13 Agosto
Il tragico errore di Joe Biden
I Talebani sono a poche decine di chilometri da Kabul, la capitale verso l'isolamento. L'esercito afghano, abbandonato, si arrende. L'esito drammatico della ritirata americana, il rischio concreto di un ritorno al santuario del terrorismo. Errori e orrori di una campagna militare durata vent'anni che è finita nel fallimento e nel disonore
Che succede? La strada per Kabul è aperta, fonti locali parlano di un'avanzata talebana ormai arrivata a soli 20 chilometri dalla capitale dell'Afghanistan. La caduta di Kabul potrebbe essere non una questione di mesi, ma di poche settimane. Joe Biden ha commesso un errore strategico, tutte le colpe ricadranno sull'America e la sua amministrazione. Il capogruppo della minoranza repubblicana al Senatodegli Stati Uniti, Mitch McConnell, ha chiesto l'intervento dei cacciabombardieri americani per fermare l'avanzata. Sulla Casa Bianca piovono critiche durissime. Vediamo la situazione sul campo di battaglia.
01
La strada per Kabul è aperta
Sono ore terribili per l'Afghanistan, i Talebani sono sempre più vicini a Kabul, poche decine di chilometri. Una a una, stanno cadendo tutte le città capoluogo delle province afghane. La Nato ha convocato ieri un vertice urgente con gli ambasciatori, improvvisamente è comparsa la realtà che tutti conoscevano e avevano fatto finta di non vedere: i Talebani avanzano con una rapidità impressionante, l'esercito afghano sta collassando, i governi locali sono allo sbando, tutti cercano di ottenere salvacondotti, cercano di salvare la propria vita. L'Afghanistan è sulla strada del ritorno alla dimensione di Stato fallito, santuario di vecchi e nuovi terrorismi. La mappa aggiornata di The Long War Journal dice tutto sulle conquiste dei Talebani e dei loro alleati:
Guardate l'Afghanistan occidentale, è tutto rosso, conquistato dai Talebani, il fianco sinistro di Kabul è "coperto", mentre il cerchio si sta stringendo a Est e a Sud, con conquiste che crescono di giorno in giorno. Tutti paesi che hanno rappresentanza diplomatica in Afghanistan hanno cominciato a evacuare gran parte del personale e invitato tutti i cittadini a lasciare il paese, si preparano alla caduta. Il segnale più sinistro, arriva proprio da Herat, la città che fino a un mese fa era la base delle truppe dell'Esercito italiano. Fonti locali...
Che succede? La strada per Kabul è aperta, fonti locali parlano di un'avanzata talebana ormai arrivata a soli 20 chilometri dalla capitale dell'Afghanistan. La caduta di Kabul potrebbe essere non una questione di mesi, ma di poche settimane. Joe Biden ha commesso un errore strategico, tutte le colpe ricadranno sull'America e la sua amministrazione. Il capogruppo della minoranza repubblicana al Senatodegli Stati Uniti, Mitch McConnell, ha chiesto l'intervento dei cacciabombardieri americani per fermare l'avanzata. Sulla Casa Bianca piovono critiche durissime. Vediamo la situazione sul campo di battaglia.
01
La strada per Kabul è aperta
Sono ore terribili per l'Afghanistan, i Talebani sono sempre più vicini a Kabul, poche decine di chilometri. Una a una, stanno cadendo tutte le città capoluogo delle province afghane. La Nato ha convocato ieri un vertice urgente con gli ambasciatori, improvvisamente è comparsa la realtà che tutti conoscevano e avevano fatto finta di non vedere: i Talebani avanzano con una rapidità impressionante, l'esercito afghano sta collassando, i governi locali sono allo sbando, tutti cercano di ottenere salvacondotti, cercano di salvare la propria vita. L'Afghanistan è sulla strada del ritorno alla dimensione di Stato fallito, santuario di vecchi e nuovi terrorismi. La mappa aggiornata di The Long War Journal dice tutto sulle conquiste dei Talebani e dei loro alleati:
Guardate l'Afghanistan occidentale, è tutto rosso, conquistato dai Talebani, il fianco sinistro di Kabul è "coperto", mentre il cerchio si sta stringendo a Est e a Sud, con conquiste che crescono di giorno in giorno. Tutti paesi che hanno rappresentanza diplomatica in Afghanistan hanno cominciato a evacuare gran parte del personale e invitato tutti i cittadini a lasciare il paese, si preparano alla caduta. Il segnale più sinistro, arriva proprio da Herat, la città che fino a un mese fa era la base delle truppe dell'Esercito italiano. Fonti locali parlano a Reuters di "una città fantasma", mentre uno dei signori della guerra, Ismail Khan, uno dei combattenti più influenti, un veterano della guerra contro i sovietici, attuale capo della milizia anti-talebana nella provincia, è stato arrestato dai Talebani e poi si è schierato dalla loro parte.
Il ritiro degli Stati Uniti ha aperto il nido dei serpenti, la decisione di Joe Biden ha spalancato il cancello dell'incubo. Gli altri paesi hanno seguito la Casa Bianca e il Pentagono, senza la copertura americana sul territorio, si diventa bersagli. Un ritiro repentino, immediato, con il retrogusto amaro della fuga. Voltare le spalle all'alleato, subito finito sotto attacco, questo hanno fatto gli americani. Non c'è peggior atto che un esercito possa fare in guerra, il tradimento di ogni ideale finora sbandierato. Lo Stato afghano era un'illusione di cartapesta, i governatorati locali si sono arresi, i soldati hanno abbandonato le loro postazioni, per i Talebani finora è stato come perforare il burro. Sono cadute in pochi giorni le principali città, Kandahar, Herat, Lashkar Gah. Resta Kabul con un pungo di altre città, ma non si sa come e per quanto sarà difesa la capitale.
02
L'imbarazzo del Pentagono
Il Pentagono ieri ha scodellato l'ovvio dei popoli, dunque ecco un "siamo certamente preoccupati dalla rapidità dell'avanzata dei Talebani", ma la caduta di Kabul "non è imminente", altra grande scoperta che, tra l'altro, è perfino imprudente dichiarare, visto lo scenario. Entro domenica arriveranno a Kabul 3,000 soldati americani per l'operazione di evacuazione. Siamo di fronte a un piano che passo dopo passo mostra quanto alla Casa Bianca siano arrivati impreparati allo scenario del tutti a casa: "Se necessario aggiusteremo la scadenza del ritiro" per permettere di agli americani di lasciare il Paese, ha detto il portavoce della Difesa americana, John Kirby, sottolineando come gli Usa sono "pronti a evacuare da Kabul migliaia di persone al giorno". Quando al Pentagono cercano di nascondere l'imbarazzo, riescono a dire cose surreali, dunque Kabul non è sotto una "minaccia imminente" perché "sembra piuttosto che i Talebani vogliano isolare" la capitale. Come se isolarla, tagliare ogni possibilità di comunicazione e rifornimento, non rappresenti una minaccia vitale. Come se Kirby non abbia mai letto un libro di strategia, non conosca la teoria (e la pratica) della guerra d'attrito. Siamo a questo, d'altronde ieri perfino il Washington Post ha dovuto scrivere che l'amministrazione Biden rischia una disfatta come a Saigon. Se ti prepari a evacuare migliaia di persone, sei di nuovo alla sconfitta del Vietnam. Biden, quello che i giornaloni e il sistema del mainstream media descrivevano come un genio. Eccolo qua, in tutto il suo splendore. Il tempo è galantuomo.
Il primo ministro inglese, Boris Johnson, ha convocato una riunione Cobra, il ministro della Difesa, Ben Wallace, non ha nascosto l'enorme preoccupazione, il rischio, il pericolo chiaro e imminente della trasformazione dell'Afghanistan in una nuova officina del terrorismo internazionale. "Sono assolutamente preoccupato che gli Stati falliti siano terreno fertile per questo tipo di persone", ha detto a Sky News. Wallace, in un'altra dichiarazione, alla Bbc, ha detto chiaramente che non era d'accordo sul ritiro delle truppe in piena estate: "Ho sentito che questo non era il momento giusto o la decisione da prendere, perché ovviamente al-Qaeda probabilmente tornerà". Al Qaeda. Le lancette dell'orologio sono tornate indietro a vent'anni fa. Quanti errori, quanti orrori.
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha riunito ieri nel pomeriggio gli ambasciatori della Nato, ha detto l'ovvio, cioè che i membri dell'Alleanza Atlantica sono "profondamente preoccupati per gli alti livelli di violenza causati dall'offensiva dei Talebani, compresi gli attacchi ai civili, le uccisioni mirate e le segnalazioni di altri gravi abusi dei diritti umani". Hanno fatto proprio una grande scoperta, troppo tardi. La colpa ricade su di loro, una montagna che frana a valle. Ora auspicano la "soluzione politica", come se nessuno ricordasse che questo era l'obiettivo da raggiungere prima di ordinare il ritiro.
Boris Johnson è di gran lunga il leader più sveglio e assertivo, ha una formazione culturale di altro livello, gli inglesi sono un'antica potenza, ma non può andare più in là di un impegno "a non voltare le spalle all'Afghanistan" perché non "torni terreno fertile per il terrorismo". Il premier inglese ha escluso "la soluzione militare", il segno dell'impotenza. Perché il problema non è a Londra, non è a Bruxelles, non è a Parigi, non è a Roma, non è a Madrid, non è a Berlino, l'Europa non ha lo strumento (né la cultura) per intervenire, il problema è al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, alla Casa Bianca, Washington DC. È nell'idea dell'amministrazione Biden di andare via senza un piano per evitare la caduta di Kabul. Quando il Presidente della più grande potenza del mondo dice di "non avere rimpianti" di fronte a quello che sta accadendo, allora siamo in presenza di un uomo che non ha chiare le responsabilità del Paese che guida.
Il ministro della Difesa italiana, Lorenzo Guerini, assicura: "Nonostante il rapido deterioramento delle condizioni di sicurezza, sono pienamente in corso le attività per il trasporto umanitario del personale afghano che ha collaborato con l'Italia. Stiamo seguendo con grande attenzione e apprensione la situazione in Afghanistan. La Difesa italiana, come sempre, è operativa h24". È vero, gli italiani continuano a comportarsi con onore, siamo rimasti finché gli americani non hanno tolto la copertura, ci siamo illusi - come tutti - che l'esercito afghano potesse resistere, ma sul taccuino del cronista c'è un'angosciante domanda: quale sarà il destino di chi resta in Afghanistan? Dopo vent'anni, servono spiegazioni. Le cerchiamo altrove, tra chi ha servito il Paese, è stato sul teatro operativo. Compongo il numero di telefono di un uomo che sa, conosce il mestiere delle armi, ha una impareggiabile esperienza, può parlare, raccontare cosa sta accadendo in Afghanistan, il generale Giorgio Battisti.
03
Il generale Battisti: "Sconfitta materiale e morale"
Intervista al primo comandante del contingente italiano in Afghanistan. "L'esercito afghano si arrende perché pensa che la sconfitta sia ineludibile". "Gli Stati Uniti hanno sbagliato la data del ritiro, sapevano quali sarebbero state le conseguenze". La commozione del militare nel ricordo di una bambina
22 gennaio 2002. Il comandante Giorgio Battisti spiega i compiti della missione ai militari italiani appena sbarcati all'aeroporto di Kabul (Foto Ansa).La guerra è un'esperienza che segna l'anima per sempre. Giorgio Battisti è un generale dell'Esercito che l'ha vista tutta, brutta, sporca, cattiva, piena di eroismi che non fanno notizia ma restano nel cuore. È stato il primo comandante del contingente italiano in Afghanistan, ha sulle spalle tante missioni, molti anni della sua vita in prima linea, la mente sempre rivolta ai compagni che con lui hanno combattuto la battaglia più difficile, quella per la pace.
Kabul, Herat, qui i suoi soldati hanno lavorato per la ricostruzione dell'Afghanistan, quello che la diplomazia chiama "nation building" e si traduce nel lavoro più difficile e pericoloso che esista sulla faccia della Terra. Vent'anni dopo, il ritiro delle truppe, l'Occidente volta le spalle al popolo afghano, la decisione del Presidente Joe Biden di lasciare l'Afghanistan al suo tragico destino che si sta compiendo in queste ore cariche di morte.
L'ammaina bandiera a Herat, ripiegato il tricolore, anche noi a casa, come tutti, in silenzio, solo un mese dopo quel rito senza gioia, quasi un presentimento, arriva la notizia, poche ore fa, la caduta della città in mano ai Talebani, le cronache dell'orrore.
Il generale Battisti oggi è in pensione, ma non si è mai ritirato, è il punto di riferimento di centinaia di soldati italiani che hanno condiviso con lui il sudore, le lacrime, la divisa che è un destino comune, un uomo di grande cultura, uno stratega, per molti, un padre. È lui il testimone del tempo che mi conduce in questo viaggio tra il presente e la memoria. Andiamo in Afghanistan, il teatro della lunga guerra.
Generale Giorgio Battisti, Herat, che fu la base dei militari italiani, è caduta. Cosa prova?
Sono arrivato in Afghanistan a dicembre del 2001, con il primo nucleo di italiani che, insieme all'ambasciatore, doveva aprire l'ambasciata e creare le basi per l'arrivo del primo contingente. Provo una grandissima tristezza, perché in 20 anni di nostra presenza - e anche di mia presenza personale - ho avuto modo di conoscere quello splendido popolo, quell'affascinante società. Abbandonare così, vedere come finisce questo lungo periodo di nostra presenza e di nostro sacrificio, mi crea una grande tristezza, soprattutto per le popolazioni che torneranno sotto questo buio e orribile regime dei talebani.
Le nostre truppe hanno ammainato la bandiera l'8 giugno, il 12 luglio hanno lasciato Herat, un mese dopo, la caduta. É sorpreso dalla rapidità del collasso afghano?
Sono sorpreso. Ma bisogna fare una premessa: già due anni fa, i principali vertici militari americani che si erano succeduti al comando della missione avevano preannunciato che le forze di sicurezza afghane non erano capaci di sostenere da sole l'eventuale offensiva talebana. Questo è stato detto due anni fa, ripetuto l'anno scorso ed è stato detto anche pochi mesi fa da quelli che erano fino a pochi giorni fa in carica al comando della missione. Quindi era una cosa prevedibile, previdibilissima. I tempi in cui i Talebani sono riusciti a occupare più della metà dell'Afghanistan, sono invece stati sottovalutati, perché si pensava che le forze di sicurezza, il governo afghano, potessero tenere almeno per qualche altro mese.
Invece c'è stato un rapido deterioramento.
Sì, un effetto domino, ne ho parlato anche con alcuni colleghi afghani, si è creato questo spirito della sconfitta, questa idea che ormai c'è poco da fare, per cui i militari preferiscono arrendersi, sono convinti che l'onda talebana sia irreversibile.
Gli inglesi, il ministro della Difesa, Ben Wallace, dicono che l'Afghanistan è ormai dentro la spirale di uno Stato fallito. Quali possono essere le conseguenze?
L'Afghanistan è una terra di mezzo. Crea un vuoto di potere nel quale potranno svilupparsi, riprendere fiato, le formazioni terroristiche storiche: Al Qaeda, l'Isis che si è impiantato in Afghanistan dopo la cacciata dall'Iraq e dalla Siria, con l'intento di creare il Califfato. C'è la possibilità che queste formazioni terroristiche, che sono circa venti, tra i vari gruppi, sulla base etnica, possano svilupparsi ed esportare il terrorismo anche nei paesi limitrofi: verso i paesi dell'ex Unione Sovietica, Tagikistan, Kazakistan, verso la Cina, dove ci sono gli Uiguri che sono i cinesi musulmani, alimentare ancora di più il Pakistan...
È un effetto domino.
E può creare questa espansione. Senza dimenticarsi - e sfugge a molti - che l'Afghanistan oggi è il principale produttore di droga.
Il più grande esportatore di oppio del mondo.
Arriva dall'Afghanistan. E ci sarà un'ulteriore esportazione, un ulteriore flusso di droga, i Talebani e le altre formazioni terroristiche si finanziano con la droga.
Come può sopportare l'Occidente il peso di una simile scelta, della ritirata?
Il problema è che l'Occidente è andato in Afghanistan perché ha seguito gli Stati Uniti. Che sono l'unica potenza in grado d'intervenire a così grandi distanze, con uno strumento militare elevato, di grande potenza e capacità tecnologica. Parlo di trasporti aerei strategici, dell'intelligence, del supporto di fuoco aereo. Chiaro che l'Occidente sull'onda dell'attentato alle Due Torri ha seguito gli Stati Uniti, che avevano invocato l'applicazione dell'articolo 5 del Trattato Nato che prevede l'aiuto di tutti gli altri membri a un paese sotto attacco.
Gli americani già un anno fa, con la presidenza Trump, avevano detto che si sarebbero ritirati, scelta confermata da Biden, però senza imporre condizioni. Nell'accordo di Doha del febbraio dell'anno scorso c'erano chiare condizioni: il cessate il fuoco, interrompere i contatti con Al Qaeda e gli altri gruppi terroristici, avviare i colloqui inter-afghani, tra i Talebani e il governo afghano, tutti fatti che non si sono verificati. Aggiungo un altro aspetto.
Quale?
Tradizionalmente il periodo estivo - da aprile fino a ottobre - è quello della stagione dei combattimenti. Si scioglie la neve sui passi che collegano Afghanistan e Pakistan, possono così riprendere i collegamenti per il rifornimento di munizioni e il movimento di uomini e così via. Sarebbe bastato dire ci ritiriamo a ottobre, a novembre, quando i movimenti sono più difficili, invece la decisione è giunta nel pieno della stagione dei combattimenti.
La scelta della data del ritiro ha favorito l'avanzata.
Sì, anche perché inizialmente l'ultimo soldato americano avrebbe dovuto ritirarsi l'11 settembre, quindi sarebbe stata un'ulteriore beffa, la seconda sconfitta dopo l'attentato alle Due Torri, forse si sono accorti dell'errore e hanno anticipato a fine agosto.
Il commissario europeo Paolo Gentiloni ieri ha commentato: "Anni di impegno italiano cancellati. Si discuterà a lungo su questa guerra e sul suo epilogo". Ecco, discutiamo. Lei condivide?
Indubbiamente sì. Ma ritengo che sia una povera considerazione. Noi in questi 20 anni abbiamo dato un'impulso alla società afghana che era chiusa nel grigiore del regime talebano, abbiamo fatto vedere ai giovani stili di vita - che poi possono essere seguiti o meno - diversi da quelli che gli hanno imposto i Talebani. Oggi i giovani conoscono il mondo, hanno accesso a Internet, parlano sui social, quindi penso e spero che sia difficile che i Talebani comunque riescano a imporre quel loro regime che era così chiuso come 20 anni fa. Anche se dubito, alcune cronache di stampa dicono che nelle città che hanno occupato hanno reimposto il burqa, la sharia, chiuso le stazioni radio. I primi segnali non sono positivi. Indubbiamente c'è il rischio, come dice Gentiloni, che si torni a vent'anni fa. Nel massimo distacco di tutto il mondo e soprattutto della comunità occidentale.
Chi si fiderà mai più di una coalizione occidentale in un teatro di guerra?
Avvenne così anche nel 1975 con il Vietnam del Sud. Solo che allora c'era Kissinger, l'incaricato speciale per i rapporti con il Vietnam del Nord, e negli accordi di Parigi del 1973 aveva chiesto al Vietnam del Nord un decente intervallo prima di occupare il Vietnam del Sud. Sono stati due anni. Alla fine il Vietnam del Sud è caduto. E tutti noi abbiamo in mente gli elicotteri che abbandonavano l'ambasciata americana di Saigon con le persone appese ai "pattini". È difficile fidarsi al 100%, abbiamo avuto altri esempi, è successo di recente con i curdi, che sono stati abbandonati. E c'è sempre Taiwan, se io fossi un governante di Taiwan, comincerei a dubitare dell'appoggio completo da parte degli Stati Uniti.
Di ritiro si discuteva da anni, da Obama in poi, fino a Trump che lo mise come obiettivo della sua campagna elettorale del 2020. Ma nella exit strategy di Biden appaiono degli errori di valutazione della situazione sul terreno enormi. Com'è stato possibile?
Errori dell'intelligence no. Sono usciti diversi "anonimi" sulla stampa statunitense, ma anche dei generali ancora in servizio, che avevano - in modo un po' light - comunque delineato questa possibile soluzione. Hanno prevalso valutazioni di carattere politico su quelle del terreno. Ancora adesso il Presidente Biden dice che non si è pentito di aver chiuso la missione ad agosto.
Il presidente Biden dice: "Gli afghani devono combattere". Per ora le notizie sono quelle di una carneficina e di una resa totale di fronte all'avanzata dei Talebani. Lei è un generale, ha operato sul campo, le chiedo... come possono combattere?
Un altro errore, che avevo già verificato, è che abbiamo cercato di plasmare le forze armate afghane secondo i nostri modelli occidentali, dimenticando che un esercito è espressione della storia, della cultura, delle tradizioni e dell'ordine politico del proprio paese. Abbiamo cercato di imporre il nostro modello occidentale su dei guerrieri che hanno sempre fatto della guerriglia il loro modo di combattere. Non un sistema di combattimento convenzionale.
Erano abituati a fare la guerra asimmetrica.
Sì, la guerriglia. I Talebani fanno la guerriglia. Tanto è vero che gli unici che combattono bene in questo momento sono i "commandos" afghani, che purtroppo sono pochi, circa ventimila, perche' combattono con gli stessi sistemi della guerriglia talebana, cioé il loro innato modo di combattere. Del resto, la fama degli afghani era quella di essere i piu' temibili guerrieri di tutta l'Asia Centrale.
Il Presidente Barack Obama saluta i soldati americani nella base aerea di Bagram, in Afghanistan, il 1° maggio del 2012 (Foto White House, Pete Souza).Anni fa, il generale David Petraeus, mi spiegò come funzionava la strategia "Anaconda" in Afghanistan e in Iraq. Era una questione di coinvolgimento delle parti in gioco sul terreno (a cominciare dalla politica, ovviamente), di combattimento della coalizione e addestramento dell'esercito afghano. Petraeus comprava tempo. Ma l'amministrazione Obama cominciò a demolire questa strategia, fin dalle operazioni di combattimento, il ministro della Difesa, Leon Panetta disse che entro la fine del 2013 sarebbero terminate. Il declino della missione comincia da qua?
Il primo errore è stato commesso dal Presidente Bush nel 2003, quando ha distolto buona parte delle risorse militari dall'Afghanistan per attaccare l'Iraq. Perché nel 2003 i Talebani erano sotto pressione, erano stati dispersi, c'erano pochissime sacche ancora di resistenza che potevano essere eliminate, e quindi poi si poteva pretendere un accordo politico con questa fazione.
Il secondo più grave errore è stato fatto dal Presidente Obama, quando su insistenza dei propri generali aveva concesso il rinforzo di oltre 30 mila uomini nel 2010, quello che è stato chiamato poi "surge", ma precisando che sarebbero stati distaccati solo a tempo determinato, quindi iniziando il ritiro a fine 2011.
I Talebani, che non sono fessi, hanno aspettato che questi rinforzi si ritirassero, in attesa di riprendere poi l'offensiva. È da fine 2011 che il contingente internazionale - che era arrivato fino a 140 mila uomini - ha iniziato a ritirarsi. È come se il presidente Roosevelt, dopo lo sbarco in Normandia, avesse detto: "Una volta che abbiamo occupato la Francia, ci ritiriamo". Il terzo errore è stato di Biden che non ha posto condizioni serie nei confronti dei Talebani.
Il tragico errore di Joe Biden, un ritiro senza un piano per evitare l'avanzata dei Talebani (Foto Epa).Biden dice che non ha rimpianti. Lei ne ha?
Sì. Io ne ho molti. Ho conosciuto tantissime brave persone, il popolo afghano è fantastico, affascinante, ha sempre sofferto il transito di eserciti e devastazioni, fin dai tempi dell'invasione di Alessandro Magno. Sono miei amici, sono miei fratelli e temo di vedere ora quello che succedeva quando qualche filmato trapelava nei periodi del regime talebano.
Il nostro Stato Maggiore della Difesa secondo lei aveva elementi sufficienti da parte americana per valutare questo scenario disastroso?
Non voglio fare la difesa di parte, ma ritengo che il nostro Stato Maggiore abbia operato bene, d'intesa con tutti gli altri partner della coalizione presenti. Ci siamo ritirati con tutti gli altri, senza andarcene via prima. Non si poteva fare diversamente, perché comunque bisogna ricordare che il "grande fratello" statunitense è quello che fornisce l'intelligence, il supporto aereo di fuoco, il trasporto strategico, è quello che delinea gli indirizzi da seguire.
Ha parlato in questi giorni con i soldati che sono stati con lei in Afghanistan? Cosa dicono di fronte a questa immane tragedia?
Sì, ci sentiamo quotidianamente, anche loro sono molto amareggiati per come sta finendo questo pesante impegno che abbiamo avuto in questi vent'anni. Sono anche in contatto con diversi afghani, che erano allievi dell'accademia militare, che in questo momento stanno combattendo.
Cosa dicono i soldati afghani?
Stanno combattendo, ma vedono che molti scappano, soprattutto tra i vertici politici. C'è stato il governatore di Ghazni che è scappato, s'è messo d'accordo e ha avuto un salvacondotto dai Talebani, così anche il vice governatore. Lasciano i soldati da soli. Quando i capi scappano, poi è facile che succeda questo, perché un soldato che combatte si guarda indietro e vede che non c'è nessuno.
Le defezioni politiche sono decisive?
Il governo afghano non è mai stato stabile, c'è sempre un'endemica corruzione nella società afghana, i capi non erano all'altezza della situazione, due mesi fa il Presidente ha sostituito il ministro della Difesa, ma sono ormai soluzioni tampone che difficilmente possono cambiare la situazione. Il rischio è che riesploda la guerra civile, le milizie di autodifesa dei villaggi sono armate, pochi accetteranno il ritorno dei Talebani.
Guardiamo la mappa militare aggiornata. Con la caduta di Herat i Talebani controllano tutto l'Afghanistan occidentale. Mi pare ci sia una strategia per circondare Kabul. È così?
Ritengo di sì, prima hanno cercato di isolare il Paese occupando tutti i valichi di frontiera, sia al Nord, verso il Pakistan e verso l'Iran.
Così bloccano i rifornimenti.
Esatto. Hanno interrotto tutte le rotabili, tutti i collegamenti stradali. Poi hanno iniziato anche a bombardare gli aeroporti, un po' alla volta stanno strozzando tutta l'organizzazione difensiva del governo.
Una sorta di guerra d'attrito. Stanno cingendo d'assedio Kabul fino a farla implodere.
C'è questo rischio. Penso che sia difficile occupare Kabul combattendo casa per casa, quartiere per quartiere. Kabul è difesa da decine di migliaia di uomini, è una città molto grande. È più facile, come è accaduto a Ghazni, a Herat, in altre città, che ci sia l'implosione del governo centrale e i militari poi cedono perché non hanno direttive e supporto morale.
I Talebani sanno combattere. Hanno una strategia.
Hanno un'esperienza di vent'anni di combattimento, sicuramente sono supportati da professionisti stranieri, leggevo che tra loro ci sono militari pakistani, hanno potuto vedere come ha combattuto l'Isis in Siria, hanno preso un po' da loro, ammesso che non ci siano combattenti dell'Isis nelle loro fila. E in più questi vent'anni hanno copiato il modo di combattere degli occidentali. I Talebani hanno delle forze speciali, che si chiamano "Red Team", che sono equipaggiate e hanno le stesse tecniche delle forze speciali occidentali.
E in più, ogni volta che conquistano una città, si impossessano dell'arsenale e dei materiali dell'esercito.
Come è successo in Iraq a Mosul nel 2014. Una grandissima quantità di materiale altamente tecnologico e efficiente che è caduto nelle mani dei Talebani. Si vedono gli equipaggiamenti che hanno, sembrano quelli di un esercito occidentale.
Ben Wallace, il ministro della Difesa inglese, ha detto oggi: se torna Al Qaeda torniamo anche noi. Possibile?
Questo è quello che è successo in Iraq, quando Obama ha deciso in modo repentino l'abbandono dell'Iraq nel 2011 e ci siamo ritornati quattro, cinque anni dopo. Espansione del terrorismo, diffusione del traffico di droga, instabilità generale, c'è la possibilità di tornare tra qualche anno.
Anthony Blinken, il segretario di Stato americano, ieri ha consultato la Nato, la Germania, il Canada. Si pone la domanda: che fare
Sicuramente. Anche perché, comunque la si giri - basta sentire le dichiarazioni politiche - è una grande sconfitta oltre che materiale, anche morale da parte nostra. Abbandonare un paese alleato che si è fidato di noi.
Qual è la lezione per l'Italia?
La lezione è che bisogna impegnarsi fino in fondo, senza indicazioni di carattere politico, nell'utilizzo delle forze armate, nel rispetto dei nostri principi comportamentali dettati dalla democrazia, nel rispetto delle regole di ingaggio. Impegnarci quando siamo sicuri che possiamo ottenere qualcosa. Chiaro, dirlo adesso è molto facile. Vent'anni fa, quando siamo arrivati a Kabul, sembrava di poter aprire una nuova finestra, una nuova pagina di vita per questo paese. Non è facile fare questi apprezzamenti adesso, ma dobbiamo tenerne conto per il nostro impegno, sempre più serio, nel Sahel.
Un suo ricordo personale?
Ne ho tanti. Ma ricordo sempre una bambina, avrà avuto otto anni, nei pressi dell'aeroporto di Kabul, con un fratellino di un paio d'anni, che tutte le mattine quando passavamo ci salutava, e noi gli davamo caramelle e biscotti e così via. E mi chiedo che fine... che fine ha fatto quella bambina.
È un grande dolore...
- ... abbastanza.
L'intervista finisce qui. Il generale Giorgio Battisti è in lacrime. E anche il vostro cronista non riesce a trattenerle. Che Dio ci perdoni per quello che (non) abbiamo fatto.
***
C'è altro? Di fronte a questo, il resto evapora, siamo di fronte a un popolo che muore ogni giorno.
04
Gino Strada, 1948 - 2021
È morto Gino Strada, aveva 73 anni. Era in vacanza in Normandia. Fondò Emergency, fu un uomo di opinioni radicali e anche per questo riuscì a curare feriti e malati in zona di guerra, tra i poveri, gli ultimi e i più bisognosi, 11 milioni di pazienti in 27 anni. Non bisognava per forza condividerne le opinioni, era facile sentirsi opposto in mille occasioni, ma il carattere, quel tratto che lo faceva apparire sulfureo, con gli occhi iniettati di volontà, quello era un colpo di magnetismo affondato con il bisturi.
Strada era uomo di pre-giudizio, o eri con lui o contro, non c'erano sfumature nel suo ragionare per categorie opposte, amico/nemico. Sulla stagione della guerra post-11 settembre 2001 fu tagliente, in Afghanistan per lui c'era l'orrore di tutti, soprattutto delle bombe di Bush e Cheney. Poi vennero anche quelle di Obama, la killing list di Barack, la flotta dei droni dem, una politica estera disastrosa tra Siria e Iraq, il caos di Lady Libia, Hillary Clinton, e la faccenda ideologica per lui e molti altri si complicò. No, non eravamo tutti americani, e in ogni caso Strada non poteva essere di nessuno, a tratti forse non era neppure di se stesso. Era sempre in eccesso di torto e ragione, impolitico per programma - e più politico più che mai. Era di sinistra? Fu un uomo che predicava (nel deserto anche dei suoi presunti amici) la giustizia sociale, qualche volta confondendo l'avversario. Questa è la sinistra? Nei libri, forse, ma nella pratica quotidiana Strada era un senza casa politica, nomade come tanti, e se gliene avessero offerto una, di casa, l'avrebbe demolita per rifarla. In un paese di guelfi e ghibellini, egli non fu certo originale nel pensiero, fu di parte senza mai essere in disparte, ma fu potente nell'opera che lo possedeva. Non c'erano buoni e cattivi sul letto della sala operatoria, ma vite affidate spesso all'ultimo giro di Strada, il suo ospedale da campo in un mondo fiammeggiante. Fu estremo nella critica come nello slancio. La sua impresa umanitaria era marchiata con questo segno rosso, l'atto istintivo consumato nell'istante, la sopravvivenza, l'urgenza di salvare la vita per un soffio, un'esistenza in perenne Emergency. Se ne è andato in un'estate torrida, un turbine di sabbia nel deserto, che sia lieve la terra a Gino Strada.
***
C'è altro? Un po' di notizie da raccogliere, come coriandoli.
05
Il ballo del Recovery, la ferita del fuoco, Banksy e Jacobs
L'Unione europea ha erogato la prima tranche dei fondi del Recovery Plan, sono 24,9 miliardi. Il premier Mario Draghi ha detto: "Vogliamo una ripresa duratura, equa e sostenibile". Parte la rumba dei partiti, speriamo nella regia di Palazzo Chigi.
Il presidente della Repubblica ha sorvolato in elicottero il Montiferru e visto la gigantesca ferita di fuoco sull'Oristanese. Il commento di Mattarella: "I colpevoli hanno gravissime responsabilità". E non è solo una questione di piromani, c'è un tema di prevenzione e controllo e riguarda la Regione Sardegna. Così in tutto il Mezzogiorno e le isole colpite dagli incendi. Sarà il fine settimana più caldo dell'anno, 15 città con il bollino rosso, un italiano su due sarà in viaggio a Ferragosto, incrociamo le dita.
Un'opera di Banksy comparsa sul muro di una prigione a Reading, nel Regno Unito nel marzo di quest'anno (Foto Epa).Banksy rivela: le opere che sono comparsi sui muri delle città inglesi sono mie. Un video, un genio, uno sconosciuto. Che resti tale, il suo fascino è nel mistero della (s)comparsa.
Sprint. La vittoria sui 100 metri di Marcell Jacobs a Tokyo (Foto Epa)Jacobs si ferma. Per correre meglio nel 2022: "Posso scendere sotto i 9"77". Un obiettivo, disciplina e volontà. Fermarsi, riflettere, ripartire. Questo è il segreto per sfrecciare più veloci nella vita.
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C'è qualcosa da leggere per Ferragosto?
06
Il libro del Ferragosto
La penisola del Sinis vista dal Golfo di Oristano.Il proposito è sempre quello, anno dopo anno, un libro per il Ferragosto. La lettura in Summertime. Avevo un libretto poetico di Manuel Vázquez Montalbán, intitolato Ciudad, non lo trovo più. La traduzione pubblicata in Italia da Frassinelli è esaurita, non ne esiste neppure una versione in ebook, così quello ora è diventato il libro che non c'è, una specie di ossessione, perché ricordo la mia sorpresa nel leggerlo, ma nello stesso tempo è una sorta di nebbiosa ricostruzione. È come se Ciudad dovesse svelarmi qualcosa che fino a oggi non ho com-preso. Vabbè, sono al mare, posso diluirmi con altre letture. O no?
Dunque la caccia continua, perfino in assenza di una città da investire del ruolo di musa che, in teoria, sarebbe dovuto essere di una donna e non dell'architettura. Figuriamoci, passati i cinquanta anche quella parte di slancio vitale si rivela un peso, se dispieghi le ali, finisce che diventano di cera, se provi a dichiararlo, "l'amore", l'esito è un tragicomico naufragio nel mare dell'illusione. Un sacco di tempo sprecato, se leggi Henry Miller capisci tutto in anticipo.
Un libro per il Ferragosto, che impresa. "Il Maestro e Margherita" (lo ritroco qui nel volume su I Romanzi, Biblioteca dell'Orsa, Einaudi, grafica di Bruno Munari, che eleganza) perfetto per la bisogna, una cosa da intellettuali, per darsi un tono sotto l'ombrellone, un capolavoro, ma la narrazione a incastro di Bulgakov ha bisogno di tempo e qui evapora con il sole che si leva a Mezzogiorno. Aspetta, guardo la Gazzetta dello Sport. Uhm, forse le poesie di Walt Whitman, "Foglie d'erba" energetiche, un soffio di vita cosmica, certo in ebook mi mette tristezza, poi si squaglia con l'afa il Kindle, ma per avere un senso di liberazione e matrimonio con la natura, per quello basta e avanza un tuffo in acqua, il sale sulle labbra, i pesci che nuotano intorno ai tuoi piedi, forse spuntano perfino i delfini a qualche metro e stamattina c'è anche una barca a vela, niente panfili, qui grazie al cielo siamo fuori dalle rotte dei commodori dello scafo cafonal. Non arriva proprio, questo libro dell'estate che serve come un balsamo, succo, nettare, una bevanda ghiacciata. La sera, c'è il mirto, sia ringraziato il cielo, ma la mattina? Un Gin Martini è troppo? ho pure il gin autoctono, strong di fattura nuragica. Che dilemmi.
Questa foto di Ami Vitale, scattata nella riserva Reteti, in Kenya, ha vinto il primo premio nella sezione "Natura" nel World Press Photo del 2018 (Foto Epa/Ami Vitale/National Geographic)Serve un filo d'oro di gioia, macché libri. Eccolo, qualche giorno fa ho incrociato in rete un video del National Geographic, Naomi Leshongoro (ah, che colpo di fulmine) che canta una canzone a dei piccoli elefanti, sono orfani. Lo ha girato la fotografa Ami Vitale, in Kenya, nel Reteti Elephant Sanctuary, un luogo dove i miracoli esistono. Vitale ha realizzato un film, si intitola Shaba, è la storia di un elefantino che ha perso la madre e trovato una famiglia speciale.
E il libro? Sono un uomo di mare, il blu è una bracciata, lo scoglio una postazione di vedetta, un faro nel buio. Dunque il desiderio innato è quello di assaporare ancora la tensione di Gordon Pym, capolavoro di Edgar Allan Poe, l'unico libro pubblicato in vita dal maestro dell'horror psicologico. Levate le ancore, questo libro è per viaggiatori che non hanno paura, si naviga sulla baleniera Grampus. Il mare non vi sarà mai apparso così affascinante e sinistro.
E il thriller, titolare, l'alta tensione del delitto? Va bene, sulla libreria del mare c'è un Nelson DeMille che bisogna leggere, un maestro, il libro si intitola Notte fatale e la storia è quella del volo Boeing 747 della TWA diretto a Parigi che esplode in volo su Long Island nel 1996. Il fatto è reale, l'indagine di John Corey che tesse DeMille è... scopritelo, è una lettura eccezionale.
Dal loggione s'alza una voce: va bene, ma i classici... suvvia, qualcosa di più "alto". Ve la siete cercata, ecco qui, un vecchio classico della BUR, quando aveva le copertine con la splendida grafica di John Alcorn e Maurizio Ricci: Italo Svevo, La coscienza di Zeno, una perla del romanzo psicologico, un inciampo continuo nel "comico", un libro dimenticato della grande letturatura italiana del Novecento.
È una delle grandi difficoltà della vita d'indovinare ciò che una donna vuole. Ascoltarne le parole non serve, perché tutto un discorso può essere annullato da uno sguardo.
Questa sospensione onirica, un incanto che dura poco. Ecco, un flash sul monitor: i Talebani sono a 20 chilometri da Kabul. Buon Ferragosto.
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di recesso è inviata dall'Utente prima della scadenza del periodo di recesso.
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all'esercizio del
diritto di recesso. Il rimborso avverrà entro 14 giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso sullo
stesso
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4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
5. Modalità di pagamento
5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
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5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
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acquisti online. Le carte accettate sono le seguenti: Visa, Mastercard, American Express.
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Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
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attraverso la piattaforma App Store fornita dal gruppo Apple. Il pagamento del corrispettivo è
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riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
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6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
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in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
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assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
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(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
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elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.