondo, sia perché incide su molteplici aspetti della nostra vita, contribuendo ad aggravare «crisi tra loro fortemente interrelate, come quelle climatica, alimentare, economica e migratoria».[1] Alla luce di questa considerazione, ho ritenuto opportuno dare vita alla Commissione Vaticana Covid-19, con lo scopo di coordinare la risposta della Santa Sede e della Chiesa alle sollecitazioni giunte dalle diocesi di tutto il mondo, per far fronte all’emergenza sanitaria e alle necessità che la pandemia ha fatto emergere.
Fin dall’inizio è parso infatti evidente che la pandemia avrebbe inciso notevolmente sullo stile di vita cui eravamo abituati, facendo venire meno comodità e certezze consolidate. Essa ci ha messo in crisi, mostrandoci il volto di un mondo malato non solo a causa del virus, ma anche nell’ambiente, nei processi economici e politici, e più ancora nei rapporti umani. Ha messo in luce i rischi e le conseguenze di un modo di vivere dominato da egoismo e cultura dello scarto e ci ha posto davanti un’alternativa: continuare sulla strada finora percorsa o intraprendere un nuovo cammino.
Vorrei allora soffermarmi su alcune delle crisi provocate o evidenziate dalla pandemia, guardando nel contempo alle opportunità che da esse derivano per edificare un mondo più umano, giusto, solidale e pacifico.
Crisi sanitaria
La pandemia ci ha rimesso potentemente dinanzi a due dimensioni ineludibili dell’esistenza umana: la malattia e la morte. Proprio per questo richiama il valore della vita, di ogni singola vita umana e della sua dignità, in ogni istante del suo itinerario terreno, dal concepimento nel grembo materno fino alla sua fine naturale. Purtroppo, duole constatare che, con il pretesto di garantire presunti diritti soggettivi, un numero crescente di legislazioni nel mondo appare allontanarsi dal dovere imprescindibile di tutelare la vita umana in ogni sua fase.
La pandemia ci ricorda pure il diritto alla cura, di cui ogni essere umano è destinatario, come ho evidenziato anche nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, celebrata il 1° gennaio scorso. «Ogni persona umana – infatti – è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità. È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati». Se si sopprime il diritto alla vita dei più deboli, come si potranno garantire con efficacia tutti gli altri diritti?
In questa prospettiva, rinnovo il mio appello affinché ad ogni persona umana siano offerte le cure e l’assistenza di cui abbisogna. A tal fine, è indispensabile che quanti hanno responsabilità politiche e di governo si adoperino per favorire innanzitutto l’accesso universale all’assistenza sanitaria di base, incentivando pure la creazione di presidi medici locali e di strutture sanitarie confacenti alle reali esigenze della popolazione, nonché la disponibilità di terapie e farmaci. Non può essere infatti la logica del profitto a guidare un campo così delicato quale quello dell’assistenza sanitaria e della cura.
È poi indispensabile che i notevoli progressi medici e scientifici compiuti nel corso degli anni, i quali hanno permesso di sintetizzare in tempi assai brevi vaccini che si prospettano efficaci contro il coronavirus, vadano a beneficio di tutta quanta l’umanità. Esorto pertanto tutti gli Stati a contribuire attivamente alle iniziative internazionali volte ad assicurare una distribuzione equa dei vaccini, non secondo criteri puramente economici, ma tenendo conto delle necessità di tutti, specialmente di quelle delle popolazioni più bisognose.
Ad ogni modo, davanti a un nemico subdolo e imprevedibile qual è il Covid-19, l’accessibilità dei vaccini deve essere sempre accompagnata da comportamenti personali responsabili tesi a impedire il diffondersi della malattia, attraverso le necessarie misure di prevenzione a cui ci siamo ormai abituati in questi mesi. Sarebbe fatale riporre la fiducia solo nel vaccino, quasi fosse una panacea che esime dal costante impegno del singolo per la salute propria e altrui. La pandemia ci ha mostrato che nessuno è un’isola, evocando la celebre espressione del poeta inglese John Donne, e che «la morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità».
Crisi ambientale
Non è solo l’essere umano ad essere malato, lo è anche la nostra Terra. La pandemia ci ha mostrato ancora una volta quanto anch’essa sia fragile e bisognosa di cure.
Certamente vi sono profonde differenze fra la crisi sanitaria provocata dalla pandemia e la crisi ecologica causata da un indiscriminato sfruttamento delle risorse naturali. Quest’ultima ha una dimensione molto più complessa e permanente, e richiede soluzioni condivise di lungo periodo. In realtà, gli impatti, ad esempio, del cambiamento climatico, siano essi diretti, quali gli eventi atmosferici estremi come alluvioni e siccità, oppure indiretti, come la malnutrizione o le malattie respiratorie, sono spesso gravidi di conseguenze che permangono per molto tempo.
La risoluzione di queste crisi richiede una collaborazione internazionale per la cura della nostra casa comune. Auspico pertanto che la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), prevista a Glasgow nel novembre prossimo, consenta di trovare un’intesa efficace per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico. È questo il tempo di agire, poiché possiamo già toccare con mano gli effetti di una protratta inazione.
Penso ad esempio alle ripercussioni sulle numerose piccole isole dell’Oceano Pacifico che rischiano gradualmente di scomparire. È una tragedia che causa non solo la distruzione di interi villaggi, ma costringe anche le comunità locali, e soprattutto le famiglie, a spostarsi continuamente, perdendo identità e cultura. Penso pure alle inondazioni nel sud-est asiatico, specialmente in Vietnam e nelle Filippine, che hanno provocato vittime e lasciato intere famiglie senza mezzi di sussistenza. Né si può tacere il progressivo riscaldamento della Terra, che ha causato devastanti incendi in Australia e in California.
Anche in Africa i cambiamenti climatici, aggravati da interventi sconsiderati dell’uomo e ora anche dalla pandemia, sono causa di grave preoccupazione. Mi riferisco anzitutto all’insicurezza alimentare che nel corso dell’ultimo anno ha colpito particolarmente il Burkina Faso, il Mali e il Niger, con milioni di persone che soffrono la fame; come pure alla situazione in Sud Sudan, dove si corre il rischio di una carestia e dove peraltro persiste una grave emergenza umanitaria: oltre un milione di bambini ha carenze alimentari, mentre i corridoi umanitari sono spesso ostacolati e la presenza delle agenzie umanitarie nel territorio viene limitata. Anche per far fronte a tale situazione è quanto mai urgente che le Autorità sud-sudanesi superino le incomprensioni e proseguano nel dialogo politico per una piena riconciliazione nazionale.
Crisi economica e sociale
L’obiettivo di contenimento del coronavirus ha spinto molti governi ad adottare misure restrittive della libertà di circolazione, che hanno comportato, per diversi mesi, la chiusura di esercizi commerciali e il generale rallentamento delle attività produttive, con gravi ricadute sulle imprese, soprattutto quelle medio-piccole, sull’occupazione e conseguentemente sulla vita delle famiglie e d’intere fasce della società, particolarmente quelle più deboli.
La crisi economica che ne è conseguita ha messo in evidenza un altro morbo che colpisce il nostro tempo: quello di un’economia basata sullo sfruttamento e sullo scarto sia delle persone sia delle risorse naturali. Ci si è dimenticati troppo spesso della solidarietà e degli altri valori che consentono all’economia di essere al servizio dello sviluppo umano integrale, anziché di interessi particolari, e si è persa di vista la valenza sociale dell’attività economica e la destinazione universale dei beni e delle risorse.
L’attuale crisi è allora l’occasione propizia per ripensare il rapporto fra la persona e l’economia. Serve una sorta di “nuova rivoluzione copernicana” che riponga l’economia a servizio dell’uomo e non viceversa, «iniziando a studiare e praticare un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».
Per far fronte alle conseguenze negative di questa crisi, numerosi governi hanno previsto diverse iniziative e lo stanziamento di ingenti finanziamenti. Tuttavia, non di rado sono prevalse spinte a cercare soluzioni particolari a un problema che ha invece dimensioni globali. Oggi meno che mai si può pensare di fare da sé. Occorrono iniziative comuni e condivise anche a livello internazionale, soprattutto a sostegno dell’occupazione e della protezione delle fasce più povere della popolazione. In tale prospettiva, ritengo significativo l’impegno dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che pur tra le difficoltà, hanno saputo mostrare che si può lavorare con impegno per raggiungere compromessi soddisfacenti a vantaggio di tutti i cittadini. Lo stanziamento proposto dal piano Next Generation EU rappresenta un significativo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle risorse in spirito di solidarietà siano non solo obiettivi auspicabili, ma realmente accessibili.
In molte parti del mondo, la crisi ha interessato soprattutto quanti lavorano nei settori informali, i quali sono stati i primi a vedere scomparire i propri mezzi di sussistenza. Vivendo al di fuori dei margini dell’economia formale, non hanno neanche accesso agli ammortizzatori sociali, comprese l’assicurazione contro la disoccupazione e l’assistenza sanitaria. Così, spinti dalla disperazione, tanti hanno cercato altre forme di reddito, esponendosi ad essere sfruttati mediante il lavoro nero o forzato, la prostituzione e varie attività criminali, tra cui la tratta delle persone.
Al contrario, ogni essere umano ha diritto – ha diritto! – e dev’essere messo in condizioni di ottenere «i mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita». È necessario, infatti, che sia assicurata a tutti la stabilità economica per evitare le piaghe dello sfruttamento e contrastare l’usura e la corruzione, che affliggono molti Paesi nel mondo, e tante altre ingiustizie che si consumano ogni giorno di fronte agli occhi stanchi e distratti della nostra società contemporanea.
Il maggior tempo trascorso in casa ha portato pure a stare più a lungo in modo alienante davanti al computer e ad altri mezzi di comunicazione, con gravi ricadute sulle persone più vulnerabili, specialmente i poveri e disoccupati. Essi sono più facili prede della criminalità informatica – il cybercrime – nei suoi risvolti più disumanizzanti, dalle frodi alla tratta di esseri umani, allo sfruttamento della prostituzione, compresa quella infantile, nonché alla pedopornografia.
La chiusura dei confini a causa della pandemia, unitamente alla crisi economica, ha accentuato anche diverse emergenze umanitarie, tanto nelle zone di conflitto quanto nelle regioni colpite dal cambiamento climatico e dalla siccità, nonché nei campi per rifugiati e migranti. Penso particolarmente al Sudan, dove si sono rifugiate migliaia di persone in fuga dalla regione del Tigray, come pure ad altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, o alla regione di Cabo Delgado in Mozambico, dove tanti sono state costretti ad abbandonare il proprio territorio e si trovano ora in condizioni assai precarie. Il mio pensiero va pure allo Yemen e all’amata Siria, dove, oltre ad altre gravi emergenze, l’insicurezza alimentare affligge gran parte della popolazione e i bambini sono stremati dalla malnutrizione.
In diversi casi le crisi umanitarie sono aggravate dalle sanzioni economiche, le quali, il più delle volte, finiscono per ripercuotersi principalmente sulle fasce più deboli della popolazione, anziché sui responsabili politici. Pertanto, pur comprendendo la logica delle sanzioni, la Santa Sede non ne vede l’efficacia e auspica un loro allentamento, anche per favorire il flusso di aiuti umanitari, innanzitutto di medicinali e di strumenti sanitari, oltremodo necessari in questo tempo di pandemia.
La congiuntura che stiamo attraversando sia analogamente di stimolo per condonare, o perlomeno ridurre, il debito che grava sui Paesi più poveri e che di fatto ne impedisce il recupero e il pieno sviluppo.
Lo scorso anno ha visto pure un ulteriore aumento dei migranti, i quali, complice la chiusura dei confini, sono dovuti ricorrere a percorsi sempre più pericolosi. Il flusso massiccio ha peraltro incontrato una crescita del numero dei respingimenti illegali, spesso attuati per impedire ai migranti di chiedere asilo, in violazione del principio di non-respingimento (non-refoulement). Molti vengono intercettati e rimpatriati in campi di raccolta e di detenzione, dove subiscono torture e violazioni dei diritti umani, quando non trovano la morte attraversando mari e altri confini naturali.
I corridoi umanitari, implementati nel corso degli ultimi anni, contribuiscono certamente ad affrontare alcune delle suddette problematiche, salvando numerose vite. Tuttavia, la portata della crisi rende sempre più urgente affrontare alla radice le cause che spingono a migrare, come pure esige uno sforzo comune per sostenere i Paesi di prima accoglienza, che si fanno carico dell’obbligo morale di salvare vite umane. Al riguardo, si attende con interesse la negoziazione del Nuovo Patto dell’Unione Europea sulla migrazione e l’asilo, pur osservando che politiche e meccanismi concreti non funzioneranno se non saranno sostenuti dalla necessaria volontà politica e dall’impegno di tutte le parti in causa, compresi la società civile e i migranti stessi.
La Santa Sede apprezza tutti gli sforzi compiuti in favore dei migranti e appoggia l’impegno dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario della fondazione, nel pieno rispetto dei valori espressi nella sua Costituzione e della cultura degli Stati membri in cui l’Organizzazione opera. Parimenti, la Santa Sede, quale membro del Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), resta fedele ai principi enunciati nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e al Protocollo del 1967, che stabiliscono la definizione legale di rifugiato, i loro diritti, nonché l’obbligo legale degli Stati a proteggerli.
Dalla Seconda guerra mondiale il mondo non aveva ancora assistito a un aumento così drammatico del numero di rifugiati, come quello che vediamo oggi. È pertanto urgente che si rinnovi l’impegno per la loro protezione, come pure per quella degli sfollati interni e di tutte le persone vulnerabili costrette a fuggire dalla persecuzione, dalla violenza, dai conflitti e dalle guerre. A questo proposito, nonostante gli importanti sforzi compiuti dalle Nazioni Unite nella ricerca di soluzioni e proposte concrete per affrontare in modo coerente il problema degli sfollamenti forzati, la Santa Sede esprime la propria preoccupazione per la situazione degli sfollati in diverse parti del mondo. Mi riferisco anzitutto all’area centrale del Sahel, dove, in meno di due anni, il numero degli sfollati interni è aumentato di venti volte.
Crisi della politica
Le criticità che ho fin qui evocato pongono in rilievo una crisi ben più profonda, che in qualche modo sta alla radice delle altre, la cui drammaticità è stata posta in luce proprio dalla pandemia. È la crisi della politica, che da tempo sta investendo molte società e i cui laceranti effetti sono emersi durante la pandemia.
Uno dei fattori emblematici di tale crisi è la crescita delle contrapposizioni politiche e la difficoltà, se non addirittura l’incapacità, di ricercare soluzioni comuni e condivise ai problemi che affliggono il nostro pianeta. È una tendenza a cui si assiste ormai da tempo e che si diffonde sempre più anche in Paesi di antica tradizione democratica. Mantenere vive le realtà democratiche è una sfida di questo momento storico, che interessa da vicino tutti gli Stati: siano essi piccoli o grandi, economicamente avanzati o in via di sviluppo. In questi giorni, il mio pensiero va in modo particolare al popolo del Myanmar, al quale esprimo il mio affetto e la mia vicinanza. Il cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni è stato bruscamente interrotto dal colpo di stato della settimana scorsa. Esso ha portato all’incarcerazione di diversi leader politici, che auspico siano prontamente liberati, quale segno di incoraggiamento a un dialogo sincero per il bene del Paese.
D’altronde, come affermava Pio XII nel suo memorabile Radiomessaggio del Natale 1944: «Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione». La democrazia si basa sul rispetto reciproco, sulla possibilità di tutti di concorrere al bene della società e sulla considerazione che opinioni differenti non solo non minano il potere e la sicurezza degli Stati, ma, in un confronto onesto, arricchiscono vicendevolmente e consentono di trovare soluzioni più adeguate ai problemi da affrontare. Il processo democratico richiede che si persegua un cammino di dialogo inclusivo, pacifico, costruttivo e rispettoso fra tutte le componenti della società civile in ogni città e nazione. Gli avvenimenti che, pur in modi e in contesti diversi, hanno caratterizzato l’ultimo anno da oriente a occidente, anche – ripeto – in Paesi di lunga tradizione democratica, dicono quanto sia ineludibile questa sfida e come non ci si possa esimere dall’obbligo morale e sociale di affrontarla con atteggiamento positivo. Lo sviluppo di una coscienza democratica esige che si superino i personalismi e prevalga il rispetto dello stato di diritto. Il diritto è infatti il presupposto indispensabile per l’esercizio di ogni potere e deve essere garantito dagli organi preposti indipendentemente dagli interessi politici dominanti.
Purtroppo la crisi della politica e dei valori democratici si ripercuote anche a livello internazionale, con ricadute sull’intero sistema multilaterale e l’evidente conseguenza che Organizzazioni pensate per favorire la pace e lo sviluppo – sulla base del diritto e non della “legge del più forte” – vedono compromessa la loro efficacia. Certamente, non si può tacere che nel corso degli ultimi anni il sistema multilaterale ha mostrato anche alcuni limiti. La pandemia è un’occasione da non sprecare per pensare e attuare riforme organiche, affinché le Organizzazioni internazionali ritrovino la loro vocazione essenziale a servire la famiglia umana per preservare la vita di ogni persona e la pace.
Uno dei segni della crisi della politica è proprio la reticenza che spesso si verifica ad intraprendere percorsi di riforma. Non bisogna avere paura delle riforme, anche se richiedono sacrifici e non di rado un cambiamento di mentalità. Ogni corpo vivo ha bisogno continuamente di riformarsi e in questa prospettiva si collocano pure le riforme che stanno interessando la Santa Sede e la Curia Romana.
Ad ogni modo non mancano comunque segni incoraggianti, quale l’entrata in vigore, alcuni giorni fa, del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, come pure l’estensione per un ulteriore quinquennio del Nuovo Trattato sulla Riduzione delle Armi Strategiche (il cosiddetto New START) fra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America. D’altronde, come ho ribadito anche nella recente Enciclica Fratelli tutti, «se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni in questo mondo multipolare del XXI secolo, […] non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide». Non è infatti «sostenibile un equilibro basato sulla paura, quando esso tende di fatto ad aumentare la paura e a minare le relazioni di fiducia fra i popoli».
Lo sforzo nell’ambito del disarmo e della non proliferazione degli armamenti nucleari, che, pur tra difficoltà e reticenze, occorre intensificare, dovrebbe essere egualmente condotto riguardo alle armi chimiche e nei confronti delle armi convenzionali. Troppe armi ci sono nel mondo! «Giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti [e che] si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti», affermava nel 1963 San Giovanni XXIII. E, mentre con il pullulare delle armi aumenta la violenza ad ogni livello e vediamo intorno a noi un mondo lacerato da guerre e divisioni, sentiamo crescere sempre più l’esigenza di pace, di una pace che «non è solo assenza di guerra, ma è vita ricca di senso, impostata e vissuta nella realizzazione personale e nella condivisione fraterna con gli altri».
Come vorrei che il 2021 fosse l’anno in cui si scrivesse finalmente la parola fine al conflitto siriano, iniziato ormai dieci anni fa! Perché ciò accada, è necessario un rinnovato interesse anche da parte della Comunità internazionale ad affrontare con sincerità e con coraggio le cause del conflitto e a ricercare soluzioni attraverso le quali tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possano contribuire come cittadini al futuro del Paese.
Il mio auspicio di pace va ovviamente alla Terra Santa. La fiducia reciproca fra Israeliani e Palestinesi dev’essere la base per un rinnovato e risolutivo dialogo diretto tra le Parti per risolvere un conflitto che perdura da troppo tempo. Invito la Comunità internazionale a sostenere e a facilitare tale dialogo diretto, senza pretendere di dettare soluzioni che non abbiano come orizzonte il bene di tutti. Palestinesi e Israeliani – ne sono certo – nutrono entrambi il desiderio di poter vivere in pace.
Parimenti, auspico un rinnovato impegno politico nazionale e internazionale per favorire la stabilità del Libano, che è attraversato da una crisi interna e rischia di perdere la sua identità e di trovarsi ancor più coinvolto nelle tensioni regionali. È quanto mai necessario che il Paese mantenga la sua identità unica, anche per assicurare un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato, nel quale la presenza cristiana possa offrire il proprio contributo e non sia ridotta a una minoranza da proteggere. I cristiani costituiscono il tessuto connettivo storico e sociale del Libano e ad essi, attraverso le molteplici opere educative, sanitarie e caritative, va assicurata la possibilità di continuare a operare per il bene del Paese, del quale sono stati fondatori. Indebolire la comunità cristiana rischia di distruggere l’equilibrio interno e la stessa realtà libanese. In quest’ottica va affrontata anche la presenza dei profughi siriani e palestinesi. Inoltre, senza un urgente processo di ripresa economica e di ricostruzione, si rischia il fallimento del Paese, con la possibile conseguenza di pericolose derive fondamentaliste. È dunque necessario che tutti i leader politici e religiosi, messi da parte i propri interessi, si impegnino a perseguire la giustizia e ad attuare vere riforme per il bene dei cittadini, agendo in modo trasparente e assumendosi la responsabilità delle proprie azioni.
Pace auspico pure per la Libia, anch’essa lacerata da un ormai lungo conflitto, con la speranza che il recente “Forum del dialogo politico libico”, tenutosi in Tunisia nel novembre scorso sotto l’egida delle Nazioni Unite, consenta effettivamente l’avvio dell’atteso processo di riconciliazione del Paese.
Preoccupazione destano pure altre aree del mondo. Mi riferisco in primo luogo alle tensioni politiche e sociali nella Repubblica Centrafricana; come pure a quelle che interessano in generale l’America Latina, le quali hanno radici nelle profonde disuguaglianze, nelle ingiustizie e nella povertà, che offendono la dignità delle persone. Parimenti, seguo con particolare attenzione il deterioramento dei rapporti nella Penisola coreana, culminato con la distruzione dell’ufficio di collegamento inter-coreano a Kaesong; e inoltre la situazione nel Caucaso meridionale, dove permangono diversi conflitti congelati, alcuni riaccesisi nel corso dell’anno passato, che minano la stabilità e la sicurezza dell’intera regione.
Infine, non posso dimenticare un’altra grave piaga di questo nostro tempo: il terrorismo, che ogni anno miete in tutto il mondo numerose vittime tra la popolazione civile inerme. È un male che è andato crescendo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e che ha avuto un momento culminante negli attentati che l’11 settembre 2001 hanno interessato gli Stati Uniti d’America, uccidendo quasi tremila persone. Purtroppo, il numero degli attentati è andato intensificandosi negli ultimi vent’anni, colpendo diversi Paesi in tutti i continenti. Mi riferisco in modo particolare al terrorismo che colpisce soprattutto nell’Africa sub-sahariana, ma anche in Asia e in Europa. Il mio pensiero va a tutte le vittime e ai loro familiari, che si sono visti strappare persone care da una violenza cieca, motivata da ideologiche distorsioni della religione. Peraltro, gli obiettivi di tali attacchi sono spesso proprio i luoghi di culto, in cui sono raccolti fedeli in preghiera. A tale riguardo, vorrei sottolineare che la protezione dei luoghi di culto è una conseguenza diretta della difesa della libertà di pensiero, di coscienza e di religione ed è un dovere per le Autorità civili, indipendentemente dal colore politico e dall’appartenenza religiosa.
Eccellenze, Signore e Signori,
nell’avviarmi verso la conclusione delle mie considerazioni, desidero soffermarmi ancora su un’ultima crisi, che, fra tutte, è forse la più grave: la crisi dei rapporti umani, espressione di una generale crisi antropologica, che riguarda la concezione stessa della persona umana e la sua dignità trascendente.
La pandemia, che ci ha costretto a lunghi mesi di isolamento e spesso di solitudine, ha fatto emergere la necessità che ogni persona ha di avere rapporti umani. Penso anzitutto agli studenti, che non sono potuti andare regolarmente a scuola o all’università. «Ovunque si è cercato di attivare una rapida risposta attraverso le piattaforme educative informatiche, le quali hanno mostrato non solo una marcata disparità delle opportunità educative e tecnologiche, ma anche che, a causa del confinamento e di tante altre carenze già esistenti, molti bambini e adolescenti sono rimasti indietro nel naturale processo di sviluppo pedagogico». Inoltre, l’aumento della didattica a distanza ha comportato pure una maggiore dipendenza dei bambini e degli adolescenti da internet e in genere da forme di comunicazione virtuali, rendendoli peraltro più vulnerabili e sovraesposti alle attività criminali online.
Assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”. Vorrei ripeterlo: assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”, davanti alla quale non si può rimanere inerti, per il bene delle future generazioni e dell’intera società. «Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società», poiché l’educazione è «il naturale antidoto alla cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell'io e nel primato dell’indifferenza. Il nostro futuro non può essere la divisione, l’impoverimento delle facoltà di pensiero e d’immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione».
I lunghi periodi di confinamento hanno però anche consentito di trascorrere più tempo in famiglia. Per molti si è trattato di un momento importante per riscoprire i rapporti più cari. D’altronde, matrimonio e famiglia «costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità» e la culla di ogni società civile. Il grande Papa San Giovanni Paolo II, di cui lo scorso anno abbiamo celebrato il centenario della nascita, nel suo prezioso magistero sulla famiglia ricordava: «Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società» e lo assolve anzitutto «offrendo ai figli un modello di vita fondato sui valori della verità, della libertà, della giustizia e dell’amore». Tuttavia, non tutti hanno potuto vivere con serenità nella propria casa e alcune convivenze sono degenerate in violenze domestiche. Esorto tutti, autorità pubbliche e società civile, a supportare le vittime della violenza nella famiglia: sappiamo purtroppo che sono le donne, sovente insieme ai loro figli, a pagare il prezzo più alto.
Le esigenze di contenere la diffusione del virus hanno avuto ramificazioni anche su diverse libertà fondamentali, inclusa la libertà di religione, limitando il culto e le attività educative e caritative delle comunità di fede. Non bisogna tuttavia trascurare che la dimensione religiosa costituisce un aspetto fondamentale della personalità umana e della società, che non può essere obliterato; e che, nonostante si stia cercando di proteggere le vite umane dalla diffusione del virus, non si può ritenere la dimensione spirituale e morale della persona come secondaria rispetto alla salute fisica.
La libertà di culto non costituisce peraltro un corollario della libertà di riunione, ma deriva essenzialmente dal diritto alla libertà religiosa, che è il primo e fondamentale diritto umano. È dunque necessario che essa venga rispettata, protetta e difesa dalle Autorità civili, come la salute e l’integrità fisica. D’altronde, una buona cura del corpo non può mai prescindere dalla cura dell’anima.
Scrivendo a Cangrande della Scala, Dante Alighieri sottolinea il fine della sua Commedia: «Allontanare quelli che vivono questa vita dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità». Tale, sebbene con ruoli e in ambiti differenti, è pure il compito tanto delle autorità religiose quanto di quelle civili. La crisi dei rapporti umani e, conseguentemente, le altre crisi che ho menzionato non si possono vincere se non salvaguardando la dignità trascendente di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.
Nel ricordare il grande poeta fiorentino, di cui quest’anno ricorre il settimo centenario della morte, desidero anche rivolgere un particolare pensiero al popolo italiano, che per primo in Europa si è trovato a confrontarsi con le gravi conseguenze della pandemia, esortandolo a non lasciarsi abbattere dalle presenti difficoltà, ma a lavorare unito per costruire una società in cui nessuno sia scartato o dimenticato.
***
Che facciamo ora? Vediamo due forze in campo. La Cina e... il populismo digitale che cavalca il Toro di Wall Street.
06
Geopolitica, mercato e potenza digitale
Due copertine riassumono bene che cosa abbiamo davanti:
Nuove forze (digitali) plasmano il mercato: il caso del decollo a razzo dei titoli di Gamestop innescato dalle chat dei piccoli investitori sui social; l'ascesa che sembra inarrestabile del Bitcoin, con addirittura Tesla che investe 1,5 miliardi nella cryptovaluta e la mossa di un talento come Elon Musk ha per forza un grande significato, perché va nella direzione della disintermediazione del potere di chi batte moneta - scelta fatta da chi ha spezzato la catena della tradizionale produzione di automobili. Questi fatti sono il segnale di un cambiamento che procede a strappi, trascinato dalle soluzioni tecnologiche e dall'estro dei singoli, episodi che poi si traducono in fenomeno di massa. Sono comportamenti che sfuggono al controllo degli enti regolatori tradizionali, mettono in discussione l'autorità dello Stato e le forze che finora erano prevalenti nel mercato, sono la rivoluzione della Borsa (e della vita).
L'altra forza dirompente è quella della Cina di Xi Jinping. Abbiamo scritto in tempi non sospetti che con l'amministrazione Biden non sarebbe cambiato molto nei rapporti tra Washington e Pechino e non abbiamo dovuto attendere mesi, Biden e Xi sono già ai ferri corti. Il presidente americano ha criticato aspramente la politica cinese sui diritti umani, l'assenza di democrazia (non proprio una scoperta). Questo a cosa conduce? C'è chi vede una parabola che corre verso la guerra. Sembra uno scherzo, ma non lo è affatto, tanto che su Foreign Affairs si comincia a ragionare (da tempo e ora con urgenza) sul come evitarla. Non sono le idee di Dottor Stranamore, sono i fatti della geopolitica che rotolano a terra.
Siamo in uno scenario complicato, pericoloso. Ci sono segnali concreti di ripresa della crescita economica, il petrolio è tornato a 60 dollari al barile, questo significa che il mercato scommette sul recupero di una parte della produzione industriale, che la vaccinazione avrà i suoi effetti e il mondo si riaprirà al commercio. Ma è altrettanto chiaro che niente sarà più come prima, il mondo post-coronavirus avrà un altro ordine e la Cina è la nuova superpotenza. Non si tratta più di capire se accadrà, ma quando. Gli Stati Uniti sono - come tutto l'Occidente - una potenza che ha problemi prima di tutto di fragilità interna e qui parliamo evidentemente di categorie filosofiche, di quello spirito senza il quale la costruzione del domani diventa più difficile, contraddittoria e... distruttiva. La Cina non ha il problema della democrazia (l'abbiamo visto con la repentina uscita di Pechino dalla crisi del coronavirus) e la libertà non esiste per nessuno (la storia di Jack Ma, il fondatore di Alibaba, sparito dopo aver criticato il regime e poi ricomparso dopo tre mesi, è un memento per tutti). Con i vaccini la Cina ha una nuova arma geopolitica (hanno approvato il secondo e la sua penetrazione anche in Occidente è un fatto) e questa si combina alle risorse naturali e demografiche. Senza la Cina non c'è crescita, con la Cina c'è un orizzonte di conflitto. Siamo nella trappola della necessità e nell'incubo della guerra.
07
Fenomenologia della guerra
La guerra è il più spaventoso mondo possibile, un fatto permanente della storia dell'umanità. Per sapere, per capire, consiglio un libro appena arrivato sul tavolo del titolare:
Margaret MacMillan è un'autrice eccezionale, sa tessere la trama della storia come pochi (bellissimo anche il suo libro intitolato"Paris, 1919", dedicato alla Pace di Parigi che poi fu il preludio della Seconda guerra mondiale) ha la capacità di raccogliere tutti gli elementi e farne preziosa sintesi, restituisce al lettore il quadro che serve per leggere il passato e lanciare uno sguardo sul domani.
Nove capitoli di "War" ci guidano nel bosco fiammeggiante del conflitto, nella sua immane forza distruttiva e nella contemporanea incredibile capacità di generare nuova energia. La guerra espone come in una galleria il peggio e il meglio della nostra esistenza, tira fuori gli istinti bestiali e l'eroismo, l'egoismo e l'altruismo, l'avidità e la generosità. Viviamo un tempo in cui la guerra sembra un fatto remoto, riguarda sempre gli altri, l'Europa seduta su una pace che hanno costruito i nostri avi, uomini e donne giovani che sono caduti, falciati dalle bombe, dalle mitragliatrici, dalla fame, dallo sterminio. I loro nomi sono sconosciuti, i giovani che leggono poco, scambiano questa storia terribile per un videogame dove ti puoi rialzare dopo esser stato colpito. Nel mondo virtuale c'è sempre la possibilità di ricominciare, per chi cade in battaglia c'è una sola parola: fine. Ma da quella profondità, dal buio, poi emergono caratteri che plasmano di nuovo il futuro. Dobbiamo prestare molta attenzione ai segni del presente, a pagina 49 del libro di MacMillan si parla proprio della possibilità di un conflitto tra Cina e Stati Uniti e si ricorda il teorema della trappola di Tucidide: quando una potenza emergente minaccia il primato di un'altra forza, la guerra è un esito probabile. Sì, viviamo tempi interessanti. Forse troppo.
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7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.