26 Settembre
Cosa ci dice su Germania e Italia la riforma fiscale dell'India
Il governo di Narendra Modi abbassa le tasse, Berlino ha un surplus da liberare (e non lo fa), nel nostro paese si pratica il moralismo delle tasse e dell'evasione. Un giro di giostra di Gianclaudio Torlizzi nel bosco fiscale globale
di Gianclaudio Torlizzi
Venerdì 20 settembre si prospettava come la classica ultima giornata della settimana lavorativa per l’operatore finanziario della City. Il venerdì si cerca solitamente di tirare un po’ il freno, limitando l’attività di trading per non rischiare di rovinarsi il week end, concentrandosi invece sul paperwork, la compilazione di documenti sempre più richiesti dall’ufficio del compliance, divenuto oramai l’incubo di ogni trader. Ecco invece che improvvisamente un annuncio scuote i mercati finanziari e in particolare quello indiano, uno dei più battuti tra i cosiddetti emerging markets: il governo di Narenda Modi darà il via a una riforma fiscale che porterà il regime di tassazione medio sugli utili aziendali dal 30% al 22% per le imprese che non ricevono esenzioni fiscali e dal 35% al 25% per quelle imprese che beneficiano di agevolazioni (portando così il tasso medio effettivo al 25% in linea con la media asiatica e internazionale).
La sorpresa diventa poi eccitazione quando viene resa nota anche la tassazione sulle nuove imprese che passerà dal 25% al 15%, il livello di Singapore! Una vera e propria rivoluzione fiscale, quella annunciata da Modi, che non poteva non essere salutata positivamente dal mercato con l’indice azionario Sensex in rialzo del da inizio settimana.
Che su questa riforma il premier indiano ci stia puntando molto lo si è capito ieri. Intervenendo al Bloomberg Global Business Forum tenutosi a New York, Modi, nel presentare il piano, ha più volte invitato la platea a “venire in India”, adottando un approccio che forse non è parso molto istituzionale agli occhi dei benpensanti, ma che è stato sicuramente efficace in chiave comunicativa. Come to India.
Un discorso, quello di Modi che agli osservatori più attenti ha ricordato quell’America is open for business, pronunciato da Donald Trump al World Economic...
di Gianclaudio Torlizzi
Venerdì 20 settembre si prospettava come la classica ultima giornata della settimana lavorativa per l’operatore finanziario della City. Il venerdì si cerca solitamente di tirare un po’ il freno, limitando l’attività di trading per non rischiare di rovinarsi il week end, concentrandosi invece sul paperwork, la compilazione di documenti sempre più richiesti dall’ufficio del compliance, divenuto oramai l’incubo di ogni trader. Ecco invece che improvvisamente un annuncio scuote i mercati finanziari e in particolare quello indiano, uno dei più battuti tra i cosiddetti emerging markets: il governo di Narenda Modi darà il via a una riforma fiscale che porterà il regime di tassazione medio sugli utili aziendali dal 30% al 22% per le imprese che non ricevono esenzioni fiscali e dal 35% al 25% per quelle imprese che beneficiano di agevolazioni (portando così il tasso medio effettivo al 25% in linea con la media asiatica e internazionale).
La sorpresa diventa poi eccitazione quando viene resa nota anche la tassazione sulle nuove imprese che passerà dal 25% al 15%, il livello di Singapore! Una vera e propria rivoluzione fiscale, quella annunciata da Modi, che non poteva non essere salutata positivamente dal mercato con l’indice azionario Sensex in rialzo del da inizio settimana.
Che su questa riforma il premier indiano ci stia puntando molto lo si è capito ieri. Intervenendo al Bloomberg Global Business Forum tenutosi a New York, Modi, nel presentare il piano, ha più volte invitato la platea a “venire in India”, adottando un approccio che forse non è parso molto istituzionale agli occhi dei benpensanti, ma che è stato sicuramente efficace in chiave comunicativa. Come to India.
Un discorso, quello di Modi che agli osservatori più attenti ha ricordato quell’America is open for business, pronunciato da Donald Trump al World Economic Forum il 26 gennaio 2018 a conferma del cambiamento in atto del ruolo dei massimi rappresentanti politici di un paese: più vicino oramai a quello di un investor relationship manager che a un manovratore di palazzo.
D’altronde, con i tempi magri che corrono, non si può andare troppo per il sottile. Il rallentamento della congiuntura internazionale sta spingendo al ribasso anche la crescita dell’India, paese caratterizzato da un deficit strutturale con l’estero come risultato sia delle politiche protezionistiche adottate finora (che hanno allontanato gli investitori internazionali, vedi grafico in basso relativo al grado di protezionismo delle principali economie mondiali) sia della carenza di materia prima di cui è forte importatrice. A oggi il rapporto tra pil e foreign direct investiment nel comparto manifatturiero indiano è di appena lo 0,6% rispetto al 2,5% della Cina di inizio anni Duemila.
In quest’ottica la mossa del governo indiano è sicuramente azzeccata tenuto anche conto dell’enorme potenziale demografico: entro il 2030 la popolazione indiana supererà quella cinese, mantenendo un’età media di appena 30 anni rispetto ai 40 anni della Cina, 47 della Sud Corea. Anche il timing non è casuale: infilandosi nel bel mezzo della trade war tra Pechino e Washington, Nuova Delhi si candida a partner commerciale Usa di prim’ordine in grado di rimpiazzare l’export cinese. Insomma dalla trade war, alla fiscal war il passo è breve.
Naturalmente non sono mancate le critiche al piano di riforma fiscale annunciato da Modi. In particolare i puristi puntano il dito sul rapporto deficit/pil che salirà di circa 1,45 mila miliardi di rupie nel 2020, andando a incrementare lo stock di debito pubblico, secondo l’ammissione dello stesso governo indiano. Preoccupazione, questa, legittima per carità, ma che perde di valore se si considera sia il rapporto debito/pil indiano intorno alla media del 68% nel periodo 1980-2018 (ben più basso del 300% del debito/pil della Cina che ha le mani legate sul fronte fiscale), sia il cambio di rotta che le banche centrali stanno operando in senso nuovamente espansivo proprio al fine di permettere ai governi di finanziare nuove misure di crescita e dunque un ulteriore aumento del debito pubblico, Stati Uniti in primo luogo (grafico in basso).
Proprio qualche giorno fa il gestore finanziario Blackrock, uno dei più influenti a livello internazionale, ha pubblicato un paper in cui senza troppi giri di parole invitava i governi a monetizzare il deficit per stabilizzare l’economia. Un approccio, quella della Modern Monetary Theory (MMT), che inizia a farsi strada all’intero della comunità scientifica internazionale. Anche la stessa Bank of International Settlements, la banca centrale delle banche centrali, nel pubblicare l’overview trimestrale, ha invitato i governi (soprattutto quelli con un surplus di bilancio) a mettere mano al portafogli per finanziare nuove misure di crescita. Il riferimento, neppure tanto velato, è alla Germania, che insieme a Olanda e Austria sono tra i pochi paesi dell’Eurozona a rientrare nei parametri indicati dall’istituto di Basilea. Sulla stessa linea il presidente uscente della Bce Mario Draghi.
L’invito da parte della BIS e della BCE è stato raccolto dall’Olanda che nei giorni scorsi ha annunciato un piano di stimolo fiscale pari all’1% del pil. La mossa è stata salutata con favore da banche d’affari come Goldman Sachs, la quale ha evidenziato come il piano olandese, sebbene non violi i parametri del patto di Stabilità, avrà implicazioni espansive generando un modesto deficit nel 2021 e nel 2022. Il problema naturalmente è che l’impatto sul resto dell’Eurozona sarà basso dato che l’Olanda rappresenta circa il 6% del pil dell’Eurozona.
Berlino dovrebbe farsi coraggiosa. La Germania la settimana scorsa ha annunciato un piano di investimento incentrato sullo sviluppo delle energie alternative del valore di 54 miliardi di euro da spalmarsi in 4 anni da finanziare attraverso nuove entrate e per un piccola parte dal budget federale. Un piano salutato dai mass media con la fanfara, ma ridicolo nella realtà, dato che, stando sempre ai calcoli di Goldman Sachs, offrirà uno stimolo fiscale di appena lo 0,1% del pil nel 2020 e nel 2021.
E dire che la Germania dovrebbe dare il via uno stimolo fiscale innanzitutto per far bene alla propria economia appesantita solo in parte dalla guerra commerciale, ma in realtà stritolata da dinamiche interne sia di natura strutturale che congiunturale. Tra quelle strutturali, comune a molte altre economie, vi è naturalmente la bomba demografica, ossia l’invecchiamento della popolazione che rappresenta di per sé un elemento di freno dell’economia (gli anziani consumano meno dei giovani, per dirla semplicemente).
Nel caso della Germania il vulnus è rappresentato dall’eccesiva dipendenza dal settore dell’auto: un comparto, questo, che sta attraversando cambiamenti epocali. Il primo su tutti in termini di volumi: le vendite di autovetture hanno raggiunto il picco nel 2017 a 86 milioni di unità rispetto agli attuali 76 milioni. Il trend in discesa si spiega anche nel fatto che tra i Millennials l’acquisto delle auto non rappresenta più un’ambizione che invece era forte nei giovani nati negli anni 60-70-80. Oggi fa più status tra i giovani avere un profilo Instagram con migliaia di follower che un’auto di grossa cilindrata.
A peggiorare il quadro è intervenuta poi la pessima gestione del passaggio verso l’auto elettrica sia per l’aver adottato standard di emissione dei gas di scarico particolarmente stringenti senza aver pronto un parco macchine di rimpiazzo adeguato, sia per non aver considerato la concorrenza della Cina: tanto per dare un’idea oggi sono due compagnie automobilistiche cinesi a detenere il 40% delle vendite mondiali di auto elettriche. L’Europa sulla tecnologia dell’elettrico rimane fortemente indietro. D’altro canto basta fare un giro a Shanghai per rendersi conto del gap in essere.
I tedeschi hanno poi commesso un altro errore madornale: aver innalzato i salari nel 2018 proprio nel momento in cui il made in Germany iniziava a rallentare. Tanto per dare un’idea, nel primo trimestre dell’anno, i salari tedeschi hanno assistito a un rialzo del 2,6% su base annuale a fronte dell’incremento dell’1,4% dei prezzi al consumo. Una dinamica, questa, che ha impedito alle aziende di scaricare a valle l’aumento del costi, comprimendone così gli utili. La nota tragica è che proprio il piano di stimolo annunciato nei giorni scorsi non farà altro che aggravare la situazione dato che penalizzerà ulteriormente vendite di auto alimentate a benzina e gasolio.
E’ dunque probabile che, al fine di ridare spazio di manovra alle imprese, il governo di Berlino possa alla fine cedere, aprendo a tagli fiscali sugli utili aziendali dato che il supporto dell’euro debole è stato notevolmente ridimensionato negli ultimi anni sia a causa della pressioni legate alla Brexit sia a causa del rallentamento dell’economia cinese che hanno portato la moneta unica ad apprezzarsi fortemente sia nei confronti della sterlina britannica sia in quello dello yuan (grafico in basso). Va ricordato a tal proposito come Cina e UK rappresentino i due mercati di riferimento per l’auto tedesca. E con la Fed oramai prossima a varare il QE4, anche la stagione del cambio EURUSD sotto 1.10 sta per volgere al termine.
La riottosità dei tedeschi nel dare il via a un piano fiscale espansivo dunque è in parte comprensibile: proprio come Pechino la cui trade war con Washington mette a rischio il proprio modello di business, al tempo stesso anche Berlino si trova attualmente davanti al dilemma di concepire un nuova visione di sé. Riusciranno di tedeschi in questa impresa? La storia non fornisce risposte particolarmente incoraggianti e il rischio che a forzare la mano in tal senso siano i mercati rimane elevato.
E in Italia? Il nostro paese pare abbia scelto per l’ennesima volta di non affrontare il tema del calo strutturale della produttività e soprattutto di come far diventare il paese business friendly, preferendo concentrarsi su approcci moralistici che non avranno alcun effetto sull’economia se non quella di danneggiare ulteriormente il consumatore. Una scelta, questa, che tradisce l’assoluta assenza di strategia figlia di un paese che rimane incompiuto senza alcuna chiara coscienza di sé, né di dove vuole andare.
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onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.