14 Marzo
I piani di Macron per l'Europa? Affondati dalla Germania
Non sono stati i populisti italiani a sbarrare la strada ai disegni europeisti del Presidente della Francia, ma l'alleato di Berlino. Di Maio e Salvini non si illudano sul voto per Strasburgo. Un'indagine di Lorenzo Castellani su mito e realtà dell'Unione dei litiganti
di Lorenzo Castellani
Per molto tempo i principali commentatori italiani hanno incolpato il governo populista di aver sabotato l'europeismo, di aver sbagliato le alleanze a Bruxelles, di aver contribuito all'indebolimento del processo d'integrazione e di essersi votato all'isolamento.
Nelle ultime settimane queste affermazioni si sono dimostrate una mezza verità. È senz'altro vero che il governo italiano ha una posizione poco definita sul futuro dell'Unione Europea e alimenta ambiguità sulle alleanze internazionali, che ha collezionato passi falsi sul piano diplomatico (Macron e i gilet gialli) e che tende a nutrire eccessive speranze sulle prossime elezioni europee ed il cambiamento che forse ne potrebbe conseguire.
Tuttavia, incolpare Conte, Di Maio e Salvini del fallimento dell'integrazione europea significa sia sovrastimare il nostro governo, sia sbagliare la diagnosi sui problemi dell'Unione Europea.
In primo luogo non si deve dimenticare che le due forze che compongono l'esecutivo italiano sono state scelte dai loro elettori anche, se non soprattutto, per la loro piattaforma euroscettica. È quindi naturale che i due partiti assumano un atteggiamento critico sulle ipotesi di ulteriore integrazione politica avanzate in sede europea. Dopo decenni di europeismo condiviso e a senso unico questo è un cambiamento, almeno sul piano dialettico e concettuale, che gli analisti dovrebbero iniziare a digerire, seppure male.
In secondo luogo è palese che lo status quo sulle riforme europee non può imputarsi che in modo molto ridotto al nuovo governo italiano. Quello che nell'ultimo anno e mezzo è successo con gli ambiziosi piani di riforma del Presidente francese Emmanuel Macron è paradigmatico. Macron ha presentato due piani, entrambi volti a centralizzare ulteriormente le competenze a Bruxelles con la creazione di nuove agenzie, ad instaurare meccanismi di maggiore integrazione economico-finanziaria, come un fondo per gli investimenti e un sistema di mutualizzazione dei debiti pubblici, a rafforzare la cooperazione, in particolare nel...
di Lorenzo Castellani
Per molto tempo i principali commentatori italiani hanno incolpato il governo populista di aver sabotato l'europeismo, di aver sbagliato le alleanze a Bruxelles, di aver contribuito all'indebolimento del processo d'integrazione e di essersi votato all'isolamento.
Nelle ultime settimane queste affermazioni si sono dimostrate una mezza verità. È senz'altro vero che il governo italiano ha una posizione poco definita sul futuro dell'Unione Europea e alimenta ambiguità sulle alleanze internazionali, che ha collezionato passi falsi sul piano diplomatico (Macron e i gilet gialli) e che tende a nutrire eccessive speranze sulle prossime elezioni europee ed il cambiamento che forse ne potrebbe conseguire.
Tuttavia, incolpare Conte, Di Maio e Salvini del fallimento dell'integrazione europea significa sia sovrastimare il nostro governo, sia sbagliare la diagnosi sui problemi dell'Unione Europea.
In primo luogo non si deve dimenticare che le due forze che compongono l'esecutivo italiano sono state scelte dai loro elettori anche, se non soprattutto, per la loro piattaforma euroscettica. È quindi naturale che i due partiti assumano un atteggiamento critico sulle ipotesi di ulteriore integrazione politica avanzate in sede europea. Dopo decenni di europeismo condiviso e a senso unico questo è un cambiamento, almeno sul piano dialettico e concettuale, che gli analisti dovrebbero iniziare a digerire, seppure male.
In secondo luogo è palese che lo status quo sulle riforme europee non può imputarsi che in modo molto ridotto al nuovo governo italiano. Quello che nell'ultimo anno e mezzo è successo con gli ambiziosi piani di riforma del Presidente francese Emmanuel Macron è paradigmatico. Macron ha presentato due piani, entrambi volti a centralizzare ulteriormente le competenze a Bruxelles con la creazione di nuove agenzie, ad instaurare meccanismi di maggiore integrazione economico-finanziaria, come un fondo per gli investimenti e un sistema di mutualizzazione dei debiti pubblici, a rafforzare la cooperazione, in particolare nel settore della difesa. Il primo piano è stato presentato prima che s'instaurasse l'esecutivo Conte, mentre il secondo è stato lanciato, con una operazione intrisa della miglior grandeur francese, su 28 quotidiani europei.
In entrambe le occasioni non è stato il populismo italiano a sbarrare il passo a Macron bensì l'euroconservatorismo tedesco, olandese, baltico e austro-ungarico. La Merkel lasciò cadere nel vuoto le proposte dell'Eliseo avanzate tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018, di fatto la governance europea non è stata riformata ed il "piano Macron" è stato distrattamente discusso e rapidamente archiviato. Nel caso invece della più recente call-to-action del Presidente francese la risposta dei tedeschi è stata ancora più forte e chiara ed è arrivata per bocca del nuovo leader della CDU Annegret Kramp-Karrenbauer:
Il centralismo europeo, lo statalismo, la comunitarizzazione del debito, l’europeizzazione della sicurezza sociale e il salario minimo comune sarebbero la strada sbagliata, servono sussidiarietà e responsabilità.
Fuori dal politichese raffinato di AKK si vuol dire che le proposte di riforma di Macron sono da chiudere in qualche cassetto ministeriale o, magari, da gettare direttamente nel tritacarte.
Annegret Kramp-Karrenbauer, leader della Cdu, durante il congresso della Csu.Ancora una volta la Germania, ed il suo principale partito di governo, dimostrano di non voler cedere di un millimetro sulla posizione euroconservatrice che li caratterizza. Di riforme per aumentare i poteri regolatori di Bruxelles, la fiscalità comune ed il welfare europeo Berlino non ne vuol sentire parlare, al massimo si possono avere maggiori risorse - sempre meno delle cifre faraoniche favoleggiate da Macron - che potranno essere destinate agli investimenti pubblici. Considerata l'ascesa dell'euroscetticismo in tutti i paesi dell'Ue, la posizione tedesca appare equilibrata e giustificata dalle inclinazioni dell'opinione pubblica. Infatti la maggior preoccupazione dei cittadini tedeschi è proprio quella di dover destinare parte delle proprie tasse per finanziare politiche pubbliche a favore dei cittadini degli altri Stati europei.
Su questa linea si muovono tutti quei paesi che fanno parte dell'area d'influenza tedesca: la cosiddetta nuova Lega anseatica, composta da Olanda e Paesi baltici, il gruppo di Visegrad e l'Austria. Alla risposta del nuovo leader Cdu si sono subito accodati i primi ministri o ministri dell'Economia di questi paesi che hanno liquidato anche il secondo tentativo del Presidente Macron, che rischia di ottenere molto poco dalla sua napoleonica propaganda europea.
Con questa azione di sabotaggio però, al contrario di quanto sostenuto dai media mainstream, i populisti italiani c'entrano poco. Il governo Conte è alla disperata ricerca di maggiore flessibilità di bilancio, maggiori investimenti pubblici e una maggiore condivisione dei rischi legati al debito pubblico per via politica o monetaria, mentre gli esecutivi di questi paesi sposano la linea della fermezza fiscale ed esprimono sfiducia verso una maggiore integrazione economica proprio per i rischi legati alla fragile finanza pubblica di alcuni paesi, in primis l'Italia.
In altre parole Macron si è infilato in una posizione intermedia che oggi non paga. I sovranisti mediterranei, infatti, pur non avendo una linea politica precisa sull'Europa non possono far accettare alle proprie opinioni pubbliche un ulteriore passo verso l'integrazione europea. Al contrario gli euroconservatori del centro-nord Europa non intendono condividere maggiori risorse economiche con il resto del continente. Per questi governi la parole chiave restano stabilità, responsabilità di bilancio e, più genericamente, ordoliberalismo.
Il piano Macron scontenta tutti e appare un capolavoro di alienazione politica: i paesi del Sud, come l'Italia, non vogliono più controllo e condivisione politica da Bruxelles perché considerano quest'approccio come un vincolo esterno eccessivamente pesante da sostenere, mentre i Paesi del Centro-nord non vogliono mettere a repentaglio gli interessi dei propri contribuenti aumentando il grado d'integrazione economico-finanziaria. In sostanza, la riforma proposta dal Presidente francese piace solamente al suo inner circle, ai tecnocrati europei e alla stampa liberal. Troppo poco per portare a casa qualche risultato.
Dunque, la narrazione secondo cui l'integrazione europea non proseguirebbe per l'opposizione dei populisti, italiani in particolare, è una rappresentazione falsata. I primi leader ad esprimere scetticisimi e bocciature al piano Macron, infatti, non appartengono all'internazionale populista, ma prevalentemente al Partito Popolare Europeo.
Ciò ci riporta alla questione fondamentale dell'Unione Europea e cioè alla sua incapacità di superare gli interessi nazionali più che le diverse posizioni politiche dei partiti. Ciascuno Stato tende a conservare o, al contrario, a spingere per la tutela del proprio interesse nazionale e dei propri contribuenti. L'Unione Europea è bloccata non per l'ascesa dei populisti, ma perché le sue istituzioni non riescono a proseguire il cammino dell'integrazione. Questa situazione persiste oramai da decenni, nasce ben prima che Di Maio, Salvini e soci apparissero sulla scena politica europea.
Questo quadro ci conduce a due riflessioni finali, una sui populisti nostrani ed una sul complesso europeo. La prima è che, come già scritto, l'entusiasmo che i nostri governanti esprimono verso i risultati del voto europeo, che potrebbero vedere un exploit elettorale della destra sovranista, rischia di essere esagerato. La politica europea, in particolare quella economica e finanziaria, è saldamente nelle mani degli Stati nazionali e della Banca Centrale Europea. Pensare che una modifica, anche consistente, degli equilibri del Parlamento europeo possa segnare una rivoluzione è quantomeno ingenuo. La distanza di posizioni tra i vari Stati, al contrario, potrebbe ulteriormente allontanarsi: da un lato chi vorrebbe maggiore flessibilità e dall'altro chi vorrebbe ancora più responsabilità fiscale. È una questione di tradizioni politiche ed interessi nazionali più che di partiti al potere a Bruxelles. Il governo farebbe bene a tenerne conto e di conseguenza a valutare i rapporti di forza nel Consiglio Europeo per orientare la propria strategia.
La seconda questione riguarda le ambizioni delle istituzioni europee e le allucinazioni macroniane. Considerata questa situazione di stallo, viene da domandarsi se davvero l'integrazione europea debba proseguire o meno. Ancora meglio, se una ulteriore integrazione a tappe forzate possa giovare o meno al funzionamento dell'Unione Europea. Forse sarebbe il caso di abbandonare piani utopici e grandi ambizioni che costantemente s'infrangono sugli scogli della realtà per concentrarsi su poche ed importanti questioni. Quali? I rapporti con gli Stati Uniti, il rafforzamento del mercato unico, le relazioni tra grandi imprese e banche europee, le infrastrutture di collegamento a livello continentale e, naturalmente, la protezione dalla concorrenza e dell'espansionismo cinese.
Perché invece di rincorrere ancora il sogno irrealizzabile e potenzialmente dannoso di un grande Stato sovranazionale la classe politica europea non pensa a correggere gli eccessi e a far meglio funzionare ciò che già c'è? Non si può continuare a fantasticare sulla costruzione di un intero quartiere quando la propria casa ha ancora le fondamenta fragili, il tetto bucato e le porte con gli spifferi.
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.