22 Ottobre
Immigrazione? Il problema è in Libia
Oggi e domani il Consiglio europeo. L'Ue parla di difesa, ma i soldati per stabilizzare la Libia non sono mai partiti
Oggi si apre una due giorni molto interessante del Consiglio europeo dei capi di Stato. In agenda come sempre c’è un po’ di tutto, tra i temi di primo piano spicca quello dell’immigrazione. Per l’Italia è il numero uno e le ragioni non sono soltanto quelle dell’emergenza umanitaria. La legislatura sta entrando nella sua fase finale (voto anticipato o meno) e il governo Gentiloni è lo strumento che deve assicurare a Renzi una navigazione senza troppi scossoni. Ma siamo già in un clima da campagna elettorale permanente, è estate, i trafficanti di uomini dalle coste della Libia spediranno centinaio di barche in questi mesi verso l’Italia. In questo scenario, è materiale perfetto per la propaganda estiva che poi conduce al voto. Per le opposizioni è un’occasione ghiotta, per Renzi materiale radioattivo. Gentiloni arriva al Consiglio europeo di Bruxelles senza grandi speranze, in Germania non si tocca foglia fino al 23 settembre, giorno delle elezioni, la Francia prima di dire sì a qualsiasi proposta dell’Italia vuole esser sicura che il primato di Parigi nel Mediterraneo non venga messo in discussione da nessuno e poi non scherziamo… les italiens! Gli inglesi hanno altro a cui pensare (Brexit), insomma, il titolare di List fa una conclusione lapidaria ma logica: siamo soli.
Qual è il problema? A Bruxelles si parlerà di soccorso, di accoglienza, di redistribuzione degli immigrati. Tutte cose vestite di santo e ipocrita umanitarismo. Nessuno metterà sul tavolo in maniera netta il problema del rubinetto. Quale rubinetto? Il titolare di List non ha una passione improvvisa per le questioni idrauliche, il rubinetto è quello della Libia. Ribadiamo il concetto già espresso ieri su List con questo grafico:
Eccolo, il rubinetto. Si è aperto improvvisamente con le “primavere arabe” e nessuno l’ha chiuso. E’ un flusso di uomini, donne e bambini...
Oggi si apre una due giorni molto interessante del Consiglio europeo dei capi di Stato. In agenda come sempre c’è un po’ di tutto, tra i temi di primo piano spicca quello dell’immigrazione. Per l’Italia è il numero uno e le ragioni non sono soltanto quelle dell’emergenza umanitaria. La legislatura sta entrando nella sua fase finale (voto anticipato o meno) e il governo Gentiloni è lo strumento che deve assicurare a Renzi una navigazione senza troppi scossoni. Ma siamo già in un clima da campagna elettorale permanente, è estate, i trafficanti di uomini dalle coste della Libia spediranno centinaio di barche in questi mesi verso l’Italia. In questo scenario, è materiale perfetto per la propaganda estiva che poi conduce al voto. Per le opposizioni è un’occasione ghiotta, per Renzi materiale radioattivo. Gentiloni arriva al Consiglio europeo di Bruxelles senza grandi speranze, in Germania non si tocca foglia fino al 23 settembre, giorno delle elezioni, la Francia prima di dire sì a qualsiasi proposta dell’Italia vuole esser sicura che il primato di Parigi nel Mediterraneo non venga messo in discussione da nessuno e poi non scherziamo… les italiens! Gli inglesi hanno altro a cui pensare (Brexit), insomma, il titolare di List fa una conclusione lapidaria ma logica: siamo soli.
Qual è il problema? A Bruxelles si parlerà di soccorso, di accoglienza, di redistribuzione degli immigrati. Tutte cose vestite di santo e ipocrita umanitarismo. Nessuno metterà sul tavolo in maniera netta il problema del rubinetto. Quale rubinetto? Il titolare di List non ha una passione improvvisa per le questioni idrauliche, il rubinetto è quello della Libia. Ribadiamo il concetto già espresso ieri su List con questo grafico:
Eccolo, il rubinetto. Si è aperto improvvisamente con le “primavere arabe” e nessuno l’ha chiuso. E’ un flusso di uomini, donne e bambini che passano dal deserto centroafricano, entrano nei confini inesistenti della Libia e si catapultano in Italia con qualsiasi cosa sia in grado di galleggiare. Perché nessuno ha chiuso il rubinetto? Good question, con una risposta semplice e drammatica: perché nessuno vuole andare a morire. Lady Libia, il segretario di Stato americano Hillary Clinton, pensava che i ribelli anti-Gheddafi fossero ragazzi dal cuore d’oro, il giorno della macellazione in diretta del colonnello appena catturato, linciato, sfigurato e esposto come un pupazzo di un film horror, si capì che la Libia era passata dalle mani di un solo dittatore a quelle di una moltitudine di tagliagole. In ogni caso, the show must go on, lo spettacolo deve andare avanti, solo che il nation building in Libia non è mai arrivato. E il rubinetto è rimasto aperto. Riepiloghiamo la situazione: Serraj, capo del governo sponsorizzato dall’Onu, non controlla neppure la capitale Tripoli; la Libia è un’Idra con molte teste e troppi fucili, l’unico esercito libico che funziona è quello del generale Kalifa Haftar (qui una biografia sul blog, l'altro mondo del titolare di List, una vecchia conoscenza della Cia – abitava a Langley – prima gheddafiano, poi anti-gheddafiano, poi esiliato, poi riapparso in Libia per preparare il nuovo stato, che casualità) che dalla Cirenaica punta (questo è il reale sottotesto della storia) a rovesciare Serraj e papparsi tutto il boccone, Tripolitania e Fezzan compresi. In questo scenario tribale dove tutti sparano e nessuno comanda, restano aperti tre rubinetti: la banca centrale libica che stampa e distribuisce denaro, l’estrazione e export di petrolio, il traffico di uomini, donne e bambini verso le coste dell’Italia. I primi due rubinetti è bene che siano aperti, il terzo va chiuso. Ma chi lo chiude? Intanto, un’occhiata sul campo: a gennaio sul terreno c’era questo quadretto idilliaco:
Sei mesi dopo, si combatte ancora. Non è mai finita perché non c’è solo Isis, la Libia è la Woodstock del terrorismo, piena di gang armate fino ai denti durante la rivolta anti-Gheddafi, non hanno mai riconsegnato mitra, bombe, perfino carri armati.
Gli americani non hanno nessuna intenzione di mettere boots on the ground in un posto che sembra fatto per diventare un tiro a segno, i russi usano già ampiamente gli scarponi di Haftar, l’Europa…. l’Europa non esiste. E qui il titolare arriva al punto incandescente, al non detto del pasticcio libico: l’Europa a parole – Angela Merkel dixit, dopo aver scoperto a Taormina qualche settimana fa che alla Casa Bianca non c’è più Barack Obama ma uno che si chiama Donald Trump – afferma che è giunto il momento di far da soli, difesa compresa. Ottimo proposito, frau Merkel, a questo punto si può cominciare a passare ai fatti: inviare in Libia una forza europea di stabilizzazione del paese e controllo delle frontiere. Questo è il punto, tutto il resto è poesia, retorica brussellese. Senza una forza sul campo, i libici continueranno a fare il doppio e triplo gioco: chiedere assistenza all’Europa, incassare finanziamenti e materiale militare, continuare a far passare gli scafisti con la guardia costiera libica che chiaramente non solo non ostacola il traffico di esseri umani, ma partecipa alla festa. Questa è l’Europa, a parole fortissima, ma poi debolissima quando si tratta di prendere i rischi che servono per tutelare la sua sicurezza e quella dei suoi cittadini. Un esercito europeo nasce se qualcuno ha intenzione di difendere e di combattere, non perché Donald Trump ha detto alla vecchia cara Europa la verità: siamo morti per voi ieri e oggi, se volete ancora il nostro impegno, dovete pagare. E ogni tanto sentire anche voi il piombo fischiare vicino alle orecchie. La Libia è il posto dove misurare le ambizioni europee. Cosa accadrà? Wait and see. Dove si va? Andiamo in America, il titolare di List dall'altro ieri sera ha il ritornello di una canzone che risuona nella mente...
01
Georgia on my mind
I giornali italiani, quelli che discutono con eleganza sul loro business in inesorabile declino, ieri non si sono accorti del fatto che Trump ha (ri)vinto. Hanno apparecchiato la tavola per bene in questi mesi sul Russiagate, sulla fine della presidenza e via così, ma il voto in Georgia, mannaggia, è sfuggito al radar sempre impeccabile. Se la candidata repubblicana avesse perso, oggi il titolare di List avrebbe letto fluviali articoli sulla fine imminente di Trump mentre si fa fare i boccoli dal parrucchiere. Sorpresa, ha vinto. Analisi equilibrate, serie senza essere seriose, una botta di vita intelligente nella scatola cranica? Zero in pagina. Perdono lettori, ci sarà un motivo e infatti c’è: il pregiudizio morale in redazione, spacciano per realtà il ciclostile del giornalismo collettivo, si copiano a vicenda. Così, questi geni non hanno visto la Brexit, non hanno visto Trump, non hanno visto perfino Macron nella sua vera declinazione – quella gollista, nazionalista, populista e protezionista - che pure era facile da scorgere all’orizzonte. Così gli è scappata la frizione sulla Georgia e l’importanza di quel voto. Quanto importante? Tanto, soprattutto per il futuro dei democratici e sulle analisi a vanvera che si fanno su Trump, un paio di cose in rigoroso disordine sparso tratte dal taccuino di List e dalla lettura mattutina del Wall Street Journal: il candidato dei democratici, Jon Ossof, uno che per un’elezione di piccola dimensione aveva raccolto 25 milioni di dollari, ecco il grafico del WSJ:
Ossoff, il fenomeno, è andato peggio della Clinton nelle presidenziali, quando Trump vinse la Georgia con un distacco di 1,5 punti; Ossoff, ovviamente osannato dalla stampa come un fenomeno, ha perso contro Karen Handel con un distacco di 3,7 punti; un caso isolato, un giro di giostra sfortunato, una nuvola di Fantozzi? Macchè, dopo l’elezione di Trump alla Casa Bianca ci sono stati altri quattro voti, il risultato è il seguente: i democratici hanno perso 4 a 0. Sui giornali del mainstream media system tutto questo è debitamente nascosto, infilato nelle pagine interne – se va bene – occultato in una selva di clic e navigazioni dove il principale problema del lettore è chiudere i banner che si aprono davanti a lui come se fosse un giro nel castello delle streghe.
Ma Ossoff da dove è saltato fuori? Non l’avete ancora capito? Da quel pentolone dove bolle la fuffa della contemporaneità, il posto dove i liberal, i descamisados, gli anti-tutto, gli ignoranti di andata e di ritorno, gli inseguitori di scie chimiche, i nuovi (para)guru costruiscono e demoliscono carriere: i social media, cribbio. Ossof è un prodotto di quel laboratorio chimico, Egli vincerà dicevano i fan e i tuttologi da 140 caratteri di Twitter. Ossoff ha fatto il botto, in tutti i sensi: rapida ascesa, astronomica discesa. E’ il primo ad averlo sperimentato con questa velocità, seguirà una lunga serie.
Che si fa? Si parte. Lasciamo i dolori del giovane Ossoff e andiamo a vedere come se la passa un altro ragazzo che a differenza di Ossoff è un prodigio vero, con un problema letale se vuoi fare soldi a Wall Street: è un casinista. Apriamo l’app di Uber, si viaggia. La storia del buon Travis Kalanich continua a riempire di appunti il taccuino del titolare. Go.
02
Travis, Gekko e la legge di Wall Street
Se sei il capo di un’azienda valutata 70 miliardi di dollari, il tuo carattere è decisamente spannato, la tua gestione è di quelle geniali ma piena di buchi intorno, puoi chiamarti anche Travis Kalanich, ma a Wall Street c’è gente ha studiato a memoria ogni mossa e frase di Gordon Gekko e Travis sarà pure uno dal tocco magico se si tratta di creare, ma alla fine per quelli dei fondi se non fai utili e metti in imbarazzo gli azionisti, diventi esattamente come quel tale di cui Gekko diceva soavemente: “Se vendesse bare non morirebbe più nessuno”. Alla fine la bara è arrivata per Travis: gli hanno preso le misure, lo hanno impacchettato e via. E’ stato facile. Sono bastate un paio di incursioni dei fondi, lettere, colloqui, silenzi, tutto perfino troppo facile, visto che si tratta pur sempre del fondatore. Ma la reputazione della compagnia era già a pezzi per gli scandali sessuali, la lite legale sul segreto industriale con Alphabet (Google), le pratiche di business. Vai a nanna Travis. Giusto così, non si gioca con i miliardi degli altri.
03
Perché molti bambini nascono alle 8 di mattina?
Ecco un altro quesito che vi sta davvero martellando il cervello in queste ore. Il titolare si è svegliato alle 6 e a un certo punto alle 8:00 si è chiesto: cribbio, ma perché nascono tutti a quest'ora? Stritolando l'orologio per l'assenza di una risposta immediata, alla fine la redazione di Scientific American si è impietosita e ha fornito la risposta. Buona lettura.
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elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.