5 Gennaio
Geologia, eroina, serotonina. Scienza e alchimia politica
La Biblioteca della Cittadella di Marco Gervasoni. Primi passi tra i libri del 2019. Usare il tempo lungo della geologia nel racconto politico, interrogarsi sulla famiglia e il "Whiteshift", ripensare l'ideologia della democrazia diretta, guardare all'antica Roma per scoprire la fine della repubblica, leggere una storia comune (e grande) d'eroina in Italia, lasciarsi catturare dall'ironia alla serotonina di Houellebecq
di Marco Gervasoni
«Aspettare a ogni momento già il successivo è soltanto un’abitudine; chiudi la diga e il tempo straripa come un lago. Le ore scorrono, è vero, ma sono più larghe che lunghe. Si fa sera, ma il tempo non è passato». Cosi Robert Musil ne "L’uomo senza qualità". E invece la nostra cultura ci porta a credere che il tempo passi, anzi scorra veloce, che un anno solare sia una misura vastissima, in cui tutto può accadere. Che a ogni momento vi sia uno strappo, una breccia, una «rivoluzione». Non è così, o meglio non è solo cosi.
Dovremmo abituarci invece a pensare - un po’ come i cinesi di oggi, eredi del confucianesimo - che il tempo proceda, ammesso che proceda veramente, molto lento, che i mutamenti siano graduali, infinitesimali, quasi impercettibili, e che sempre si possa e, a volte, si debba, tornare indietro. Dovremmo insomma ragionare, ci suggerisce Marcia Bjornerund in Timefulness: How Thinking Like a Geologist Can Help Save the World (Princeton University press 219 p. 23€) come geologi, che sanno che esistono diversi livelli di temporalità, riescono a «vedere non solo ciò che è visibile sulla superficie ma anche ciò che c’è nel sottosuolo, ciò che è stato e ciò che sarà».
Dovremmo usare i loro termini: placche, erosioni, oppure i concetti di «tempo sotterraneo» e di «terremoto lento», tutti da trasferire nelle scienze politiche e sociali. Per questo è appassionante leggere il volume di Bjornerund, docente di geologia alla Lawrence University (Wisconsin), anche per lo stile chiarissimo e coinvolgente.
Del resto la nostra specie si è biologicamente formata tra i trecento e i duecento mila anni fa, e non è cambiata nel frattempo. Antropologi e demografi ci spiegano come la struttura sociale occidentale sia ancora quella fondata sulla famiglia, con poche variazioni nel...
di Marco Gervasoni
«Aspettare a ogni momento già il successivo è soltanto un’abitudine; chiudi la diga e il tempo straripa come un lago. Le ore scorrono, è vero, ma sono più larghe che lunghe. Si fa sera, ma il tempo non è passato». Cosi Robert Musil ne "L’uomo senza qualità". E invece la nostra cultura ci porta a credere che il tempo passi, anzi scorra veloce, che un anno solare sia una misura vastissima, in cui tutto può accadere. Che a ogni momento vi sia uno strappo, una breccia, una «rivoluzione». Non è così, o meglio non è solo cosi.
Dovremmo abituarci invece a pensare - un po’ come i cinesi di oggi, eredi del confucianesimo - che il tempo proceda, ammesso che proceda veramente, molto lento, che i mutamenti siano graduali, infinitesimali, quasi impercettibili, e che sempre si possa e, a volte, si debba, tornare indietro. Dovremmo insomma ragionare, ci suggerisce Marcia Bjornerund in Timefulness: How Thinking Like a Geologist Can Help Save the World (Princeton University press 219 p. 23€) come geologi, che sanno che esistono diversi livelli di temporalità, riescono a «vedere non solo ciò che è visibile sulla superficie ma anche ciò che c’è nel sottosuolo, ciò che è stato e ciò che sarà».
Dovremmo usare i loro termini: placche, erosioni, oppure i concetti di «tempo sotterraneo» e di «terremoto lento», tutti da trasferire nelle scienze politiche e sociali. Per questo è appassionante leggere il volume di Bjornerund, docente di geologia alla Lawrence University (Wisconsin), anche per lo stile chiarissimo e coinvolgente.
Del resto la nostra specie si è biologicamente formata tra i trecento e i duecento mila anni fa, e non è cambiata nel frattempo. Antropologi e demografi ci spiegano come la struttura sociale occidentale sia ancora quella fondata sulla famiglia, con poche variazioni nel corso dei millenni. E il ragionamento demografico è al centro del libro del politologo inglese, professore al Birkbeck College di Londra, Eric Kaufmann, che già si presenta come un testo fondamentale per chi si occupa di populismi e immigrazione (Whiteshift: Populism, Immigration, and the Future of White Majorities, Penguin, 496 p. 31 euro).
Cosa accadrà nei prossimi decenni? Che le popolazioni bianche, oggi ancora statisticamente maggioranza in Occidente, cominceranno a non esserlo più. Questo produrrà reazioni radicali di resistenza, di cui solo ora si vedono i primi vagiti. Se il Whiteshift pone problemi negli Usa, figuriamoci nelle nazioni europee, sempre definitesi etnicamente omogenee. Kaufmann è per un approccio di mezzo, né catastrofista né stolidamente ottimista (alla Bonino, per intenderci). Però finisce per cadere nell’ottimismo anche lui perché si appella a una ragione a cui, invece, pare difficile fare riferimento quando il senso di minaccia identitaria diventerà sempre più evidente. Non si tratta di essere catastrofisti ma realisti. Tra gli altri fattori il Whiteshift condurrà a un’erosione (appunto) e poi al cedimento di placca della democrazia parlamentare e rappresentativa, che è un prodotto tipicamente occidentale (al di fuori ha attecchito veramente solo in Giappone), peraltro nella storia lunga dell’umanità nato solo due secoli fa e la cui crescita è stata intervallata da lunghe «pause».
Vedremo probabilmente sempre più affermarsi sistemi politici fondati sulla democrazia diretta e plebiscitaria (di cui i presidenzialismi sono una variante light). In Italia siamo piuttosto avanti, anche se il Whiteshift è fortunatamente molto indietro. Ne parla nel suo ultimo libro Massimiliano Panarari, editorialista della «Stampa» ed esperto di comunicazione. (Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti d'oggi, Marsilio, 155 p. 10 euro).
Ha ragione Panarari a considerare il fenomeno della democrazia diretta come un’ideologia, con i capisaldi nel popolo, nell’autenticità, nella fede nella tecnologia e nella disintermediazione. Così come è corretto vederlo come un prodotto della società individualistico-narcisistica. Se però con ideologia si intende qualcosa di artefatto, costruito da qualche mente in più o meno oscure associazioni, che ha successo per via di una momentanea sia pur lunga ubriacatura collettiva, saremmo meno d’accordo. E la «resistenza» che Panarari si propone di costruire contro la democrazia diretta appare più che altro una forma di testimonianza, nobile ma destinata a restare tale. Lo Zeitgeist populista sembra destinato a durare, e a fermarlo non sarà la nostalgia verso una democrazia dei migliori, peraltro mai storicamente esistita: se era dei migliori non era democrazia.
Del resto, se ne rendono conto anche negli Stati Uniti, dove i più avveduti osservatori hanno ormai capito quanto quella di Trump non sia una parentesi, anche se dovesse perdere nel 2020. E molti cominciano ad interrogarsi: non sarà che la democrazia americana si sta trasformando in qualcos'altro? E che dalla Repubblica stia diventando un Impero? Sappiamo quanto nell’immaginario Usa il modello di Roma repubblicana sia stato e sia presente; ma un certo punto la repubblica va in crisi, e nasce il potere imperale. il libro dello storico, docente all'Università della California a San Diego, Edward J. Watts, Mortal Republic: How Rome Fell into Tyranny, Basic Books, 352 p. 29 euro, studia la fine della Repubblica romana proprio da questo punto di vista e non teme, soprattutto nell'introduzione, di proporre una comparazione con l’oggi, che attraversa tutta l’opera.
L’anacronismo, a volte molte esibito, farà sobbalzare gli antichisti accademici dell’Europa continentale, ma al tempo stesso è uno stimolo importante, per capire quanto la natura umana sia irrimediabilmente attratta verso la figura del capo, un Cesare Augusto quando va bene, un Caligola quando va male.
E anche qui niente che i classici, antichi e moderni, non avessero già scritto. L'espansione dell’individualismo porta come reazione l’affidarsi a uno solo, purché egli ci lasci tranquilli, ad occuparci del nostro me. E tra i tanti segnali dell’intensificazione dei processi individualistici sta il consumo di droghe. Quanto di più narcisistico, che assumere droghe? Negli ultimi anni, nel silenzio generale dei media, il consumo è talmente ripreso da raggiungere e persino da superare le cifre, anche in termini di mortalità, dei decenni più associati nella memoria al consumo di droga, gli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Bene allora tornare a quel periodo, per capire come tutto iniziò. Lo fa in un bellissimo libro, uno dei migliori di storia contemporanea italiana letti di recente, Vanessa Roghi, storica e autrice di documentari (Piccola città. Una storia comune di eroina, Laterza, 218 p. 19 euro).
Non è infatti solo un lavoro sulla diffusione e sulla percezione del fenomeno della droga, e in particolare dell’eroina, in Italia. È un libro di ego histoire, come si dice in Francia, dove l’autrice parte dall'esperienza e dalla memoria della propria famiglia per ricostruire un racconto in cui, da questo piccolo microcosmo, e da quello della Grosseto tra la fine della guerra e gli anni Ottanta, emerge uno spaccato della storia degli italiani. Si legge tutto di un fiato, grazie al trasporto della scrittura: ma poi nella mente la lettura agita tanti interrogativi.
Dall'eroina alla serotonina. Che il più grande scrittore reazionario vivente (nazionalista scettico, anti globalizzazione, in odore di denuncia di sostituzione etnica, distopico, in ogni caso cantore della decadenza), Michel Houellebecq, sia tra i più venduti al mondo e che ogni sua uscita occupi la Une, come dicono in Francia, fa infuriare i mandarini della intellettualità globalista. E a lui, che detesta Macron, che ama Trump e i gilet jaunes, il presidente ha assegnato la Légion d'honneur, neanche fosse un Bernard Henri-Lévy, un Le Clézio o un Franceschini! Eppure non ci possono fare nulla: il grande scrittore nazionalista francese, Charles Maurras, e Antonio Gramsci che vi si ispirò, l’avrebbero chiamata «egemonia».
Ai mandarini non resta che lamentare il «povero stile letterario» di Mr. H. Ah, ma quello che ha reso illeggibile tanta letteratura francese, come sapeva Céline, era proprio lo «stile». E poi ai mandarini della rive gauche non va giù un altro elemento di cui loro sono totalmente immuni: l’ironia. Che Mr. H. sia in realtà un inglese che incidentalmente scrive in francese? Sérotonine mi sembra in ogni caso il più ironico dei suoi romanzi (romanzi, non trattati sociologici o «anticipazioni» di alcunché). Esce tra qualche giorno per la Nave di Teseo, 352 p. 19 euro. Ma in lingua originale (Flammarion, 22 euro) è già è disponibile. Chi può lo legga così. Per conservare il ritmo della prosa:
Tous ces gens n’avaient définitivement aucune classe, et d’ailleurs moi non plus je n’avais aucune classe, seulement j’avais de l’argent, pas mal d’argent même, à la suite de circonstances que je relaterai peut-être quand j’aurai le temps, et une fois qu’on avait dit ça on avait dit au fond tout ce qu’il y avait à dire sur ma relation avec Yuzu, naturellement je devais la quitter, c’était une évidence et même on n’aurait jamais dû s’installer ensemble, seulement il me fallait longtemps, très longtemps, pour reprendre ma vie en main, comme j’ai déjà dit, et même j’en étais la plupart du temps incapable.
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10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.