12 Agosto
Fine vita e scomparsa del Parlamento
Il ministro Speranza chiede l'applicazione della sentenza della Consulta: le Asl devono garantire il suicidio assistito. L'assenza di una legge su un tema fondamentale, le Camere che non deliberano, il dramma dei malati e delle famiglie
Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.
Albert Camus
Non sono stato colto da una botta di pessimismo cosmico, ma da un fatto politico che è piovuto sulla prima pagina della Stampa stamattina, una lettera del ministro della Salute, Roberto Speranza, che rispondendo alla lettera del signor Mario, un uomo di 43 anni ("Voglio morire con dignità, vi prego, ora lasciatemi andare"), afferma che le Asl devono assicurare il suicidio assistito a chi lo richieda e nei casi previsti dalla legge (che tra l'altro non c'è, esiste una sentenza della Corte Costituzionale che prevede questa opzione e fa da supplenza al vuoto parlamentare). Non è un argomento lieve, ma proprio per la sua necessaria pesantezza e profondità è oggetto di enorme interesse, lo è per noi, assai meno per il legislatore, come vedremo.
Faccio una premessa doverosa: tutti viviamo tramontando, penso che il dolore faccia parte della nostra esperienza, ma la prolungata sofferenza, il morire lentamente, spesso inconsapevolmente, è un supplizio dell'anima, è un decadimento a cui potrei pensare di metter fine. Potrei. Non ho una certezza, ma la mia bilancia, anche per ragioni di nascita, di suolo calpestato e aria respirata, di emozioni che si rinnovano, di segni antropologici, di esperienza di un mondo che ha sue regole remote, propende per l'opzione "accabadora" (s'accabadora era una donna che dispensava la buona morte nell'arcaico mondo sardo, entrava in casa e poneva fine alle sofferenze, amen e ci si vede dall'altra parte). Ho usato un "potrei" perché poi bisogna esserci in quella dimensione tra l'alba e il crepuscolo, bisogna guardarsi intorno come mai si era fatto prima, specchiarsi con una chiarezza mai sperimentata fino a quell'istante, indagare gli abissi della propria...
Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.
Albert Camus
Non sono stato colto da una botta di pessimismo cosmico, ma da un fatto politico che è piovuto sulla prima pagina della Stampa stamattina, una lettera del ministro della Salute, Roberto Speranza, che rispondendo alla lettera del signor Mario, un uomo di 43 anni ("Voglio morire con dignità, vi prego, ora lasciatemi andare"), afferma che le Asl devono assicurare il suicidio assistito a chi lo richieda e nei casi previsti dalla legge (che tra l'altro non c'è, esiste una sentenza della Corte Costituzionale che prevede questa opzione e fa da supplenza al vuoto parlamentare). Non è un argomento lieve, ma proprio per la sua necessaria pesantezza e profondità è oggetto di enorme interesse, lo è per noi, assai meno per il legislatore, come vedremo.
Faccio una premessa doverosa: tutti viviamo tramontando, penso che il dolore faccia parte della nostra esperienza, ma la prolungata sofferenza, il morire lentamente, spesso inconsapevolmente, è un supplizio dell'anima, è un decadimento a cui potrei pensare di metter fine. Potrei. Non ho una certezza, ma la mia bilancia, anche per ragioni di nascita, di suolo calpestato e aria respirata, di emozioni che si rinnovano, di segni antropologici, di esperienza di un mondo che ha sue regole remote, propende per l'opzione "accabadora" (s'accabadora era una donna che dispensava la buona morte nell'arcaico mondo sardo, entrava in casa e poneva fine alle sofferenze, amen e ci si vede dall'altra parte). Ho usato un "potrei" perché poi bisogna esserci in quella dimensione tra l'alba e il crepuscolo, bisogna guardarsi intorno come mai si era fatto prima, specchiarsi con una chiarezza mai sperimentata fino a quell'istante, indagare gli abissi della propria anima. E decidere.
Questa posizione non è certo l'unica possibile, c'è la forza della fede, c'è chi crede, ci sono i miracoli, c'è l'inferno per chi si toglie la vita (e anche per chi ce l'ha, quel dono, la vita, e commette peccati che Dio non perdonerà) , c'è il dolore oggi e forse la reincarnazione domani, c'è il peso di una decisione che provoca il dolore degli altri, scuote gli affetti, apre una voragine infinita nel prossimo che ti ama ogni giorno, c'è poi l'idea laica di un paradiso in terra che si compie con l'opera instancabile dell'Homo Sapiens, il grande viaggio della scienza - proprio nel mezzo di quella sofferenza - che forse troverà la cura per quel male e così la vita tornerà a fiorire. Per queste semplici e inesorabili ragioni siamo di fronte a un problema che è fondamento di tutto, siamo al punto indagato da Albert Camus in un grande libro del 1942, "Il mito di Sisifo", siamo alla domanda se "la vita valga o non valga la pena di essere vissuta".
Il ministro Speranza rilancia nella sua lettera la necessità e urgenza di una legge in materia di fine vita. Speranza lo fa ricordando che esiste una sentenza della Consulta che "ha stabilito che una persona, qualora ricorrano i requisiti che il comitato etico competente deve verificare, ha il diritto di chiedere a una struttura pubblica del servizio sanitario l'assistenza al suicidio medicalmente assistito". Siano dunque le Asl a farsi carico del "final cut", dell'ultimo ciak sul film della nostra vita.
Il punto di svolta di questa storia è la vicenda di dj Fabo e Marco Cappato. Il primo, malato terminale che decise di andare in Svizzera a chiudere il romanzo della sua vita; il secondo, l'uomo che lo accompagnò e aiutò a compiere il viaggio finale. Cappato si autodenunciò ai Carabinieri, ci fu un processo, un intenso dibattito, il 25 settembre del 2019 vi fu la decisione della Corte Costituzionale che era stata chiamata a esprimersi. Bisogna leggerla, quella sentenza, non è un atto giuridico qualsiasi, è il racconto straziante della vicenda di un uomo che decide di porre fine alla sua esistenza perché - pur essendo cosciente - è impossibilitato dalla condizione estrema del proprio essere biologico a viverla in piena dignità. Non fu una decisione repentina, dj Fabo la maturò dopo due anni di indicibile sofferenza, esponendola in pubblico. Accanto, Marco Cappato, che rischiò tutto (la libertà personale è tutto) per aiutare quell'uomo a uscire dalla prigione del dolore. La decisione della Consulta fu equilibrata, si sostituì a un Parlamento incapace di deliberare, ieri come oggi.
Il suicidio assistito per essere legale deve rispondere a quattro requisiti fondamentali ("patologia irreversibile, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di prendere decisioni libere e consapevoli "), e essere valutato da un organismo indipendente. Leggiamo ancora la sentenza della Consulta: "La delicatezza del valore in gioco richiede, inoltre, l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Nelle more dell’intervento del legislatore, tale compito è affidato ai comitati etici territorialmente competenti. Tali comitati – quali organismi di consultazione e di riferimento per i problemi di natura etica che possano presentarsi nella pratica sanitaria – sono, infatti, investiti di funzioni consultive intese a garantire la tutela dei diritti e dei valori della persona in confronto alle sperimentazioni cliniche di medicinali o, amplius, all’uso di questi ultimi e dei dispositivi medici (...): funzioni che involgono specificamente la salvaguardia di soggetti vulnerabili e che si estendono anche al cosiddetto uso compassionevole di medicinali nei confronti di pazienti affetti da patologie per le quali non siano disponibili valide alternative terapeutiche". È chiaro, ma non può bastare perché quello che fissa la Consulta poi diventa mobile sul territorio, nella realtà quotidiana, ne abbiamo la prova.
La Consulta pose le premesse di un intervento legislativo e mise nero su bianco il ruolo futuro delle Asl: "La verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio deve restare peraltro affidata – in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore – a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale. A queste ultime spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze". In un paese capace di tutto e naturalmente contestare tutto, non poteva mancare la previsione della domanda: e se ci sono degli obiettori? La questione fu affrontata nella sentenza così: "Quanto, infine, al tema dell’obiezione di coscienza del personale sanitario, vale osservare che la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato".
Fatta salva l'obiezione di coscienza, abbiamo qui un'obiezione: perché il Parlamento tace? Non è materia degna di essere regolata con la certezza del diritto? Basta quel che ha fatto la Consulta? Non sembra, basta leggere la lettera del signor Mario a La Stampa e la risposta del ministro Speranza. È il ministro della Salute a scrivere che "l'attesa e l'auspicio di una legge non possono perciò esimere tutti, quali che siano le diverse legittime posizioni su un tema così delicato, dal prendere atto che la sentenza della Consulta non può essere ignorata. E un tema che riguarda le aziende sanitarie e ospedaliere locali, le Regioni, titolari della responsabilità della loro gestione e organizzazione, e il Governo, chiamato a garantire l'uniformità della garanzia di diritti costituzionali su tutto il territorio nazionale". È sempre lo stesso Speranza a affermare che c'è "il rischio di ostacolare l'attuazione della sentenza della Consulta o di produrre una sua applicazione non omogenea nei diversi territori". È la stessa Corte Costituzionale che cita continuamente nella sentenza sul caso dj Fabo/Cappato il Parlamento e ridadisce di essere "in attesa dell’intervento del legislatore", specificando ulteriormene nella parte finale che "questa Corte non può fare a meno, peraltro, di ribadire con vigore l’auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati". Siamo ancora qui. Due anni dopo stiamo aspettando Godot. E nel frattempo, da qualche anno in Parlamento sembra che il sovrano non sia il popolo, ma Ponzio Pilato.
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suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.