11 Agosto
Il totalitarismo di chi grida al fascismo che non c'è
Salvini punta al voto anticipato dunque sta tornando il fascismo. Perché evocare le elezioni in Italia è diventato un problema di regime? Ignoranza e vocazione totalitaria dei presunti colti. Un'indagine di Marco Patricelli e Lorenzo Castellani tra passato e presente
Evocare le elezioni in Italia è diventato pericoloso, soprattutto quando le previsioni della vittoria non sono favorevoli ai partiti ideali della presunta classe colta. Si disquisisce di democrazia, ma non appena se ne palesa la forma all'orizzonte - il voto - si guarda tutto con sospetto e stato d'allerta se l'esito non è quello atteso dai benpensanti. O vince la mia parte, o è dittatura, pensa colui che si crede democratico ed è solo un fanatico della sua piccola monarchia. Così quando Matteo Salvini ha detto di puntare a elezioni anticipate (cielo, il voto! che pretesa) è (ri)spuntato con regolare ignoranza il dibattito di quelli che la sanno lunga (e la vedono corta, fino al massimo del loro ombelico), il tema niente meno che del "fascismo", naturalmente del nazismo e lo spettro degli anni Trenta. Uno stupidario storico e politico tragicomico e desolante di cui sono protagonisti assoluti i cosiddetti "competenti" della bolla dei social network, i nuovi haters-chic, grillini con la griffe, gli incompresi a prescindere con il rancore d'ordinanza, una classe di falliti descritta magistralmente da Ettore Scola ne "La Terrazza", una commediante élite al cartoccio talmente smaterializzata nel virtuale da non lasciare nessuna traccia nella realtà quotidiana. Proviamo a riportare la questione del totalitarismo sulla terra, ben sapendo quanto sia vano chiedere di usare la ragione al tipo sovrumano che crede di camminare sull'acqua, mentre sta affogando con il salvagente nella vasca da bagno. Buona lettura.
Stupidario dei professionisti dell'antifascismo
di Marco Patricelli
Prima ancora che Leonardo Sciascia mettesse in guardia dai mafiosi e dai professionisti dell’antimafia, Ennio Flaiano aveva messo in guardia dai due tipi di fascismi che ci sono in Italia: quello propriamente detto e l’antifascismo. Scolorano l’uno nell’altro quando il settarismo diventa estremo e la pretesa di detenere la sola e unica verità è un monolite dogmatico,...
Evocare le elezioni in Italia è diventato pericoloso, soprattutto quando le previsioni della vittoria non sono favorevoli ai partiti ideali della presunta classe colta. Si disquisisce di democrazia, ma non appena se ne palesa la forma all'orizzonte - il voto - si guarda tutto con sospetto e stato d'allerta se l'esito non è quello atteso dai benpensanti. O vince la mia parte, o è dittatura, pensa colui che si crede democratico ed è solo un fanatico della sua piccola monarchia. Così quando Matteo Salvini ha detto di puntare a elezioni anticipate (cielo, il voto! che pretesa) è (ri)spuntato con regolare ignoranza il dibattito di quelli che la sanno lunga (e la vedono corta, fino al massimo del loro ombelico), il tema niente meno che del "fascismo", naturalmente del nazismo e lo spettro degli anni Trenta. Uno stupidario storico e politico tragicomico e desolante di cui sono protagonisti assoluti i cosiddetti "competenti" della bolla dei social network, i nuovi haters-chic, grillini con la griffe, gli incompresi a prescindere con il rancore d'ordinanza, una classe di falliti descritta magistralmente da Ettore Scola ne "La Terrazza", una commediante élite al cartoccio talmente smaterializzata nel virtuale da non lasciare nessuna traccia nella realtà quotidiana. Proviamo a riportare la questione del totalitarismo sulla terra, ben sapendo quanto sia vano chiedere di usare la ragione al tipo sovrumano che crede di camminare sull'acqua, mentre sta affogando con il salvagente nella vasca da bagno. Buona lettura.
Stupidario dei professionisti dell'antifascismo
di Marco Patricelli
Prima ancora che Leonardo Sciascia mettesse in guardia dai mafiosi e dai professionisti dell’antimafia, Ennio Flaiano aveva messo in guardia dai due tipi di fascismi che ci sono in Italia: quello propriamente detto e l’antifascismo. Scolorano l’uno nell’altro quando il settarismo diventa estremo e la pretesa di detenere la sola e unica verità è un monolite dogmatico, manicheo e inscalfibile. Da qualche tempo è stato lanciato e ripetuto in maniera ossessiva l’allarme fascismo, declinato in tutte le forme e in tutte le salse, che avrebbe come denominator comune Matteo Silvini, incarnazione del male contemporaneo e di ogni deriva autoritaria.
C’è chi ci crede, chi fa finta di crederci e anche chi ritiene conveniente crederlo, forse, paradosso dei paradossi, pure lo stesso Salvini. Più i fantasmi aleggiano, meno le cose diventano concrete, più è facile piegare la realtà ai desideri. Viene il dubbio, però, che tanto evocare il fascismo, la dittatura, il totalitarismo, nei modi e nelle forme in cui viene agitato in tutto e per tutto, con una facilità di etichettatura più rapida del macchinario che applica il bollino blu alle note banane, celi una profonda ignoranza della genesi e dello sviluppo dei grandi totalitarismi del Novecento. Per dirla chiaramente, si parla di ciò che non si sa ma che si orecchia, suppergiù, un tanto al chilo, tre palle un soldo, e tanto basta. Salvini chiede “pieni poteri” dalle urne? Eccolo scodellato, l’emulo del giornalista di Predappio al quale era bastato paventare di trasformare l’aula sorda e grigia del parlamento in un bivacco per i suoi manipoli di camicie nere e far tremare l’Italietta degli Anni ‘20. Solo che le camicie verdi leghiste sono da tempo in armadio o in naftalina, assieme alla bevuta dell’acqua sorgiva del Po da parte di Bossi e alle sbevazzate dei campi della Lega Nord con riti celtici da folklore di plastica. Il linguaggio salviniano, si mettano il cuore in pace le anime candide e gli stilnovisti della politica, è quello del bar, delle osterie, della strada, non quello delle alchimie farmacistiche da “convergenze parallele”, da “compromesso storico”, da “non sfiducia”, da “operazioni di polizia internazionale” (eufemismo coniato per aggirare il divieti costituzionale sulla parola guerra, in Iraq e nell’ex Jugoslavia).
Sarà mancanza di stile, sarà un linguaggio rozzo e volgarotto, e non c’è da dubitarne affatto, ma non si può neanche dubitare dell’immediatezza del recepimento di messaggi in un Paese alla deriva culturale in cui i testi Invalsi hanno rivelato che gli studenti non capiscono il senso di una frase scritta in italiano. Il fascismo, oltre a provenire da un’altra epoca storica e con situazioni irripetibili, dalle quale non si può prendere quel che si vuole e tralasciare tutto il resto, è un’altra cosa. Ed è morto e sepolto.
Non regge neppure l’altra apparente similitudine, spettro sempre utile a confermare l’aforisma di Churchill secondo cui la democrazia è la peggiore forme di governo eccettuate tutte le altre, sulla presa del potere di Hitler con libere elezioni. L’austriaco ex caporale bavarese ed ex artista fallito, dotato di un’indubbia oratoria, dopo un esordio balbettante e un patetico tentativo di prendere il potere a Monaco nel 1922, lo costruì promettendo ai tedeschi quel che volevano sentirsi dire, con una sola omissione: tutto il sistema si poteva reggere con una guerra di spoliazione, come tutti gli economisti ben sanno, che era un esito obbligato. Fu una democrazia malata, come quella di Weimar, che nel 1933 si illuse di sfruttarne la forza elettorale e la forza bruta per svuotarlo di quel potere che invece conquistò violentemente ed esercitò per dodici anni di rovine e disastri epocali. Nessuno ha fatto parallelismi storici sulla presa del potere da parte di Lenin, nella seconda rivoluzione russa del 1917, che spodestò il carattere socialdemocratico della prima di Kerenskij: volendo, anche qui ci sarebbe materiale per un’elucubrazione di storia controfattuale, che però a sinistra risulta ancora indigesta al solo nominare le giornate di ottobre (in realtà novembre, secondo il nostro calendario sul quale quello russo-giuliano era in ritardo) che non siano immancabilmente “radiose”. Stalin vietò che durante la “grande guerra patriottica” – ma anche prima, quindi con l’eccezione dell’alleanza con Hitler che ebbe pieno vigore dal 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941 – si usasse il termine “nazista” per indicare il nemico ideologico per eccellenza. Era la contrazione della parola “nazionalsocialista”, e contenendo appunto “socialista” poteva far scattare qualche meccanismo di riflessione non gradito al regime totalitario, che tende ad assomigliare anche a quello che combatte. Ecco perché nei libri, nella pubblicistica e nella propaganda di guerra e dopoguerra, appare solo e sistematicamente la parola “fascista”. Proprio quella riesumata da sinistra con stucchevole tam tam, per definire senza mai definire ciò che non l’aggrada, che avversa, che ritiene contro la sua storia e la sua ideologia, che va combattuto e possibilmente annientato.
Lo stesso Berlusconi, per vent’anni pericolo pubblico numero uno, si vide affibbiare come primo nomignolo quello di “cavaliere nero”. Ma poiché i nemici vanno cambiati di quando in quando, anche per motivi anagrafici e situazionali, ecco lo stagionato e sovrappeso ragazzotto lumbard disarcionare in ogni senso il cavaliere di Arcore. Forattini rappresentò con sistematica regolarità Bettino Craxi con camicia nera e stivaloni, rinfocolando persino la leggenda metropolitana che fosse il figlio segreto del duce (leggenda appunto, ma i figli illegittimi di Mussolini sono storia): era l’avversario da abbattere e tutto faceva brodo. Oggi Salvini cavalca l’onda sempre più alta del consenso, la cui principale motivazione sta nel basso livello dell’offerta politica, nello scarso materiale umano, nelle competenze approssimative della classe dirigente, nella delusione verso le ricette sulle pozioni magiche ammannite al popolo italiano negli anni e rivelatisi medicine amare che non curavano affatto uno Stato malato. A questo basta aggiungere il (mal) costume tutto italiano di innalzare gli idoli e poi di abbatterli ripudiandoli. La storia ci fornisce una collezione inesauribile, il passato recente una serie di nomi che, guarda caso, stanno ancora tutti lì, di qua e di là, perfettamente bipartisan.
***
E gli anni Trenta? Cribbio, non lo vedete che sono la stessa cosa? Mettiamo un po' d'ordine, senza aspirare a cambiare il mondo di quelli che sanno tutto e dunque non hanno mai bisogno di confrontarsi con quello che pensa il popolo italiano. Si può ancora scrivere la parola "popolo"? O è troppo fascista metterla sul taccuino senza una nota esplicativa di assoluta fedeltà alla democrazia e ai valori della Carta Costituzionale?
L'ignorante colto e gli anni Trenta
di Lorenzo Castellani
Repubblica di Weimar, fascismo, dittatura. Anni Trenta. È un ritornello che non annoia mai, quasi tutti quelli che hanno studiato sono pronti ad invocare la decade più oscura, famigerata ed inquietante del ventesimo secolo come metro di paragone con la decadenza ed i cambiamenti politici del presente. L’ascesa del nazional-populismo contemporaneo da anni solletica la fantasia del ceto intellettuale che invoca continuamente il ritorno ai tetri anni Trenta del novecento. Una suggestione in cui confluiscono l’agitazione dello spettro del fascismo, il collasso dell’ordine liberal-democratico, l’implosione della società civile, l’abbrutimento della classe media, la restrizione delle libertà, lo sbrego della Costituzione e, in fondo a tutto, l’inevitabile deriva autoritaria.
Ha senso fare analogie in storia? Se, come vuole l’antico ed inflazionato adagio cicerioniano, la storia è maestra di vita e nel presente si rintracciano sempre frammenti del passato, essa mai si ripete eguale a sé stessa. Ciò non significa che, come hanno creduto alcuni intellettuali progressisti, la storia possa finire, la democrazia sia inattaccabile e che il liberalismo sia destinato a regnare sovrano ed immutato per sempre. La storia è un moto continuo ed ondulato. Non è ciclica e non è linea retta. La verità è sempre nel mezzo e nelle pieghe di una complessità troppo vasta per i paragoni storici e, al tempo stesso, troppo inquietante per non volgere lo sguardo al passato.
I colti, dunque, devono mettersi d’accordo con se stessi: o la storia è progresso lineare ed esiste un modello universale poliarchico per i regimi politici buoni oppure la storia si ripete o riavvolge, dunque quei modelli si possono frantumare sotto la marcia degli eventi. Tuttavia, non si può teorizzare la fine della storia e poi, di fronte alle deviazioni di percorso, invocare incautamente il pericolo del ritorno agli anni Trenta, a Weimar, al fascismo. E’ uno dei paradossi del progressista. Chi interpreta la storia come una linea retta di ineludibile progresso finisce poi, una volta accaduti eventi imponderabili, per credere alla tesi fasulla dell’identico ricorso storico. Per provare a comprendere e smontare il problema del ritorno degli anni Trenta è necessario ricorrere ai ferri del mestiere: analizzare il potere, le istituzioni, la società. Come erano allora e come sono oggi. Iniziamo il viaggio.
La prima differenza tra oggi e l’era weimariana è quella istituzionale. Le Costituzioni di oggi sono molto più articolate nella difesa di libertà e diritti fondamentali ed incentrate sulla divisione ed il bilanciamento tra poteri di quanto lo fossero allora. Si pensi allo sviluppo e all’influenza delle Corti Costituzionali nel bilanciare le decisioni del potere esecutivo e legislativo. Nelle costituzioni degli anni Trenta non esistevano oppure avevano della competenze molto limitate nel potere intervenire a tutela dei valori costituzionali. Non solo all’epoca le costituzioni erano più fragili, ma anche più isolate. Oggi le corti ed i tribunali sono immersi in circuiti internazionali, in norme sovranazionali ed internazionali, in Europa il diritto europeo stabilito dai trattati, che hanno valore costituzionale, è addirittura sovraordinato a quello nazionale. Molte aree su cui un tempo decideva esclusivamente la politica nazionale sono state devolute ad autorità indipendenti che operano libere dal consenso e dal controllo democratico. Il potere sia dentro che fuori le nazioni è molto più bilanciato e diviso rispetto a novant’anni fa.
La seconda questione è politica. I partiti nazionalisti (e fascisti) degli anni Trenta erano palesemente avversi alla democrazia. Lo stesso ordine democratico immaginato da socialisti e comunisti era, come la storia ha tristemente dimostrato, molto diversa dalla democrazia liberale che ha fondato l’odierno ordine politico. C’era poi la differente cultura politica. Ad esempio, gran parte dell’opinione pubblica tedesca, a partire dai suoi vertici, considerava la democrazia un impaccio imposto dall’esterno, una forma di Stato che non rispecchiava le sue tradizioni politiche e culturali. I partiti speculavano su questo umore diffuso di avversione alla democrazia. Lo stesso fascismo si alimentava di teorie e filosofie che mettevano chiaramente lo Stato prima della democrazia, l’autorità prima della libertà, il controllo prima del pluralismo.
I populisti di oggi, al contrario, invocano la democrazia. Declamano un ritorno al passato in cui la sovranità popolare veniva maggiormente valorizzata e controllata dal popolo. Esaltano il potere locale ed il nazionale contro il globale, si battono per riprendere il controllo dei confini e delle decisioni. Dispiegano crociate contro la democrazia rubata e svuotata dall’élite cosmopolita e dalle forme istituzionali di integrazione sovranazionale. Le tracce di questo tipo di ragionamento possono essere ritrovate nei discorsi di tutti i nuovi leader da Donald Trump a Marine LePen, da Matteo Salvini a Victor Orban, da Boris Johnson a Kaczinsky.
Si presentano come dei democratici nazionalisti invece che come degli autoritari. Intendono ridare al popolo la democrazia, farla tornare al tempo in cui, nella loro interpretazione e quella dei loro seguaci, funzionava davvero. Questi leader, di fatto, sembrano pensare più agli anni ottanta che agli anni Trenta, quando i partiti emergenti erano dichiaratamente ostili alla democrazia. Seppure è vero che, in alcuni di loro, emergono delle venature centraliste soprattutto nei confronti dei poteri non elettivi, come le corti costituzionali e le banche centrali. Più che convinti autoritari, per il momento, questi leader sembrano piuttosto essere iper-democratici. Esprimono una volontà di politicizzazione verso quelle istituzioni depoliticizzate che condizionano la vita dei governi e che hanno caratterizzato i sistemi politici degli ultimi cinquant’anni.
Il terzo livello è quello economico. I banchieri centrali ed i governi hanno imparato dalla storia e la soluzione alla crisi finanziaria del 2007 ha evitato i disastri di quella del 1929. Tuttavia, il quantitative easing e la creazione di un mondo a tassi zero (o quasi) è un sentiero inesplorato, senza un precedente storico recente. Se l’alluvione di denaro sul piano bancario fallirà provocando una nuova crisi navigheremo nell’ignoto. Non c’è precedente o bussola storica che possa indicare una direzione. Ciò che è certo è che le soluzioni adottate e le conseguenze prodotte sono molto diverse dalla crisi economico-finanziaria degli anni Trenta. E, per il momento, hanno saputo gestire meglio la difficoltà evitando che la crisi si trasformasse in una catastrofe come quella di novant’anni fa dove, va sottolineato, pesava molto l’uscita recente dalla guerra mondiale mentre la nostra società esce da settant’anni di pace.
Il quarto elemento di differenza è la diffusione della violenza. Quella degli anni Trenta era una società violenta, molto più di quella presente. Il fascismo, il nazismo ed il comunismo poggiavano sulla violenza fisica. Senza di essa non sarebbero esistiti o probabilmente non avrebbero mai preso il potere. Oggi abbiamo il terrorismo, episodi di violenza individuale e collettiva, insicurezza percepita, ma non è nulla di comparabile all’epoca weimeriana dove gli episodi di violenza politica erano quotidiani così come gli assassini politici e successivamente gli omicidi di massa. Inoltre, i nuovi partiti di massa avevano delle vere e proprie organizzazioni para-militari che li fiancheggiavano; quelli di oggi hanno tweet, video e pagine Facebook. Gli ebrei, i kulaki o gli oppositori politici di Mussolini venivano intimiditi, picchiati e massacrati già prima che i movimenti totalitari prendessero il potere. Invece gli oppositori dei populisti di oggi, per fortuna e giustamente, sono ancora tutti alle loro scrivanie, conducono inchieste, organizzano proteste, fanno rete sui social network, fondano nuovi partiti. Ciò in cui oggi si può incappare è un assalto su Twitter, organizzati dai supporter dei populisti e, allo stesso modo, dai loro oppositori. E’ violenza verbale e psicologica, ma niente a che vedere con le persecuzioni fisiche e gli scontri degli anni trenta. Non si possono mettere a confronto come simili due società con livelli di violenza così diversi.
La quinta differenza è quella della ricchezza economica. Viviamo in società, per l’intervento dello Stato e per lo sviluppo del capitalismo, che sono immensamente più ricche se comparate a quelle degli anni Trenta. Nessuna democrazia occidentale affluente è stata più vittima di colpi di stato autoritari o di derive dittatoriali negli ultimi quarant’anni. La nostra è una società fortemente diseguale, ma ricca. In quell’epoca il numero dei senzatetto, degli indigenti e degli abbandonati a loro stessi era enorme se equiparato alla vita contemporanea. Le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono molto minori rispetto all’Italia degli anni venti e la Germania di Weimar. Lo stesso vale per la disoccupazione, oggi elevata ma all’epoca proporzionalmente molto maggiore, ed è stato acclarato, dal punto di vista storico, che i bassi livelli di occupazione furono una delle cause del successo del nazionalsocialismo. Uomini disperati pronti a cercare una soluzione autoritaria contro le inefficienze della giovane democrazia.
La sesta, e forse più importante, differenza è quella demografica. La nostra società è molto più anziana di quella degli anni Trenta. All’epoca l’età mediana era 25 anni, oggi in quasi tutti i paesi occidentali è superiore a 45. La violenza e l’attivismo politico sono quasi interamente una prerogativa dei giovani. I giovani reduci di guerra, sofferenti di disturbi post-traumatici provocati dal conflitto mondiale, spesso disoccupati, a cui si sommava una generazione di ancor più giovani di disoccupati, venivano ingaggiati nella lotta e nella violenza politica. Una società di anziani raramente potrà scatenare una rivoluzione violenta, al massimo resiste ai cambiamenti più che provocarli.
Da ultimo c’è il cambiamento dei media. Le radio del passato, e poi le televisioni, erano molto più controllabili dal potere politico. Sia perché si trattava di monopoli ed oligopoli controllati dal governo, sia perché una rivoluzione armata o militare poteva facilmente occuparle durante un colpo di Stato. Oggi la proprietà ed il pluralismo di radio e televisioni sono libere e moltiplicate rispetto ad allora e i social network non sono occupabili fisicamente da nessuno. Possono essere oscurati, certo, ma solo dopo che un regime si è instaurato e consolidato. Inoltre, i social sembrano essere più divisivi e proclivi alla decentralizzazione che non forieri di unità e gerarchia. Non a caso si parla di polarizzazione, per indicare diversi poli d’opinione in contrasto tra loro, che di uniformità o omogeneizzazione. Gli spin doctor possono creare campagne, manipolare messaggi o targettizzare la pubblicità dei post ma nessuna claque politica, per quanto ampia, potrà assumere il controllo dei social o imbavagliare gli oppositori.
In conclusione, se sommiamo tutti questi fattori insieme ci si renderà conto di come l’analogia con gli anni Trenta sia per lo più infondata sia sul piano del potere e sia su quello che potrebbe accadere nel prossimo futuro. Il vero tratto in comune tra le due società, a parere di chi scrive, è che entrambe sono figlie di uno sviluppo economico e tecnologico impetuoso, hanno attraversato entrambe delle crisi, seppur molto diverse tra loro, e hanno vissuto una reazione dei cittadini nei confronti delle élite politico-economiche al potere. Questo, tuttavia, non significa affatto che le nostre democrazie hanno certamente imboccato la via dell’autoritarismo né che le trasformazioni politiche saranno le stesse, semplicemente perché le differenze tra le due situazioni storiche sono gigantesche (come sempre quando si confrontano epoche differenti).
Negli anni Trenta, inoltre, le democrazie liberali che sembravano ibernate per l’impossibilità di risolvere i propri problemi politici, si sciolsero sotto la pulsione di spiriti eccitati da una seconda guerra mondiale che ci si attendeva dalla conclusione della prima. Le masse venivano galvanizzate dagli aspiranti dittatori con la prospettiva di una nuova guerra, che veniva vissuta come un passaggio necessario per risolvere i problemi politici e sociali nazionali ed internazionali. Ad oggi, al contrario, le democrazie sembrano più che altro paralizzate dalla difficoltà di gestire la funzione redistributiva dello Stato, di armonizzare i molteplici interessi socio-economici contrapposti, di riavviare la crescita economica e renderla sostenibile. E, sul piano dell’opinione, di riannodare i fili di un dibattito pubblico devastato dai meccanismi polarizzanti ed emotivi degli algoritmi dei social network. I luoghi del dibattito e della decisione, grazie soprattutto ai social, si spostano fuori dalle istituzioni parlamentari e rappresentative. Probabilmente, Mark Zuckerberg è molto più pericoloso per la democrazia moderna di quanto non lo siano Donald Trump e Matteo Salvini.
Sminare il paragone con gli anni Trenta non significa ovviamente che le democrazie liberali non siano mai esposte al pericolo. Le loro istituzioni corrono sempre il rischio di essere svuotate di poteri e significato da riforme istituzionali o cambiamenti tecnologici che possono avvenire sia sul piano nazionale che sovranazionale. Non è affatto scritto, però, che un indebolimento delle democrazie occidentali avvenga con le stesse modalità degli anni Trenta né che debba finire con lo stesso tragico risultato o con la soppressione dei diritti e delle libertà fondamentali. D’altronde le democrazie sono, per costituzione, sottoposte ad un continuo cambiamento che investe sia le modalità con cui i messaggi ed il consenso si propagano che le élite politiche. Quelli degli anni ottanta e novanta del novecento erano sempre regimi democratici, eppure sembrano molto diversi dalle democrazie del 2020. Forse si dovrebbe accettare di non confondere la crisi dell’egemonia culturale della sinistra liberal, o magari del modo d’intendere il liberalismo fino ad oggi, con la fine della democrazia e della civiltà tout court.
In conclusione, non esiste alcuna legge scientifica della storia che ci permetta di disegnare con certezza analogie storiche. Chi ne assume l’esistenza rischia di scadere in un determinismo incapace di descrivere logicamente lo sviluppo politico. Il futuro è, infatti, sempre incerto e mai uguale al passato. Dal passato si possono imparare delle tecniche e soprattutto sulla base di esso si può maturare una certa capacità di giudizio. Quest’ultima dovrebbe consentire di separare le reali emergenze democratiche e i pericoli autoritari da cambiamenti politici che, seppur importanti e disordinanti, sono connaturati alla stessa democrazia.
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risultanze dei sistemi informatici del Fornitore. La conferma vale come espressa accettazione dei presenti
termini
d'uso.
2.2 L'Utente riceverà per email la conferma dell'attivazione del Servizio, con il riepilogo delle condizioni
essenziali
applicabili e il link ai termini d'uso e alla privacy policy del Fornitore; è onere dell'Utente scaricare e
conservare
su supporto durevole il testo dei termini d'uso e della privacy policy.
2.3 Una volta confermato l'acquisto, l'intero costo dell'Abbonamento, così come specificato nel pacchetto
acquistato,
sarà addebitato anticipatamente sullo strumento di pagamento indicato dall'Utente.
2.4 Effettuando la richiesta di acquisto dell'Abbonamento, l'Utente acconsente a che quest'ultimo venga
attivato
immediatamente senza aspettare il decorso del periodo di recesso previsto al successivo articolo 4.
2.5 Per effetto dell'acquisto, l'Utente avrà diritto a fruire del Servizio per l'intera durata
dell'abbonamento;
l'Utente, tuttavia, non può sospendere per alcun motivo la fruizione del Servizio durante il periodo di
validità
dell'Abbonamento.
3. DURATA, DISDETTA E RINNOVO DELL'ABBONAMENTO
3.1 L'Abbonamento avrà la durata di volta in volta indicata nel pacchetto scelto dall'Utente (per esempio,
mensile o
annuale).
3.2 L'Abbonamento si rinnoverà ciclicamente e in modo automatico per una durata eguale a quella
originariamente scelta
dall'Utente, sino a quando una delle Parti non comunichi all'altra la disdetta dell'Abbonamento almeno 24
ore prima del
momento della scadenza. In mancanza di disdetta nel termine indicato, l'Abbonamento è automaticamente
rinnovato.
3.3 L'Utente potrà esercitare la disdetta in ogni momento e senza costi attraverso una delle seguenti
modalità:
seguendo la procedura per la gestione dell'Abbonamento all'interno del proprio profilo utente sia sul Sito
che
nell'Applicazione;
inviando una mail al seguente indirizzo: help@newslist.it.
3.4 Gli effetti della disdetta si verificano automaticamente alla scadenza del periodo di abbonamento in
corso; fino a
quel momento, l'Utente ha diritto a continuare a fruire del proprio Abbonamento. La disdetta non dà invece
diritto ad
alcun rimborso per eventuali periodi non goduti per scelta dell'Utente.
3.5 In caso di mancato esercizio della disdetta, il rinnovo avverrà al medesimo costo della transazione
iniziale, salvo
che il Fornitore non comunichi all'Utente la variazione del prezzo dell'Abbonamento con un preavviso di
almeno 30 giorni
rispetto alla data di scadenza. Se, dopo aver ricevuto la comunicazione della variazione del prezzo,
l'Utente non
esercita la disdetta entro 24 ore dalla scadenza, l'Abbonamento si rinnova al nuovo prezzo comunicato dal
Fornitore.
3.6 Il Fornitore addebiterà anticipatamente l'intero prezzo dell'Abbonamento subito dopo ogni rinnovo sullo
stesso
strumento di pagamento in precedenza utilizzato dall'Utente ovvero sul diverso strumento indicato
dall'Utente attraverso
l'area riservata del proprio account personale.
4. Recesso DEL CONSUMATORE
4.1 L'Utente, ove qualificabile come consumatore – per consumatore si intende una persona fisica che agisce
per scopi
estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, ha
diritto di
recedere dal contratto, senza costi e senza l'onere di indicarne i motivi, entro 14 giorni dalla data di
attivazione
dell'Abbonamento acquistato.
4.2 L'Utente può comunicare la propria volontà di recedere, inviando al Fornitore una comunicazione
esplicita in questo
senso mediante una delle seguenti modalità:
mediante raccomandata a.r. indirizzata alla sede del Fornitore;
per email al seguente indirizzo help@newslist.it;
4.3 Ai fini dell'esercizio del recesso l'Utente può, a sua scelta, utilizzare questo modulo
4.4 Il termine per l'esercizio del recesso si intende rispettato se la comunicazione relativa all'esercizio
del diritto
di recesso è inviata dall'Utente prima della scadenza del periodo di recesso.
4.5 In caso di valido esercizio del recesso, il Fornitore rimborserà all'Utente il pagamento ricevuto in
relazione
all'Abbonamento cui il recesso si riferisce, al netto di un importo proporzionale a quanto è stato fornito
dal Fornitore
fino al momento in cui il consumatore lo ha informato dell'esercizio del diritto di recesso; per il calcolo
di tale
importo, si terrà conto dei numeri o comunque dei contenuti fruiti e/o fruibili dal consumatore fino
all'esercizio del
diritto di recesso. Il rimborso avverrà entro 14 giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso sullo
stesso
mezzo di pagamento utilizzato per la transazione iniziale.
4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
5. Modalità di pagamento
5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
misura
specificata nell'offerta in relazione al pacchetto scelto dall'Utente.
5.2 Tutti i prezzi indicati nell'offerta si intendono comprensivi di IVA.
5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
effettuare gli
acquisti online. Le carte accettate sono le seguenti: Visa, Mastercard, American Express.
5.4 L'Utente autorizza il Fornitore ad effettuare l'addebito dei corrispettivi dovuti al momento
dell'acquisto
dell'Abbonamento e dei successivi rinnovi sulla carta di pagamento indicata dallo stesso Utente.
5.5 Il Fornitore non entra in possesso dei dati della carta di pagamento utilizzata dall'Utente. Tali dati
sono
conservati in modo sicuro dal provider dei servizi di pagamento utilizzato dal Fornitore (Stripe o il
diverso provider
che in futuro potrà essere indicato all'Utente). Inoltre, a garanzia dell'Utente, tutte le informazioni
sensibili della
transazione vengono criptate mediante la tecnologia SSL – Secure Sockets Layer.
5.6 È onere dell'Utente: (i) inserire tutti i dati necessari per il corretto funzionamento dello strumento
di pagamento
prescelto; (ii) mantenere aggiornate le informazioni di pagamento in vista dei successivi rinnovi (per
esempio,
aggiornando i dati della propria carta di pagamento scaduta in vista del pagamento dei successivi rinnovi
contrattuali).
Qualora per qualsiasi motivo il pagamento non andasse a buon fine, il Fornitore si riserva di sospendere
immediatamente
l'Abbonamento fino al buon fine dell'operazione di pagamento; trascorsi inutilmente 3 giorni senza che il
pagamento
abbia avuto esito positivo, è facoltà del Fornitore recedere dal contratto con effetti immediati.
Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
interamente
attraverso la piattaforma App Store fornita dal gruppo Apple. Il pagamento del corrispettivo è
automaticamente
addebitato sull'Apple ID account dell'Utente al momento della conferma dell'acquisto. Gli abbonamenti
proposti sono
soggetti al rinnovo automatico e all'addebito periodico del corrispettivo. L'Utente può disattivare
l'abbonamento fino a
24h prima della scadenza del periodo di abbonamento in corso. In caso di mancata disattivazione,
l'abbonamento si
rinnova per un eguale periodo e all'Utente viene addebitato lo stesso importo sul suo account Apple.
L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.