27 Ottobre

Il populismo nella fabbrica italiana

Non esiste un liberalismo genetico delle aziende del nostro paese, i piccoli e medi che lavorano sul mercato interno appoggiano l'offerta economica del governo giallo-verde. E il Nord contro la manovra è solo un'illusione. Lorenzo Castellani sulla politica e l'impresa

di Lorenzo Castellani

C’è una vulgata molto diffusa nel dibattito pubblico che riguarda gli imprenditori del Nord. Questi, delusi dai primi provvedimenti del governo Conte, avrebbero voltato le spalle alla maggioranza e, in particolare, ad una Lega incapace di direzionare il timone del governo verso politiche di sviluppo per le imprese. In realtà non abbiamo evidenze empiriche per sostenere che ciò stia accadendo anche se è vero che Confindustria, e successivamente Assolombarda, che della prima costituisce la propaggine territoriale più forte, si sono espresse negativamente sul decreto dignità. Tuttavia, lo stesso Presidente Boccia ha sottolineato come alte siano le aspettative degli industriali rispetto alla forza guidata da Matteo Salvini.

In questi mesi i media mainstream hanno scatenato una vera e propria battuta di caccia all’imprenditore del Nord deluso. Questa grande attenzione mediatica apre una serie di interessanti prospettive sul rapporto tra forze produttive e governo e, più in generale, sul ruolo politico del Nord. Innanzitutto bisognerebbe chiarificare cosa si intende per “Nord”, se ci limitiamo all’Oltrepò o se invece vi includiamo quell’area produttiva più vasta che comincia con Marche e Toscana. Se si assume questa seconda definizione il quadro assume ancora maggiore varietà, ricomprendendo cooperative “rosse” e piccole-medie aziende manifatturiere che assumono maggiore densità. In secondo luogo bisogna considerare cosa si intenda per “imprenditore”, ossia se ci si riferisce solamente alle aziende che esportano una quota maggioritaria di fatturato oppure anche a quelle che producono maggiormente per il mercato interno. E se si ricomprendono anche le microimprese, molte delle quali non rientrano nelle associazioni di categoria. Infatti, assumendo una interpretazione estensiva, emerge un ceto imprenditoriale diviso in più parti. Gli “esportatori”, di dimensioni mediamente maggiori, sono fisiologicamente più attenti ai legami internazionali, alle politiche commerciali e alle questioni monetarie. Tuttavia, questa quota di imprese è minoritaria (circa il 30 per cento). Le...


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