14 Febbraio
Gli anni del Dragone
Così la Cina è passata dall'imitazione alla produzione originale di beni di consumo. Mercati dove l'Occidente dominava, sono diventati il terreno di conquista di Pechino. Dall'elettronica all'automobile, storia di una sconfitta in corso
di Marco Patricelli
All’inizio furono i giapponesi. Guardati con sufficienza e anche con un’aria di superiorità, scattavano fotografie di tutto e copiavano, copiavano, copiavano. Correvano gli Anni ’60, l’Europa si cullava, perché l’aveva, su un vantaggio nelle idee e nella realizzazione che riteneva incolmabile. Fotografia dopo fotografia, copia dopo copia, nel Sol Levante si acquisì la tecnologia e l’argine dei dazi ai prodotti automobilistici e di elettronica crollò sotto le spallate del mercato. Le Toyota che allora ricordavano in brutto le vetture di Paperopoli e Topolinia, oggi sono l’espressione del primo gruppo mondiale del settore. Per non farsi mancare nulla i giapponesi a suo tempo registrarono una marea di parole italiane da utilizzare per i modelli a venire, perché il suono era dolce ma soprattutto perché l’immagine del “made in Italy” era assai forte, e non solo per la Ferrari, la Maserati e la Lamborghini. In tanti settori, a partire dall’elettronica, il made in Japan cominciò a diventare un marchio di qualità.
La storia insegna che era già accaduto nell’Ottocento con la Germania: l’impero britannico e la colta Francia snobbavano i prodotti tedeschi e poi se ne ritrovarono invasi perché il regno degli Hohenzollern era diventato una potenza economica e commerciale, oltre alla potenza militare da tutti riconosciuta. Dopo i giapponesi arrivarono i coreani, e anche loro si sono fatti valere autorevolmente. Chi rideva di loro, adesso piange, senza immaginare che c’era dell’altro all’orizzonte: i cinesi, quelli delle casacche tutte uguali modello Mao, e delle sgraziate biciclette che li facevano muovere come tante formichine silenziose, che esportavano prodotti banali e di scarsa qualità da supermercato di terza scelta. La Cina venne presa poco sul serio anche quando il Partito comunista aprì una porticina al progresso e all’arricchimento che illuse sull’apertura alla democrazia prontamente soffocata a piazza Tienanmen nel 1989, l’anno...
di Marco Patricelli
All’inizio furono i giapponesi. Guardati con sufficienza e anche con un’aria di superiorità, scattavano fotografie di tutto e copiavano, copiavano, copiavano. Correvano gli Anni ’60, l’Europa si cullava, perché l’aveva, su un vantaggio nelle idee e nella realizzazione che riteneva incolmabile. Fotografia dopo fotografia, copia dopo copia, nel Sol Levante si acquisì la tecnologia e l’argine dei dazi ai prodotti automobilistici e di elettronica crollò sotto le spallate del mercato. Le Toyota che allora ricordavano in brutto le vetture di Paperopoli e Topolinia, oggi sono l’espressione del primo gruppo mondiale del settore. Per non farsi mancare nulla i giapponesi a suo tempo registrarono una marea di parole italiane da utilizzare per i modelli a venire, perché il suono era dolce ma soprattutto perché l’immagine del “made in Italy” era assai forte, e non solo per la Ferrari, la Maserati e la Lamborghini. In tanti settori, a partire dall’elettronica, il made in Japan cominciò a diventare un marchio di qualità.
La storia insegna che era già accaduto nell’Ottocento con la Germania: l’impero britannico e la colta Francia snobbavano i prodotti tedeschi e poi se ne ritrovarono invasi perché il regno degli Hohenzollern era diventato una potenza economica e commerciale, oltre alla potenza militare da tutti riconosciuta. Dopo i giapponesi arrivarono i coreani, e anche loro si sono fatti valere autorevolmente. Chi rideva di loro, adesso piange, senza immaginare che c’era dell’altro all’orizzonte: i cinesi, quelli delle casacche tutte uguali modello Mao, e delle sgraziate biciclette che li facevano muovere come tante formichine silenziose, che esportavano prodotti banali e di scarsa qualità da supermercato di terza scelta. La Cina venne presa poco sul serio anche quando il Partito comunista aprì una porticina al progresso e all’arricchimento che illuse sull’apertura alla democrazia prontamente soffocata a piazza Tienanmen nel 1989, l’anno della grande illusione mondiale su pace e prosperità. Col fenomeno già avviato della delocalizzazione, gli imprenditori occidentali guardarono con occhio cupido al colosso asiatico: manodopera a costi irrisori, sistema di trasporti efficiente, zero sindacalizzazione nelle fabbriche e diritti dei lavoratori inversamente proporzionali agli orari di lavoro.
Il Dragone non faceva paura, da quel punto di vista, perché assai arretrato secondo gli standard occidentali, serbatoio inesauribile di manovalanza al risparmio. I cinesi, nei confronti degli occidentali, hanno sempre vantato un complesso di superiorità derivante dalla loro civiltà ultramillenaria: ai loro occhi i barbari siamo noi, e questo non va mai dimenticato se si ha a che fare con loro. Quando agli albori del Novecento la decrepita monarchia cinese tentò di scrollarsi di dosso le tutele colonialiste delle potenze dell’epoca, con la Rivolta dei Boxer, il Celeste impero venne schiacciato militarmente e occupato nei punti strategici. In quella coalizione internazionale agli ordini del Maresciallo mondiale (venne chiamato pomposamente così) Alfred von Waldersee c’era anche il Regno d’Italia che ne ricavò la concessione di Tientsin, ovviamente persa con la Seconda guerra mondiale. All’epoca qualcuno preconizzò che sarebbero stati guai per tutti quando il Dragone si sarebbe svegliato.
Quel momento è arrivato dopo un secolo. I cinesi hanno fabbricato per noi l’elettronica di consumo, a prezzi di costo falcidiati (ma non quelli d’acquisto per l’utente finale), azzerando almeno in Italia quell'industria, hanno copiato come i giapponesi, fornendo prodotti così così irrisi in Occidente, mentre intanto si impegnavano a migliorare. Poi, acquisiti i quarti di nobiltà di marchi sconosciuti pure agli esperti, sono sbarcati sul mercato mondiale che hanno aggredito famelicamente con la competitività dei prezzi e addentandone saldamente una fetta oggi consistente. Nella fase successiva, i prezzi li fanno loro, fermo restando che nelle fabbriche chapliniane da Tempi moderni l’ordine social-sindacale regna sovrano, sotto lo sguardo vigile del regime. L’e-commerce è stato sbancato da Banggood, Aliexpress e Temu che offrono di tutto e di più, senza preclusioni di generi, dall'ago allo zenzero. Hanno operato con la mentalità orientale e quella del business, secondo il gioco delle tre carte del profitto, trovando una scusa per tutto e una gestione fideistica nella dilazione e delle orecchie da mercante che spossa anche il più agguerrito consumatore insoddisfatto che cerca soddisfazione e tutele. Hanno inventato il marchietto CE che richiamava dolosamente la Comunità Europea, fidando sull’equivoco delle iniziali China Export. Ben presto si sono stufati delle pesanti biciclette del “tutti uguali” e si sono dedicati alle moto e alle auto, senza starsi a curare dell’ambiente, delle emissioni e dell’inquinamento. Dai catorci improponibili sono passati alle imitazioni tanto, non riconoscendo il diritto d’autore e la tutela dei brevetti, hanno puntato sul sicuro e sul già noto esteriormente: chiedere alla Piaggio sulla Vespa, tanto per non andare lontani. Hanno importato motori, soprattutto dal Giappone, e poi creato joint venture per costruirne per conto terzi, anche per marchi europei di primissimo piano che hanno tenuto tutto questo sottotraccia, anche al cospetto di monoblocchi e carter palesemente identici perché erano gli stessi dei modelli di lusso europei a quattro e a due ruote. Intanto hanno creato e riciclato società e poi si sono messi in proprio, nel primo dei salti di qualità del veloce e vertiginoso numero di carpiati. Hanno acquisito marchi prestigiosi e con una storia alle spalle, rivitalizzandoli con robuste iniezioni di danaro e varando linee di produzione moderne e competitive.
Zitti zitti quatti quatti i cinesi hanno messo le mani sulle terre nobili dell’Africa e si sono rivelati monopolisti delle batterie con cui l’utopia del tutto pulito intende motorizzare l’Occidente archiviando i motori termici. Già monopolisti mondiali delle batterie dei cellulari e dei tablet, oltre che azionisti di maggioranza assoluta del mercato dei cellulari e dei tablet, sono passati alle più complesse batterie per le auto alle auto stesse. La bandierina rossa svetta su una nicchia del mercato automobilistico e i cinesi sgomitano per impadronirsi di interi settori, con una concorrenzialità non fronteggiabile a medio e lungo termine, come ben sanno i colossi dell’auto che hanno già lanciato l’allarme, sminuendo e annacquando le corresponsabilità. Nel segmento A, quello delle utilitarie, è un fuggi fuggi dei brand per mancanza di redditività adeguata, e in Cina già affilano le spade per cotanto regalo a costo zero. Il presente ha già gli occhi a mandorla, non solo per chip e processori, ma c’è chi non vuole vederlo.
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9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
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avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
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derivanti dalla
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10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
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essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.