25 Giugno

Cronache dall'assedio alla lingua italiana

Il fallimento della scuola inizia dall'apprendimento della lingua. Un viaggio tragicomico di Marco Patricelli nel caos che inciampa nella pronuncia, tracima nei regionalismi, slitta sugli anglismi, crolla sul latino

di Marco Patricelli

Ennio Flaiano diceva che l’italiano è la lingua parlata dai doppiatori. Inguaribile ottimista. Oggi i doppiatori, oltre alla dizione impeccabile, hanno magari anche un titolo di studio, ma una marea montante sta corrodendo i pilastri della lingua italiana che, già da sempre stretta d’assedio dai regionalismi, sembra aver gettato al largo pure l’ingombrante madre nobile latina.

C’era una volta mamma Rai che prima di mandare un aspirante in video come annunciatrice o lettore di notiziari, faceva sciacquare i panni in Arno prendendo i candidati per la collottola e costringendoli a un'immersione totale di implacabili e inquisitori corsi di dizione. Ne sapeva qualcosa "Dentone" di Alberto Sordi, personaggio cinematografico impeccabile in tutto tranne che per quegli incisivi improponibili sul piccolo schermo, immune ai tentativi della commissione di farlo cadere nelle trappole linguistiche. Una caricatura, certamente, ma assai meno di quelle spontanee che furoreggiano sulle tv (al plurale) contemporanee, dalle etichette nazionali ma di ingredienti casarecci.

Basta chiudere gli occhi, lasciarsi guidare dalle orecchie ed ecco che agli immancabili romanesco e milanese del duopolio geografico e televisivo, si affiancano fantasiose variazioni sul tema con musicalità e cadenze marcate, dove la forma non viene rispettata se non nella denominazione d’origine controllata e garantita. Dal «gùl» del gol del Napoli, al «fassismo» del fascismo in salsa romagnola, dal bombardamento di «é» al posto di «è» del settentrionalismo rampante alle «ó» che scarrellano sulle «ò» al di sotto della Linea Gotica, dove la «guera» di Roma è una guerra aperta alla decenza. Ascoltare per credere un qualsiasi notiziario, più o meno generalista, più o meno velleitario. E non sarebbe ancora nulla se lo sbraco della lingua italiana non travolgesse pure la sua aristocratica antenata, quel latino cui persino l’erede moderno, l’inglese, deve all’incirca il 60 per cento dei lemmi. Qui l’autolesionismo esterofilo degli...


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