6 Maggio
Finito l'impero, resta la Corona
La solenne incoronazione di Carlo III è un grande spettacolo, ma anche l'ultima illusione su un tempo che non tornerà mai più. Settanta anni dopo Elisabetta, la nazione è in difficoltà e la casa reale di Windsor alimenta i tabloid. Un controcanto alla retorica
di Marco Patricelli
La forza della monarchia britannica sta tutta nella sua debolezza. È come scendere in una cantina che custodisce e preserva bottiglie di pregio, alcune delle quali non saranno mai bevute perché servono solo a essere messe in mostra, dove i profumi dei legni pregiati e del passaggio del mosto non riescono a nascondere la pervasività degli effluvi delle muffe e delle fioriture di salnitro alle pareti. L’incoronazione di Carlo III a un’età in cui di solito i sovrani abdicano per ricambio generazionale di sangue e di idee è il fedele specchio della Gran Bretagna, dove sono sparite le bombette ma non la corona e la caccia alla volpe non se la passa bene, ma sta sicuramente meglio dei Windsor. La monarchia britannica è allo stesso tempo l’orgoglio della storia e la sua negazione, è la lancetta ferma sul quadrante del tempo nell’ora dello splendore e fa finta che la polvere non si sia mai depositata da allora: una lustratina ed è tutto come prima, secondo i tempi che non torneranno più.
La cerimonia formale di ascesa al trono del figlio di Elisabetta II l’Eterna rispecchia la discronia di un impero diventato regno che ha sempre meno appeal tra le giovani generazioni sedotte da un egualitario repubblicanesimo, e odora di nostalgismo tra le vecchie che lodano i bei tempi andati. È sufficiente riflettere che Elisabetta successe al padre nel 1953, 70 anni fa, otto dalla fine della seconda guerra mondiale, con la tv in bianco e nero. Non c’erano i Beatles, neanche la minigonna di Mary Quant, che furono elevati al rango di baronetti per meriti musical-modaioli. Dieu et mon droit è il fossile di un’epoca (quella di Enrico V, XV secolo), riesumato da una ritualità disneyana di spettacolo in mondovisione, come un qualsiasi prodotto di merchandising da...
di Marco Patricelli
La forza della monarchia britannica sta tutta nella sua debolezza. È come scendere in una cantina che custodisce e preserva bottiglie di pregio, alcune delle quali non saranno mai bevute perché servono solo a essere messe in mostra, dove i profumi dei legni pregiati e del passaggio del mosto non riescono a nascondere la pervasività degli effluvi delle muffe e delle fioriture di salnitro alle pareti. L’incoronazione di Carlo III a un’età in cui di solito i sovrani abdicano per ricambio generazionale di sangue e di idee è il fedele specchio della Gran Bretagna, dove sono sparite le bombette ma non la corona e la caccia alla volpe non se la passa bene, ma sta sicuramente meglio dei Windsor. La monarchia britannica è allo stesso tempo l’orgoglio della storia e la sua negazione, è la lancetta ferma sul quadrante del tempo nell’ora dello splendore e fa finta che la polvere non si sia mai depositata da allora: una lustratina ed è tutto come prima, secondo i tempi che non torneranno più.
La cerimonia formale di ascesa al trono del figlio di Elisabetta II l’Eterna rispecchia la discronia di un impero diventato regno che ha sempre meno appeal tra le giovani generazioni sedotte da un egualitario repubblicanesimo, e odora di nostalgismo tra le vecchie che lodano i bei tempi andati. È sufficiente riflettere che Elisabetta successe al padre nel 1953, 70 anni fa, otto dalla fine della seconda guerra mondiale, con la tv in bianco e nero. Non c’erano i Beatles, neanche la minigonna di Mary Quant, che furono elevati al rango di baronetti per meriti musical-modaioli. Dieu et mon droit è il fossile di un’epoca (quella di Enrico V, XV secolo), riesumato da una ritualità disneyana di spettacolo in mondovisione, come un qualsiasi prodotto di merchandising da mettere in vetrina a fare cassa, e questa è una delle poche certezze. Infatti il teatrino della contemporaneità, una fiction senza fiction, con una sceneggiatura seriosa e arzigogolata che passa da due chili di oro e preziosi sulla testa all’unzione crismatica e alla benedizione solenne, e alla richiesta ai sudditi di prestare un giuramento purchessia, anche via social va bene. Sudditi, nel XXI secolo, come se la rivoluzione francese non fosse mai avvenuta, né l’aborrito Napoleone avesse diffuso in Europa i codici sulla punta delle baionette. Conta solo Waterloo, conta Trafalgar Square, conta Churchill, conta il navigare necesse est e guardare al mondo come un’appendice dell’Isola. Rule Britannia è un canto rivolto all’indietro, alla grandezza di chi ha conquistato mezzo di quello e di questo mondo, ha imposto la lingua come il nuovo latino e il Common Law, ha perso battaglie ma ha vinto tutte le guerre, persino quella che ha distrutto l’impero, suicidatosi sull’altare della sconfitta di Hitler.
La convinzione di dominare acque e terre l’ha affidata a James Bond quando già le vere superpotenze erano altre e il ruolo era perso per sempre: un conto è combattere e vincere la guerra fredda come i cugini americani separati dalla stessa lingua (Churchill dixit), un conto è riprendersi dall'Argentina sassi e pecore alle Falkland, ultima prova muscolare prima delle coabitazioni da comprimari in Iraq e Afghanistan. Carlo ha dovuto pazientare invecchiando fino all’ultimo spasmo della madre che a passargli lo scettro non ci aveva pensato neppure un attimo e che è defunta senza conoscere il significato della parola “pensione”. La cerimonia, quindi, come una licenza di sognare per gli eterni bambini che si vedevano principi e principesse, e poi immersi per induzione nella favola di Carlo e Diana che non era neppure una favola, considerato pure che la falsa “strega cattiva” Camilla era la moglie buona che infatti è diventata regina con una strategia machiavellica. Strana questa Gran Bretagna con le tre croci di San Giorgio, San Giacomo e San Patrizio sovrapposte in bandiera, che dopo la Brexit ha rischiato di perdere i pezzi e si è risvegliata dall’ubriacatura di aver allungato il Canale della Manica con la maturata consapevolezza che nessun uomo è un’isola e nessuna isola è abbastanza grande per fare da sé.
L’Union Jack garrisce ma non gioisce. Finge, come il teatro a canali unificati per il nuovo re, retorico e fintamente democratico, esageratamente enfatico nelle cronache tv, in cui la cartapesta è quello che non c’è perché tutto il resto è vero. È vero che per una ripicca col Papa per un matrimonio negato il re è il capo della Chiesa, è vero che persino con la Legge Fornero in Italia Charles III sarebbe già in pensione, è vero un rito che sa di falso imbevuto di luoghi comuni inutilmente complessi spacciati per elementi identitari. I Windsor inglesi al 100% sono in realtà tedeschi e cambiarono il nome a causa della guerra col cugino Kaiser Guglielmo II Hohenzollern (il terzo cugino, causa la politica matrimoniale dell’imperatrice Vittoria, era Nicola II di Russia). Negli ultimi decenni hanno nutrito non il mito di loro stessi ma malauguratamente i tabloid e la fame di scandalismo della stampa e delle tv, sono stati fenomeno mediatico a loro insaputa e nell’impossibilità di gestire vita pubblica e vita privata. Le proverbiali gaffes del principe Filippo erano nulla rispetto alla confidenza a luci rosse di Carlo all’amante Camilla, assai poco regale, con linguaggio da dopopartita di calcetto tra scapoli e ammogliati. Una famiglia che ha scritto la storia dal buco della serratura, tra domestici infedeli e auri sacra fames di un principino ribelle senza princìpi che ha fatto di testa sua sbagliando tutto lo sbagliabile. Il problema non è la monarchia in sé. Dalle dinastie scandinave, peraltro amatissime, mai niente del genere: lì l’imborghesimento è una medaglia di normalità e di condivisione. Nessun circo mediatico ha messo in pista nani, trapezisti e ballerine come per l’incoronazione di Carlo III che non sa cosa inventarsi per ridare alla Corte una popolarità non di facciata. Non bastano né i profili sulle banconote né le tazze da the con stemma reale. E neppure il taglio drastico agli invitati, scremando secondo opportunità e opportunismi, tra il Gotha di sangue e quello social-economico del vero potere.
Sono i tempi, bellezza, quelli del compromesso tra ciò che era e ciò che sarà, pensando assai poco a ciò che è. Neanche un Savoia tra gli ospiti o un savoiardo a tavola: l’autonominata più antica dinastica d’Europa (X secolo, dal mitico Umberto Biancamano) trattata come un Conte di Ciampino qualsiasi (le ultime nomine nobiliari di Umberto II al momento di partire in aereo per l’esilio). È l’Inghilterra nobile e snob che ha visto sfrondare i suoi tratti distintivi come un rozzo carciofo che prima di concedere il suo cuore va spinato della parte dura. Ma ne resta assai poco per deliziare il palato. Antico e vecchio non sono sinonimi. L’ex principe violoncellista, appassionato d’arte e di cultura, con un debole per l’Italia, malmaritato a una sopravvalutata principessa ye-ye in salsa Spice Girls, oggetto di feroci caricature per le orecchie e l’espressione non da fulmine di guerra e considerato assai meno di quello che probabilmente è, si gode un giorno di gloria hollywoodiana, con qualche centinaia di milioni di spettatori dalla gloria riflessa, testimoni della carta patinata e non della storia che corre su altri binari e su altri eventi. La contemporaneità si alimenta di questo e di altro, e guai a chi ha il pensiero trasversale: Honi soit qui mal y pense. L’Ordine della giarrettiera come parola d’ordine dell’alzabandiera dei tre leoni, così simili a tre gattini domestici per quanto col pedigree. La profezia di Faruk comincia a vacillare: a lui è attribuita la frase secondo cui nel XXI secolo sarebbero rimasti solo cinque re sulla faccia della terra, quello d’Inghilterra e i quattro delle carte da poker.
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esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.