19 Marzo
Diritto e rovescio
La riforma in Israele e le manifestazioni contro Netanyahu, nonostante la distanza culturale e istituzionale, sono un'occasione per riflettere sul rapporto tra democrazia e tecnocrazia in Europa e in Italia. Serve un punto di equilibrio, con giusti pesi e contrappesi. È possibile solo avviando la riforma della Costituzione
di Fabio Cintioli
Quanto accade in Israele in questi giorni, stando alle cronache, è pressappoco il contrario di quel che presagiva la versione cinematografica morettiana di qualche tempo fa a proposito del ruolo dei giudici: mentre nella narrazione, un po' fantasiosa, dell’alligatore cui Nanni Moretti titolava il suo film (non uno dei suoi migliori, a ben vedere) il popolo finiva per rivoltarsi contro le iniziative giudiziarie, la riforma della giustizia di Netanyahu le piazze le ha riempite di manifestanti preoccupati di salvaguardare i poteri del giudiziario. Pensate che l’ex premier Ehud Barak ha esplicitamente chiamato i cittadini alla disobbedienza civile, giusto per capire il clima che si respira da quelle parti.
I toni decisi di questa riforma non possono che colpire l’attenzione di chi vive nel nostro ordinamento: si limitano in maniera consistente i poteri della Corte Suprema (l’equivalente della nostra Corte costituzionale), addirittura richiedendo maggioranze qualificate per annullare le leggi approvate dalla Knesset, aggiungendo il potere del Parlamento di confermare a maggioranza qualificata la legge che fosse stata dalla Corte comunque annullata e infine negando al giudice il potere di eliminare gli atti amministrativi che fossero ritenuti contrastanti con la clausola di “ragionevolezza”, vale a dire quella che viene solitamente utilizzata dai nostri TAR per vagliare gli atti governativi, regionali etc. Certo, il sistema israeliano è molto differente dal nostro, soprattutto perché lì non esiste una Costituzione ed è stata la stessa Corte che in via interpretativa ha individuato alcune leggi come “fondamentali” – e dunque intoccabili dalla Knesset – assumendosi il compito di segnarle e fissarne i confini e, quindi, elencare i diritti da tutelare e la loro misura.
Manifestazione in Israele contro la riforma della giustizia presentata dal governo Netanyhau (Foto Epa).La vicenda Israeliana, apparentemente così lontana da noi, per distanza geografica e per sensibilità...
di Fabio Cintioli
Quanto accade in Israele in questi giorni, stando alle cronache, è pressappoco il contrario di quel che presagiva la versione cinematografica morettiana di qualche tempo fa a proposito del ruolo dei giudici: mentre nella narrazione, un po' fantasiosa, dell’alligatore cui Nanni Moretti titolava il suo film (non uno dei suoi migliori, a ben vedere) il popolo finiva per rivoltarsi contro le iniziative giudiziarie, la riforma della giustizia di Netanyahu le piazze le ha riempite di manifestanti preoccupati di salvaguardare i poteri del giudiziario. Pensate che l’ex premier Ehud Barak ha esplicitamente chiamato i cittadini alla disobbedienza civile, giusto per capire il clima che si respira da quelle parti.
I toni decisi di questa riforma non possono che colpire l’attenzione di chi vive nel nostro ordinamento: si limitano in maniera consistente i poteri della Corte Suprema (l’equivalente della nostra Corte costituzionale), addirittura richiedendo maggioranze qualificate per annullare le leggi approvate dalla Knesset, aggiungendo il potere del Parlamento di confermare a maggioranza qualificata la legge che fosse stata dalla Corte comunque annullata e infine negando al giudice il potere di eliminare gli atti amministrativi che fossero ritenuti contrastanti con la clausola di “ragionevolezza”, vale a dire quella che viene solitamente utilizzata dai nostri TAR per vagliare gli atti governativi, regionali etc. Certo, il sistema israeliano è molto differente dal nostro, soprattutto perché lì non esiste una Costituzione ed è stata la stessa Corte che in via interpretativa ha individuato alcune leggi come “fondamentali” – e dunque intoccabili dalla Knesset – assumendosi il compito di segnarle e fissarne i confini e, quindi, elencare i diritti da tutelare e la loro misura.
Manifestazione in Israele contro la riforma della giustizia presentata dal governo Netanyhau (Foto Epa).La vicenda Israeliana, apparentemente così lontana da noi, per distanza geografica e per sensibilità culturale e assetto istituzionale, è in realtà decisamente interessante e ci riguarda più di quanto si possa pensare: come italiani e come europei. Rilancia infatti la dialettica – per molti aspetti fisiologica e salutare – tra democrazia e tecnocrazia, tra governo degli uomini (e dei parlamenti) e governo dei tecnici. Però, questa storia testimonia anche che in questi ultimi tempi la dialettica si va trasformando in tensione e in conflitto.
In Europa abbiamo avuto la questione Ungheria e Polonia, i due stati membri dell’UE che proprio dall’Unione sono stati accusati di violazione dello “Stato di diritto” per aver promosso una revisione degli equilibri istituzionali tra potere politico (inteso come Governo e Parlamento e dunque come maggioranza espressa dal voto contingente) e potere giudiziario. La messa a rischio dell’indipendenza della magistratura avrebbe compromesso il modello ispirato allo Stato di diritto che fonda l’Unione secondo l’articolo 2 del Trattato UE. Ungheria e Polonia obiettavano che lo Stato di diritto è un ideale o tuttalpiù un criterio orientativo, che non è mai pienamente raggiunto e che dunque andrebbe valutato in termini relativi: nessuno Stato raggiunge una dimensione perfetta del rule of law. In altre parole: non è detto che un grado “minore” di indipendenza del potere giudiziario implicasse di per sé una violazione dello Stato di diritto, perché Stato di diritto è anche quello assicurato dal Parlamento e che vede la centralità della sovranità popolare in perfetta salsa democratica. La Corte di giustizia UE (il 16 febbraio 2022) ha risposto che le riforme ungheresi e polacche avrebbero comunque posto a rischio lo Stato di diritto nel suo significato trasversale e universale, così come accolto dall’art. 2 Trattato UE, e che – notate bene – la Commissione UE ben poteva sanzionare Ungheria e Polonia perché questo indebolimento del potere giudiziario dava luogo ad una concreta violazione dello Stato di diritto che, a sua volta, avrebbe inciso sulla corretta gestione del bilancio UE. Secondo la Corte europea, uno Stato membro che avesse un potere giudiziario più debole, meno indipendente, meno attrezzato nel controllo di legalità sugli atti del Governo, provocherebbe infatti una peggiore gestione delle finanze e delle risorse pubbliche e una minore efficienza.
Guardando a noi, la tensione tra democrazia e tecnocrazia – per nobilitare un po' l’annoso e irrisolto conflitto tra politica e magistratura – è cosa ben nota. L’ultimo atto è l’inchiesta bergamasca sul Covid, nella quale è emerso, in modo forse più evidente che in altri casi, che una delle ragioni che sta a base dei conflitti riguarda una certa propensione ad interpretare le norme penali in modo ampio, sino a colorare la funzione del giudice di scopi sostanzialmente sociali e comunicativi che non dovrebbero appartenergli, a meno di amplificare certe idee manifestate negli anni ’70 sull’ “uso alternativo del diritto”. Poi, è ormai acquisito da tutti nel dibattito – politici e tecnici – che la cronica difficoltà di decidere e di muoversi con efficienza della nostra burocrazia vede nella “paura della firma” una delle principali ragioni. Questa paura, poi, dipende anche dall’allargamento delle varie forme di responsabilità dell’amministrazione – penali, civili, amministrative – che si è sviluppato pure attraverso le interpretazioni giudiziali.
Dunque, non è affatto detto, guardando al panorama italico, che il grado effettivo di indipendenza del giudiziario – o meglio, il punto di equilibrio che abbiamo raggiunto tra democrazia e tecnocrazia – sia sempre una salutare manifestazione dello Stato di diritto né che serva a migliorare l’efficienza amministrativa ed il miglior utilizzo delle risorse finanziarie, nostre e dell’UE (leggi PNRR). In verità, la definizione di cosa sia lo Stato di diritto è piuttosto difficile da sintetizzare. Il concetto evoca, nell’ordine, la reciproca “limitazione del potere” (di tutti i poteri, beninteso, nessuno escluso), la “conformità dell’azione dei pubblici poteri alla legge” (da interpretarsi con quali criteri e modalità?) e la preferenza al governo degli uomini del “governo delle leggi” (scritte da chi?). Interrogativi tanti, certezze poche, dunque.
Vi è sicuramente spazio anche per chi vede nella formula dello Stato di diritto un argine contro i populismi (declinati in senso negativo) ossia quella torsione del sistema democratico che derivasse da occasionali maggioranze che, conquistando il potere in periodi di crisi, propendessero per accenti totalitari: una concezione, quindi, che finisce per prediligere la tecnocrazia sulla democrazia, in perfetta sintonia con l’approccio della Corte di giustizia UE (a questo proposito è appena stato pubblicato un bel volume curato da Giuliano Amato, Benedetta Barbisan e Cesare Pinelli, dall’assai espressivo titolo Rule of Law vs Majoritarian Democracy). Non mi sembra però che questo debba esser l’unico approccio né l’unica dimensione della rule of law da tener presente e la nostra esperienza potrebbe dimostrarlo, come cercavo di spiegare prima.
Potremmo chiederci il perché, allora, in UE la preferenza per la dimensione giudiziale e tecnocratica sia apparsa così spiccata. La prima ragione sta, forse, nei tempi che viviamo, perché la globalizzazione ha tolto poteri effettivi ai Governi nazionali e lasciato loro tutt’intera la responsabilità politica, contribuendo a fare del giudiziario, agli occhi dei cittadini, un luogo più affidabile, al quale rivolgersi per chiedere la soddisfazione dei diritti, la cui produzione in catena di montaggio mai s’interrompe … com’è risaputo. La seconda ragione deriva, probabilmente, dalle stesse origini della costruzione europea: l’esigenza di evitare che l’uno Stato membro avesse prevalenza sull’altro ha dato la scena ad organi che si muovono secondo criteri “giuridici” e che sono pressoché tutti più tecnici, anziché politico-discrezionali, nel modo di affrontare le questioni; e questo tratto (che un tempo si soleva stigmatizzare col “deficit di democrazia”) è rimasto saliente nella produzione del diritto UE e nella sua attuazione, con buona pace del ruolo un po' formale del Parlamento UE, da ultimo pure ammaccato dalle indagini della magistratura belga. La terza ragione è la resistenza al cosiddetto sovranismo, ossia la spinta popolare nazionale che dopo la stagione di crisi inaugurata dal crack finanziario del 2008 punta ad incrinare la forza del meccanismo europeo.
I giudici della Corte Costituzionale si preparano a un'udienza pubblica (Foto Ansa).Il problema, però, è destinato a restare d’attualità anche sulle scene italiane, perché – dietro il tecnicismo dell’interpretazione giudiziale di questa o quella legge – si scorge una grande questione culturale e di costume istituzionale, dato che la crisi tra politica e giustizia risale almeno al 1992 e alla fine della Prima Repubblica. L’indipendenza della magistratura è un valore fondamentale e da proteggere, guai se l’indebolimento dell’ordine giudiziario desse luogo ad abusi istituzionali, e peggio ancora sarebbe rinunciare ad un controllo effettivo e indipendente sulle decisioni dell’amministrazione. Però, forse, sul punto di equilibrio e su cosa sia e debba essere lo Stato di diritto vale la pena di ragionare senza preconcetti. Non soltanto per la buona ragione che la “sovranità appartiene al popolo” come ricorda l’art. 1 della Costituzione e che il popolo parla attraverso il Parlamento e le leggi, ma anche per un’altra: il mondo sta cambiando, le nuove sfide geopolitiche sono evidenti e non è un caso che si vada parlando adesso della necessità di una sovranità europea (copyright Emmanuel Macron) e questo richiede una politica stabile, in grado di decidere, e responsabile ed un’amministrazione efficiente e capace di usare la sua discrezionalità.
Il dibattito sulle riforme dovrebbe aprirsi rapidamente e coinvolgere maggioranza ed opposizione. Una modifica attenta alle norme costituzionali sulla forma di Governo, che faceva parte del programma elettorale dell’attuale maggioranza, potrebbe aiutare a segnare il punto di equilibrio tra democrazia e tecnocrazia, con giusti pesi e contrappesi. Un ripensamento dei contenuti dell’autogoverno della magistratura che rispettasse un approdo rassicurante per tutti (penso, ad esempio, alle proposte bipartisan di qualche tempo fa sull’esportabilità del metodo di nomina della Corte costituzionale al Consiglio Superiore della Magistratura e sull’istituzione di una Corte disciplinare trasversale) potrebbe favorire un clima istituzionale più disteso e più adatto ai bisogni dei cittadini nella modernità. Di una cosa certamente non avremmo bisogno, che tutto diventasse una questione di piazze tra Guelfi e Ghibellini, nella quale la serietà delle proposte in campo fosse svilita (magari evocando alligatori o nuovi tipi cinematografici) da contrapposizioni che servirebbero solo a mantenere i difetti dello status quo. Non si tratta di girare un film, ma di migliorare la salute istituzionale della nostra Nazione e dell’Europa.
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immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.