1 Giugno
Fare (e disfare) la giustizia
La scarcerazione del boss Giovanni Brusca, l'inchiesta sulla strage della funivia, la sentenza nel processo ex Ilva. Tre casi, un'emergenza, quella della riforma della Giustizia. Bankitalia, la sfida italiana e l'economia in tre grafici. La rivoluzione cinese è in culla. La palla era tonda, su calcio, vita e letteratura
Che succede? Il problema della giustizia sta esplodendo come una supernova. Abbiamo già scritto dell'inchiesta sulla strage della funivia, stamattina il giudice per le indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici, si è rivolta così ai cronisti: "Dovreste ringraziare, ed essere felici di vivere in un sistema così, in uno Stato in cui il sistema fa giustizia o è una garanzia e invece sembra che non siate felici. L'Italia è un paese democratico". Banci Buonamici ha ragione, ma qui siamo all'impazzimento del sistema. Abbiamo un po' di storie che lo provano. Seguite il titolare di List.
01
Pena, pentimento e giustizia
Giovanni Brusca, un assassino, uno stragista, l'uomo che ha premuto il pulsante che ha fatto esplodere il tritolo della strage di Capaci, il mafioso che ha ucciso Giovanni Falcone, il mostro che ha ordinato di strangolare e poi sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo (per dare una "lezione" al padre, il pentito Santino Di Matteo), quello disse che bisognava "sbarazzarsi del cagnuleddu". Lo strangolarono con una corda, lo fece il fratello, Enzo Salvatore Brusca. Poi lo sciolsero nell'acido. Si pentì prima lui, Enzo Salvatore, e poi Giovanni, detto "u Verru", il porco, lo "scannacristiani".
Quest'uomo, dopo 200 omicidi (tra confessati e sospettati) e 25 anni di prigione è uscito dal carcere di Rebibbia. Lo hanno premiato, perché si è "pentito" (parola da non usare più, è un "collaboratore di giustizia", il pentimento è dell'anima e quella di Brusca fa orrore). Aveva fatto un accordo con lo Stato, le sue informazioni sono state preziose nella lotta alla mafia, dicono. Crediamo alle istituzioni, crediamo nella legge. Va rispettata. Resta solo una domanda resta sul taccuino del cronista: cosa dirà l'uomo della strada di fronte a questa storia agghiacciante dove il colpevole esce dalla cella e i morti si rivoltano nella tomba? Il sentimento comune è semplice, ma...
Che succede? Il problema della giustizia sta esplodendo come una supernova. Abbiamo già scritto dell'inchiesta sulla strage della funivia, stamattina il giudice per le indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici, si è rivolta così ai cronisti: "Dovreste ringraziare, ed essere felici di vivere in un sistema così, in uno Stato in cui il sistema fa giustizia o è una garanzia e invece sembra che non siate felici. L'Italia è un paese democratico". Banci Buonamici ha ragione, ma qui siamo all'impazzimento del sistema. Abbiamo un po' di storie che lo provano. Seguite il titolare di List.
01
Pena, pentimento e giustizia
Giovanni Brusca, un assassino, uno stragista, l'uomo che ha premuto il pulsante che ha fatto esplodere il tritolo della strage di Capaci, il mafioso che ha ucciso Giovanni Falcone, il mostro che ha ordinato di strangolare e poi sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo (per dare una "lezione" al padre, il pentito Santino Di Matteo), quello disse che bisognava "sbarazzarsi del cagnuleddu". Lo strangolarono con una corda, lo fece il fratello, Enzo Salvatore Brusca. Poi lo sciolsero nell'acido. Si pentì prima lui, Enzo Salvatore, e poi Giovanni, detto "u Verru", il porco, lo "scannacristiani".
Quest'uomo, dopo 200 omicidi (tra confessati e sospettati) e 25 anni di prigione è uscito dal carcere di Rebibbia. Lo hanno premiato, perché si è "pentito" (parola da non usare più, è un "collaboratore di giustizia", il pentimento è dell'anima e quella di Brusca fa orrore). Aveva fatto un accordo con lo Stato, le sue informazioni sono state preziose nella lotta alla mafia, dicono. Crediamo alle istituzioni, crediamo nella legge. Va rispettata. Resta solo una domanda resta sul taccuino del cronista: cosa dirà l'uomo della strada di fronte a questa storia agghiacciante dove il colpevole esce dalla cella e i morti si rivoltano nella tomba? Il sentimento comune è semplice, ma non perché è semplice può essere considerato basso, di nessun conto. Siamo di fronte al difficile bilanciamento tra la ragione, la legge e il senso della giustizia che ha bisogno di buonsenso.
Qualche giorno fa, nel carcere dell'Ucciardone, a Palermo, il presidente della Repubblica ha ricordato le stragi, l'uccisione di Falcone e Borsellino, l'importanza di non dimenticare. Tutto vero, tutto giusto. Poi succede il fatto che polverizza ogni retorica, perché è vero che lo Stato forte deve saper perdonare o negoziare anche qualcosa di (in)dicibile per un fine più grande (la lotta a Cosa Nostra), ma il cuore conta, l'anima non legge i codici penali, guarda negli occhi e riconosce il bene e il male. Brusca si è "pentito", ma nessuno sa cosa ci sia nella sua mente, fa tremare i polsi la sola idea che uno come lui, dopo i prossimi 4 anni di libertà vigilata, possa andare al bar, sedersi al tavolino, bere un caffè, parlare con qualcuno, ordinare qualcosa.
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La giustizia nel nostro paese è un affare complicato, una trama affidata al giudice che la tesse sempre più spesso come preferisce. La magistratura dentro (e perfino fuori, come abbiamo visto) la legge trova i suoi escamotage per applicare non la legge ma la sua personalissima visione del mondo. Così il giudizio diventa pre-giudizio. E così stamattina ci troviamo di fronte ai 25 anni dello stragista mafioso Brusca e ai 22 anni, 21 anni, 20 anni dati ai Riva e ai loro collaboratori per il processo all'ex Ilva. Acciaio, inquinamento, lavoro, salute, storia passata e recente. Il Sud, Taranto. E una sentenza che appare abnorme.
02
Processo ex Ilva. Ciak, "Tutti dentro"

L'altra storia che tocca un pezzo di quella che fu la galassia delle Participazioni Statali è quella dell'Ilva, l'acciaio che fu di Stato. Si è giunti alla sentenza in Corte d'Assise a Taranto e siamo di fronte al populismo giudiziario all'ennesima potenza: 22 e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, gli inquinatori, colpevoli con il solo dettaglio dimenticato che a loro volta comprarono la Finsider dello Stato inquinatore e in bancarotta, siamo di fronte una raffica di condanne pesantissime e sproporzionate, con perfino l'ex presidente della Regione Nichi Vendola - che il titolare di List conosce e riconosce come persona perbene e chiunque abbia un po' di memoria può ricordare quanto fece contro l'inquinamento dell'Ilva - condannato a 3 anni e 6 mesi. Il mondo capovolto. Sembra il film di Alberto Sordi, "Tutti dentro". Perfino a chi faceva un altro mestiere in azienda, il consulente per le relazioni istituzionali, Girolamo Archinà, è finito sotto il giogo di una condanna a 21 anni e 6 mesi (e l'accusa ne aveva chiesti 28). Il suo difensore, un fine giurista e un galantuomo, Giandomenico Caiazza, che è presidente delle Camere Penali, il più importante organismo associativo dell'avvocatura, dipinge bene quanto è accaduto, bastano gli elementi scenici:
È una sentenza totalmente adesiva alla ricostruzione accusatoria come se le parole della difesa non fossero esistite in questi cinque anni. Non c'è nemmeno una virgola che sia stata spostata. La cosa era rappresentata scenograficamente da una cosa che per la mia esperienza di avvocato è unica c'era solo al centro il banco dell'accusa. È la prima volta che vedo attrezzata un'aula col solo banco dell'accusa. Il banco della difesa nemmeno simbolicamente. Nemmeno a fianco. L'emergenza pandemia? Evidentemente vale solo per i difensori perché se si attrezza un'aula, si mette il banco dell'accusa e quello della difesa da che mondo è mondo. Solo in questo processo ho visto al centro il banco dell'accusa e i difensori si arrangino. Questa è la migliore fotografia di questo processo. È una vicenda giudiziaria interamente appaltata all'accusa con una interlocuzione esclusivamente con l'accusa. Noi parleremo con i nostri atti di impugnazione. Siamo sicuri che prima o poi, speriamo più prima che poi, qualcuno ci ascolti.
Tutto questo non fa fare un plissè ai partitanti che applaudono. Sono gli stessi che chiedono una riforma della magistratura, ma si tratta di parole, perché quello che conta è inseguire i consensi, gli applausi, gli sputi, le grida, il clamore. Un politico serio, Guido Crosetto, ha manifestato il suo sdegno per la condanna di Vendola:

Vendola, un politico che fece battaglie d'avanguardia sui diritti, le minoranze discriminate, la politica per l'ambiente, quando nessuno le faceva, oggi condannato. Lasciato al suo destino dalla sinistra, con il collo sulla ghigliottina processuale e mediatica. Tutti dentro.
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La giustizia va riformata, fa parte del programma del Recovery Plan. Tutti i fili sono collegati. Ieri il governatore di Bankitalia ha tratteggiato lo scenario in cui siamo immersi.
03
Gli invisibili. L'ascesa della povertà
C'è un passaggio nelle "considerazioni finali" del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che va tenuto a mente, la scheggia di uno scenario terribile che dobbiamo combattere:
Si stima che sia tornato a salire, per la prima volta in oltre 20 anni, il numero delle persone che nel mondo versano in povertà estrema, pari oggi, secondo la Banca mondiale, a circa il 10 per cento della popolazione, con un incremento di oltre 100 milioni nell’ultimo anno.
Ecco il grafico del report della Banca mondiale citato da Visco, guardate che balzo fa la curva della povertà:

Sono cose che sembrano "invisibili" nelle economie avanzate, ma se passeggiate osservando con attenzione cosa vi circonda, noterete le attività chiuse, l'aumento delle persone che fanno la fila per il pane, gli ultimi che non si vedono, sono silenti, hanno la paura della fame negli occhi. L'Italia, il mondo, non è quello dipinto nei talk show, non viviamo su Instagram.
04
Tre sfide oggi e domani: crescita, conti pubblici, giovani
Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha svolto le rituali "considerazioni finali", le riassumiamo in un paio di grafici, accompagnati dalle parole di Visco, che spiegano dove e come ci troviamo all'uscita dalla pandemia. Cominciamo con un'introduzione di scenario:
La pandemia ha avuto in tutto il mondo un costo altissimo in termini di vite umane. Il suo contenimento ha richiesto restrizioni alle libertà individuali e ha condizionato in modo profondo la vita di tutti. Per molti ha determinato la perdita dell’occupazione; ha modificato i rapporti interpersonali, le modalità di studio, di produzione e lavoro, di impiego del tempo libero. Sul piano economico la recessione che ne è conseguita è la più grave dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nel 2020 la diminuzione del prodotto globale è stata pari al 3,3 per cento, con effetti eterogenei tra aree geografiche, settori produttivi, imprese e famiglie; ancora più ampia, quasi del 9 per cento, è stata la caduta del commercio internazionale, caratterizzata da una temporanea interruzione delle filiere produttive, cui si è associato un forte calo dei flussi turistici. La perdita di occupazione ha colpito in misura più marcata i giovani, le donne, i lavoratori precari.
Come si riprenderà la produzione? Quale sarà l'evoluzione della curva del Pil mondiale?

La crescita del prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe riprendere vigore nella seconda parte dell’anno superando, nelle stime più recenti, il 4 per cento nella media del biennio 2021-22, dopo la caduta del 6,6 nel 2020. Questo scenario sconta ulteriori progressi nelle campagne di vaccinazione e una favorevole evoluzione dei contagi; continua a dipendere dal mantenimento degli interventi di sostegno all’economia. Benché in ripresa, principalmente per il rincaro delle materie prime, le prospettive a medio termine dell’andamento dei prezzi al consumo restano deboli: le aspettative che ampi margini di capacità produttiva inutilizzata persistano a lungo frenano la dinamica dei salari e il ritorno dell’inflazione su livelli congruenti con l’obiettivo di stabilità dei prezzi.
Sono ottime previsioni, ma ci sono rischi di inflazione concreti che si stanno già manifestando e impattano sulla forza della ripresa. Tutti hanno fatto ricorso al debito per fronteggiare l'emergenza, l'Italia ha emesso centinaia di miliardi di nuovo debito e il disavanzo è cresciuto in maniera più alta rispetto alla media dell'Eurozona, siamo vicini al 10%, un numero impensabile in era pre-pandemica:

Alla fine di quest’anno il rapporto tra debito pubblico e prodotto sarà prossimo al 160 per cento, un livello raggiunto in Italia solo all’uscita dal primo conflitto mondiale, di quasi 60 punti superiore a quello medio dell’area dell’euro. L’alto debito costituisce un’intrinseca fragilità: espone l’Italia al rischio di shock finanziari, crea un’incertezza di fondo che si riflette sugli oneri di finanziamento e scoraggia l’investimento privato. Anche per questo le risorse europee dovranno dare frutti importanti e duraturi.
Il nostro futuro è affidato a una crescita robusta e investimenti efficaci, senza una politica di crescita, avremo problemi di stabilità dei conti e difficoltà per il sistema finanziario quando i tassi saliranno. Quando si parla di futuro, si pensa ai giovani, guardate qui:

Da una formazione adeguata dipende la possibilità per le imprese di fare leva su lavoratori e dirigenti qualificati. Dalla qualità complessiva del sistema dell’istruzione e di quello della formazione dipende la possibilità di accelerare l’inserimento nel mercato del lavoro e di favorire il miglioramento delle conoscenze lungo l’intera vita lavorativa. In Italia oltre 3 milioni di giovani tra i 15 e 34 anni non sono occupati, né impegnati nel percorso di istruzione o in attività formative; si tratta di quasi un quarto del totale, la quota più elevata tra i paesi dell’Unione europea. Se ne deve tener conto nel ridefinire le priorità per lo sviluppo economico e sociale e nel dirigere l’impegno verso la costruzione di una economia davvero basata sulla conoscenza, il principale strumento a disposizione di un paese avanzato per consolidare e accrescere i livelli di benessere.
Crescita, stabilità dei conti pubblici, investimenti e giovani. La sfida è tutta qui e si tratta di un'impresa per la quale serve una classe dirigente. C'è Draghi, ma l'intendenza seguirà? O faranno spallucce, penseranno che la nuttata è passata? Niente sarà come prima.
05
Blocco dei licenziamenti. Siamo solo noi
Tutto fermo, il mercato del lavoro per le imprese è congelato da oltre un anno, il governo ha trovato una mediazione per chiudere la cassa integrazione senza licenziamenti entro il 1° luglio, da quella data finisce la Cig-Covid e per le imprese non ci sarà più il divieto di licenziare. Ma dopo l'accordo i partiti hanno ripreso a parlarne, a agitare lo specchio delle illusioni, insieme ai sindacati stanno cercando di fare pressione su Palazzo Chigi, su Draghi. Per le imprese è un pericolo perché forzare le regole del funzionamento dell'economia finisce prima o poi per far saltare tutto. "Il blocco dei licenziamenti è una misura che stiamo adottando solo noi a livello planetario", dice il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che avvisa i partitanti: "Siamo col blocco da febbraio 2020, noi ci riconosciamo perfettamente nella mediazione fatta dal presidente Draghi, che è stata equilibrata, saggia", ma, ha aggiunto, "se si vuole creare polemica, non ci compete". Finisce il 1° luglio, si torna al mercato, senza provvedimenti che sono una finzione insostenibile a lungo termine. Il problema è che i partiti stanno pensando già al voto (prima scadenze, le elezioni amministrative in autunno) quindi ecco Matteo Salvini allinearsi a Maurizio Landini della Cgil e chiedere una riapertura del negoziato, ecco Enrico Letta dire che il Pd voleva di più ma è stata la Lega a lasciare soli i dem. Siamo al punto 1 di List, i partiti non hanno compreso che stiamo pattinando sul ghiaccio, è sottile, può spezzarsi.
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Qual è la notizia più importante della giornata sul piano geopolitico? Viene dalla Cina, è in culla.
06
Rivoluzione in culla. La Cina permetterà di avere tre figli
C'era una volta la politica del figlio unico, poi venne quella dei due figli e ora... la Cina darà alle famiglie la possibilità di avere tre figli per contrastare l'invecchiamento della popolazione e la bassa natalità. A Pechino sono arrivati rapidamente al dunque della loro storia demografica, sono ai livelli dei paesi più vecchi del mondo, Italia, Giappone, Germania, e per vincere la sfida con gli Stati Uniti non possono essere una nazione dagli anni d'argento. Servono i giovani. "Per rispondere all'invecchiamento della popolazione, il Paese introdurrà importanti politiche e misure", hanno annunciato i dirigenti politici del Politburo, l'Ufficio politico del Comitato centrale del Partito Comunista, di cui fa parte lo stesso segretario generale, Xi Jinping. Le conseguenze del calo demografico cinese sono arrivate come saette, il gigante della politica del figlio unico è in marcia verso un altro obiettivo contrario, convincere i cinesi a fare figli, non è andata bene con la politica dei due figli, si prova con tre.

Ripubblichiamo i dati dell'ultimo censimento:
- La popolazione totale della Cina nel 2020 è pari a 1,41 miliardi di persone, nel 2010 a quota 1,34 miliardi;
- La popolazione cinese è cresciuta del 5,38% dal 2010 al 2020 contro una crescita del 5,84% registrata tra il 2000 e il 2010;
- Il 17,95% della popolazione cinese nel 2020 ha un'età di 14 anni o è nella fascia dei giovani, contro il 16,6% del 2010;
- Il 13,5% dei cinesi nel 2020 ha un'età di 65 anni o superiore, contro l'8,87%% del 2010;
- Gli uomini in Cina rappresentano il 51,24% della popolazione, le donne sono 48,76% della popolazione:
- Il 63,89% dei cinesi nel 2020 vive nelle aree urbane, contro il 49,7% del 2010.
Cosa ci dicono questi dati? Che la popolazione cinese continua a crescere, ma sempre più lentamente; che la quota di giovani è aumentata, ma un sistema che pianifica tutto, presto dovrà porsi il problema della grande crescita delle classi di anziani; che la migrazione nelle aree urbane è un fenomeno imponente legato allo sviluppo rutilante del paese. Segnali di crisi? L'invecchiamento, prima di tutto, la società cinese prima o poi si troverà di fronte al tema della sedentarietà, della senilità e dell'emergenza dell'assistenza degli anziani. Della sopravvivenza di un esperimento sociale con rischi crescenti per la stabilità del paese. "La quota di bambini è cresciuta ancora - commenta l'Ufficio Nazionale di Statistica - dimostrando che gli aggiustamenti alle politiche di fertilità della Cina hanno raggiunto risultati positivi". La quota di popolazione di 60 o più anni di età si è ulteriormente espansa negli ultimi dieci anni, registrando una crescita del 5,44%, è a quota 264,02 milioni di persone, equivalenti al 18,7% del totale della popolazione. L'invecchiamento, commenta l'istituto di Pechino, "ha imposto una continua pressione sullo sviluppo equilibrato di lungo termine della popolazione negli anni a venire".
Conseguenze? Ci sono segni di logoramento di tipo "occidentale", il capitalismo cinese in ogni caso "consuma" lo spirito, lo avvicina a quello in piena crisi dell'Occidente, pur in presenza di una dottrina come il confucianesimo che pone "ordine" nella società cinese, l'esperimento sociale di Pechino mostra le sue crepe.
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Come chiudiamo questo numero di List? Diamo un calcio a tutto.
07
La palla non è tonda (ma a volte lo è)
I saggi della tribuna dicono che la palla è tonda (e non lo è). Ma in quel detto c'è l'idea che alla fine tutto torni, che la perfezione del racconto si realizzi. L'11 giugno inizia il campionato europeo di calcio, si comincia allo Stadio Olimpico, Roma, Italia-Turchia. Il calcio non è "tifo", è qualcosa che ti insegna a vivere, a stare nel mondo dando importanza al valore e al talento. È un amore che non si spegne perché onesto fin dal primo giorno, ti prende e non ti lascia, ti promette la vita e te la dà e tu non puoi far altro che stare al suo gioco, alle sue regole, al suo schema che va continuamente sotto porta, la ricerca del gol. Ho "visto" il mio primo incontro di calcio all'Amsicora, un ricordo in bianco e nero, quello di un bimbo. Poi un lampo, sono gli anni Settanta, il prato verde dello Stadio Sant'Elia. Cagliari. La palla era tonda.

Mio padre la domenica notte rientrava a casa, a Cabras, e diceva tre parole magiche: "Fiu a Casteddu", ero a Cagliari. Andava con gli amici a vedere il grande Gigi Riva, rombo di tuono. Per me era il levarsi di un sipario che faceva scintillare le scarpette nere, i nomi evocavano dribbling, colpi di testa, incursioni in area, Pietro Paolo Virdis, Gigi Piras, Franco "Spadino" Selvaggi. Riva non c'era più. Lo conobbi molti anni dopo, quando andai a fare il direttore a L'Unione Sarda, avevo poco più di trent'anni. Eravamo ragazzini, con i miei fratelli ci siamo strafatti tutti i campionati, serie A, serie B, serie C. Promozioni e retrocessioni, tutto. Il campionato in serie C fu epico, la panchina era di Claudio Ranieri. Fu il nostro Leicester, dalla serie C alla serie A. Quante storie. La palla era tonda.
La vita è un via vai di incroci. Oreste Lamagni, terzino del Cagliari che sembrava eterno, inamovibile, venne ad allenare la squadra del mio paese, la San Marco. Io giocavo nella formazione giovanile, dopo aver militato nella Libertas e poi nel F.C. Cabras. La San Marco una bellissima squadra del campionato "allievi" e mi ritrovai ad allenarmi con "i grandi" e lì mi sono fermato. Ero un marcatore, un terzino, prendevo la punta della squadra avversaria e cercavo di non farle toccare palla. Avevo "l'entrata" garibaldina, molto fiato, tecnica da difensore che partiva dalla fascia, arrivava fino in fondo e crossava per la punta, la porta era per gli altri, non avevo il fiuto dell'attaccante, mi piaceva giocare dietro, difendere e impostare l'azione. La "zona" era roba degli olandesi, una cosa da distesa di tulipani, un gioco da Cruyff. Colori rossoneri, la San Marco era fortissima, sfiorò il salto nel calcio professionistico, ma il movimento dei dilettanti stava per scivolare nel crac del sistema, soldi, soldi, soldi. E in un paesino della Sardegna che vive di pesca e agricoltura i soldi sono pochi e incerti. Crac. La palla era tonda.
Andò bene e poi andò malissimo, la squadra scomparve dopo anni di bel calcio. Oreste Lamagni era una gran persona, raccoglieva i ragazzini per andare a giocare con la squadra decimata, la società in declino, "i grandi" in rotta di collisione con il denaro. Era una bandiera del Cagliari e questo bastava a sognare in piena povertà. Non giocai più a calcio da quell'anno, il calendario era quello della stagione 1987/1988. Mai più. Fu un dolore necessario, il calcio non era il mio destino. Mi dedicai allo studio e al lavoro, alla sopravvivenza e alla scrittura. Fu l'ultimo passo della felicità che si materializzava su campi di terra spianata dai trattori, scartavetrati con la pioggia, tosti come la pietra sa essere sotto il sole della Sardegna, erba da pascolo stropicciata, a zolle impastate. Fango, polvere e gol. La prima partita, campionato "pulcini", società Libertas Cabras, secoli fa, avevamo solo le maglie blu, il resto era guardaroba personale di fortuna e multicolore, creativo dai pantaloncini ai calzini, cominciai a tirare pedate al pallone in un campetto nella zona di Santa Petronilla che era stato visitato poco prima da un gregge di pecore. Esordio come ala destra per chiaro errore di valutazione delle (poche) qualità tecniche del "pulcino". Come scriveva Sergio Atzeni in"Passavamo sulla terra leggeri":
Chiamavamo noi stessi s'ard, che nell'antica lingua significa danzatori delle stelle.
Danzavamo da piccoli che (non) sarebbero diventati grandi. E la palla era tonda.
Ho scritto di calcio per lavoro, per passione, per gioco, per la necessaria evasione in poesia dal mondo della prosa brutale, per uscita a razzo dalla politica, dall'economia, dagli esteri. Era (è) la via più breve per entrare nella letteratura senza dichiararlo, senza doversi qualificare con la penna dello scrittore, peggio che mai quella dell'intellettuale. Così il calcio è rimasto, intermittente, a volte con il pieno disinteresse di chi non ha tempo per quella cosa dominata dall'eccesso, poi con l'amore risvegliato dal letargo, ruggente e sorridente, un pieno di carburante che brucia e ti fa volare. Ora ci siamo ancora, tutto è pronto, parte il campionato europeo e zac! riecco il bisogno di scriverne, è un segnaposto degli anni che passano. La palla era tonda.

Il calcio è letteratura. Ci sono tanti libri che raccontano questa storia che non finisce mai. Valerio Magrelli, un grande scrittore italiano, ha versato in prosa autobiografica l'acqua del football, la sua passione senza fine. Il libro si intitola "Addio al calcio" e come tutti gli amori che non ti lasciano è un addio che si rinnova ogni giorno. Magrelli fa 90 minuti d'incontro, due tempi da 45 minuti, che corrispondono a 90 quadretti di vita. Al diciannovesimo minuto del secondo tempo succede questo:
Palleggi, palleggi in un pomeriggio d'estate. Quel bambino concentrato, solo col suo pallone, era capace di passare ore, pur di superare il numero di tocchi che si era prefissato. Non allegro, ma assorto, pienamente consacrato al mio compito. Una buona approssimazione alla felicità. Forse per questo ho cominciato a scrivere poesie.
Fui un bambino come quello. La palla era tonda.