11 Gennaio
Il caso Trump e l'Europa che scopre "l'oligarchia digitale"
L'Unione ha un problema con le Big Tech. Il portavoce di Angela Merkel: "Per la cancelliera il blocco è problematico". Bruno Le Maire: "Sono scioccato, non può essere Twitter a chiudere l'account del presidente". Manfred Weber: "Non possiamo lasciare alle Big Tech il potere di decidere cosa si possa dire e non dire". Toh, c'è una crisi di governo in Italia
Che succede? La settima potenza industriale, l'Italia, è in piena crisi di governo; la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, sono in piena crisi costituzionale. Sono due bagliori di diversa dimensione, ma la natura è la stessa: la difficoltà della democrazia a trovare una sintonia con una contemporaneità che galoppa verso dimensioni finora sconosciute, ma anticipate dalla letteratura, dal cinema, dall'arte, dagli storici e economisti più acuti, capaci di andare oltre il visibile. Sembra che un pezzo di storia del mondo sia arrivato a uno stadio terminale, come la morte di una stella che poi si trasforma in un buco nero. Tra Stati Uniti e Italia facciamo il nostro viaggio, ne vale la pena, perché il periodo che stiamo vivendo è eccezionale, nel bene e nel male è la nostra esperienza del quotidiano destinato a diventare storia. Facciamo il nostro giro di giostra, partiamo dal Belpaese, seguite il titolare di List.
01
Il progettino dei costruttori
La crisi di governo in Italia, quale folgorante novità, è aperta da tempo, ma domani dovrebbe avere un'accelerazione con il no Italia Viva al piano del Recovery Fund (e non solo) presentato dal governo Conte. La storia è di estrema semplicità: Matteo Renzi fece nascere il secondo esecutivo Conte e sempre lui lo manderà (forse) al Creatore. Al suo posto cosa nascerà? Nessuno può dirlo con certezza, perché in teoria la crisi dovrebbe passare per le dimissioni di Conte e poi al Quirinale e da quel momento tutto è possibile. Il problema è che in queste ore si è moltiplicato il tam tam di chi dice che Conte ha (di nuovo) i numeri per sostituire i senatori di Italia Viva. Ops, davvero? Primo indizio, una fonte del titolare ieri ha confermato il cambio della ragione sociale dei soccorritori del Conte, non più "responsabili" ma...
Che succede? La settima potenza industriale, l'Italia, è in piena crisi di governo; la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, sono in piena crisi costituzionale. Sono due bagliori di diversa dimensione, ma la natura è la stessa: la difficoltà della democrazia a trovare una sintonia con una contemporaneità che galoppa verso dimensioni finora sconosciute, ma anticipate dalla letteratura, dal cinema, dall'arte, dagli storici e economisti più acuti, capaci di andare oltre il visibile. Sembra che un pezzo di storia del mondo sia arrivato a uno stadio terminale, come la morte di una stella che poi si trasforma in un buco nero. Tra Stati Uniti e Italia facciamo il nostro viaggio, ne vale la pena, perché il periodo che stiamo vivendo è eccezionale, nel bene e nel male è la nostra esperienza del quotidiano destinato a diventare storia. Facciamo il nostro giro di giostra, partiamo dal Belpaese, seguite il titolare di List.
01
Il progettino dei costruttori
La crisi di governo in Italia, quale folgorante novità, è aperta da tempo, ma domani dovrebbe avere un'accelerazione con il no Italia Viva al piano del Recovery Fund (e non solo) presentato dal governo Conte. La storia è di estrema semplicità: Matteo Renzi fece nascere il secondo esecutivo Conte e sempre lui lo manderà (forse) al Creatore. Al suo posto cosa nascerà? Nessuno può dirlo con certezza, perché in teoria la crisi dovrebbe passare per le dimissioni di Conte e poi al Quirinale e da quel momento tutto è possibile. Il problema è che in queste ore si è moltiplicato il tam tam di chi dice che Conte ha (di nuovo) i numeri per sostituire i senatori di Italia Viva. Ops, davvero? Primo indizio, una fonte del titolare ieri ha confermato il cambio della ragione sociale dei soccorritori del Conte, non più "responsabili" ma - allacciate le cinture - "costruttori". Fermi tutti, siamo di fronte a un "nomen omen"? Uhm, no, direi a qualcosa che per ora è "intentionem", un orientamento che in politica però rappresenta un bel pezzo della storia. Dunque, se mai dovessero sbarcare le truppe cammellate del sostegno provvidenziale Conte, si chiameranno niente meno che "costruttori". Chi l'ha detto? Sera del 31 dicembre 2020, Palazzo del Quirinale, parla il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:
Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova.
Alt, quelli che pensano a un ruolo di Mattarella si mettano comodi, rilassati, al Quirinale per nostra fortuna hanno chiaro cosa fare: osservano e auscultano le condizioni del gracile governo, qui si fermano e aspettano che i partiti traggano le loro conclusioni sullo stare insieme o meno. Il tema, come sempre nella storia di questo governo è una questione di maquillage del format alternativo in cottura (che allo stato dell'arte non pare probabile, sia chiaro) la parola antica, "responsabili", emanava l'afrore della stagione croccante del caro Silvio, troppo consumata sul piano dell'immagine per funzionare nello storytelling al quale si pensa in caso di manovra d'emergenza, dunque che "costruttori" siano.
02
Cinque pezzi facili della crisi italiana
Ci saranno, i costruttori? Mah, la storia è un gran casino. Facciamo i ritratti flash dei protagonisti di questa sgangherata crisi (ma nata per ragioni reali e urgenti) e poi giudicate voi. Leggiamo come sono disposti i pezzi sulla scacchiera, facciamo cinque pezzi facili.
1) Giuseppe Conte. Non sa che fare, ondeggia paurosamente, ha cercato sponde ovunque e alla fine gli mancano sempre i voti di Renzi. Era pronto a accettare tutto (e naturalmente un minuto dopo aver incassato la sopravvivenza avrebbe manovrato per rendere quel tutto assolutamente niente), ma Renzi gli ha segato la sedia dicendo che non gli interessava proprio niente. In più il premier s'è ritrovato davanti due ministre toste, perché le donne rispetto agli uomini sono infinitamente più serie e coerenti, dopo ogni vertice Conte deve prendere l'aspirina alla lettura delle dichiarazioni soprattutto di Bellanova. Cosa può fare il premier? Ha tirato egregiamente a campare, ma il tempo gli è scivolato via come sabbia sulle dita. Può dimettersi, oppure tentare il salvataggio in alto mare, ma è estramente pericoloso, forse più di una crisi con le dimissioni innescate e la salita al Quirinale. Tutto dipende dal suo avversario, Matteo Renzi;
2. Matteo Renzi. Ha fatto impazzire Conte giocando da fondo campo e sotto rete, piaccia o meno, quando si mette dare effetto alla palla, Renzi è McEnroe. E come il grande tennista americano spesso si fa espellere perché ha la tentazione perenne di sfanculare il giudice di sedia, inveire al cielo contro il rumore degli aerei, farla grossa per un colpo da fantastilandia. Fuoriclasse lo è, anche nel perdere un patrimonio di voti incredibile. Detto questo, ha giocato la partita della crisi sul filo del rasoio e finora l'ha condotta lui. Il Pd l'ha mandato avanti, lui ha fatto tutto da solo (e i dem dovrebbero pur ricordare qualche volta di essere un partito e non una carrozza ministeriale), ha accelerato al massimo rischiando di spaccare i pistoni e ora è là, a cento metri dal traguardo: le dimissioni di Conte. Ha avvisato il premier: "Andare in aula è un azzardo" (traduzione: se provi a fare un'altra maggioranza allora sarà il Vietnam parlamentare) e ora riempie lo spazio dell'attesa mandando i suoi a dire che è finita. In politica, naturalmente, non è finita finché non è finita. Renzi deve ottenere le dimissioni di Conte, è il risultato minimo, con quello in tasca potrà continuare a giocare la mano. Torna indietro? Se lo fa, perde la faccia;
3. Nicola Zingaretti. Mamma mia, gli è toccato in sorte davvero di tutto, ha dovuto salvare Conte - nell'estate del negoziato con i Cinque Stelle le fonti dem del titolare erano sotto botta per le "fortissime pressioni" per fare il governo. Zingaretti lo ha fatto, si è assunto tutta la responsabilità, ha scelto di provarci e non era la strada per lui più facile, va dato atto di questa scelta da stunt-man, ma poi tutto è finito nella casella d'emergenza del coronavirus e qui è emerso il punto chiave: Conte è un affabulatore che sa perdere tempo per comprare tempo, ma ha mostrato di essere un accentratore, fa la gestione in famiglia di Palazzo Chigi, e nel Pd la corrente dei malpancisti è lunga. Il governo era più o meno telecomandato da Franceschini, che ora non trova più il pulsante per tenere Conte fermo sul canale dem, l'ex avvocato del popolo si è messo in testa di fare da solo, il risultato è che a un certo punto nella segreteria di Zingaretti hanno cominciato a dire che "i problemi posti da Renzi sono veri" e allora "mandiamolo avanti". Alla vista di una crisi al buio, Zingaretti naturalmente (e con non poche ragioni) si ritrae, ma sa bene che le dimissioni sono la via più logica, meno pasticciata per provare a ripartire. Nicola spera in un ripensamento di Matteo, forse è troppo tardi;
4. Luigi Di Maio. Lealtà ufficiale a Conte e il desiderio di vederlo ridimensionato (fino a sparire). Il doppio di Di Maio è la partita per riprendersi il partito-che-non-c'è, ma va detto che Luigi è l'unico là dentro che apre e chiude la porta, il resto della truppa non ha il carattere per tenere insieme un'armata Brancaleone senza Gassmann e il suo destriero Aquilante. Nei rimpasti dei giornali che devono pur riempire le pagine è dato in casella pret à porter vicepremier, ma per lui va bene qualsiasi cosa abbia la visibilità che gli consente di parlare di tutto. Non ha avversari nei Cinque Stelle, ma quelli che ci sono fanno muro. Se non si vota e si resta in sella nel governo, potrà dire ai compagni penstastellati che senza di lui sarebbero a cercarsi tutti un lavoro o in fila per il reddito di cittadinanza, dunque ha buone possibilità di uscire dalla crisi in ogni caso rafforzato;
5. Roberto Speranza. Qui in realtà dovremmo metterci la coppia Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, due simpatici pensionati della politica che continuano a tirare colpi nella bocciofila - dove in fondo almeno loro sono due professionisti affermati - e l'hanno fatto talmente bene da avere il giovane Roberto al ministero della Sanità. LeU è un piccolo partito, ma è per Conte una sicurezza, non vogliono la crisi, sono per mantenere lo status quo, faranno quanto impone la necessità di controllare qualcosa e andare avanti nannimorettianamente a dire "qualcosa di sinistra". Massimo D'Alema ha buttato giù qualche giorno fa una frase infelice sul fatto che un "premier popolare" (Conte) non può esser tirato giù da uno che popolare non è (Renzi). Matteo si è incazzato come una furia, vale a dire che D'Alema ha innescato (in)volontariamente il barilotto di dinamite. Sono passi falsi dettati dal lavoro usurante di tenere in piedi la baracca di LeU avendo una certa età ma sempre molte più cose intelligenti da dire rispetto alla media rasoterra di questo Parlamento. Perdonato, tanto lui o un altro, il pasticciaccio brutto sarebbe andato avanti lo stesso. E Speranza? In questo caso siamo di fronte a un fatto certo: nomen omen.
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Che facciamo ora? C'è un'altra crisi, ben più importante, ci giochiamo un pezzo di storia futura dell'Occidente. Andiamo in America, ma facendo un passaggio in Europa. I leader dell'Unione stanno cominciando a realizzare qual è il punto chiave di questa storia. No, non è il destino di Trump (piccolo come quello di qualsiasi uomo) ma dell'intera politica, di quella cosa chiamata libertà di parola.
03
L'Europa contro l'oligarchia digitale. Merkel: blocco di Trump è problematico
Dopo la retorica della condanna (scontata, ci mancherebbe) dell'assalto al Campidoglio, piano piano si sta facendo largo la realtà: quella dei social network che decidono chi parla e chi non parla. Jack Dorsey, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e tutti gli altri (non dimentichiamo i fondatori di Google, monopolista del search box e leader dell'intrattenimento online con YouTube) aprono e chiudono il rubinetto delle opinioni, hanno il potere di accendere e spegnere il microfono. A Bruxelles stamattina il sonnambulismo si è interrotto, la reazione più forte è quella espressa dal portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, che in conferenza stampa a Berlino, ha risposto così alla domanda sul tema: "La cancelliera Angela Merkel ritiene problematico che sia stato bloccato in modo completo l'account Twitter di Donald Trump". La cancelliera non ha perso la testa, l'argomento è fondamentale, è il futuro stesso della politica che oggi corre sul sistema nervoso dell'infrastruttura digitale. E Merkel non è certo una voce isolata che improvvisamente si risveglia.
Il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, ha espresso la sua "perplessità" per la decisione delle piattaforme online di bandire Donald Trump, dai social network "senza controllo legittimo e democratico" e ha rilanciato i progetti europei per regolamentare i giganti del web. "Il fatto che un Ceo possa staccare la spina dell'altoparlante del presidente degli Stati Uniti senza alcun controllo e bilanciamento è sconcertante. Non è solo una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale", ha commentato Breton con un editoriale pubblicato da Politico e Le Figaro. Breton spiega che le piattaforme "non saranno più in grado di sottrarsi alla (loro) responsabilità" per il loro contenuto. "Proprio come l'11 settembre ha segnato un cambio di paradigma per gli Stati Uniti, se non il mondo, ci saranno, quando si parla di piattaforme digitali nella nostra democrazia, un prima e un dopo l'8 gennaio 2021".
Contro la decisione delle Big Tech di oscurare Trump (e lanciare la Grande Purga digitale contro decine di migliaia di account dei repubblicani) si è schierato anche il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, che ha messo la faccenda sul piano corretto: "Quello che mi sciocca è che sia Twitter a chiudere l'account di Trump. La regolazione dei giganti del web non puà essere svolta dalla stessa oligarchia digitale", ha detto Le Maire in una intervista a France Inter. Parigi suona il tamburo, Berlino dà fiato alla tromba. "Non possiamo lasciare che siano le società americane della Big Tech a decidere come discutere e non discutere, cosa si possa e cosa non si possa dire in un discorso democratico. Abbiamo bisogno di un approccio normativo più rigoroso", dice Manfred Weber, l'europarlamentare tedesco capogruppo del Ppe.
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Bene, si comincia a ragionare, vedremo se a queste dichiarazioni seguiranno atti politici concreti, facciamo un punto nave su quello che è successo in America.
04
Due Americhe e la messa al bando della ragione
L'errore del Trump capo politico che annulla il presidente. L'impeachment già rinviato dai Dem divisi sul che fare. La cancellazione da Twitter e la Grande Purga dei repubblicani, un problema che riguarda tutti, oggi The Donald, domani un altro. I dittatori online, il potere politico delle Big Tech e il degrado totale del dibattito pubblico. Chi comanda nel Gop? Chi ha i voti, Trump. Il rischio di una guerra civile e l'Europa sonnambula sul futuro dell'Occidente
6 gennaio 2021. Washington DC, la manifestazione dei sostenitori di Trump radunati di fronte al Washington Monument (Foto Zuma).La crisi americana è una matrioska, quella più grande ha la faccia di Donald Trump, ma al suo interno ci sono altre bamboline che sono pronte a bussare alla porta di tutti.
La colpa di Trump è quella di non aver mai tenuto conto di una verità che la Storia offre gratis a tutti: la massa ha un limite di manovra per qualsiasi leader carismatico, superato quello, diventa ingovernabile, assume una propria fisionomia e diventa "muta di guerra" (Elias Canetti, Massa e Potere).
La sua responsabilità politica è evidente, non è una questione di intenzionalità o meno - il fatto è squadernato - si tratta dell'incapacità di Trump di leggere (e reggere) il contesto del 6 gennaio scorso: il conteggio dei voti in Georgia, la seduta del Congresso per la certificazione dell'elezione di Joe Biden, la manifestazione degli elettori di Trump sull'Ellipse di fronte alla Casa Bianca. Tre scenari, due Americhe.
Trump in quel giorno più che mai avrebbe dovuto mantenere l'equilibrio tra la sua figura di capo di un movimento e quella del presidente degli Stati Uniti d'America. Il primo parla ai suoi elettori e tiene la sua linea politica, ma nel farlo deve ricordare che il secondo rappresenta l'istituzione e un'idea fondamentale - la democrazia in America - che perfino se avesse ragione (e sul voto non ce l'ha nei termini in cui la pone, i brogli non sono provati) dovrebbe in ogni caso rappresentare dentro una cornice istituzionale, con atti formali precisi, in un quadro di moderazione e rigore costituzionale. Il primo ha annullato il secondo, il capo politico ha travolto il presidente, questo è il problema.
Come si risolve la crisi? I democratici parlano di impeachment e 25° emendamento, cercano di indurre Trump alle dimissioni e fanno pressione sui repubblicani affinché convincano il presidente a lasciare prima del 20 gennaio. Sono tentativi che per ora sembrano destinati ad andare a vuoto: Trump non vuole dimettersi, il Gop non ha alcuna influenza sul presidente, semmai è il contrario, è Trump che condiziona il partito perché possiede una cosa che non ha nessun altro, il consenso espresso due mesi fa da 73 milioni di americani, Trump ha i voti. E tra due anni ci saranno le elezioni di medio-termine. Due anni sono lontani? No, sono vicinissimi, la politica americana è una prova continua.
Sul taccuino del cronista c'è la domanda del compagno Lenin: che fare? Il problema di Trump si risolve con la politica, non con i tribunali. Non è in gioco il destino di una persona (se così fosse, sarebbe già una storia finita), ma quello di una nazione. In un paese lacerato profondamente come l'America una condanna di Trump, una sua rimozione anticipata, sarebbe non la soluzione, ma un altro trauma. Quello che sta avvenendo tra i democratici e i repubblicani non attenua, non unisce, non pacifica, ma potenzia la dimensione cospiratoria della poltica americana, aumenta il rischio di una guerra civile di cui per ora abbiamo visto solo i bagliori.
L'irruzione in Campidoglio (con la polizia che spalanca le porte, surreale) è l'apice di un ciclo di violenze che rischia di proseguire in forme ancora più gravi. Dimenticare le rivolte - e i morti - solo di pochi mesi fa nei sobborghi dell'America, nel pieno della campagna presidenziale, è un grave errore, da parte di tutti. È vero che sono sempre i vincitori a scrivere la storia, ma quella raccontata dai dem non è tutta la storia. L'estremismo e la violenza non sono un'esclusiva della destra americana, sono purtroppo una presenza rilevante anche a sinistra. Le sigle dell'AntiFa e i gruppi violenti non sono scomparsi, al pari delle milizie bianche e dei suprematisti di ogni risma. I partiti americani inoltre non sono come quelli europei (un glorioso residuato bellico del Novecento, in cerca di un senso e in via di estinzione), non sono un "corpo intermedio", si mobilitano durante le elezioni, poi lasciano il campo alla legislazione, all'azione esecutiva e al diritto, al Congresso, al Presidente e alla Corte Suprema. Ma anche queste istituzioni soffrono, hanno un problema sempre più grande di identità, velocità e rappresentazione in un mondo che è sconvolto dal primato della tecnica sulla politica. In questo scenario, l'America è un paese diviso e a mano armata.
È un quadro politico che non a caso esplode nel finale di partita di America 2020, con la pandemia e l'isolamento fisico (e metafisico) della mente americana, la sua proiezione ormai dominante in via esclusiva sui social media, il luogo dove siamo tutti insieme e in realtà tutti siamo soli (leggere Alone Together di Sherry Turkle per un'analisi degli strumenti e degli effetti, una nuova psicopatologia della massa), la piazza smaterializzata del sogno e soprattutto dell'incubo. Questa esperienza sui social media ha sostituito da tempo la realtà, ha reso possibile l'impossibile, alimentato l'idea che la mediocrità possa sostituirsi all'eccellenza, scambiato i like per il consenso e fatto del dissenso la pratica quotidiana dell'insulto e della diffamazione. Quando la polvere si sarà posata, la storia allora sarà puntuale, onesta e inesorabile anche con i social media e il mondo delle Big Tech, su loro pesa l'enorme responsabilità di aver alimentato, favorito, moltiplicato il degrado del dibattito pubblico fino a ridurlo a un paesaggio di macerie fumanti.
E qui veniamo al paradosso terminale - non l'ultimo, altri ne stanno arrivando al galoppo - di questa storia: Twitter che sospende "et nunc et in perpetuum", per ora e per sempre, il profilo di Donald Trump. Torniamo alla matrioska americana. Il problema non è più la figura sulfurea di The Donald, la bambola grande ne contiene altre, radioattive.
La bambola grande ora è esposta in un baraccone del Luna Park e viene presa a pallate dagli alfieri della democrazia. I più zelanti nel prendere a calci e sputi Trump sono gli agenti della Buoncostume delle Big Tech che lo hanno espulso dal loro giardino delle delizie non commestibili. Nel Colosseo in Terabyte della contemporaneità, il popolo applaude e fischia; ieri i dittatori, oggi il Signor Ceo, sempre "panem et circenses".
I sacerdoti del social network - noti al mondo per aver ridotto il dibattito pubblico a una latrina, aver trasmesso omicidi e torture in diretta e dato voce allo stomaco dei depravati del pianeta (cosa che continuano a fare), hanno indossato l'abito dei censori a una dimensione, così è partita quella che passerà alla storia come la prima grande purga politica dei social media. Finalmente il predicatore di Manhattan è stato sospeso a divinis, non potrà più amministrare i sacramenti sui social.
Il mondo ora è salvo? Tutti possono continuare a vedere Reality Show e serie tv senza aver mai frequentato un corso di educazione civica, leggere un fiume di fake news su Facebook, infamare il vicino con un account anonimo sui social, proseguire un'esistenza in pixel, denunciare i nemici della rivoluzione permanente, giocare a sparatutto (qualcuno come abbiamo visto poi passa all'execution sparando sul serio e trasmettendo online, sui social, la sua impresa) e comprare il Made in China su Amazon. Il miglior mondo possibile, finalmente.
Dall'altro lato della barricata, i cospirazionisti sono già all'opera. Questa per loro è la prova del Complotto, l'ora è scoccata, che si indossi l'armatura, sta arrivando il Grande Reset, bisogna andare nelle catacombe a pregare, organizzare le riunioni carbonare, prepararsi alla resistenza, costruire un nuovo social network nel dark web, preparare il bastimento, attendere gli ordini superiori, oliare i fucili, levare l'ancora e partire per una nuova Lepanto. La guerra, finalmente.
Trump con il suo comizio no limits ha dato alle Big Tech un ottimo gancio (sbagliato, come vedremo) per appendere il suo bando dai social, proprio quello che mancava all'appello (e altro arriverà) per alimentare meglio l'incendio americano. Restano solo alcuni dettagli sui quali gli intellettuali non danno segni di vita: che ne è della favola dei social network come arena della democrazia? Una strofa dei Doors: "This is the end. Beautiful friend. This is the end. My only friend, the end". Siamo alla fine della fiction sulla neutralità politica delle piattaforme online, Twitter, Facebook, Google, Apple hanno un potere che, senza regolamentazione, sovrasta quello dello Stato: sono in grado di decidere chi parla e chi non parla. Non solo, attraverso l'hosting e il cloud computing controllano un pezzo fondamentale dell'infrastruttura di Rete, sono il punto d'accesso. Chiuso quello, chiuso tutto. È un tema ben più grande della vicenda umana e politica di Trump, riguarda la libertà di parola (e di stampa, l'editoria ha i suoi sistemi in cloud), d'associazione e di impresa, la libertà tout court.
Le Big Tech hanno il controllo dei dati, l'irresponsabilità penale (al contrario degli editori e dei giornalisti) su quello che pubblicano sui social, sono oligopoli senza confini che accumulano immense ricchezze off-shore, lavorano per battere moneta (vedere il progetto Lybra di Facebook), le criptovalute sono l'ultimo anello che manca per giungere alla forma di Tera-Stato. Sono già in circolazione più di 1500 strumenti che fanno il lavoro delle cripto-valute, grande è la confusione finanziaria sotto il cielo. La storia passa dalla velocità di dispiegare gli eserciti a quella del trasferimento dei dati in Bps, i Bit per secondo hanno sostituito gli Hercules.
Sono il nuovo Leviatano. Così oggi parla Biden e non parla Trump. Domani potrebbe toccare a un altro, in un contesto storico diverso (e la storia procede a balzi, non è lineare), il caso è costituito, il precedente cementa la consuetudine. Chi controlla il controllore? Nessuno, perché de facto si è sostituito alla politica, fa politica.
La grande purga dei repubblicani - sono migliaia gli account cancellati e non c'è un report pubblico che ne dia conto - è un fatto che fa a pugni con la realtà, perché su Twitter si tiene ogni giorno il festival dei dittatori e dei satrapi in servizio permanente effettivo. Il Grande Ayatollah Ali Khamenei ha appena aperto il suo profilo Twitter anche in italiano, parliamo del leader di uno Stato che impicca gli oppositori del regime, ha ribadito l'idea della cancellazione di Israele, tanto che qualche giorno fa l'agenzia Isna ha battuto la notizia della presentazione di un disegno di legge che fissa la data del piano ("eliminazione di Israele entro marzo 2041"), un obiettivo politico-militare che persegue in tandem con un altro profilo cinguettante, quello di Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah.
Su Twitter esercita il suo alto insegnamento democratico anche Nicolas Maduro, presidente illegittimo del Venezuela secondo gli Stati Uniti e l'Unione europea. La Corea del Nord - il cui leader, Kim jong-un, ieri ha minacciato l'amministrazione Biden dicendo di essere pronto riprendere lo sviluppo del suo arsenale nucleare - ha il suo news service su Twitter più che mai attivo. Sul recente passato, stendiamo un velo pietoso: abbiamo visto gli account dei terroristi dell'Isis, servizi di messaggistica usati come mezzo per organizzare le operazioni di guerriglia, ci sono tonnellate di testimonianze, audizioni, report dell'intelligence e dei think tank che si occupano di sicurezza, sui social media diventati piattaforma del terrore. Trump fuori da Twitter, la Woodstock del Male dentro. Siamo oltre la distopia della science fiction, è la realtà.
Gran parte della politica contemporanea è allevata sui social media, è pervasa di populismo, mancanza d'equilibrio, avvelenata dal manicheismo. Una persona seria e equilibrata come Enrico Letta ha fatto notare come questo sia un passaggio a rischio per le democrazie: "Premetto che penso tutto il male possibile di Trump. Però la decisione, quella definitiva, di Twitter lascia aperti molti, troppi interrogativi". Sono domande gravi, riguardano i fondamenti della libertà, del nostro stare insieme in un mondo pieno di minacce concrete, i social network oggi decidono chi parla e chi non parla.
Il segretario di Stato, Mike Pompeo, un altro politico con la testa sulle spalle, motore di una diplomazia che - piaccia o meno - ha cambiato in meglio (con il contributo decisivo di Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il leader degli Emirati Arabi Uniti), la mappa del Medio Oriente, ha riassunto quello che sta accadendo: "Mettere a tacere è pericoloso, è anti-americano. Purtroppo, questa non è una nuova tattica della sinistra. Hanno lavorato per anni per mettere a tacere le voci opposte. Non possiamo lasciare che zittiscano 75 milioni di americani. Questo non è il Partito Comunista Cinese".
Sono problemi che toccano i nervi scoperti della nostra identità, la questione aperta dell'Occidente, del suo declino e del nostro "Essere nel mondo" che il filosofo Emanuele Severino ha colto nella contemporaneità: "Evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, cioè subordinare ad esso ciò che inizialmente ci si proponeva come scopo. Le grandi forze della tradizione occidentale si illudono dunque di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi: la potenza della tecnica è diventata in effetti, o ha già incominciato a diventare, il loro scopo fondamentale e primario". Messa in prosa giornalistica, suona così: i social media cosa sono? Il mezzo o lo scopo? La risposta è di un'inquietante semplicità: i fatti dimostrano che sono diventati lo scopo. Con essi, è defunta la politica, è stata divorata dal mezzo.
Presidente a vita. Xi Jinping (Foto Zuma)Tutto questo accade mentre la Cina invade i social media con la sua potente macchina della propaganda e si prepara a sostituire gli Stati Uniti come prima potenza mondiale, la stessa Cina che dopo un ritardo siderale ha autorizzato solo oggi l'Oms a indagare sull'origine del coronavirus (suscitando la "delusione" dell'Oms). Accade mentre l'Iran arricchisce l'uranio oltre la soglia del 20% e l'Ayatollah Ali Khamenei pubblica sul suo account Twitter in italiano parole che dovrebbero indurre a qualche riflessione tra i capi di Stato: "Avete visto la condizione dell’America? Questa è la loro democrazia e questo il loro pasticcio elettorale. L’America e ‘i valori americani’, oggi vengono derisi persino dagli amici dell’America". Non solo, la Guida Suprema dell'Iran scrive che "l’America vede i suoi interessi nell’instabilità della regione, e lo dicono apertamente. L’America, nel 2009, voleva creare una guerra civile in Iran e Dio l’Altissimo, nel 2021, ha inflitto loro la stessa disgrazia". Stupefacente. Nel 2009 in America il presidente era Barack Obama, dove sono gli avvisi di Twitter sul fatto che l'affermazione di Khamenei è come minimo controversa se non falsa? Rapidissimi nel segnalare che Trump è un bugiardo seriale, smemorati e assenti con i tiranni. Nel vortice di una decisione-boomerang, lo stesso giorno in cui bannava definitivamente Trump, Twitter ha rimosso un post di Khamenei sui vaccini, il leader religioso esultava per aver messo al bando i farmaci provenienti dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, dicendo che il loro scopo era quello di usare gli iraniani come cavie: "Le aziende straniere volevano darci i vaccini così da farli testare sul popolo iraniano, ma il Ministero della Salute lo ha impedito" e dunque Teheran "acquisterà vaccini stranieri sicuri". La guerra geopolitica con la menzogna sui vaccini. Il profilo di Khamenei è ancora attivo.
La matrioska alla fine mostra il tema più profondo, quello del destino dell'Occidente. Non bisogna farsi grandi illusioni, questo tempo sembra dar forza alle teorie dei grandi cicli storici, dagli studi di Arnold Joseph Toynbee al molto citato e poco letto Oswald Spengler de Il tramonto dell'Occidente (il primo tra l'altro con nette differenze rispetto al secondo). In ogni caso, l'ascesa e la caduta degli imperi, sono un fatto e la loro parabola è un memento, non ci sono imperi eterni, tanto meno quello oggi magmatico degli Stati Uniti d'America. Pochi in Europa sembrano aver compreso la posta in gioco, riguarda anche il futuro dell'Unione, condannare l'irruzione in Campidoglio è giusto, ma questo non risolve il problema di un'America spezzata che - giusto per toccare un tema tra i tanti disponibili - è la forza-guida della Nato, cioè l'unico ombrello militare a disposizione di un Continente Vecchio che è da tempo preda e non predatore. Quello che accade a Washington, cambia la curvatura dello spazio europeo. E quello che accade nello spazio digitale, come abbiamo visto, non è un problema di Trump o dei repubblicani, è di tutti.
La velocità e la forza del declino possono variare, siamo in una dimensione di arretramento delle democrazie, ma l'impatto può essere meno violento se non si alimenta l'incendio. Il problema urgente, ora, è la stabilità degli Stati Uniti. Il quadro interno dell'America è preoccupante a livelli inimmaginabili. Un report di Rabobank intitolato "Insurrection" pone la questione in termini chiari: "La domanda ora è: questo è il culmine dei disordini negli Stati Uniti, o è solo un altro segnale d'allarme sul paese sta andando verso qualcosa di peggio?". Il "meccanismo della polarizzazione" sembra "auto-rafforzarsi". Servono decisioni politiche sagge, moderazione, da parte di tutti. I democratici per ora si muovono come se avessero conseguito una travolgente vittoria, ma hanno perso seggi alla Camera e controllano il Senato per un soffio. Joe Biden ha parlato sempre dell'avvio di un'era di conciliazione, ma l'orologio della storia corre e il giorno del suo insediamento, il 20 gennaio, ci saranno due Americhe e la messa al bando della ragione.
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Post scriptum: i democratici hanno fatto sapere che per l'impeachment c'è tempo, sarà presentato al Senato (dove non hanno i voti per farlo passare) dopo i primi 100 giorni dell'amministrazione Biden. Lutto stretto al New York Times e al Washington Post dove avevano già preparato i fuochi d'artificio senza pensare troppo ai destini del paese, come sempre. I dem hanno iniziato la discesa sulla Terra, speriamo che continui, per il bene dell'America. Anche perché...
05
Il Grande Dibattito. Kamala Harris in copertina su Vogue
Cose che cambiano la prospettiva del futuro? Perbacco, una copertina di Vogue su Kamala Harris ha creato una discussione che non potevamo mancare. Eccola:
Era partita alla grande, la fase Harmony, Kamala Harris è una bellissima donna, affascinante, la mossa delle All Star è un tocco di quell'eravamo giovani che piace alla gente che piace e non c'è niente da fare, quel sorrisetto furbo, quel filo di perle e quell'onda dei capelli... un indossato morbido, "Donald Deal jacket. Converse sneakers". Niente, neanche questo si può scrivere perché ormai incombono quesiti enormi, cose che fanno girare la testa, si capisce, su una copertina che doveva e voleva essere un tocco glam in un momento che ne avrebbe pure un disperato bisogno e invece mamma mia (Abba, musical visto a Broadway quando c'era la vita e nessun dolore, ok Battisti è per sempre) è diventata un caso politico da passerella. Essì, questo è il Grande Dibattito del momento, cribbio, che pensavate di leggere?
Che vuoi di più? Perfetta per entrare in zona cuore matto, ma dura tre secondi perché sui social (sempre qui caschiamo) il caso ormai è di ghiaccio bollente e Kamala è "troppo casual", con le scarpe Converse ai piedi e due grandi drappi verde e rosa, gli stessi dell'associazione studentesca Alpha Kappa Alpha di cui faceva parte quando studiava alla Howard University". Santi numi, come facevo a non rendermi conto dell'importanza del tema? Mollo un saggio di Martin Heidegger su Nietzsche (1034 pagine, Adelphi) e passo alle cose serie. Sì, perché Repubblica riporta il fatto croccante sfornato dall'America, i fan (tutti sono fan di qualcosa ormai) si lamentano perché la copertina "non è all'altezza degli standard di Vogue" e "si sono lamentati con Anna Wintour i sostenitori della senatrice, mentre il giornalista Yashar Ali parla di polemiche interne tra la rivista e lo staff della Harris per la foto scelta per la copertina: "Non è quella su cui si erano messi d'accordo". Niente da fare, riescono a diventare pesanti anche su una cosa da volo ultraleggero, doveva essere un aliante, e ora ruggisce come un B-52 che ha mancato il bersaglio e ha sprecato tutte le bombe sganciandole su una fabbrica di cioccolato chiusa per la crisi. Un fiume, articoli sul Guardian, Los Angeles Times, Independent, Forbes, Huffington Post. Ok, basta. Per costruire la figura di una futura presidente ci vuole altro, qualche idea politica e un po' di fatti, c'è tempo, ma per la cronacaVogue ha davvero cambiato copertina, grande sorriso da strike e abito della collezione di Michael Kors, all'interno, un diamante di grande giornalismo, lo splash del bacio nuziale nel 2014 a Santa Barbara (è sempre Sognando California, che volete farci?) con il marito e una didascalia così zuccherosa da far sballare la glicemia e rafforzare il cinismo del cronista cattivista: "A More Perfect Union". Francamente me infischio direbbe Rhett Butler anche in questo caso e non solo in "Via col vento". Domani è un altro giorno, ma quattro anni così non li regge nessuno. È una questione climatica.
06
Il tempo pazzo
Il cambiamento climatico c'è (così facciamo star sereni quelli del politicamente corretto che alambiccano sulle intenzioni del cronista senza conoscerle), fa freddo e caldo, tutto insieme, per non farsi mancare nulla. Così in Spagna hanno una nevicata record che ha bloccato il paese e in Grecia vai con il caldo e tutti al mare. Ecco le immagini della tormenta di Madrid, paseo de La Castellana, tutta colpa di Filomena:
Prendete l'aereo (se vi riesce), la cosa migliore è fare un tuffo nel mare della Grecia, qui Atene:
A mezzogiorno, la temperatura a Chania, nell'isola di Creta, aveva raggiunto i 28,3 gradi, una delle piu' alte temperature di gennaio degli ultimi cinquant'anni (in Grecia, in questo periodo dell'anno le temperature si aggirano ai 15 gradi). Ah, naturalmente, visto il sole, da quelle parti chissenefrega del lockdown:
Ecco, ora provateci voi a progettare una trasferta a Washington dove se soffia il vento dell'Artico le rotule diventano due ingranaggi da bicicletta mai oliati. Crac.
***
In attesa dell'Inauguration Day e altre amenità a colpi di clava americana, nell'isolamento che dura da troppo tempo, non resta che cercare un come eravamo. Alzate il volume.
06
Groove (come eravamo)
Questa è pura gioia, in quest'anno maledetto trascorso a cercare sprazzi di luce, viaggi lunghi per dimenticare e imparare sempre dalla storia che batte forte (si riparte!), ecco questa gemma, firmata da un bravissimo coreografo, Phil Wright. Al resto ci pensano gli Earth, Wind & Fire:
La felicità che abbiamo perduto, ritroviamola. Ancora? Va bene, è l'ora della tigre:
Tutta l'energia del mondo in questa donna, che straordinaria artista è Lady Gaga.
***
Come chiudiamo questo numero di List? Con un libro che ci riporta al grande tema che attraverserà le prossime settimane e mesi: la secessione americana.
07
American War
L'ho ripescato dalla mia libreria, fa parte di una serie di romanzi sul tema della divisione dell'America, uno degli incubi della letteratura americana contemporanea, la guerra civile. Il titolo è più che esplicito, American War, racconta la storia di Sarah Chestnut, nata in Louisiana, ha solo 6 anni quando la guerra scoppia nel 2074, la secessione degli Stati Uniti d'America in uno scenario orribile, con la Terra che si è rivoltata contro gli uomini, i droni che popolano il cielo e sterminano gli esseri umani, i campi per i rifugiati di guerra, la miseria e la distruzione. Fiction firmata da Omar El Akkad, nato al Cairo, cresciuto a Doha, emigrato in Canada e poi negli Stati Uniti, inviato di Esteri, la sua penna solca l'inchiostro del romanzo distopico. Mappa del futuro prossimo, voilà:
La storia e la letteratura sono un memento, sono ieri, oggi e domani. Ci vediamo presto, Washington DC. Sì, viviamo tempi interessanti, forse troppo. Buona giornata.
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settembre
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6. Promozioni
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6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
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assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.