25 Maggio
Auto, acciaio, Alitalia. Tre casi virulenti
La crisi del mercato dell'automobile e il futuro degli stabilimenti di FCA, la parabola di Arcelor Mittal e Terni, una compagnia aerea con un futuro che vola sempre altrove. Un viaggio di Gianclaudio Torlizzi nell'industria dell'era del coronavirus
di Gianclaudio Torlizzi
Nei giorni in cui si iniziava a prendere consapevolezza dell’ impatto sull’economia che le politiche di contenimento del virus cinese avrebbero prodotto, si sentiva ripetere lo stesso mantra: “Questa crisi sarà un’opportunità”. Un’impostazione culturale, questa, figlia dell’impianto tecnicistico che da troppi anni ha plasmato e condizionato le menti delle classi dirigenti.
Settantotto giorni dopo l’inizio del lockdown nazionale quell’entusiasmo sembra essersi già spento. Il positivismo nostrano infatti ha dovuto fare i conti con la realtà che, come spesso avviene, si rivela più complessa di un foglio excel: certamente utile nell’individuare inefficienze in condizioni di, chiamiamola, “normalità”, ma assolutamente incapace di gestire situazioni che sfuggono ai canoni tradizionali. Pochi infatti avevano preso in considerazione l’impatto psicologico sui consumatori dopo 3 mesi di confinamento nelle proprie abitazioni. Lo scoppio della pandemia ha prodotto una sorta di effetto-verità: ha messo nero su bianco l’intrinseca vulnerabilità di un sistema in cui la politica ha cessato di svolgere il suo ruolo di leadership, affidandosi interamente alla téchne. La prova più evidente di questa tendenza la osserviamo nel modo in cui l'Unione europea sta gestendo, per usare un eufemismo, lo shock economico derivante dall’imposizione delle politiche di lockdown. Mentre tutte le principali economie (Stati Uniti, Regno, Unito, Giappone) hanno intrapreso un eccezionale piano di monetizzazione del debito, nel Vecchio Continente ancora ci si balocca sul grado di condizioni da applicare ai prestiti concessi alle economie maggiormente in difficoltà, senza rendersi conto che tra pochi mesi non ci sarà più distinzione tra paesi forti e paesi deboli perché verranno tutti risucchiati dalla crisi occupazionale nel settore dei servizi.
I nodi di sistema sono arrivati al pettine anche su molti dossier di importanza nazionale, come indicano le ultime dinamiche relative a FCA, Arcelor Mittal e Alitalia. Il caso FCA è emblematico: dopo aver elargito contributi per oltre...
di Gianclaudio Torlizzi
Nei giorni in cui si iniziava a prendere consapevolezza dell’ impatto sull’economia che le politiche di contenimento del virus cinese avrebbero prodotto, si sentiva ripetere lo stesso mantra: “Questa crisi sarà un’opportunità”. Un’impostazione culturale, questa, figlia dell’impianto tecnicistico che da troppi anni ha plasmato e condizionato le menti delle classi dirigenti.
Settantotto giorni dopo l’inizio del lockdown nazionale quell’entusiasmo sembra essersi già spento. Il positivismo nostrano infatti ha dovuto fare i conti con la realtà che, come spesso avviene, si rivela più complessa di un foglio excel: certamente utile nell’individuare inefficienze in condizioni di, chiamiamola, “normalità”, ma assolutamente incapace di gestire situazioni che sfuggono ai canoni tradizionali. Pochi infatti avevano preso in considerazione l’impatto psicologico sui consumatori dopo 3 mesi di confinamento nelle proprie abitazioni. Lo scoppio della pandemia ha prodotto una sorta di effetto-verità: ha messo nero su bianco l’intrinseca vulnerabilità di un sistema in cui la politica ha cessato di svolgere il suo ruolo di leadership, affidandosi interamente alla téchne. La prova più evidente di questa tendenza la osserviamo nel modo in cui l'Unione europea sta gestendo, per usare un eufemismo, lo shock economico derivante dall’imposizione delle politiche di lockdown. Mentre tutte le principali economie (Stati Uniti, Regno, Unito, Giappone) hanno intrapreso un eccezionale piano di monetizzazione del debito, nel Vecchio Continente ancora ci si balocca sul grado di condizioni da applicare ai prestiti concessi alle economie maggiormente in difficoltà, senza rendersi conto che tra pochi mesi non ci sarà più distinzione tra paesi forti e paesi deboli perché verranno tutti risucchiati dalla crisi occupazionale nel settore dei servizi.
I nodi di sistema sono arrivati al pettine anche su molti dossier di importanza nazionale, come indicano le ultime dinamiche relative a FCA, Arcelor Mittal e Alitalia. Il caso FCA è emblematico: dopo aver elargito contributi per oltre 7 miliardi di euro dal 1975, secondo uno studio di qualche anno fa della CGIA di Mestre, e aver alla fine subito la decisione della casa automobilistica di spostare sede fiscale e legale ad Amsterdam e Londra, una parte della politica italiana ha espresso sdegno per la richiesta del gruppo di accedere a 6,5 miliardi di prestiti garantiti dallo Stato, esortando il governo a chiedere delle condizioni per la concessione del prestito. Scelta assolutamente legittima e neppure troppo vincolante, se si considera l’approccio adottato da altri paesi in contesti simili. Pensiamo solo a quando Obama salvò il settore auto americana: venne imposto l’azzeramento delle fasce dirigenziali dei colossi di Detroit e l’entrata (temporanea) del governo nei cda. Il problema quindi non è tanto il prestito in sé, quanto l’assenza della minima strategia industriale di Stato (sì, proprio quella) che avrebbe dovuto accompagnare la concessione dei contributi pubblici del passato e il prestito garantito di cui si parla oggi: quale futuro per la manifattura di questo paese? Quale politica fiscale adottare per fare dell’Italia un paese business-friendly soprattutto alla luce dell’attuale processo di reshoring (rientro delle attività produttive nel paese d'origine, ndr) determinato dalle nuove declinazioni della globalizzazione dopo quella sfrenata degli ultimi 30 anni? A queste semplici domande non si è mai voluta e non si vuole dare risposta, preferendo il sempreverde calcio alla lattina e lasciare così la ‘patata bollente’ nelle mani dei governi che si succederanno.
La posta in gioco è altissima: lo shock di domanda creatosi con l’adozione delle politiche di contenimento dell’epidemia ha messo l’intero settore mondiale dell’auto in ginocchio. L’ultimo segnale in ordine cronologico è arrivato proprio sabato scorso con la notizia del fallimento di Hertz, colosso mondiale nel comparto dell’autonoleggio. Ma sono le ultime rilevazioni a mettere veramente paura: nel mese di aprile le vendite mondiali di veicoli sono letteralmente collassate al record minimo di appena 41,3 milioni di unità pari a un crollo del 40% rispetto a dicembre.
A colpire è in particolare la crescente divergenza tra il mercato cinese e il resto del mondo: mentre nel Celeste Impero si è assistito a un marcato rimbalzo (grazie alle politiche di incentivi), tanto da aver riportato le vendite alla condizione pre-virus, al di là della muraglia lo scenario è da Armageddon: -36,7% in aprile dopo il -33,1% di marzo. L’aspetto ancora più inquietante è che non sono solo i mercati di Usa ed Europa a essere investiti dal blocco dei consumi ma anche i paesi emergenti che in aprile hanno accusato un crollo delle vendite del 46.5%.
Che la classe dei paesi in via di sviluppo sarebbe passata da locomotiva ad anello debole dell’economia mondiale lo si era già capito nel 2018 quando sono iniziati a emergere i primi problemi di liquidità a seguito dell’apprezzamento del dollaro Usa (valuta nella quale è denominato gran parte del debito dei paesi emergenti) determinato a sua volta rallentamento dell’economia europea. Tanto da costringere la Federal Reserve nel mese di marzo a varare un imponente piano di prestiti in dollari a breve termine in favore di 14 banche centrali tra cui quelle di Brasile, Messico, Corea del Sud e Singapore. Ma non sono solo le condizioni macroeconomiche a premere sul comparto auto: i millennials, almeno fino alla diffusione del Covid-19, già mostravano un crescente disinteresse verso l’acquisto di un un’auto di proprietà: per il costo (sempre più inavvicinabile dato l’appiattimento dei salari) e per la diversa percezione dell’oggetto, non più status symbol ma semplice mezzo di trasporto.
Con queste premesse ci sarà un ulteriore processo di consolidamento del settore che premierà a valle i gruppi dotati di cospicui cuscinetti di liquidità e a monte quei paesi che saranno in grado di offrire l’ambiente di business più favorevole. Proprio per questo motivo è probabile che la fusione FCA-PSA vada avanti (anche se i termini dell’accordo per come John Elkann li aveva presentati al mercato dovranno essere rivisti a seguito della distruzione di cash flow che Societe Generale stima in 7,3 miliardi solo per quest’anno a causa dell’impatto dell’epidemia sui conti del gruppo) con una domanda: quali fabbriche mantenere in vita? Saranno quelle francesi a ricevere maggiore tutela, tenuto conto della cifra anti-impresa adottata dall’attuale governo italiano. D’altronde, che la classe dirigente francese abbia piena consapevolezza del pericolo desertificazione industriale lo dimostra l’allarme lanciato l'altro ieri dal ministro francese dell’economia Bruno Le Maire sul rischio scomparsa per Renault.
Lo stesso discorso vale specularmente anche per il settore siderurgico. Il governo italiano si trova oggi nell’imbarazzante condizione di assistere al probabile addio di Arcelor Mittal per l'incapacità di gestire fin dall’inizio il dossier Ilva. Era chiaro fin dall’inizio dei negoziati che il gruppo lussemburghese avrebbe sfruttato qualsiasi pretesto per chiudere o per lo meno ridurre la capacità produttiva di un impianto che per la sua efficienza (termine tanto caro ai super-liberisti) era in grado di sfornare acciaio ai prezzi più bassi d’Europa e che pertanto dava fastidio alle altre acciaierie europee. Un fallimento politico, questo, che alimenta ancor più rabbia se si considera la recente sentenza di assoluzione di Fabio Riva. Era proprio il caso dunque di espropriare un’azienda tanto strategica per il sistema Italia a fronte di presunte violazioni ambientali? E pensare che proprio la vecchia Ilva oggi avrebbe potuto giocare il ruolo del leone nel mercato mondiale dell’acciaio anch’esso incastrato nella crisi di liquidità.
Il caso più significativo arriva dalla ThyssenKrupp che, dopo aver ceduto la divisione ascensori (il vero gioiello della corona), si trova oggi nella condizione di dover trattare la vendita anche della divisione Steel Europe (tra i potenziali acquirenti, si parla di SSAB, Tata Steel o addirittura della cinese Baosteel) quella Marine System (possibile incorporazione in Fincantieri per la creazione di un colosso della difesa) e l’AST di Terni (settore acciaio inossidabile). Proprio sull’impianto che garantisce il 60% del pil della città umbra e il 15% del pil dell’intera regione, il governo rischia l’ennesimo fallimento: ossia la svendita a un player straniero il cui unico obiettivo sarà quello di chiudere l’impianto al fine di ridurre la sovra capacità produttiva nel mercato europeo.
A fronte del rischio perdita o comunque del sicuro ridimensionamento di tre player fondamentali nei settori strategici dell’auto e in quello dell’acciaio, l’eventuale perdita di Alitalia, sulla quale avrebbe espresso interesse l’americana USAerospace, non coglie certamente di sorpresa e va di pari passo con il processo di deindustrializzazione del paese. Ma la pugnalata è sempre dolorosa se si pensa ai 10 miliardi di euro spesi negli anni per tenere in vita la compagnia di bandiera.
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tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.