11 Gennaio
Dichiarano morto il populismo. Ma ne cercano uno progressista
L'establishment dopo aver ottimisticamente deciso che il sovranismo è finito, torna al pragmatismo e va a caccia di nuovi leader radicali da contrapporre ai nazionalisti. Marco Gervasoni racconta la genesi di una nuova figura: il progressista populista
di Marco Gervasoni
Forse sospinti dai buoni propositi, con l’anno nuovo abbiamo letto, su autorevoli organi anglosassoni del fu ordine liberale mondial(ista), dichiarazioni di prossima morte, o perlomeno inizio di malattia senile, del «populismo». Dal Financial Times al New York times, dall’Economist al Washington Post, è tutto un ritorno di Monsieur Pangloss, all’insegna de «il 2018 è stato l’anno migliore della umanità».
Editorialisti e commentatori per la verità non ci spiegano su quali basi concrete ed empiriche si basi la loro previsione riguardo la prossima scomparsa del «populismo». Certo, Trump in queste settimane si è infilato in un impasse, i dem minacciano l'impeachment, nel Regno Unito un accordo tra remainers conservatori e laburisti potrebbe addirittura cancellare la Brexit. Ma se tutto questo è vero, è facile prevedere che vi sarà una reazione dura, da parte del fronte «populista». In fondo, Trump fino ad ora è sempre riuscito a uscire dagli impasse capitalizzandoli, aprire una procedura di impeachment vuol dire fargli un favore e quanto alla Brexit una cabala parlamentare (noi diremmo: un ribaltone) produrrebbe probabilmente reazioni negli inglesi, che non sono teste infuocate come i francesi, ma una storia di piazza la possiedono: già oggi non passa giorno senza che yellow vests insultino fuori da Westminster i parlamentari ribaltonisti, soprattutto conservatori.
Sconfiggere i «populismi» utilizzando contro di loro istituzioni che hanno perduto parecchia legittimità non pare una strategia geniale: anzi, sembra pensata apposta per produrre una spallata finale a queste istituzioni. I nostri panglossiani di Financial Times, Economist, New York times si rivolgono poi all’Europa continentale. E lì, dal loro punto di vista, ci sarebbe poco da festeggiare: manifestazioni contro Orban, successo degli «anti nazionalisti» alle amministrative in Polonia, e poco altro. Ah sì, l’Afd non aumenta di voti in Germania. In romanesco si direbbe, consolarsi con l’aglietto.
Perché...
di Marco Gervasoni
Forse sospinti dai buoni propositi, con l’anno nuovo abbiamo letto, su autorevoli organi anglosassoni del fu ordine liberale mondial(ista), dichiarazioni di prossima morte, o perlomeno inizio di malattia senile, del «populismo». Dal Financial Times al New York times, dall’Economist al Washington Post, è tutto un ritorno di Monsieur Pangloss, all’insegna de «il 2018 è stato l’anno migliore della umanità».
Editorialisti e commentatori per la verità non ci spiegano su quali basi concrete ed empiriche si basi la loro previsione riguardo la prossima scomparsa del «populismo». Certo, Trump in queste settimane si è infilato in un impasse, i dem minacciano l'impeachment, nel Regno Unito un accordo tra remainers conservatori e laburisti potrebbe addirittura cancellare la Brexit. Ma se tutto questo è vero, è facile prevedere che vi sarà una reazione dura, da parte del fronte «populista». In fondo, Trump fino ad ora è sempre riuscito a uscire dagli impasse capitalizzandoli, aprire una procedura di impeachment vuol dire fargli un favore e quanto alla Brexit una cabala parlamentare (noi diremmo: un ribaltone) produrrebbe probabilmente reazioni negli inglesi, che non sono teste infuocate come i francesi, ma una storia di piazza la possiedono: già oggi non passa giorno senza che yellow vests insultino fuori da Westminster i parlamentari ribaltonisti, soprattutto conservatori.
Sconfiggere i «populismi» utilizzando contro di loro istituzioni che hanno perduto parecchia legittimità non pare una strategia geniale: anzi, sembra pensata apposta per produrre una spallata finale a queste istituzioni. I nostri panglossiani di Financial Times, Economist, New York times si rivolgono poi all’Europa continentale. E lì, dal loro punto di vista, ci sarebbe poco da festeggiare: manifestazioni contro Orban, successo degli «anti nazionalisti» alle amministrative in Polonia, e poco altro. Ah sì, l’Afd non aumenta di voti in Germania. In romanesco si direbbe, consolarsi con l’aglietto.
Perché lo fanno? Qui c’è un duplice problema, di carattere, direbbero i filosofi, gnoseologico e di carattere ermeneutico. Vediamo il primo. La conoscenza del reale. La confusione deriva dal fatto che molti cadono nell’essenzialismo, cioè confondono le cose con i nomi, e i nomi con le cose. Come scriveva il filosofo marxista Louis Althusser parafrasando Spinoza: «Una cosa è il Cane…altra cosa è il Cane reale…una cosa è il concetto di cane, altra cosa è il cane che abbaia. Il concetto di cane non abbaia».
Cosa voglio dire? Semplicemente che il «populismo» non esiste. Non è una cosa ma un nome, assegnato a un fenomeno che non si è in grado di capire, un nome con cui sono stati indicati una serie di movimenti, di personalità, di situazioni spesso molto eterogenei loro. Ora, in una logica nominalistica si potrebbe dire che neppure i popolari o i socialisti esistono e che anche in loro, soprattutto nei primi, le differenze spesso superino le somiglianze. Nondimeno, esistono organizzazioni che così si chiamano e si definiscono, esiste una tradizione politica, esistono programmi in cui gli attori politici cercano di adeguare il nome alla cosa, il dirsi socialisti con il cercare di esserlo. Popolari, socialisti, liberali, verdi si autodefiniscono con il rispettivo nome: sono loro a scegliersi di chiamarsi cosi.
Niente di tutto ciò con i cosiddetti «populisti» o anche «sovranisti». Trump, Bolsonaro, Salvini, Farage, Orban, ecc. ecc. sono «populisti» (o «sovranisti») perché gli altri li hanno definiti così. Nonostante le decine di migliaia di pagine sul populismo, nessuno è stato ancora in grado di convincere che si tratta di una cultura politica e di una ideologia formalmente coerente: tutt’al più il termine populismo si può accettare come stile di comunicazione, che in tal senso può essere però utilizzato anche da chi populista non è (in Italia ne abbiamo un esempio: Renzi).
Nè si tratta di un caso di immaturità del «populismo». La forza, che certo può tramutarsi in debolezza ma per ora non sembra, di tutti questi leader e movimenti assemblati (dagli altri) sotto lo stesso cartello sta nella loro ideologia dell’anti-ideologia. Una ideologia politica è sempre un modo di vedere il presente e l’indicazione di un mondo diverso e altro, a cui il progetto dovrebbe condurre. Da questo punto di vista i fenomeni che si riconoscono in Trump, Bolsonaro, Salvini, Le Pen sono, nonostante le apparenze, a bassa intensità ideologica: prendono i loro elettori così come sono e non intendono migliorarli e condurli verso chissà quali destini. In tal senso, essi sono radicalmente anti progressisti, non puntano al miglioramento dell’uomo, anzi sono critici verso tutti quei tentavi di forzarne il naturale decorso. Sono nazionalisti certo, ma diversamente da quelli ottocenteschi, non vedono la nazione come un traguardo di emancipazione o peggio come un mezzo di sopraffazione sulle altre, ma come un quadro, appunto naturale, a cui sarebbe meglio tornare. Siamo sicuri che tutto questo li renda più inattuali di movimenti politici, come quelli mainstream, popolari, socialisti, liberali, che invece possiedono una filosofia della storia ancora in buona parte finalistica e progressista, cioè ottocentesca?
L’ideologia anti-ideologica dei cosiddetti (dagli altri) «populisti» li porta a muoversi secondo una logica che non obbedisce alla regolarità razionalistica causa-effetto, che regola la politica come praticata in Occidente dall’Ottocento in poi. Da qui il secondo problema, di carattere interpretativo e ermeneutico e la sorpresa degli osservatori, anche di quelli non antipatizzanti, abituati tutti a ragionare obbedendo alle logiche razionalistiche, tratte dalla osservazione storica, dall’esperienza, dalla modellistica offerta dalla scienza politica. Da qui la difficoltà degli interpreti e degli attori politici mainstream, nel comprendere un fenomeno, quello «populista» di cui esiste solo il nome, che peraltro loro stessi gli hanno dato, mentre la cosa appare assai più sfuggente. Da qui il dividersi tra l’ammissione che i «populisti» sono qui per restare, che essi ormai costituiscono un attore stabile del panorama politico contemporaneo; ma, nello stesso tempo la convinzione (o meglio la speranza) che si tratti di fiammate di protesta, di sfoghi di febbre anche molto intensi, ma che alla fine si riassorbiranno, e tutto più o meno tornerà come prima.
Ma ci sono due problemi. Se molti continuano a leggere economicisticamente i movimenti cosiddetti populisti, cioè a considerarli dei meri effetti della crisi, dovrebbero spiegare come mai essi non siano spariti negli ultimi tre anni, quando la ripresa c’è stata, e perché dovrebbero indebolirsi ora, che nubi nere di recessione planano sull'economica globale. Il secondo problema, ancora più serio, è questo: gli osservatori e i politici mainstream non si rendono conto che, pur se alcuni leader populisti dovessero fallire, e persino crollare, al loro posto ne arriveranno altri, probabilmente ancora più «populisti».
I più intelligenti capiscono però che l’ondata di ottimismo di inizio anno è stato un wishful thinking. E che in ogni caso, può essere che i populisti crollino su loro stessi, sotto il peso della incapacità, ma intanto il mondo va e qualcosa bisognerà pure contrapporre loro. E allora colpiva negli stessi giorni e sugli stessi organi di stampa di cui abbiamo parlato all’inizio, leggere i grandi attestati di stima alla pre candidatura contro Trump della senatrice Elizabeth Warren (nella foto Ansa, in apertura) e grandi elogi ai freschi deputati dem che si professano non solo radical ma addirittura socialist.
Che l’organo della grande finanza globale come il Financial Times esalti una candidata autodefinitasi anticapitalista, ostile a Wall Street o che il New York Times inneggi a Alexandra Ocasio Cortez, favorevole a tassare le imprese e i guadagni finanziari all’80 per cento, tutto ciò potrebbe essere derubricato come la solita vague di progressismo politicamente corretto, che ormai si sta mangiando buona parte della cultura liberale (con la e finale).
Ma se questo aspetto è presente, è marginale. Dietro v'è un disegno più serio. Bisogna tenere presente che questi organi di stampa, diversamente dai nostri italiani ormai voce di una piccola, asfittica e marginale oligarchia, rappresentano davvero l'establishment globale e mondiale, globalista e mondialista. E quindi quando essi decidono di puntare su qualcuno, lo fanno a ragion veduta, anche se poi capita (sempre più spesso) che perdano.
Il disegno è semplicemente questo: per battere Trump nel 2020 e più in generale per «sconfiggere i populisti» non serve né un clone Clinton (la competente) né quello tecno populista alla Macron, su cui queste oligarchie avevano puntato tutto, ma che è miseramente franato. No, occorre contrapporre a un populista un altro populista. Che però conservi le basi dell'ordine che questa oligarchia vuole mantenere.
In effetti se uno osserva la retorica e il programma di Warren e di Ocasio Cortez i punti di contatto con Trump sono più delle differenze: stessa retorica dei pochi contro i molti, stessa idea della missione dell'America (no all’interventismo wilsoniano fondato sull’esportazione della democrazia e sul poliziotto globale), stessa denuncia della fine delle classi medie, stessa idea della corruzione dei politici a cui fa fronte l’azione del capo che «sente» la massa.
Certo le soluzioni sono diverse: a tutti gli effetti socialiste, dall’aumento delle tasse al servizio sanitario nazionale gratuito. Così come del tutto opposto a quello trumpiano il discorso sulla società: sì a immigrazione generosa (al limite del no border) sì al patchwork delle minoranze, sì al linguaggio politicamente corretto. Ne esce una sorta di Frankenstein, socialmente libertario e individualistico ma economicamente collettivista, laddove dagli anni Novanta del secolo scorso in poi la sinistra in Occidente ha fatto coincidere il discorso individualistico libertario, acquisito dagli anni Sessanta, con il liberalismo economico - e le due cose, in qualche modo, reggevano.
Questa strategia sembra essere presente anche in Europa: per molto tempo la finanza inglese ha corteggiato Jeremy Corbyn in chiave anti Brexit (anche se ora meno). Sul piano continentale, tuttavia, non sembrano essere a disposizione in Francia, Germania, Spagna, attori di questo tipo, anche se Alexis Tsipras e Pablo Iglesias di Podemos potrebbero prestarsi alla bisogna. E poi c’è un altro paese: il nostro. Che cosa sono infatti i Cinque Stelle se non una Warren o una Ocasio Cortez arrivati per tempo? Nè mi stupirei se uno Zingaretti vestito di rosso, novello segretario di un Pd corbynizzato, ricevesse sostegni importanti dalle oligarchie più varie. Sta di fatto che dovremo aspettarci nei prossimi mesi, da parte di settori di establishment che vogliono espellere o indebolire i cosiddetti populisti, la ricerca di un populista diverso: il populista progressista.
C’è un però. E se poi il populista progressista vincesse? Il suo programma open border può certo piacere alla oligarchia che lo sostiene ma a parte questo, tutto il resto sembra andare contro i suoi interessi. Goldman Sachs e tutta la finanza globale pensano però di saperne una più del diavolo, e immaginano che se dovesse vincere il populista progressista, loro sapranno controllarlo. In fondo non sono riusciti anche con Obama, che era partito su posizioni quasi alla Occupy Wall Street e invece ha implementato una politica che alla finanza globale molto ha regalato? E in Europa non è stato così, in piccolo, per uno Tsipras che, partito quasi comunista, ha finito per diventare indistinguibile dal più sbiadito popolare o socialista mainstream?
Può essere che vada ancora così. Ma può anche essere che, questa volta, i piani della oligarchia globalista franino, che essa non riesca a controllare il Frankenstein populista progressista: che arrivato alla Casa Bianca o a Downing Street egli cominci a infierire colpi venezuelani. Magari, prima di allora, una parte dell'establishment arriverà a pensare che, rispetto ai populisti rossi, quegli altri «neri» saranno nazionalisti, incompetenti e buzzurri: ma almeno non dicono, come invece i novelli Proudhon alla Warren, alla Corbyn e (si parva licet, alla Fico) che la proprietà è un furto.
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(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.