11 Novembre
Archeo-politica. Le parole del Pci
WeekList. Il libro di Chiaromonte e Bandoli, un dizionario per scoprire che il partito tramontato aveva qualcosa da dire e quello di oggi non si sa. L'innominabile attuale di Roberto Calasso, le banche e l'idea dell'usura. Borg-McEnroe, musica e l'amore al tempo dei robot
Un vocabolario archeo-politico per descrivere un partito al tramonto, un innominabile più che attuale che accompagna il divino senza trascendenza, il Paradiso e l'Inferno dell'usura. Questo numero di WeekList poggia su tre astrazioni che si materializzano nella forma prosaica nella vita quotidiana, girano nella rotativa virtuale dell'informazione, diventano dibattito dell'istante, svaniscono, riappaiono, formando un non-sense al quale si riesce a dare un significato solo trivellando con le parole e scavando nella miniera buia della Storia. La crisi della socialdemocrazia europea e il declino del Partito democratico in Italia sono in fondo una dispersione di parole "archiviate" in libro di Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli dove malinconia e ironia riaprono il cassetto dei ricordi, l'ideale polverizzato su Twitter fino a sparire; lo smarrimento dell'uomo nel suo selfie narcisistico, perduto in mondo dove Dio è morto e il divino è stato sostituito dalla Macchina e dalla Rete è "L'innominabile attuale" del libro di Roberto Calasso raccontato da Lorenzo Castellani; la gazzarra sulle banche all'italiana, altro non è che lo spettro dell'usura, il necessario demonio dell'interesse e della speculazione che Michele Magno lancia al galoppo con un sacco pieno d'oro nelle prateria della storia. Il passato non è mai stato così vicino e nello stesso tempo così lontano da se stesso, l'uomo. Buona lettura di WeekList.
01
Il partito nuovo. Parlare come il Pci
L'archeologia dell'anima si fa andando a scavare tra le parole e le immagini, ricucendo con le mani delicate e svelte di un sarto anziano i ritagli della cronaca presi dall'archivio della memoria, andando a rileggere i vecchi taccuini del cronista chiusi in un baule che non ha mai più viaggiato, insieme alle lettere d'amore mai spedite, ai romanzi mai scritti, ai bagliori intermittenti di lucidità che non bisogna mai far rivivere perché con loro riemerge tutto il tempo perduto a inseguire errori, l'orgoglio e il pregiudizio di una...
Un vocabolario archeo-politico per descrivere un partito al tramonto, un innominabile più che attuale che accompagna il divino senza trascendenza, il Paradiso e l'Inferno dell'usura. Questo numero di WeekList poggia su tre astrazioni che si materializzano nella forma prosaica nella vita quotidiana, girano nella rotativa virtuale dell'informazione, diventano dibattito dell'istante, svaniscono, riappaiono, formando un non-sense al quale si riesce a dare un significato solo trivellando con le parole e scavando nella miniera buia della Storia. La crisi della socialdemocrazia europea e il declino del Partito democratico in Italia sono in fondo una dispersione di parole "archiviate" in libro di Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli dove malinconia e ironia riaprono il cassetto dei ricordi, l'ideale polverizzato su Twitter fino a sparire; lo smarrimento dell'uomo nel suo selfie narcisistico, perduto in mondo dove Dio è morto e il divino è stato sostituito dalla Macchina e dalla Rete è "L'innominabile attuale" del libro di Roberto Calasso raccontato da Lorenzo Castellani; la gazzarra sulle banche all'italiana, altro non è che lo spettro dell'usura, il necessario demonio dell'interesse e della speculazione che Michele Magno lancia al galoppo con un sacco pieno d'oro nelle prateria della storia. Il passato non è mai stato così vicino e nello stesso tempo così lontano da se stesso, l'uomo. Buona lettura di WeekList.
01
Il partito nuovo. Parlare come il Pci
L'archeologia dell'anima si fa andando a scavare tra le parole e le immagini, ricucendo con le mani delicate e svelte di un sarto anziano i ritagli della cronaca presi dall'archivio della memoria, andando a rileggere i vecchi taccuini del cronista chiusi in un baule che non ha mai più viaggiato, insieme alle lettere d'amore mai spedite, ai romanzi mai scritti, ai bagliori intermittenti di lucidità che non bisogna mai far rivivere perché con loro riemerge tutto il tempo perduto a inseguire errori, l'orgoglio e il pregiudizio di una vita in fuga, evitando di inseguirsi, per evitare di amare e amarsi.
La politica non sfugge ai sentimenti, alla gioia, alla rabbia, al riso sfrenato, ai lucciconi strozzati negli occhi. Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli hanno tracciato l'ecocardiogramma della sinistra che fu e che non sarà mai più in un libro intitolato "Al lavoro e alla lotta. Le parole del Pci". Una recherche pericolosa, fili scoperti dell'alta tensione, perché al primo suono che s'accorda con l'ieri, al balenare della parola antica, allo schioccare della formula, s'accende il camino che riscalda quella solitudine del "noi" e la amplifica in un concerto d'archi, l'armonia sublime e tagliente di Samuel Barber, un larghissimo ricordo:
Il tragico è questo non incontrarsi mai tra l'idea e la realtà, la distruzione dell'amore, un liquido che si espande, cola dal viso, come la pioggia che scende su "Barbara" di Jacques Prevert:
Ricordati Barbara
Pioveva senza tregua quel giorno su Brest
E tu camminavi sorridente
Raggiante rapita grondante, sotto la pioggia
Ricordati Barbara
Pioveva senza tregua su Brest
Il tragico ha bisogno del comico per evaporare, quel tocco d'ironia che Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli inseguono continuamente, al quale s'aggrappano perché la vita è questa inesorabile necessità di essere sommersi e salvati. Il loro vocabolario del partito che fu, il Partito comunista italiano, è questo repechage che sa di adieu, è uno struggente sferruzzare di passione, una trama sopra e sotto il loro telaio senza Penelope. Non c'è più niente da aspettare, si può solo ricordare e a volte tumulare con la sfrenata allegria che soccorre il rimpianto. Errori, orrori, chiarori, bagliori.
Siamo alle ceneri di un corpo che è ancora vivo in quegli uomini e donne che sopravvivono a questo tempo svuotato e votato al nulla. Le parole battono, schioccano come una frusta, sono le lancette dell'orologio che tornano indietro come una macchina del tempo.
Il blocco storico (oggi senza storia), la battaglia delle idee (oggi senza e basta), il comitato centrale (oggi il capo), il conflitto (oggi il tweetstorm), il dissenso e il consenso (oggi silenzio-assenso), l'alternativa (oggi quale alternativa?), i ceti medi (oggi non riflessivi), il cretinismo parlamentare (oggi demenzialismo), la questione e la quarta mozione (oggi una sola), il partito nuovo (oggi non c'è neanche il vecchio), la lotta di liberazione (oggi sono tutti prigionieri senza lotta), la rinascita e la rivoluzione, l'imperialismo e la democrazia, la dialettica e il discorso politico (oggi vai con il tweet), le forme di lotta (oggi si contano quelle di resa), la guerra di posizione (oggi non c'è alcuna posizione), l'intellettuale organico (oggi siamo allo scemo disorganico), il lavaggio del cervello (oggi non c'è bisogno, tutto fatto), la diversità (oggi tutti uguali, serializzati), le donne comuniste (oggi donne mai al comando), i pidocchi (quelli del dissenso di ieri che oggi non sono neppure pidocchi), la classe operaia (ieri in paradiso e oggi all'inferno), l'elaborazione e l'emancipazione (oggi indietro tutta), l'internazionalismo (ieri si sapeva, oggi con chi stare?), la scuola di partito (oggi né scuola né partito), l'orizzonte (oggi mai visto), l'ora X (oggi X-Factor), il gradualismo (oggi rottamazione, anche di se stessi), la parola d'ordine (oggi l'originalissima "Avanti" che è indietro), la mosca cocchiera (oggi tutta Made in Tuscany), il compagno di strada (oggi di carriera), il lavoro (oggi per se stessi e gli amici), il servizio d'ordine (oggi disordine), il meridionalismo (oggi defunto), il popolo (oggi i followers), la scissione (quella è rimasta), la teoria e la prassi (oggi dire una cosa e domani farne un'altra), l'Unità (oggi è morta), il sistema (oggi piccolo clan), la replica (oggi non ammessa), le Regioni Rosse (oggi sempre meno, domani quasi zero), il realismo socialista (oggi sostituito dal realismo renziano, poi avanti un altro), la socialdemocrazia (oggi social senza democrazia), il verbalizzare (oggi un post su Facebook), l'utopia, il sogno che folleggia nelle pagine di questo libro tra le mani del titolare di List.
Un libro. L'oggetto e il soggetto delle risposte di uomini e donne, interviste che in questo testimone del tempo diventano dieci domande uguali per tutti e un discorso che si dipana sulla strada del sogno, del reale e dell'immaginario del (fu) Pci. La prima, quella fondamentale: "Quali sono i libri sui quali ti sei formato?". E qui parte il carosello, la giostra, il luna park, l'autoscontro dell'ideale, il desiderio qualche volta realizzato e quasi sempre mancato. Sublime, Emanuele Macaluso che racconta di aver letto Jack London da ragazzo nella biblioteca clandestina della cellula del partito e naturalmente il compendio del Capitale e Il Manifesto, I Miserabili di Victor Hugo, le opere di Zola, Americana di Elio Vittorini. La formazione sentimentale di Achille Occhetto con i grandi romanzieri russi e francesi, il Lord Jim di Conrad, i navigatori, il capitano Achab, l'odiato Dickens di David Copperfield che diventa amato con la maturità. Aldo Tortorella tutto filosofia e tesi su Spinoza, il sorprendente Cuperlo, oggi considerato intellettuale (e pensate un po' cosa sono allora gli altri), ma da ragazzo scapigliato e svagato tanto da definirsi "arrivato al diploma in una serena ignoranza delle cose del mondo e della cultura". La beata Cuperlandia del Pci che fu ebbro di vita, marciapiede, movimento, un'Italia ingiallita nelle foto d'archivio, eppure vivissima. Fu un grande Paese, più bello di quanto siamo riusciti a dipingere.
Il libro di Franca e Fulvia, per fortuna, non ha una conclusione. Non fa tesi e antitesi, non ha programmi, si nutre di emozioni senza cedere all'antica tentazione di avanzare mozioni. Non si fa votare ma svuotare e riempire continuamente di sensazioni, esposizioni. È una testimonianza "perché non vada perso proprio tutto". E poi Chiaromonte e Bandoli hanno l'esperienza della vita, hanno lasciato per loro (e per noi) la porta aperta. In fondo, c'è tempo per sognare: Marx è morto, Dio è morto, il Pci è morto, il Pd non si sente tanto bene, ma l'utopia sta ancora benissimo. Tornerà?
02
Dio è morto, ma l'Homo non è Deus

di Lorenzo Castellani
Chi è l’uomo secolare? si chiede Roberto Calasso, fondatore di Adelphi, ne L’innominabile attuale, saggio profondissimo sulla contemporaneità. L’homo secularis è un individuo senza identità, perso nella perenne ricerca di un’introvabile bussola di valori. È colui che prova a darsi un nome e un cognome tramite l’identità virtuale, che tenta di trovare il suo spazio in una società ripiegata su se stessa. L’uomo secolare non crede più nel sacrificio e non riconosce cosa sia sacro e cosa sia profano. Il sacro infatti è stato ucciso, Dio è morto e l’uomo ha cercato di sostituirsi al divino per mezzo della scienza.
Il sacro è l’invisibile trascendente, che sta al di sopra dell’uomo; ma in una società che ha come unico punto di riferimento se stessa, la società del narcisismo, l’invisibile è semplicemente qualcosa che non si vede; pertanto, ciò che non si vede non esiste. Scompaiono il sacro e le ideologie, l’individuo resta smarrito e privo di riferimenti.
Per Calasso, in Occidente la religione è morta ed è stata sostituita da un blando concetto di gnosi, che ha reso tutti senza identità e senza radici. Le religioni somigliano sempre più alle ideologie, per esempio “chi dice di essere cristiano non deve essere molto diverso da chi dice di essere vegetariano. Sono tutti gruppi, comunità, confraternite. Si può essere comunisti, come anche culturisti. Ogni scelta va rispettata. Sono tutte minoranze. Nicchie.” in cui l’uomo secolarizzato si rifugia perché non riesce più a cogliere il divino e si affida alla scienza e alla tecnica. Tutto è scelta, diritto, niente è dovere. Così l’immortalità passa nella virtualità, la conoscenza nel processare sequenza infinite di dati.
Il nuovo Eden è internet, luogo dove prevale l’informazione e l’emozione piuttosto che la ragione. I turisti, gli hacker e i terroristi sono le nuove figure che dominano l’era post-moderna: senza volto e capaci di muoversi velocemente. I primi non credono in nulla che non sia l’emozione superficiale, i secondi sono i sacerdoti della tecnologia che ha rimpiazzato il sacro, i terzi sono la reazione ai primi due. I nuovi guru sono i transumanisti, sviluppatori dell’intelligenza artificiale e di macchine che vogliono sottrarre l’individuo al processo di entropia dell’era post-ideologica. Internet, infatti, è il luogo dove tutto diventa reversibile, dove le identità si auto-promuovono. Una auto-promozione senza tempo, costantemente narcisistica che ha un impatto devastante sulla società politica. Scrive l’autore-editore “la meraviglia della democrazia sta nel suo essere vuota, senza contenuto. (…) La democrazia formale è senz’altro la più perfetta versione della democrazia, ma anche la più inapplicabile” Perché? “Primo nemico della democrazia è la demografia, che la rende inapplicabile non appena si varcano certe soglie. Ma, se la democrazia non riesce a rendere effettive le sue garanzie, diventa sempre più difficile fare di tali garanzie dei principi che reggono il pensiero.” Per dirla con Geminello Alvi, la democrazia con milioni di persone è un affare di marketing. Così, priva di un fondamento superiore da cui far discendere la propria legittimazione, la democrazia “diventa un wishful nothing”.
È una visione, quella di Calasso, già esposta da autorevoli intellettuali conservatori come il giurista tedesco Bockenforde, l’americano Paul Gottfried e dalle ricostruzioni storiche sulla legittimità del patto politico di Paolo Prodi in Italia. Negli interstizi del potere desacralizzato “risorge la chimera della democrazia diretta. Suo fondamento è l’odio per la mediazione, che facilmente diventa odio per il pensiero in sé, indissolubilmente legato alla mediazione”. Se l’homo secularis non deve nulla a nessuno, non ha nulla dietro, se non ciò che fa, diviene “inevitabile un senso di incertezza, perché poggia su qualcosa di instabile - e sospetto di inconsistenza.” Tutti i vincoli morali e sociali si allentano e “l’unico vincolo che in ogni caso rimane è il pagamento delle imposte. Nessun rito è obbligatorio, neppure le votazioni. La situazione che da ciò risulta potrebbe suscitare un sottile senso di euforia.” Quel senso di euforia che muove la massa, per dirla con l’Elias Canetti pubblicato proprio da Adelphi, verso l’omologazione e la partecipazione diretta. Tuttavia, per il filosofo il progresso non è abbastanza per rendere l’uomo saldo e la società ordinata perché “il proposito di fondare un’etica umanitaria sulla base dell’evoluzione è rimasto, come per ogni altro tentativo di fondare una morale laica, allo stadio di wishful thinking”.
Così, la società senza morale e autorità affoga, si chiude in un vortice che Calasso chiama “l’organizzazione dell’entusiasmo”, sentimenti superficiali che mettono in pericolo la democrazia che passa dall’essere governo delle opinioni a governo delle emozioni. Nella seconda parte del libro, il filosofo fa sprofondare il lettore nell’inquietudine degli anni dal 1933 al 1945. Servendosi delle citazioni intrecciate di Louis-Ferdinand Céline, Virginia Woolf, Samuel Beckett, Joseph Roth, Klaus Mann e tanti altri, mostra come un leggero turbamento e la mancanza di un appiglio superiore, possano produrre un disordine morale e sociale tale da provocare una discesa verso gli inferi di una intera civiltà.
03
Paradiso e Inferno dell'usura

di Michele Magno
Tre anni fa, quando Michele Ruggiero, un pm di Trani noto per le sue inchieste eclatanti quanto interminabili, accusò i vertici di Bankitalia addirittura di "collusione morale" con i presunti reati di usura commessi da Bnl, Unicredit e Mps, Matteo Renzi non battè ciglio. Pure avrebbe dovuto sapere che nell’immaginario collettivo gli strozzini, tanto più quando si identificano con gli istituti di credito, sono visti come famelici e spietati figuri, che si muovono negli oscuri bassifondi della criminalità organizzata. Le loro malefatte sono state spesso accomunate a quelle dei cosiddetti “cravattari”. Gli stessi pontefici non mancarono allora di far sentire la propria voce. Papa Bergoglio definì l'usura "una piaga purulenta che ferisce la dignità inviolabile della persona umana". Prima di lui, Papa Ratzinger l'aveva fustigata come "un immane flagello sociale, una umiliante schiavitù".
A quelle campagne contro l'usura non è stata forse estranea una azzeccata iniziativa editoriale. Mi riferisco alla ristampa di un celebrato saggio di Jacques Le Goff, scritto nel 1986 (La borsa e la vita. Dall'usuraio al banchiere). Riletto oggi, si conferma come una magistrale ricostruzione del dibattito su un fenomeno che - con la sua miscela esplosiva di economia e religione - ha accompagnato il parto del capitalismo. Secondo il grande medievista francese, chi lo scrutasse con le lenti del "pawnbroker", il prestatore a pegno descritto nei romanzi inglesi dell'Ottocento o nei film hollywoodiani (per tutti, "L'uomo del banco dei pegni" di Sidney Lumet), si metterebbe però fuori strada. Non sarebbe in grado, cioè, di comprendere fino in fondo questo "Nosferatu della società cristiana": vampiro terrificante, un succhiatore di denaro spesso paragonato all'ebreo deicida e profanatore dell'ostia. Quel fenomeno infatti ha più facce. In un mondo in cui sullo scudo d'oro coniato da san Luigi (1214-1270) è inciso "Nummus vincit, nummus regnat, nummus imperat" (Il denaro è vincitore, è re, è sovrano); e in cui l'avarizia - ossia la cupidigia, peccato borghese di cui l'usura è figlia - spodesta dal primo posto tra i sette peccati capitali la superbia - ossia l'orgoglio, peccato feudale - l'usuraio diventerà un personaggio insieme corteggiato e detestato, potente e fragile.
L'usura è uno dei grandi problemi del Duecento. Quando la diffusione dell'economia monetaria minaccia gli antichi valori cristiani, si apre una lotta accanita che ha come posta in gioco la legittimazione del profitto lecito, e la sua distinzione dall'interesse illecito. Per altro verso, mentre il nemico da combattere resta Mammona, che nella tarda letteratura rabbinica simboleggia la ricchezza iniqua, la concezione del peccato si spiritualizza e si interiorizza. La sua gravità, cioè, viene ora misurata col metro dell'intenzione del peccatore. Questa morale dell'intenzione viene elaborata da tutte le principali scuole teologiche dell'epoca -da quella di Laon a quella di San Vittore di Parigi- e da teologi di spicco: Abelardo e Gilberto de la Porrée, Pietro Lombardo e Alano di Lilla. Il risultato è un radicale cambiamento nella pratica della confessione.Da collettiva e pubblica diviene individuale e privata, passa "dalla bocca all'orecchio".
Si apre così un mondo inedito, quello dell'introspezione psicologica. Codici, precetti e decreti continuano sì a stigmatizzare l'usura, ma in un'economia chiusa, in cui la circolazione della moneta era scarsa, essa non costituiva ancora un grosso problema. Provvedevano i monasteri a fornire la maggior parte del credito occorrente. "Donna Usura" dominerà la scena nel corso del dodicesimo secolo, quando la ruota della fortuna gira non solo per cavalieri e nobili, ma anche per i borghesi delle città che fervono di lavoro e di affari. La chiesa ne è scossa. Papa Innocenzo IV (1195-1254) e il canonista Enrico da Segusio, detto l'Ostiense, intravedono lo spettro delle carestie nelle campagne abbandonate dai contadini, perché privati del bestiame e degli attrezzi dai proprietari terrieri, anch'essi attirati dai guadagni dell'usura.
Gli anatemi contro l'usura si inaspriscono. Essa è sempre meno una colpa, e sempre più un peccato. Per Anselmo (1033-1109) non era solo un "profitto vergognoso", era un furto. Per Tommaso d'Aquino (1225-1274) era un furto che metteva in discussione la virtù regale della giustizia, tanto più in un mercato che cominciava a organizzarsi sulla base dei principi del giusto prezzo e del giusto salario. L'usura, pertanto, era un peccato anche contro il giusto prezzo. "Nummus non parit nummos" (Il denaro non si riproduce), ammonisce il Dottore Angelico. "La moneta è stata in primo luogo inventata per gli scambi; il suo uso naturale e primo è dunque di essere utilizzata e spesa negli scambi. Per cui è ingiusto ricevere un prezzo per l'uso del denaro prestato; è in ciò che consiste l'usura" (Summa teologica).
Un radicato pregiudizio storico lega strettamente l'immagine dell'usuraio a quella dell'ebreo. Le Goff lo smonta in un paio di pagine da far leggere in tutte le scuole italiane. Fino al dodicesimo secolo, il prestito a interesse che non metteva in gioco somme considerevoli era in effetti nelle mani degli ebrei, in quanto non avevano libero accesso alle attività produttive. Non restava loro altro, con l'eccezione di alcune professioni liberali come la medicina, che far rendere il denaro, al quale peraltro il cristianesimo negava ogni fecondità. Il quadro si modifica quando il progresso degli scambi sollecita un forte sviluppo del credito.
Va aggiunto che la condizione degli ebrei era peggiorata già verso l'anno Mille e poi nel periodo delle crociate, ad opera soprattutto delle masse in cerca di capri espiatori delle calamità - guerre, carestie, epidemie - che devastavano il continente europeo. L'esplosione delle rivolte popolari aveva rinfocolato l'ostilità della chiesa all'ebraismo, prestando il fianco a un antisemitismo ante litteram. Gli usurai cristiani erano giudicati dalle Ufficialità, tribunali ecclesiastici di solito indulgenti nei loro confronti, che lasciavano a Dio il compito di punirli con la dannazione. Ma ebrei e stranieri dipendevano dalla giustizia laica, assai più dura e intransigente. La repressione parallela dell'ebraismo e dell'usura, pertanto, contribuiva sia ad alimentare spinte antisemite, sia a rendere ancor più tetra l'iconografia dell'usuraio ebreo.
Ciononostante, l'usuraio cristiano restava pur sempre un peccatore. L'usura era un furto, dunque l'usuraio era un ladro. Ma era un ladro speciale, perché rubava a Dio. Egli vendeva il tempo che intercorre tra il momento in cui prestava il denaro e il momento in cui veniva rimborsato con l'interesse. Ma il tempo non appartiene che a Dio. Ladro di tempo, l'usuraio era un ladro del patrimonio di Dio. C'era un'altra categoria professionale che subiva un'accusa simile: i nuovi docenti universitari che, al di fuori del circuito dei monasteri e delle cattedrali, insegnavano a studenti da cui ricevevano una retribuzione, la "collecta".
L’Alto Medioevo, inoltre, aveva messo all'indice numerosi mestieri, legati agli ancestrali tabù del sangue, della sporcizia e del denaro: osti, macellai, chirurghi, prostitute, notai, mercanti; ma anche sellai, calzolai, giardinieri, cambiavalute, sarti, mugnai. Un altro criterio, più strettamente cristiano, faceva riferimento ai sette peccati capitali. Albergatori, tavernieri e giocolieri favorivano la dissolutezza. L'avarizia caratterizzava i mercanti e gli uomini di legge, la gola il cuoco, la superbia il cavaliere, l'accidia il mendicante. Il tredicesimo secolo e il suo sistema teoretico - la Scolastica - si preoccupano invece di venire incontro all'evoluzione dei costumi e riabilitano molteplici occupazioni, distinguendo quelle illecite per natura da quelle che lo erano solo occasionalmente.
L'usuraio non trae vantaggio da questa nuova casistica. Insieme al giocoliere e alla prostituta, sarà l'unico a essere condannato "in sé", anche se mercante. Gli usurai che compaiono nell'Inferno di Dante sono mercanti-banchieri di primo piano: i Gianfigliazzi e gli Obriachi, gli Scrovegni, Vitaliano del Dente, podestà nel 1307. Il mercante medievale, insomma, è perennemente in odore di usura. Secondo Giacomo di Vitry (1160/70-1240), spietato avversario degli Albigesi, "Dio ha istituito tre specie di uomini: i contadini e i lavoratori per assicurare la sopravvivenza degli altri, i cavalieri per difenderli, i chierici per governarli; ma il diavolo ne ha istituito una quarta specie, quella degli usurai" ("Sermones vulgares"). Nello schema tripolare del predicatore francese, l'usuraio - prima di essere la preda di Satana - era il suo amico terreno. Ma una cosa - sottolinea Le Goff - sono le esecrazioni dottrinarie, un'altra la realtà effettuale. Nella nascente società mercantile, si comincia ad ammettere che il rischio sopportato per l'eventuale insolvenza o la malafede del debitore ("periculum sortis") meritava di essere remunerato. Adesso anche l’usuraio può sfuggire al Purgatorio e all'Inferno. Bastava che restituisse il maltolto e si confessasse. Con un pentimento sincero l'usuraio poteva salvarsi anche in punto di morte. Del resto, il pentimento senza penitenza conduceva al Purgatorio, in cui le afflizioni non mancavano. Non c'era dunque ragione per dubitare della sua buona fede.
In fondo, il Purgatorio non era che uno dei modi in cui la chiesa strizzava l'occhio all'usuraio riconoscendone surrettiziamente la funzione sociale. Ma era il solo che gli assicurava la salvezza. E la speranza del Purgatorio conduce alla speranza del Paradiso. Per l'usuraio, la speranza era doppia: di avere la borsa piena in vita e di godere della beatitudine eterna dopo la morte. Come una rondine non fa primavera così un usuraio in Purgatorio non fa il capitalismo. Ma un sistema economico non ne sostituisce un altro se non alla fine di una faticosa corsa ad ostacoli. La storia sono gli uomini, e "gli iniziatori del capitalismo - conclude Le Goff - sono gli usurai, mercanti dell'avvenire". Mercanti di quel bene, il tempo, che nel secolo decimoquinto Leon Battista Alberti chiamerà denaro. Questi uomini erano dei cristiani. Ciò che tratteneva le loro energie non erano le scomuniche papali. Era "la paura, la paura angosciosa dell'Inferno". In una società in cui ogni forma di coscienza era anzitutto una forma di coscienza religiosa, la speranza di sfuggire all'Inferno grazie al Purgatorio permetterà all'usuraio di essere un protagonista del passaggio dal feudalesimo al capitalismo.
04
E c'è chi sogna i milioni...
Le banche, l'usura, la politica. E poi chi sogna i milioni. L'Italia, questa speranza sempre da realizzare e non idealizzare, un posto non più raccontato dalla letteratura, tutta rinchiusa nell'intimo senza polmoni, in contumacia di romanzo e grande storia, sotto-rappresentazione di un minimalismo che nasconde l'assenza del talento della parola, questa Italia non raccontata è stata almeno cantata, massì aveva più che in fondo ragione Rino Gaetano:
Chi suda e chi lotta, chi gli manca la casa, chi gioca col fuoco, chi prende il sessanta e chi arriva agli Ottanta. E poi, quando tutto sembra incomprensibile, c'è sempre il tennis a ricordarci che è solo una questione di dritto e di rovescio.
05
Tennis. Borg-McEnroe
C'è il film in sala su quei due che diedero al tennis tutto quello di cui ha bisogno un romanzo. Dicono sia il "Rush" del tennis, la fida tra Lauda e Hunt, quando la Formula 1 era ancora umana, un film firmato da Ron Howard, tocco magico:
Erano le sfide di quando eravamo bambini, la Formula 1 era l'appuntamento fisso di noi piccole canaglie. Le macchine da corsa. E il campo verde di Wimbledon. Non c'era nient'altro che questo. E quei due, che sembravano Roger Moore e Tony Curtis, sì, attenti a quei due, a quella strana coppia sul campo centrale di Wimbledon: "È la rivalità perfetta: uno gioca dalla linea di fondo, l'altro va sempre a rete". Borg-McEnroe, che ricordi. E facciamoli partire ancora, i ricordi dell'infanzia, List è anche questo vai e vieni nello spazio del tempo nostro, più intimo, senza fine.
Verde. Non c'è possibilità di sfuggire all'incantesimo di quel colore che s'inerpica sulle tribune, s'aggrappa al Royal Box, pulsa sul campo da gioco. Devi alzare gli occhi al cielo, a Wimbledon, per trovare una via di fuga cromatica. Ah, no, ecco, c'è un giallo cinetico che schizza come un proiettile, è il servizio dell'uomo di ghiaccio, la racchetta suona come la cassa di legno di un tamburo, la corda tesa e elastica come quella di violino. La risposta dell'uomo di fuoco è un fulmine carico d'effetto, la palla torna indietro spinta da un rovescio che cambia la curvatura dello spazio, gira su se stessa, attraversa il confine che divide l'uomo di ghiaccio dall'uomo di fuoco, atterra improvvisamente sull'erba, fa un rimbalzo e fugge via, imprendibile. "C'mon!" urla l'uomo di fuoco. L'uomo di ghiaccio non lo guarda. Fissa il verde.
Wimbledon, 1980, campo centrale, John McEnroe contro Bjorn Borg.
Il titolare di List ha 12 anni, è incollato alla tv e da quel momento capisce che il tennis è la cosa più pazza, sublime, inafferrabile del mondo. Più avanti, con gli anni, i chili, le vittorie e le sconfitte, scoprirà che solo altri due campi da gioco possono condurre a quello stato di folle ubriachezza: gli scacchi e le donne. È una storia che va avanti dal 1877, sono 140 anni che Wimbledon è Wimbledon. È come il ritorno dell'amata che non vedi da un anno: fai finta di resistere, mentre in realtà sei già là, a bordo campo, a fare il raccattapalle.
Wimbledon nasce nel 1877 quando quelle sagome dell'All England Lawn Tennis and Croquet Club decisero che quello strano gioco valeva un torneo. Duecento spettatori, biglietto da uno scellino, un vincitore, Spencer Gore. Erano tutti vestiti di bianco, i giocatori. E lo sono ancora. È la tradizione di Wimbledon, una cosa che sulla terra resiste, persiste, esiste. Sugli altri campi puoi esibire divise sgargianti, al limite del codice penale, a Wimbledon no, devi essere immacolato, candido, luminoso. I quindicimila occhi del Centre Court ti guardano, nessuna distrazione, please. Le donne arrivarono sul campo da gioco quasi subito, nel 1884. E non se ne sono mai andate, sono la grazia al fulmicotone del tennis, l'essenza di Wimbledon.
Borg, McEnroe, l'uomo di ghiaccio e l'uomo di fuoco. Era il tennis con la racchetta di legno, presto quel mondo sarebbe finito, ma il tennis e la leggenda di Wimbledon sarebbero andati avanti. Materiali leggeri, preparazione atletica, stagioni lunghe e faticose, il business globale, la televisione, lo stile, il lusso, il denaro, la fama, la sconfitta, la vittoria, la gloria. Per la prima volta nell'era moderna i primi cinque giocatori nella classifica mondiale sono sopra i trent'anni. Cosa è successo? La preparazione atletica costruisce giocatori longevi, genio, muscoli, tenacia, tecnica, sono il Gin Martini nello shaker, ma le stagioni sono lunghe, lo stress è quello di una guerra di logoramento e alla fine l'ingrediente che pesa, che fa la differenza, che conduce alla conquista del game è quello di sempre, una fottuta, inesorabile, questione di psicologia. È sempre lo scontro tra l'uomo di ghiaccio e l'uomo di ferro. È nelle pagine meravigliose scritte da John McPhee in Tennis (Adelphi) che vediamo il film dell'Io sul campo da gioco.
Qui non siamo a Wimbledon, ma alla semifinale degli Open Usa del 1968, a Forest Hills, sul campo da gioco ci sono Arthur Ashe e Clark Graebner. Anche quella volta fu tutta una questione di freddo e caldo. E il problema alla fine della fiera è tutto racchiuso in una frase di John McEnroe: "Arrivare fino in fondo". Nel 1980 a Wimbledon il giovane Paganini della racchetta perde, Borg vince il suo quinto titolo sull'erba del campo centrale. L'ultimo, perché l'anno dopo sarà McEnroe a "arrivare fino in fondo". L'era di Borg iniziata nel 1976 si chiude con uno spettacolare record di vittorie, comincia quella di McEnroe e di un altro fantastico giocatore, Jimmy Connors. Dio, come scorrono i ricordi: eravamo bambini, il titolare di List andava al campo di terra battuta di Torregrande a giocare con i fratelli, Tore e Pietro. Una palla, una racchetta, un sogno. Giocavamo sulla terra battuta. Nessuno di noi sarebbe diventato un tennista, si capiva lontano un miglio, ma le braccia e le gambe erano colme giovinezza e ogni volta che sparavi un dritto e incrociavi un rovescio era come stare là, sul centrale di Wimbledon.
Freddo, caldo. Forza. Concentrazione. Il gioco non si svolge in campo, è in un altro luogo nascosto, mai dimenticare queste parole di Novak Djokovic: "Ti sembra che l'incontro si svolga in campo, in realtà si svolge fra le tue orecchie". Il tennis è un infinito dialogo con Io. Freddo. Caldo. Che cosa era Jimmy Connors? Un caldo. E Ivan Lendl? Un freddo. I ricordi scorrono come i titoli d'apertura di un film, passano dall'era di Borg e McEnroe a quella di Boris Becker, Mats Wilander, Stefan Edberg. E le donne, santi numi, come giocano, provateci a intercettare il servizio di Marina Navratilova e il rovescio di Steffy Graf. Wimbledon è tornato, dio sia lodato. C'è Andre Agassi sul campo, è una volpe da terra battuta, vince sul campo centrale una volta, l'erba lo tradisce, la palla gli schizza davanti agli occhi, lo sguardo e il colpo più veloce sono quelli di Pete Sampras. Un altro caldo. Un altro freddo. Aveva ragione quella sagoma che sul campo da gioco diventava un tennista d'irregolare bellezza, Adriano Panatta: "Il tennis l'ha inventato il diavolo".
Gioco. Partita. Incontro. Dove siamo? A Wimbledon, dove puoi essere se non qui, vestito di bianco, hai sempre 12 anni, signor giudice di sedia, il titolare lo sa che sei inesorabile, che sei il tempo che scorre, che tu assegni il punto finale, sei la sabbia nella clessidra, ma oggi tutto (ri)comincia. Wimbledon. Al cinema. Love (zero).
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Love in the Time Of Robots
E si finisce sempre là, al grado zero, inizio e fine di tutto: Love, zero, l'amore. L'ultimo numero di Wired è sull'amore al tempo dei robot, sai che spasso, l'eros e il sentimiento nuevo (Battiato) con l'androide. Oh, sì, cose viste al cinema quando Blade Runner ci prese l'anima per sempre, con gli opening titles che non ti lasciano più, quattro minuti d'immersione rapida nel sommergibile del futuro con quella musica di Vangelis composta per spezzarti il cuore. Los Angeles, Novembre 2019:
Mancano due anni a quell'appuntamento con il domani, non siamo in anticipo, non siamo in ritardo. Ancora non siamo. Ma la copertina di Wired ci dice che stiamo correndo verso quel domani.
E così, come un ciclo di eterno ritorno, in una dimensione filosofica dove l'ombra di Friedrich Nietzsche diventa un gigante, torniamo nel racconto lungo del libro di Roberto Calasso, in quel tempo in cui la macchina si sostituisce all'uomo, diventa non un surrogato ma un altro Essere, fino a assumere sembianze ultra-terrene, oggetto che si fa soggetto di desiderio, lo spazio fisico e metafisico de "L'innominabile attuale", così attuale da essere tempo circolare. Dove ci siamo già visti io e lei? Ah, certo, nel secolo scorso, tra gli anni Quaranta e Cinquanta in un libro di Asimov, "I Robot". Lei, signorina, risponde ai comandi? O è di quelle che hanno la coscienza? Viviamo tempi davvero interessanti. Forse troppo.
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4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
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7. Obblighi e garanzie dell'Utente
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7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
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che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
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8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
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e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
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8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
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10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.