3 Giugno
Israele, guerra e pace tra illusione e realtà
Un nuovo presidente e un governo senza Netanyahu. La svolta politica e i fatti sul terreno del conflitto con Hamas e gli altri gruppi del terrore. Il racconto a una dimensione e una decisione dell'Onu contro Israele, una pagina nera delle Nazioni Unite che è un memento per tutte le democrazie
Israele ha un nuovo presidente della Repubblica e (forse) avrà un nuovo esecutivo che porrà fine (forse) ai 12 anni di Benjamin Netanyahu al potere (democratico, "Bibi" non è un usurpatore di posti di governo). Nello stesso giorno dell'annuncio della nuova maggioranza, Israele ha eletto un nuovo presidente, il laburista Isaac Herzog, figlio di un ex presidente, Chaim Herzog, che fu generale, politico, ambasciatore, tutto quello che poteva essere un uomo che fu protagonista della nascita di Israele. In attesa dell'insediamento, la gestione della crisi di governo è ancora in mano al presidente uscente, Reuven Rivlin, che ieri ha ricevuto la comunicazione di Yair Lapid: la maggioranza c'è. Un esecutivo senza il Likud è un'operazione politica complicata, avrà vita difficile fin dai primi passi, ora deve passare per l'approvazione della Knesset, servono 61 voti su 120, la data ancora non è stata fissata e ci sono timori sulla tenuta dei numeri. Per formare il governo si è arrivati a fare un "patto della staffetta" tra Lapid e Bennett, due anni a testa alla guida. Per la prima volta c'è un partito arabo al governo: quello islamista di Raam guidato da Mansour Abbas.
La politica dell'unica democrazia del Medio Oriente è una macchina complessa, ma gli israeliani non temono di andare a votare per trovare una soluzione di governo (al contrario dell'Italia dove il voto è considerato l'eccezione e non la regola), sono andati alle urne quattro volte, prima di trovare un accordo di maggioranza. L'esecutivo è una formula anti-Netanyahu che fa gioire il giornalista collettivo, nelle redazioni mainstream ora immaginano Israele non rispondere più al fuoco di Hamas, mettere l'esercito a riposo, dire al Mossad di andare in letargo, non monitorare i giochi all'uranio dell'Iran, non preoccuparsi di Hezbollah in Libano, non proteggere i propri cittadini dagli assalti dei terroristi con il kalashnikov e il coltello. Non andrà così...
Israele ha un nuovo presidente della Repubblica e (forse) avrà un nuovo esecutivo che porrà fine (forse) ai 12 anni di Benjamin Netanyahu al potere (democratico, "Bibi" non è un usurpatore di posti di governo). Nello stesso giorno dell'annuncio della nuova maggioranza, Israele ha eletto un nuovo presidente, il laburista Isaac Herzog, figlio di un ex presidente, Chaim Herzog, che fu generale, politico, ambasciatore, tutto quello che poteva essere un uomo che fu protagonista della nascita di Israele. In attesa dell'insediamento, la gestione della crisi di governo è ancora in mano al presidente uscente, Reuven Rivlin, che ieri ha ricevuto la comunicazione di Yair Lapid: la maggioranza c'è. Un esecutivo senza il Likud è un'operazione politica complicata, avrà vita difficile fin dai primi passi, ora deve passare per l'approvazione della Knesset, servono 61 voti su 120, la data ancora non è stata fissata e ci sono timori sulla tenuta dei numeri. Per formare il governo si è arrivati a fare un "patto della staffetta" tra Lapid e Bennett, due anni a testa alla guida. Per la prima volta c'è un partito arabo al governo: quello islamista di Raam guidato da Mansour Abbas.
La politica dell'unica democrazia del Medio Oriente è una macchina complessa, ma gli israeliani non temono di andare a votare per trovare una soluzione di governo (al contrario dell'Italia dove il voto è considerato l'eccezione e non la regola), sono andati alle urne quattro volte, prima di trovare un accordo di maggioranza. L'esecutivo è una formula anti-Netanyahu che fa gioire il giornalista collettivo, nelle redazioni mainstream ora immaginano Israele non rispondere più al fuoco di Hamas, mettere l'esercito a riposo, dire al Mossad di andare in letargo, non monitorare i giochi all'uranio dell'Iran, non preoccuparsi di Hezbollah in Libano, non proteggere i propri cittadini dagli assalti dei terroristi con il kalashnikov e il coltello. Non andrà così perché i nemici della democrazia esistono e fanno le cose che fanno i cattivi, alcune sono inimmaginabili. Anche in assenza di Netanyahu alla guida del governo, Hamas continuerà la sua politica della violenza e del terrore, perché l'obiettivo dichiarato dal suo leader è "liberare Gerusalemme". Qualche giorno fa all'Onu si è consumata una pagina nera per la storia delle Nazioni Unite, da qui bisogna (ri)partire, per sapere, per capire. Marco Patricelli ci ricorda come sono messi i pezzi sul tavolo, a che punto è la partita. Si gioca a scacchi con la morte.
di Marco Patricelli
Un ripassino di storia e di diritto elementare non farebbe male ai rappresentanti dei Paesi del Consiglio per i diritti umani dell’Onu che hanno votato una discutibile risoluzione di indagine su Israele per presunti «crimini di guerra», compiuti non contro un’altra nazione (con cui comunque non c’è stato giuridico di guerra) ma contro un’organizzazione come Hamas che è universalmente riconosciuta come terroristica. Un ripassino che serve a far capire come e perché è stato teorizzato e perseguito il concetto del crimine di guerra, cioè di un’attività umana che nella sua prassi abituale viene scriminata altrimenti ogni soldato sarebbe un assassino da perseguire penalmente: basta aspettare chi vince e mettere alla sbarra chi perde. Come accadde a Norimberga dove vennero giudicati e condannati fior di criminali in divisa, dimenticando disinvoltamente, a esempio, che sul banco degli accusatori c’era un certo Andrej Vyshinskij, famigerato procuratore generale che per il suo curriculum sanguinario avrebbe dovuto sedere tra quello degli accusati, e che per il crimine di Katyn (l’eliminazione sistematica con un colpo alla nuca di migliaia di ufficiali polacchi prigionieri dell’Armata Rossa) i nazisti vennero ritenuti innocenti ma ci si guardò bene di processare l’NKVD di Stalin, alter ego sovietico delle SS di Hitler.
Una sbirciatina alle convenzioni dell’Aja e di Ginevra sarebbe altresì illuminante per la presunzione dell’uomo di disciplinare internazionalmente la presunta correttezza della guerra, invece immorale per definizione, sul trattamento dei prigionieri, proibendo alcune armi perché ritenute inumane e consentendone invece altre. È il caso dei gas e delle pallottole esplosive (le dum dum), che sono vietati e quindi il loro uso consente di perseguire chi viola le regole. Nessuno si chiede, in astratto e per assurdo o per pura speculazione filosofica, se sia più umano e rispettoso ricevere una baionettata lecita nella pancia e aspettare tre o quattro ore per morire, o soffocare pressoché subito per l’illecita yprite. Speculazione asettica per speculazione asettica, che quindi prescinde dal giudizio etico che è chiaro e incontrovertibile, le stragi naziste in Italia che fanno fremere di orrore provocarono meno morti dei bombardamenti alleati sulle città italiane, che convenzionalmente sono circa 65.000 ma in realtà sono molti di più. Si dirà che Mussolini se l’andò a cercare dichiarando guerra, ma pochi diranno che 45.000 di quei morti vanno riferiti al periodo successivo all’8 settembre 1943, aprendo pertanto una riflessione dolorosa sul valore relativo della vita umana. I bombardamenti terroristici di Amburgo e Dresda, studiati a tavolino per un massacro su grande scala, hanno provocato più morti che le atomiche a Hiroshima e a Nagaski, ma nessuno è mai finito sotto processo (men che meno “bomber Harris" che pretese quelle prove di forza) o sotto indagine dell’Onu. Chi volle quella guerra è chiaro, come la perse pure, e così come il fronte delle democrazie (più l’Urss che certamente non combatteva per la libertà) la vinse senza stare troppo a guardare per il sottile.
Hamas spara oltre 4000 missili sui civili israeliani e secondo le anime pie lontane migliaia di chilometri dovrebbe ricevere in cambio fiori e cioccolatini. Se solo Israele avesse voluto, diciamolo senza ipocrisie, avrebbe spazzato via Gaza in pochi minuti, ma l’illusione della guerra pulita ha avuto purtroppo il suo tributo di vittime innocenti, come sempre accade. Bambini compresi, prontamente mostrati a favor di telecamera, allo stesso modo in cui i palestinesi mostrano con orgoglio i ragazzini che marciano col khalashnikov e ai quali insegnano a scuola che è Israele a dover essere cancellato dalla faccia della terra. Altro che ricerca della pace. L’obnubilata opinione pubblica occidentale, in overdose di social e in astinenza di una conoscenza appropriata della questione mediorientale senza paraocchi ideologico o dogmatico, è insorta nel nome degli irrinunciabili valori dell’umanità. Un coro da Sinfonia dei mille di Mahler, stranamente mai ascoltato per i raid terroristici e suicidi nelle città israeliane, sui bus, nei ristoranti, per strada. Ora, un conto è il quisque de populo che indossa la kefiah e si sente subito strumento della giustizia morale, un conto sono i rappresentanti di nazioni che si sentono rappresentanti della giustizia dell’uomo da far trionfare ovunque tranne che, in alcuni casi, a casa propria.
Tra i 24 Stati che vogliono Israele inchiodato dall’accusa di crimini di guerra contro i galantuomini di Hamas, ci sono fior di evolute democrazie liberali garanti sempre e comunque dei diritti umani tipo Burkina Faso, Cina, Costa d’Avorio, Gabon, Indonesia, Sudan, Uzbekistan, Eritrea, Cuba, Bangladesh. Persino la Libia, che non si sa neppure cosa sia e chi parli in nome di chi o di cosa. Persino la Russia di Putin, dove dopo il samovar è stato inventato il the al plutonio e dove per la libertà di espressione basta andare a chiedere a Navalnij, ha avuto uno slancio di orrore etico schierandosi contro Israele e contro il suo diritto a esistere esercitato col diritto a reagire. Non consolerà che contro l’adozione di quella risoluzione abbiano votato non solo Italia, Francia, Giappone, Olanda, ma anche Togo, Bahamas, Fiji. Israele ha definito l’adozione di quell’atto «una macchia morale sulle Nazioni Unite», e sarebbe da stupirsi che avesse detto il contrario. È invece uno smacchiatore della coscienza a buon mercato, ipocrita nella forma e nella sostanza, adottata più per convenienza politica che per convincimento.
Nessuna risoluzione sul montare di atti antisemiti, nessuna campagna su giornalini e giornaletti che prima di commentare dovrebbero informare e prima ancora conoscere. Qualche giorno fa, uno dei purtroppo tanti maîtres à penser in servizio permanente effettivo ha paragonato i fatti di Gaza e il disinvolto uso di scudi umani di Hamas - che fa le prime vittime tra il popolo che a parole pretende di difendere – con i fatti della rivolta del ghetto di Varsavia nel 1943, prendendo a prestito le parole dei nazisti per giustificare lo sterminio dei ribelli. Le SS si godevano lo spettacolo delle torce umane che si lanciavano dai balconi perché raggiunti dai lanciafiamme chiamando con scherno quegli ebrei «paracadutisti». C’erano altre parole a denominazione d’origine controllata nazista che andavano adoperate come ammonimento: «Ripetete più volte una bugia e diventerà la verità». Le pronunciò Joseph Goebbels, criminale intelligentissimo ma sempre criminale, e aveva maledettamente ragione, visto che gli epigoni sul caso Israele-Hamas non mancano. Né a casa nostra né a Ginevra, purtroppo.
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l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.