5 Febbraio
Ho fatto un sogno e mi sono risvegliato il 5 marzo
Uno straordinario e lungo viaggio sulla macchina del tempo di Giordano Bruno Guerri. La politica italiana degli ultimi trent'anni raccontata seguendo il fil rouge del populismo. E il giorno dopo il voto...
di Giordano Bruno Guerri
Capita di ricevere, usualmente in piena notte, una mail del titolare. Ecco l'ultima:
"Caro compagno Giordanovic,
ho un pezzo per te, lungo lungo lungo, titolo:
HO FATTO UN SOGNO E MI SONO RISVEGLIATO IL 5 MARZO.
Baci.
Il compagno Sechin."
Bel tema. Il titolare sa come stuzzicare la fantasia e la riflessione. In attesa di addormentarmi, mi metto dunque a pensare al 5 marzo e arrivo alla conclusione che - comunque vadano le elezioni, 0,1 per cento più, 5 per cento meno - sappiamo già chi sarà, storicamente, il vincitore: Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle. Lo saranno, al di là dei risultati, perché rappresentano e cavalcano meglio di tutti il maggiore fenomeno sociale e politico di questi anni, ovvero il populismo.
Il quale non è mica una novità. Populista era il fascismo e populista era, fin dal nome, il comunismo. Non ci spingeremo così in là, ma lo storico si affaccia sul presente per cercare nelle vicende più vicine le origini e i primi segnali del fenomeno. Ecco allora che mi sembra di individuare il primo segnale in quella non piccola novità che fu l'avvento di Craxi. Il disegno craxiano aveva un chiaro taglio "leaderista" già dall'elezione a segretario del Psi nel 1976, e il populismo ha anzitutto bisogno - più di qualsiasi altro movimento - di un leader solo al comando. Al congresso di Palermo dell'aprile 1981 il "leader dinamico" - definizione frequente per il Craxi dei primi anni Ottanta - si era scagliato contro "il piagnisteo nazionale dell'emergenza" comunicando idee e tesi incentrate su "governabilità, centralità, laburismo, presidenza socialista". Il tutto con piglio e toni forti che allora vennero definiti demagogici, oggi si direbbe appunto populisti.

Il secondo capo populista fu - con grande sorpresa - Francesco Cossiga....
di Giordano Bruno Guerri
Capita di ricevere, usualmente in piena notte, una mail del titolare. Ecco l'ultima:
"Caro compagno Giordanovic,
ho un pezzo per te, lungo lungo lungo, titolo:
HO FATTO UN SOGNO E MI SONO RISVEGLIATO IL 5 MARZO.
Baci.
Il compagno Sechin."
Bel tema. Il titolare sa come stuzzicare la fantasia e la riflessione. In attesa di addormentarmi, mi metto dunque a pensare al 5 marzo e arrivo alla conclusione che - comunque vadano le elezioni, 0,1 per cento più, 5 per cento meno - sappiamo già chi sarà, storicamente, il vincitore: Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle. Lo saranno, al di là dei risultati, perché rappresentano e cavalcano meglio di tutti il maggiore fenomeno sociale e politico di questi anni, ovvero il populismo.
Il quale non è mica una novità. Populista era il fascismo e populista era, fin dal nome, il comunismo. Non ci spingeremo così in là, ma lo storico si affaccia sul presente per cercare nelle vicende più vicine le origini e i primi segnali del fenomeno. Ecco allora che mi sembra di individuare il primo segnale in quella non piccola novità che fu l'avvento di Craxi. Il disegno craxiano aveva un chiaro taglio "leaderista" già dall'elezione a segretario del Psi nel 1976, e il populismo ha anzitutto bisogno - più di qualsiasi altro movimento - di un leader solo al comando. Al congresso di Palermo dell'aprile 1981 il "leader dinamico" - definizione frequente per il Craxi dei primi anni Ottanta - si era scagliato contro "il piagnisteo nazionale dell'emergenza" comunicando idee e tesi incentrate su "governabilità, centralità, laburismo, presidenza socialista". Il tutto con piglio e toni forti che allora vennero definiti demagogici, oggi si direbbe appunto populisti.

Il secondo capo populista fu - con grande sorpresa - Francesco Cossiga. Tranquillo e normale presidente della Repubblica dal 1985, il 23 ottobre 1990, durante una visita ufficiale in Gran Bretagna, Cossiga rilasciò un'intervista al The Independent. Non era ancora il Picconatore, come verrà ribattezzato per uscite sulle quali sembra essersi formato lo stile oratorio di Grillo. Avrebbe definito Ciriaco De Mita "bugiardo, gradasso, il solito boss di provincia", e Achille Occhetto "uno zombie con i baffi"; l'elenco sarebbe lungo, basti dire che a politici di primo piano toccarono definizioni come "un analfabeta", "un analfabeta di ritorno", "un povero ragazzo, uno sbandato", un "piccolo arrampicatore sociale", "un ragazzino".
Nell'intervista all'Independent, Cossiga parlò del Pci, anche da politico che era stato favorevole al compromesso storico: "Credo che abbiano la possibilità di diventare una grande forza democratica, socialista di sinistra e di dare il loro fondamentale contributo all'Italia più giusta e più moderna." Aggiunse che finalmente l'Italia - finora bloccata "nel punto più delicato, quello dell'alternanza" - poteva aspirare a diventare una democrazia compiuta. Il giorno dopo esplose lo scandalo Gladio, nome in codice italiano di una rete clandestina della Nato, denominata Stay Behind. Era attiva in Italia dal 1956 - come forza di pronto intervento in caso di occupazione nemica - con un nucleo paramilitare di un migliaio di persone, per metà civili. Il tutto era organizzato segretamente dal Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) e dalla Cia. A fare la rivelazione, fornendo il dossier relativo, fu Giulio Andreotti, che intervenendo sul rapimento di Aldo Moro ne parlò davanti alla Commissione parlamentare stragi, con la naturalezza delle cose ovvie. Tutti videro, nei modi e nei tempi scelti da Andreotti per calare l'asso di Gladio, un disegno per screditare il presidente.

Cossiga divenne anche il capro espiatorio del Pci, che aveva sostenuto e legittimato con le dichiarazioni "inglesi". Il 17 novembre duecentomila persone si adunano in piazza del Popolo, organizzata per chiedere la verità su Gladio e sulle stragi. Il presidente non gradì, né resterà più in silenzio: il vertice del Sistema inizia a parlare come il leader anti-sistema, "Usa un linguaggio pieno di disprezzo e di sberleffi, come se non fosse il sovrano ma il buffone che dice la verità": e mette in mostra i primi segnali di quei fenomeni che poi verranno chiamati anti-politica e populismo. (Marco Damilano, Eutanasia di un potere).
Il presidente della Repubblica dette le dimissioni anticipate nel 1992, e poco dopo scoppiò l'enorme scandalo di Tangentopoli. La storia della Dc si chiuse il 18 gennaio 1994 e si aprì l'era di Silvio Berlusconi. Se con la fine della Dc si può considerare chiusa la Prima Repubblica, si può tentare subito una rapida valutazione della seconda: il centrosinistra si illuderà di restare al governo accettando una riduzione del Welfare State, sostituito da sterili rimandi ai valori universali della solidarietà e dell'uguaglianza. Il centrodestra si indirizzerà verso un populismo che non si richiama più ai tradizionali valori di Dio, Patria, Famiglia, bensì al comune desiderio di ricchezza, consumi e ascesa sociale: "Entrambe le ricette, per molti versi, hanno evitato di rispondere alla domanda su come governare la moltitudine." (Simona Colarizi, Marco Gervasoni, La tela di Penelope).

Nel cosiddetto "ventennio berlusconiano" l'episodio più clamoroso è un colpo di scena in puro stampo populista. Il 18 novembre 2002 - in piazza San Babila, a Milano - per sovrastare il capannello di giornalisti che lo circondava e per parlare alla folla che sventolava bandiere di Forza Italia, Berlusconi salì sul predellino di un'auto e annunciò: "Oggi nasce ufficialmente un nuovo grande Partito del Popolo delle Libertà: il partito del popolo italiano." Invitò tutti a seguirlo "contro i parrucconi della politica in un nuovo grande partito del popolo". Il PdL nacque davvero, incredibilmente, così, all'insaputa dei partiti alleati che ne facevano parte: Casini e il suo Cdu se ne andarono sbattendo la porta, Gianfranco Fini e Alleanza nazionale restarono dopo proteste a salve. Oggi più di allora possiamo cogliere l'abilità di quel gesto del Cavaliere, nella forma e nella sostanza. Berlusconi - al governo fino a un anno e mezzo prima - riprendeva su di sé il ruolo di alternativa alla politica, recuperando un populismo che rischiava di diventare arma esclusiva di nuovi leader. Uno, in particolare: Beppe Grillo.
All'inizio degli anni Novanta, per l'Italia Beppe Grillo era il comico esiliato dalla Rai a causa di una battuta sulla propensione al ladrocinio dei socialisti che Tangentopoli aveva rivelato vera. Grillo non era più in tv, dunque, ma in teatro invitava il pubblico a gridare "Vaffanculo": "Perché è colpa nostra se siamo ancora comandati da questa gente. E i partiti nuovi fanno ancora più schifo di quelli vecchi." La svolta arrivò all'inizio del 2000, quando dopo una serata di spettacolo a Livorno, nel camerino si presentò Gianroberto Casaleggio "e cominciò a parlarmi di Rete", racconta Grillo: "Pensai che fosse un genio del male o una sorta di san Francesco che invece che ai lupi e agli uccellini parlasse a Internet". (Gianroberto Casaleggio, Web ergo sum).

Dal sodalizio fra Casaleggio e Grillo sarebbe nato il frutto più complesso e nuovo degli istinti atavici del popolo contro il potere. "La rabbia anti-establishment che altri stanno scoprendo solo adesso, da noi è la principale motivazione del voto da oltre un quarto di secolo", ha scritto Giuliano da Empoli; è vero, per questo l'Italia è diventata, dall'inizio degli anni Novanta, "un eccezionale laboratorio politico che ha sperimentato più o meno tutte le forme di populismo concepibili dalla mente umana. Dal populismo regionalista della Lega a quello giudiziario di Di Pietro, fino all'apoteosi catodica del populismo plutocratico del Cavaliere. Su questo fronte siamo all'avanguardia: l'Italia è la Silicon Valley del populismo globale". (La rabbia e l'algoritmo. Il grillismo preso sul serio).
L'8 settembre 2007 - scelta come data infausta nella storia d'Italia, per ricordare i disastri della politica - Grillo lanciò il V-Day, altrimenti detto Vaffa-day o, per la gioia di chi voleva dirlo tutto, il Vaffanculo-day. Si tenne in piazza Maggiore, a Bologna, e in contemporanea furono messi maxischermi nelle principali città italiane, con volontari raccolti fra i lettori del già seguitissimo blog di Grillo. Se il medium del populismo berlusconiano era la televisione, la rete veniva percepita come voce libera contro l'asservimento dei media tradizionali, e Grillo iniziò per primo a sfruttarla scientemente per la politica. La politica "deve tornare in mano ai cittadini", gridava dal palco, lanciando l'idea di una democrazia diretta. Nessuno lo prendeva davvero sul serio.
*****
Annotati questi appunti per l'articolo da scrivere, mi è venuto sonno (spero che non sia successa la stessa cosa a voi), e mi sono addormentato. Manco a dirlo, ho sognato i populismi, e siccome i sogni sono bizzarri, il mio è partito dalla "Corrida" di Corrado. Per chi non è tenuto a saperlo, a partire dal 1968 ci fu una popolare trasmissione radiofonica, poi televisiva, in cui dei principianti dello spettacolo si offrivano spericolatamente al giudizio della platea. In questa antenata di X Factor molti si presentavano per cantare; il gioco del direttore d'orchestra portava al disastro gli incauti: non tirava dritto nell'esecuzione del brano, non rispettava i tempi della partitura ma - in apparenza per aiutare il concorrente - prendeva a seguirlo se correva o lo aspettava se non si decideva a cogliere l'attacco. Lo stesso accade quando i politici smettono di governare e iniziano a rincorrere il consenso, o a fomentare il dissenso da trasformare in potere: non si arriva da nessuna parte.
È stata la caratteristica in crescendo dell'ultimo quarto di secolo italiano. È stato un lungo viaggio immobilizzante dalla repubblica dei partiti - sostenuta dalla quarantennale cultura di coalizione che favoriva corruzione e collusione - alla repubblica del leader. In entrambe le fasi gli italiani - sempre alla ricerca di colpevoli per non affrontare le proprie colpe - hanno indicato la causa di tutti i mali nei politici e nei partiti: un processo di generalizzazione, deresponsabilizzazione e astrazione ha individuato il responsabile di ogni male nella "casta".
Morte le grandi ideologie di riferimento, subentrata una crisi economica globale, destabilizzato l'ordine mondiale, con nuovi nazionalismi, secessionismi e terrorismi, anche il pensiero abdica, e non resta che cercare chi imponga dall'alto il da farsi, qualcuno che dia voce alla pancia e alla paura. Si alterna l'attesa del nuovo messia (Di Pietro, Berlusconi, Renzi, Grillo-Casaleggio…) con la guerra al nemico di turno: spesso semplicemente l'avversario politico. Un bipolarismo solo elettorale non ha mai favorito una vera omogeneità degli schieramenti. Del resto la fine di quel bipolarismo -indossato dai partiti e dalle coalizioni della Seconda Repubblica come un vestito troppo stretto e concluso nel 2017 con la nuova legge elettorale - era già avvenuta con l'affermarsi del MoVimento che "non è né di destra né di sinistra. È sopra e oltre" (beppegrillo.it 11 gennaio 2013), per usare le parole di Grillo, che in breve diventò l'"imprenditore politico" di una domanda e di un sentire collettivi, come è stato definito con efficacia. (Cfr M5s. Come cambia il partito di Grillo, a cura di Piergiorgio Corbetta).
Un bipolarismo solo elettorale non ha mai favorito una vera omogeneità degli schieramenti.
Converrà, da qui in poi, intendersi sul termine "populismo". La definizione migliore sembra quella di Marco Revelli, per cui non è un "ismo" come tanti altri del passato: "È uno stato d'animo. Un mood. La forma informe che assumono il disagio e i conati di protesta nelle società sfarinate e lavorate dalla globalizzazione e dalla finanza totale […]. Nel vuoto, cioè, prodotto dalla dissoluzione di quello che un tempo fu 'la sinistra' e la sua capacità di articolare la protesta in proposta di mutamento e di alternativa allo stato delle cose". (Marco Revelli, Populismo 2.0) Aggiungiamo alla definizione - buona ma parziale - anche la dissoluzione della destra, che ha sfrangiato lo spirito liberale in movimenti personalistici come quello berlusconiano, nel categorico conservatorismo di molti ex missini o nella xenofobia, come nella Lega di Matteo Salvini, che eredita e moltiplica l'antimeridionalismo del primo Umberto Bossi.
Dalla Corrida il sogno si sposta d'improvviso sul palco del teatro Smeraldo di Milano, il 4 ottobre 2009. Lì Grillo presentò il simbolo MoVimento 5 Stelle e un programma in 120 punti, tutti utopistici e per questo tutti attuabili" (beppegrillo.it ottobre 2009). Si va dalle piste ciclabili ("non quelle merde che avete qua a Milano") all'immancabile promessa di ridurre il debito pubblico. Senza perdersi in analisi, si può già notare l'assenza di concretezza, al di là del proclama: il rischio maggiore a cui si espongono un programma e un movimento populista.
Internet diventa ufficialmente centrale nella vita di tutti i cittadini e in ogni ambito. "Voglio, quando nasco, un accesso gratuito alla rete", si accalora Grillo, l'accesso alla conoscenza "deve essere libero e gratuito, sennò non c'è né libertà né democrazia!" La base del populismo del MoVimento - dopo il populismo berlusconiano legato al medium della televisione - è la retorica della rete, mitizzata soprattutto nel suo essere portatrice di verità, democrazia e libertà, in una sorta di elenco da virtù teologali 2.0.
La base del populismo del MoVimento - dopo il populismo berlusconiano legato al medium della televisione - è la retorica della rete.
Nel 2012 fu pubblicato "Tu sei rete". La rivoluzione del business, del marketing e della politica attraverso le reti sociali, l'ebook di Davide Casaleggio. La metafora più usata è quella dei formicai, ispirata al concetto di vita artificiale sviluppato dal biologo Christopher Langton, perché "riescono a funzionare senza alcuna gerarchia di comando e molte aziende hanno utilizzato i principi dell'auto-organizzazione per snellire i processi decisionali". Poi però c'è anche questo passaggio: "È necessario che i componenti siano in numero elevato […], che si incontrino casualmente e non abbiano consapevolezza delle caratteristiche del sistema nel suo complesso. Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti, tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi, creando un problema di coordinamento".
Si ha dunque una visione di popolo "indifferenziato, omogeneo, privo di dissonanze o dissensi". (Cfr Zanatta, Il populismo); se il popolo è una comunità organica e omogenea, il "dissidente" non è colui che esprime un'opinione, "ma è un attentatore alla vita della comunità stessa, un 'traditore' (o, per essere benevoli, un 'infiltrato'). Alla categoria dialettica del 'dissenso' si sostituisce quella etica del 'tradimento' (o del 'profitto individuale')". (M5s. Come cambia il partito di Grillo, a cura di Piergiorgio Corbetta) Il problema per un Paese nasce quando un movimento populista di protesta conquista l'accesso al sistema che permette di governare.

In quel 2012 ci furono anche le primarie per la scelta del candidato di centrosinistra per le politiche dell'anno dopo, che segnarono il debutto ufficiale nella politica nazionale dell'allora sindaco di Firenze Matteo Renzi. E qui il sogno torna in televisione (anche gli storici fanno sogni strani), da Corrado a Mike Bongiorno: nel 1994, al suo telequiz su Canale 5 La ruota della fortuna, con aria da secchione Renzi vinse 48 milioni di lire. Il primo incarico importante, la presidenza della provincia, arrivò dieci anni dopo. Alle successive primarie per la candidatura a sindaco di Firenze avrebbe inaugurato il suo rapporto - nel bene e nel male - con il 40 per cento abbondante e le tensioni con il Pd, che lo avrebbe voluto di nuovo alla provincia. "O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare", dichiarò, con una frase che sancì pure l'esordio di una comunicazione votata al rinnovamento, da lui definito con l'orrenda parola - per forma e sostanza - "rottamazione". Il 29 settembre 2008 vinse le primarie con oltre il 40 per cento, appunto; a giugno 2009 fu eletto sindaco. Conquistata Firenze, restava Roma. Iniziò con la scalata al Pd girando l'Italia in camper, ma alle primarie del 2 dicembre 2012 perse contro Bersani. Ci riprovò un anno dopo e vinse con il 67,5 per cento, ormai pronto per Palazzo Chigi.
"Renzi è prima di tutto racconto. Il racconto del Nuovo. Prima di lui, in tanti hanno teorizzato la necessità di una nuova Repubblica, ma nessuno come lui si è identificato con il Nuovo, come se il Nuovo fosse lui. Il Nuovo in persona". (Marco Damilano, Processo al Nuovo) L'affermazione del nuovo si autocelebrava con gli incontri alla stazione Leopolda di Firenze, un appuntamento annuale iniziato nel 2010: tra lo spettacolo e il confronto politico, americaneggiante nei colori e nei toni, con colonna sonora a tema, portava sul palco protagonisti della cultura e umanità varia, con Renzi pronto a guidare il proprio one-man show.

Erano gli anni in cui la generazione dei trenta-quarantenni si sentiva esclusa dai ruoli di comando e cercava spazio "Non è mica solo una questione di ricambio generazionale", aveva dichiarato Renzi a un intervistatore: "Se vogliamo sbarazzarci di nonno Silvio, io così lo chiamo e non caimano", continuava ponendo l'accento sull'età, più che sulla linea politica, "dobbiamo liberarci di un'intera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni tra D'Alema, Veltroni, Bersani… Basta. È il momento della rottamazione. Senza incentivi", concluse. Ricordava volentieri il grido di Nanni Moretti ai dirigenti del partito in piazza Navona - "Andate a casa!" - sottolinea che allora era di un solo intellettuale, "Oggi temo sia condiviso dalla stragrande maggioranza del popolo democratico". (Umberto Rosso, Repubblica, 29 agosto 2010). Già da questa intervista è evidente che Renzi fosse, sotto molti punti di vista, un populista: "Di tipo nuovo, naturalmente. Post-novecentesco. Post-ideologico. Post-democratico. Diverso anche dagli altri 'neopopulisti' contemporanei", ha scritto Marco Revelli: "Un populista 'ibrido', piuttosto. Un po' di lotta e un po' di governo. Rimescolando gli ingredienti degli altri precedenti populismi nostrani: un quarto di 'telepopulismo' berlusconiano; un altro quarto di populismo 'anticasta' grillino anche contro le vecchie idee 'di sinistra'." Renzi puntava anche a un elettorato esterno al suo partito, di centro e anche di destra, "in vista della costruzione di un vero 'Partito della Nazione' (sogno di ogni buon populista)". (Populismo 2.0).
La campagna elettorale di Grillo in camper - chiamata "Tsunami Tour. Un comico vi seppellirà" - toccò cento città: "Il Parlamento, sarà aperto dai 5 stelle come una scatoletta di tonno", promise. Lo Tsunami tour si chiuse in piazza San Giovanni a Roma, il 22 febbraio. C'era davvero una folla impressionante, e sul palco quella sera salì anche Casaleggio: "Io parlo poco, è una delle pochissime volte che mi vedrete", fu la premessa. Oratore modesto, di certo era più abile nella scelta dei collaboratori, primo fra tutti Beppe Grillo. In luglio rilasciò un'intervista a Gianluigi Nuzzi, e la frase centrale è "a me non interessa la politica, a me interessa l'opinione pubblica". Da questo concetto scaturiranno le future contraddizioni del M5s, capace di cambiare opinione scegliendo posizioni anche opposte, guidato dall'opinione pubblica e dal consenso.
Dalle urne uscì un risultato da crollo per Pdl (la media delle due Camere passò da 37,3 a 21,9 per cento) e per Pd (da 33,4 a 26,4 per cento); il M5s ottenne il 25,5 per cento alla Camera, con 109 deputati, e il 23,3 per cento al Senato, pari a 54 senatori: il consenso era trasversale e omogeneo su tutto il territorio, con minore presa sui pensionati. Per come la legge elettorale traduceva in seggi i voti - anche assegnando i premi di maggioranza con modalità diverse tra le due camere - fu subito evidente che formare un governo non sarebbe stato facile.
Gianroberto Casaleggio: ""Io parlo poco, è una delle pochissime volte che mi vedrete. A me non interessa la politica, a me interessa l'opinione pubblica".
Giorgio Napolitano - in scadenza di mandato - iniziò le consultazioni. Beppe Grillo fu ricevuto il 21 marzo e rimase per 50 minuti, spiegando che il MoVimento avrebbe accolto solo l'incarico di formare il Governo, nessun'altra opzione di apparentamenti o accordi. Sei giorni dopo Grillo, con accanto i due capogruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, era seduto a un tavolo di fronte a Pier Luigi Bersani, segretario del Pd e capo del Consiglio incaricato. Bersani, che aveva accettato la diretta via streaming, pagò con un'umiliazione la sua disponibilità a trattare con i grillini: mentre cercava di capire le loro richieste, i 5 Stelle risposero con irridente distacco, mettendolo nell'imbarazzante posizione del fabbricante di inciuci. Nel 2013, a quasi due mesi dal voto, l'Italia era ancora senza governo.
*****
E qui il sogno comincia a far casino, i sogni lo fanno spesso. Siamo nel marzo 2018, la scena è la stessa, Grillo c'è sempre ma di fronte a lui intravedo il volto indistinto di un poveretto (per modo di dire) incaricato di formare il governo. Mi appaiono un pallottoliere che si snocciola, un calendario del 2018 che si sfoglia da solo, come nei vecchi film. E d'improvviso, sempre come nei vecchi film, mi appare il viso di un Papa Buono, un altro populista, ex prete di strada.
A proposito di nuove strade, dopo avere fatto fuori Enrico Staisereno Letta, il 22 febbraio 2014, a 39 anni, Matteo Renzi è il più giovane presidente del Consiglio della storia italiana, battendo di una cinquantina di giorni Benito Mussolini. Nel primo discorso al Senato - che nelle sue intenzioni doveva essere trasformato assieme al bicameralismo perfetto - non si trattiene dal dire: "Signor Presidente del Senato, gentili senatrici, onorevoli senatori, riflettevo stamattina sul fatto che io non ho l'età per sedere nel Senato della Repubblica." Comunica "fin dall'inizio che vorrei essere l'ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'Aula. Sono consapevole della portata di questa espressione, e anche del rischio di farla di fronte a senatrici e senatori che certo non meritano per qualità personale il ruolo di ultimi senatori a dare la fiducia a un Governo, ma è così". Senatrici e senatori e potranno assistere alla sua caduta, meno di tre anni dopo.
Un comune denominatore del neopopulismo di Grillo, Renzi e Berlusconi è l'appello alla semplificazione. È come se tutti dicessero che la soluzione a problemi che ci tormentano da decenni è semplice, solo che non conviene a chi ha sempre deciso: i partiti, gli alleati, gli avversari, la burocrazia, le corporazioni, la "gente" - sempre altri - che si mettono di traverso per autoconservazione. Il primo grande exploit del nuovo segretario e presidente del Consiglio fu il risultato delle elezioni europee del 25 maggio: il Pd raccolse uno strabiliante 40,8 per cento. Il M5s si aspettava di compiere il sorpasso ma è secondo. In compenso a Strasburgo arrivano 17 deputati, che entrano nel gruppo Europe of Freedom and Direct Democracy (Efdd) del partito populista inglese Ukip, guidato da Nigel Farage, paladino della Brexit che verrà.
Al V-Day di Genova, Grillo aveva presentato i sette punti per l'Europa. L'ultimo contiene la proposta più dirompente e più ballerina, come era ondivaga l'opinione sulla permanenza dell'Italia in UE dei 5 stelle: il referendum sull'euro. "Ci siamo stufati", aveva gridato Grillo, "ci siamo trovati in Europa senza poter dire nulla". L'appello alla democrazia maschera le carenze dei programmi e il MoVimento manteneva uno schema collaudato: l'offerta di soluzioni semplicistiche, che nella loro attuazione sarebbero tutt'altro che semplici; come si gestirebbe per esempio un eventuale uscita dalla moneta unica? come sarebbe realizzata la riforma della Costituzione necessaria per indire un simile referendum? Tutto però serviva per trasformare in consenso il malcontento, innescando anche un circolo al contempo vizioso (per le tensioni nel paese) e virtuoso (per il successo del MoVimento).
Non era questo il problema di Grillo. Gli occorreva soprattutto reagire all'impatto di un nuovo "nemico" e del suo governo, impregnato proprio della retorica del cambiamento, del riformismo, dello svecchiamento della classe dirigente e delle istituzioni: rilanciando il bipolarismo, inoltre, Renzi avrebbe declassato il MoVimento a primo degli esclusi dalla scena politica, spuntandone le armi. Come non bastasse, il populismo di governo renziano era più accogliente e accoglibile, secondo il principio per cui si preferisce fidarsi di chi indossa giacca e cravatta. Le azioni del governo Renzi furono tante e spesso divisive: bonus di 80 euro ai lavoratori con bassi stipendi, Jobs Act, "Buona Scuola", "Svuota Carceri", riforma della pubblica amministrazione, il canone Rai nella bolletta della luce, le unioni civili, il "dopo di noi", per le famiglie con figli disabili, e lo "sblocca Italia", per fare ripartire le opere pubbliche. Anche la riforma costituzionale era salpata con il vento in poppa, con il patto del Nazareno a soffiare sulle vele, sembrava davvero #lavoltabuona, per riprendere l'hashtag renziano; poi arrivarono l'elezione di Sergio Mattarella, la rottura con Berlusconi, e il muro contro muro delle approvazioni a maggioranza tornò a essere l'unico rapporto possibile con il centrodestra e Forza Italia.
Il populismo di governo renziano era più accogliente e accoglibile, secondo il principio per cui si preferisce fidarsi di chi indossa giacca e cravatta.
Renzi si giocò tutto con il referendum sulla riforma costituzionale che aveva voluto e il cui unico punto che appariva chiaro al popolo dei votanti era la trasformazione del senato in un organismo più snello e meno costoso, oltre all'abolizione di un organismo pure costoso di cui i più non conoscevano neanche l'esistenza. Renzi valuta la riduzione dei costi della politica in circa 500 milioni di euro l'anno. "Pensate a come sarà bello", disse in agosto, "poter prendere quei 500 milioni (…) e metterli sul fondo della povertà e dare una mano a quei cittadini che non ce la fanno". Era sicuro che simili prospettive allettassero il popolo e nel gennaio del 2016 vibrò sui propri piedi una delle più stupefacenti zappate che mai politico si sia inferto: nel pieno del suo successo personale, quando ancora godeva della fiducia e della simpatia di buona parte degli italiani, aveva dichiarato - con spericolata arroganza - che se il referendum fosse stato bocciato, avrebbe abbandonato per sempre la politica.
Anche Maria Elena Boschi promise le dimissioni in caso di bocciatura della riforma. "Se al referendum vince il no, allora verranno altri. E io e Matteo Renzi andremo via", disse a Lucia Annunziata il 22 maggio 2016. A molti non sembrò vero di poter cacciare con tanta facilità un potente - il Potente - che con quella frase non dimostrava umiltà, bensì arroganza. E gli avversari ne approfittarono a mani basse. Anche D'Alema e Bersani - i presunti rottamati - partirono lancia in resta senza timore né remora alcuna.

Per chiamare gli elettori alle urne Berlusconi scelse, di nuovo, la paura della democrazia in pericolo: "Renzi si è cucito un abito su misura su di lui e sul Pd. Che cosa succederebbe? Un unico uomo avrebbe nelle sue mani il Senato, la Camera, potrebbe eleggere il capo dello Stato e i membri della Corte Costituzionale. Sarebbe padrone dell'Italia e degli italiani". Anche il MoVimento 5 Stelle, dopo averla attaccata, prese le difese della Costituzione.
A fare vincere il No fu la voglia di vedere sconfitto Renzi più che la volontà di difendere la Costituzione, come hanno sostenuto tutte le analisi post voto. Le indagini e i dati degli istituti di statistica vedono quasi tutti concordi: il No può essere definito "sociale" - più che politico - e comunque di protesta. Le variabili geografiche, di reddito, impiego, età, portano tutte nella medesima direzione: qualsivoglia forma di disagio bocciò la riforma e Renzi, con tutto il suo governo. Tra disoccupati e inoccupati le percentuali sfiorano addirittura l'80 per cento. Per trovare la maggioranza di Sì, bisogna isolare il voto degli anziani o degli ultra cinquantacinquenni. Il No - che per Renzi significava confermare tutto il vecchio - per i votanti fu invece una inequivocabile richiesta di cambiamento. Come aveva promesso, a meno di due ore dalla chiusura dei seggi Renzi si dimise. Maria Elena Boschi, invece, no. Bersani e D'Alema brindarono, e non in privato.
A fare vincere il No fu la voglia di vedere sconfitto Renzi più che la volontà di difendere la Costituzione.
Andò al governo Paolo Gentiloni, e della sua attività mi piace ricordare soprattutto la legge sul biotestamento. Poca cosa, rispetto a quella sull'eutanasia legale che si dovrà necessariamente promulgare (ma l'onore non toccherà al 2018). Il ritardo italiano in questo tipo di legislazione - di libertà - ha radici antiche, che producono rami secchi: lo stato che prevale sul cittadino anche sui diritti fondamentali dell'individuo, imponendo un'etica che non avrebbe diritto di imporre: è questo l'antipopulismo di stato che favorisce il successo dei populismi.
Per il 4 marzo le promesse elettorali di Renzi seguono la linea già tenuta al governo, ma sono ovviamente meno credibili e credute. Con in più il problema Maria Elena Boschi e i più che legittimi sospetti di conflitto d'interessi per il ruolo del governo nei salvataggi e negli aiuti delle banche in difficoltà, specialmente quella dove il padre era vicepresidente. È con questo assillo familistico che il Pd va alle elezioni del 2018, in un paese che odia gli intrallazzi familiari dei potenti proprio perché in ogni famiglia c'è il desiderio di "darsi una mano" a qualunque costo.
Protagonista indiscusso del centrodestra, capace di risalire giorno dopo giorno nei sondaggi, è sempre Berlusconi. Tessuta l'alleanza - equilibrando magistralmente bastone e carota - con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ripropone gli schemi elettorali scientificamente populisti che conosciamo: scelta di un nemico (dai comunisti passa ai 5 stelle) e promesse dei soliti mari degli sgravi fiscali e i monti della ripresa economica. "Me ne andrò dopo aver vinto un'altra volta", aveva dichiarato a Friedman nel 2015.
Luigi Di Maio è il capo politico eletto dai 5 Stelle a settembre da consultazioni in rete. Assicura che il MoVimento è disposto, per la prima volta, persino a associarsi a altri partiti dopo le elezioni; la sua "stella polare" è "garantire agli italiani una migliore qualità della vita"; la frase più impressionante - perché vera - di Di Maio è: "Dicevano che eravamo una meteora. La realtà è che alle soglie del 2018 siamo la prima forza politica del Paese".
*****
Mi sveglio di colpo, sudato, quando mi appare l'immagine di un incontro al vertice in Europa. I due quasi coetanei Di Maio e Macron parlano delle rispettive carriere. Emmanuel racconta a Gigi della sua laurea in filosofia, degli studi all'Istituto di studi politici di Parigi e all'École nationale d'administration, di come è diventato ricco conducendo a meraviglia una negoziazione tra Nestlé e Pfizer, del suo lavoro come ministro dell'Economia… Mentre ascolta la traduzione, Di Maio ha un sorriso a tutti denti, e ce l'ha ancora mentre Macron attacca a parlare dell'Illuminismo, della Rivoluzione Francese, dello Stato laico.
@GBGuerri
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4. Recesso DEL CONSUMATORE
4.1 L'Utente, ove qualificabile come consumatore – per consumatore si intende una persona fisica che agisce
per scopi
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dell'Abbonamento acquistato.
4.2 L'Utente può comunicare la propria volontà di recedere, inviando al Fornitore una comunicazione
esplicita in questo
senso mediante una delle seguenti modalità:
mediante raccomandata a.r. indirizzata alla sede del Fornitore;
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4.3 Ai fini dell'esercizio del recesso l'Utente può, a sua scelta, utilizzare questo modulo
4.4 Il termine per l'esercizio del recesso si intende rispettato se la comunicazione relativa all'esercizio
del diritto
di recesso è inviata dall'Utente prima della scadenza del periodo di recesso.
4.5 In caso di valido esercizio del recesso, il Fornitore rimborserà all'Utente il pagamento ricevuto in
relazione
all'Abbonamento cui il recesso si riferisce, al netto di un importo proporzionale a quanto è stato fornito
dal Fornitore
fino al momento in cui il consumatore lo ha informato dell'esercizio del diritto di recesso; per il calcolo
di tale
importo, si terrà conto dei numeri o comunque dei contenuti fruiti e/o fruibili dal consumatore fino
all'esercizio del
diritto di recesso. Il rimborso avverrà entro 14 giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso sullo
stesso
mezzo di pagamento utilizzato per la transazione iniziale.
4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
5. Modalità di pagamento
5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
misura
specificata nell'offerta in relazione al pacchetto scelto dall'Utente.
5.2 Tutti i prezzi indicati nell'offerta si intendono comprensivi di IVA.
5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
effettuare gli
acquisti online. Le carte accettate sono le seguenti: Visa, Mastercard, American Express.
5.4 L'Utente autorizza il Fornitore ad effettuare l'addebito dei corrispettivi dovuti al momento
dell'acquisto
dell'Abbonamento e dei successivi rinnovi sulla carta di pagamento indicata dallo stesso Utente.
5.5 Il Fornitore non entra in possesso dei dati della carta di pagamento utilizzata dall'Utente. Tali dati
sono
conservati in modo sicuro dal provider dei servizi di pagamento utilizzato dal Fornitore (Stripe o il
diverso provider
che in futuro potrà essere indicato all'Utente). Inoltre, a garanzia dell'Utente, tutte le informazioni
sensibili della
transazione vengono criptate mediante la tecnologia SSL – Secure Sockets Layer.
5.6 È onere dell'Utente: (i) inserire tutti i dati necessari per il corretto funzionamento dello strumento
di pagamento
prescelto; (ii) mantenere aggiornate le informazioni di pagamento in vista dei successivi rinnovi (per
esempio,
aggiornando i dati della propria carta di pagamento scaduta in vista del pagamento dei successivi rinnovi
contrattuali).
Qualora per qualsiasi motivo il pagamento non andasse a buon fine, il Fornitore si riserva di sospendere
immediatamente
l'Abbonamento fino al buon fine dell'operazione di pagamento; trascorsi inutilmente 3 giorni senza che il
pagamento
abbia avuto esito positivo, è facoltà del Fornitore recedere dal contratto con effetti immediati.
Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
interamente
attraverso la piattaforma App Store fornita dal gruppo Apple. Il pagamento del corrispettivo è
automaticamente
addebitato sull'Apple ID account dell'Utente al momento della conferma dell'acquisto. Gli abbonamenti
proposti sono
soggetti al rinnovo automatico e all'addebito periodico del corrispettivo. L'Utente può disattivare
l'abbonamento fino a
24h prima della scadenza del periodo di abbonamento in corso. In caso di mancata disattivazione,
l'abbonamento si
rinnova per un eguale periodo e all'Utente viene addebitato lo stesso importo sul suo account Apple.
L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.