3 Aprile
"Ho fame, mio padre non lavora più". Il virus e il pane
La telefonata di una ragazzina ai Carabinieri, il frigo vuoto, la realtà della crisi. La storia del pane, simbolo della pace e delle rivoluzioni. Un viaggio di Marco Patricelli dagli antichi romani ai giorni del coronavirus
"Ho fame, mio padre non lavora più, il frigorifero è vuoto, aiutateci vi prego!": la telefonata di una ragazzina, con la disperata richiesta di aiuto, è arrivata ieri mattina alla Centrale Operativa del 112 della Compagnia Carabinieri di Vergato, sull'Appennino Bolognese. Subito è partita una pattuglia dei militari alla volta dell'abitazione che ha verificato che era tutto vero: la famiglia - padre, madre e due figli, di origine straniera - si trovava infatti in grave difficoltà economica in quanto il padre, l'unico ad avere un reddito, con l'emergenza coronavirus aveva perso il lavoro. La ragazzina, nonostante la minore età, aveva capito che la situazione era grave ed ha trovato il coraggio di chiamare i militari, usando lo smartphone della mamma ormai privo di credito. A tamponare la situazione, hanno provveduto i carabinieri, andando a fare la spesa e tornando con una piccola scorta di generi alimentari: latte, pasta, uova, farina, carne, biscotti, frutta, verdura e altri scatolati di vario genere. La famiglia ha ringraziato l'Arma per il gesto di solidarietà. (AGI)
di Marco Patricelli
Se il popolo vuole il pane è inutile sfamarlo con le brioches. L'insegnamento è della Rivoluzione francese, anche se questa “ricetta” non appartiene alla regina Maria Antonietta, perché queste parole non le pronunciò mai, nonostante le vengano attribuite. Popolo e pane sono uno strano binomio: quando vanno d’accordo la pax sociale è garantita e le voci avverse ai regimi neppure vengono ascoltate; quando al popolo manca il pane, allora si innesca una pericolosa reazione a catena che storicamente sfugge al controllo, a meno che qualcuno non sappia come stemperarla o incanalarla.
I romani, che inventarono lo Stato in tutte le sue articolazioni - e il diritto per farlo funzionare - molti secoli prima del Contratto sociale di Rousseau, avevano ben presenti i rischi derivanti dal fatto che il...
"Ho fame, mio padre non lavora più, il frigorifero è vuoto, aiutateci vi prego!": la telefonata di una ragazzina, con la disperata richiesta di aiuto, è arrivata ieri mattina alla Centrale Operativa del 112 della Compagnia Carabinieri di Vergato, sull'Appennino Bolognese. Subito è partita una pattuglia dei militari alla volta dell'abitazione che ha verificato che era tutto vero: la famiglia - padre, madre e due figli, di origine straniera - si trovava infatti in grave difficoltà economica in quanto il padre, l'unico ad avere un reddito, con l'emergenza coronavirus aveva perso il lavoro. La ragazzina, nonostante la minore età, aveva capito che la situazione era grave ed ha trovato il coraggio di chiamare i militari, usando lo smartphone della mamma ormai privo di credito. A tamponare la situazione, hanno provveduto i carabinieri, andando a fare la spesa e tornando con una piccola scorta di generi alimentari: latte, pasta, uova, farina, carne, biscotti, frutta, verdura e altri scatolati di vario genere. La famiglia ha ringraziato l'Arma per il gesto di solidarietà. (AGI)
di Marco Patricelli
Se il popolo vuole il pane è inutile sfamarlo con le brioches. L'insegnamento è della Rivoluzione francese, anche se questa “ricetta” non appartiene alla regina Maria Antonietta, perché queste parole non le pronunciò mai, nonostante le vengano attribuite. Popolo e pane sono uno strano binomio: quando vanno d’accordo la pax sociale è garantita e le voci avverse ai regimi neppure vengono ascoltate; quando al popolo manca il pane, allora si innesca una pericolosa reazione a catena che storicamente sfugge al controllo, a meno che qualcuno non sappia come stemperarla o incanalarla.
I romani, che inventarono lo Stato in tutte le sue articolazioni - e il diritto per farlo funzionare - molti secoli prima del Contratto sociale di Rousseau, avevano ben presenti i rischi derivanti dal fatto che il popolo potesse non avere il pane, ed elevarono a sistema l’intuizione di Caio Gracco, datata 123 avanti Cristo. Le frumentationes, ovvero le distribuzioni gratuite di pane e grano, da un lato alimentavano il potere e dall’altro facevano da valvola di sfogo a bisogni e malumori. Le regalie erano abbastanza ricorrenti, tanto che a Roma (e poi anche a Costantinopoli), era pressoché impossibile morire di inedia, considerato pure che veniva imposto il prezzo calmierato affinché nei limiti del possibile a tutti fosse consentito sfamarsi col pane a buon mercato. Non c’era un Milton Friedman ad ammonire che nessun pasto è gratis, ma sembrava che fosse proprio così. Il sistema funzionava e quando si aggiungevano pure i giochi gratuiti, allora funzionava talmente bene da rendere proverbiale la formula panem et circenses, arrivata con alcune varianti ai giorni nostri.
I Borbone di Napoli avevano coniato la loro ricetta del potere che geograficamente poggiava dalla sicurezza derivante dall’acqua salata (il Mediterraneo) e dall’acquasanta (lo Stato della Chiesa), socialmente sulle “3F”: la farina, le feste, e se qualcuno era proprio riottoso, scattava la terza “F”: la forca. Persino in chiave disimpegnata, Rita Pavone nei panni di Giamburrasca, cantava che «la storia l’ha insegnato / che un popolo affamato / fa la rivoluzion»: per la “pappa col pomodoro”, mica per caviale beluga e champagne. Il pane come lievito delle rivolte, è infatti una costante, perché è il termometro della fame.
I bolscevichi si chiamarono tra di loro compagni andando a riattualizzare il lemma latino medievale companio, ovvero chi ha il pane in comune, dando così un’accezione pure al termine comunista. Gesù Cristo spezzava il pane come segno di comunione fisica e spirituale e la Chiesa fa altrettanto duemila anni dopo con l’ostia. Essere buono come il pane non è un semplice modo di dire. L’alimento più banale, antico e dalle mille versioni geografiche, la comune base dell’alimentazione, è il simbolo dell’abbondanza come della carenza. Quando c’è lo si spreca e non si dovrebbe, quando manca lo si sogna come hanno scritto tutti i deportati nei lager e nei gulag e in tutti i campi di prigionia del mondo.
Nella civiltà contadina se ne preparava tanto e a poste grandi cotte nel forno a legna o di pietra, perché durava una settimana. Non c’erano né additivi né miglioratori, ma non ammuffiva. Se cadeva a terra o si sporcava non si sprecava perché si dava alle galline o ai maiali. Se proprio non poteva più essere consumato dall’uomo, allora lo si baciava prima di gettarlo via, come ultimo gesto di rispetto a un alimento che assicurava la sopravvivenza. Durante la seconda guerra mondiale il primo segnale che le cose andavano male arrivava proprio dal pane, che cominciava a mancare sulle tavole, veniva razionato in fette sempre più sottili con le tessere annonarie, conteneva sempre meno farina di grano, era sempre più insapore e sempre più gommoso, e bastava un’interruzione nella linea elettrica dei forni per diventare qualcosa di disgustoso. Tempi di guerra.
Prima e dopo la guerra il pane fresco era il metro di misurazione della qualità dell’olio d’oliva, la prova del fuoco di sapori e profumi, sintesi perfetta, con il vino, della civiltà mediterranea. Un industriale oleario ora scomparso, il calabrese Pietro Scibilia che fu patron della Gis di ciclismo di Francesco Moser e della Pescara Calcio, nella sua industria era solito aggirarsi con una fetta di pane nella tasca per verificare di persona la qualità della spremitura. Il pane, amato e snobbato, adorato e avversato, nelle mode e fuorimoda, è tornato prepotentemente a essere un simbolo dell’incubo di povertà proprio quando sembrava del tutto scolorito persino il ricordo nostalgico dei tempi di guerra.
È stata la pandemia di Covid-19 a far squillare l’allarme dei tempi duri. Il coronavirus, anche se sembra democratico perché non guarda in faccia a nessuno, in realtà è classista, perché si sta ponendo come confine tra la normalità e la povertà, andando non solo a colpire le fasce più disagiate ma creandone di nuove, perché comprime la società verso il basso. La paura della mancanza di pane, come conseguenza di un reddito che non arriva o che non c’è più, spinge prepotentemente verso la paura di non farcela e la vergogna di dover chiedere una volta consumati i risparmi assottigliati dalla permanenza in casa. Una sindrome da carestia che ha una valenza sociale preoccupante, e genera in alto l’illusione che possa essere nutrita con i buoni e i provvedimenti-tampone una tantum, e in basso la disillusione per i sacrifici di una vita spazzati via da un microscopico virus che ha cambiato tutte le regole che si ritenevano invece immutabili. Da un lato la mancanza di coraggio della classe dirigente che crede di fare cose popolari pur di non correre il rischio di adottare misure impopolari, dall’altro la paura di quel popolo che si ritiene su una frequenza non intercettata dalle antenne dello Stato.
Il coronavirus non solo uccide ma porta anche l’ultimo oltraggio, quello della morte in solitudine, nel vuoto delle strutture sociali saltate e degli equilibri spezzati. Persino la tradizione della ritualità della morte e la negazione del conforto religioso sono stati cancellati dal terrore del contagio. Se il senso di isolamento pervade le case dove pure per anni le famiglie neanche si incontravano nell’appuntamento del pranzo e della cena, la solitudine irrompe con tutta la prepotenza del paradosso dell’età dei social, dove tanti si ritrovano virtualmente credendo di essere gruppo, in uno strano surrogato della vita di società. Quella vera è invece fuori, preclusa per decreto e vietata dal timore di infettarsi, lì dove da tanto tempo non si sente più neppure il profumo del pane.
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10. Limitazione di responsabilità
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ulteriori
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(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.